Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 14 dicembre 2006 - Ricorso n. 1398/03 - Markovic e altri c/Italia

CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
GRANDE CAMERA

RICORSO MARKOVIC E ALTRI c. ITALIA (ricorso n. 1398/03)

SENTENZA
STRASBURGO, 14 dicembre 2006

La presente sentenza è esecutiva ma può essere soggetta a modifiche formali.

SENTENZA MARKOVIC E ALTRI c. ITALIA

Ricorso Markovic e Altri c. Italia,

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sedendo quale Grande Camera, composta da:

L. WILDHABER, Presidente, e dai Sigg.ri Giudici

C.L. ROZAKIS,
J-P. COSTA,
Sir Nicolas BRATZA,
B.M. ZUPANČIČ,
L. CAFLISCH,
I. CABRAL BARRETO,
K. JUNGWIERT,
J. HEDIGAN,
M. TSATSA-NIKOLOVSKA,
M. UGREKHELIDZE,
A. KOVLER,
V. ZAGREBELSKY,
E. MYJER,
DAVID THÓR BJÖRGVINSSON,
D. JOČIENE,
J. ŠIKUTA,
nonché dal Sig. T.L. EARLY, Cancelliere di Sezione,
dopo avere deliberato in camera di consiglio il 14 dicembre 2005, il 9 gennaio e il 25 ottobre 2006,
pronuncia la seguente sentenza, adottata nella data menzionata da ultimo:

PROCEDURA

  1. Il procedimento è stato introdotto con ricorso (n. 1398/03) nei confronti della Repubblica italiana depositato presso la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da dieci cittadini di Serbia e Montenegro, i signori Dusan Markovic e Zoran Markovic, la signora Dusika Jontic e il signor Vladimir Jontic, la signora Draga Jankovic, le signore Mirjana Stevanovic, Slavica Stevanovic e Milena Dragojevic, i signori Obrad Dragojevic e Dejan Dragojevic ("i ricorrenti"), il 6 dicembre 2002.
  2. I ricorrenti hanno adito la Corte mediante l'Avv.ssa A. Rampelli e sono rappresentati dall'Avv. G. Bozzi, del Foro di Roma, nonché dagli Avvocati A. Bozzi e C. Gatti, del Foro di Milano. Il Governo italiano ("il Governo convenuto") è rappresentato dal suo Agente, Avv. I.M. Braguglia, e dal suo Co-agente Avv. M.F. Crisafulli.
  3. I ricorrenti hanno lamentato in particolare una violazione dell'articolo 6 della Convenzione, in relazione all'articolo 1, in conseguenza dell'ordinanza della Corte di Cassazione italiana che ha statuito il difetto di giurisdizione del giudice nazionale a esaminare la loro richiesta di risarcimento del danno subito in conseguenza di un attacco aereo da parte delle forze della NATO.
  4. Il ricorso è stato assegnato alla Prima Sezione della Corte (articolo 52 § 1 del Regolamento). Con decisione del 12 giugno 2003, la Sezione ha dichiarato il ricorso parzialmente inammissibile in relazione alle doglianze di cui agli articoli 2, 10, 13 (nella misura in cui esso è stato considerato assorbito dall'articolo 6) e 17 della Convenzione e ha deciso di comunicare il resto del ricorso al Governo convenuto per le osservazioni scritte. Il 28 aprile 2005, una Camera della suddetta Sezione composta da B.M. Zupančič, Presidente, e dai Sigg.ri Giudici L. Caflisch, M. Tsatsa-Nikolovska, V. Zagrebelsky, E. Myjer, David ThO'r Björgvinsson, nonché dal Sig. M.V. Berger, Cancelliere di Sezione, ha rinunciato alla giurisdizione a favore della Grande Camera, senza che nessuna delle parti si sia opposta alla rinuncia (articolo 30 della Convenzione e 72 del Regolamento).
  5. La composizione della Grande Camera è stata decisa conformemente alle disposizioni degli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 del Regolamento.
  6. In applicazione degli articoli 29 § 3 della Convenzione e 54A § 3 del Regolamento, la Grande Camera ha notificato alle parti di essere in grado di esaminare il merito del ricorso contemporaneamente alla questione dell'ammissibilità.
  7. I ricorrenti e il Governo convenuto hanno presentato ciascuno delle memorie. Osservazioni sono inoltre pervenute dal Governo del Regno Unito, autorizzato dal Presidente a intervenire nella procedura scritta (articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 2 del Regolamento). Il Governo di Serbia e Montenegro ha esercitato il diritto di intervenire (articoli 36 § 1 della Convenzione e 44 § 1(b) del Regolamento). I ricorrenti hanno risposto ai commenti delle parti intervenute in udienza (articolo 44 § 5 del Regolamento).
  8. Una pubblica udienza si è svolta nel Palazzo dei Diritti dell'Uomo, a Strasburgo, il 14 dicembre 2005 (articolo 59 § 3 del Regolamento).
    Sono apparsi davanti alla Corte:
    1. per il Governo convenuto
      l'Avv. F. CRISAFULLI, Co-agente,
      la Dott.ssa A. CIAMPI, Consulente;
    2. per i ricorrenti
      l'Avv. G. BOZZI, del Foro di Roma, Avvocato,
      l'Avv. A. BOZZI, del Foro di Milano, Avvocato
      il Dott. D. GALLO, Consulente;
    3. per il Governo di Serbia e Montenegro
      il Dott. S. CARIĆ, Agente,
      la Dott.ssa K. JOSIFOR, Consulente,
      la Dott.ssa I. BANOVCANIN-HEUBERGER, Consulente.
  9. La Corte ha ascoltato le dichiarazioni dell'Avv. CRISAFULLI, della Dott.ssa CIAMPI, dell'Avvocato G. BOZZI, dell'Avvocato A. BOZZI e del Dott. CARIĆ e le loro risposte alle domande poste dai giudici.

    IN FATTO

    I - CIRCOSTANZE DEL CASO
     
  10. I dieci ricorrenti sono tutti cittadini di Serbia e Montenegro, denominata all'epoca dei fatti in questione Repubblica Federale di Jugoslavia ("RFI")
    I due primi ricorrenti, Dusan e Zoran MARKOVIC, sono nati rispettivamente nel 1924 e nel 1952, e adiscono la Corte in conseguenza del decesso di Dejan MARKOVIC, figlio di Dusan MARKOVIC e fratello di Zoran MARKOVIC.
    Il terzo e il quarto ricorrente, Dusika e Vladimir JONTIC, sono nati rispettivamente nel 1948 e nel 1978, e adiscono la Corte in conseguenza del decesso di Slobodan JONTIC, marito di Dusika JONTIC e padre di Vlamidir JONTIC.
    La quinta ricorrente, Draga JANKOVIC, è nata nel 1947 e adisce la Corte in conseguenza del decesso del marito, Milovan JANKOVIC.
    La sesta e la settima ricorrente, Mirjana e Slavica STEVANOVIC, sono nate rispettivamente nel 1945 e nel 1974, e adiscono la Corte in conseguenza del decesso di Slavina STEVANOVIC, figlio di Mirjana STEVANOVIC e fratello di Slavica STEVANOVIC.
    L'ottavo, il nono e il decimo ricorrente, Milena, Obrad e Dejan DRAGOJEVIC, sono nati rispettivamente nel 1953, nel 1946 e nel 1975, e adiscono la Corte in conseguenza del decesso di Dragorad DRAGOJEVIC, figlio di Milena e Obrad DRAGOJEVIC e fratello di Dejan DRAGOJEVIC.
    I ricorrenti hanno depositato il presente ricorso per lamentare l'esito di una causa di risarcimento danni da essi introdotta davanti alle autorità giudiziarie italiane in conseguenza di un attacco aereo contro la RFI.

    I. A. Il contesto e il bombardamento della Radio-Televizije Srbije ("RTS")
  11. I fatti oggetto di questo caso si riferiscono allo stesso contesto esaminato dalla Corte nella decisione relativa al caso Banković e Altri c. Belgio e altri 16 Stati Contraenti (sent.) [GC] n. 52207/99, ECHR 2001-XII). I fatti relativi a tale ricorso sono stati riassunti come segue:
    "Il conflitto che ha opposto le forze serbe e albanesi del Kosovo negli anni 1998 e 1999 è ben documentato. Vista l'intensificazione del conflitto, unita alle crescenti preoccupazioni e all'insuccesso delle iniziative diplomatiche della comunità internazionale, il Gruppo di contatto composto dai rappresentanti di sei nazioni (istituito nel 1992 dalla Conferenza di Londra) si è riunito e ha deciso di organizzare dei negoziati tra le parti in conflitto.
    Il 30 gennaio 1999, a seguito di una decisione del Consiglio Nord-atlantico ("CAN"), l'Organizzazione del Trattato Nord-atlantico ("NATO") ha annunciato che sarebbero stati effettuati attacchi aerei sul territorio della RFI in caso di inosservanza delle richieste della comunità internazionale. Si sono svolti conseguentemente dei negoziati tra le parti in conflitto, dal 6 al 23 febbraio 1999 a Rambouillet, e dal 15 al 18 marzo 1999 a Parigi. L'accordo di pace proposto al termine delle trattative è stato firmato dalla delegazione albanese del Kosovo, ma non dalla delegazione serba.
    Ritenendo che tutti gli sforzi intrapresi per addivenire a una soluzione politica negoziata della crisi del Kosovo fossero stati vani, il CAN ha deciso di dare inizio agli attacchi aerei (Operazione Forza alleata) contro la RFI, misura che il Segretario Generale della NATO ha annunciato il 23 marzo 1999. Gli attacchi aerei sono durati dal 24 marzo all'8 giugno 1999.
    Tre reti televisive e quattro stazioni radio operavano negli impianti della RTS a Belgrado. Gli impianti di produzione più importanti si trovavano in tre edifici in via Takovska. La cabina di regia generale era ospitata al primo piano di uno di essi e si avvaleva soprattutto di personale tecnico.
    Il 23 aprile 1999, subito dopo le 2 del mattino, uno degli edifici della RTS in via Takovska è stato colpito da un missile lanciato da un aereo delle forze della NATO. Due dei quattro piani dell'edificio sono crollati e la cabina di regia principale è stata distrutta. … Quella notte sono stati colpiti ventiquattro obiettivi nella RFI, tre dei quali a Belgrado".
  12. Il crollo parziale dell'edificio della RTS ha causato il decesso di sedici persone, tra cui i cinque congiunti dei ricorrenti.

    I.B. La causa civile davanti al Tribunale di Roma
  13. Il 31 maggio 2000, i primi quattro ricorrenti hanno introdotto un'azione di risarcimento danni davanti al Tribunale di Roma ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile italiano. Gli altri sei ricorrenti hanno chiesto di intervenire nella causa il 3 novembre 2000.
  14. I ricorrenti ritenevano che la responsabilità civile del decesso dei loro congiunti dovesse essere riferita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero della Difesa italiani nonché al Comando delle Forze alleate dell'Europa Meridionale della NATO ("AFSOUTH"). Essi sostenevano che spettava al giudice italiano conoscere della controversia. In particolare, in base a quanto disposto dall'articolo 6 del Codice penale italiano, i ricorrenti sostenevano che l'atto illecito che aveva causato il danno dedotto dovesse essere considerato commesso in Italia, nella misura in cui l'azione militare era stata organizzata e si era in parte svolta in territorio italiano. Essi basavano tale deduzione sull'entità dell'impegno italiano nella missione militare in questione, caratterizzato da un importante sostegno di tipo politico e logistico. In particolare, l'Italia, a differenza degli altri membri della NATO, avrebbe fornito le basi aeree dalle quali era decollato l'aereo che aveva bombardato Belgrado e la RTS. A sostegno della loro doglianza hanno invocato l'articolo 174 del Codice penale militare di guerra, la Convenzione di Londra del 1951 e il Protocollo n. I addizionale alla Convenzione di Ginevra.
  15. I convenuti hanno sostenuto che non spettava al giudice italiano conoscere della controversia. I ricorrenti hanno rinunciato all'azione nei confronti dell'AFSOUTH.
  16. In seguito, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Difesa hanno chiesto alla Corte di Cassazione un regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell'articolo 41 del Codice di procedura civile italiano.
  17. Nelle sue conclusioni del 16 novembre 2001, il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha sostenuto che il ricorso per regolamento preventivo doveva essere dichiarato inammissibile dato che riguardava la fondatezza della richiesta e non la questione della giurisdizione. Egli ha affermato quanto segue:
    "atteso che le amministrazioni convenute hanno chiesto un regolamento preventivo di giurisdizione, sostenendo che:
    a. poiché l'azione è intentata nei confronti dello Stato italiano nella sua specifica (unitaria) soggettività di diritto internazionale per atti compiuti nell'esercizio dell'autorità statale (iure imperii), tale azione non può essere proposta davanti al giudice italiano;
    b. tale azione non può neanche basarsi sulle disposizioni del comma 5 dell'articolo VIII della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, ratificata dall'Italia con legge n. 1335 del 1955, poiché essa si applica ai danni causati nello Stato ricevente.
    Il Governo cerca di dimostrare attraverso questa questione giurisdizionale che l'ordinamento giuridico italiano non contiene alcuna disposizione o principio in grado di fornire una base al diritto soggettivo perfetto o di garantirlo in astratto.
    Di conseguenza:
    a. il Governo sostiene che lo Stato italiano non può essere ritenuto responsabile di atti compiuti nell'esercizio del suo imperium;
    b. esso nega inoltre che la suddetta Convenzione di Londra possa essere utilizzata per determinare il luogo in cui si sono verificati i fatti che hanno causato il danno dedotto (non è un caso che il ricorrente abbia citato le disposizioni del Codice penale riguardanti il luogo in cui è stato commesso il reato).
    Ne consegue che le questioni così sollevate attengono al merito e non alla questione della giurisdizione (si veda la sentenza n. 903 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, del 17 dicembre 1999).
    Per tali motivi, si chiede alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, di dichiarare il ricorso inammissibile, con tutte le conseguenze che ciò comporta in diritto."
  18. Con ordinanza (n. 8157) dell'8 febbraio 2002, depositata in Cancelleria il 5 giugno 2002 e comunicata ai ricorrenti in data 11 giugno 2002, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito il difetto di giurisdizione del giudice italiano. La Corte è giunta alle seguenti conclusioni:
    "2. La domanda riferisce allo Stato italiano una responsabilità che è fatta dipendere da un atto di guerra, in particolare da una modalità di conduzione delle ostilità belliche rappresentata dalla guerra aerea.La scelta di una modalità di conduzione delle ostilità rientra tra gli atti di Governo. Sono questi atti che costituiscono manifestazione di una funzione politica, della quale è nella Costituzione la previsione della sua attribuzione ad un organo costituzionale: funzione che per sua natura è tale da non potersi configurare, in rapporto ad essa, una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui si manifesta assumano o non assumano un determinato contenuto – Sez. Un. 12 luglio 1968 n. 2452; 17 ottobre 1980, n. 5583; 8 gennaio 1993, n. 124).Rispetto ad atti di questo tipo nessun giudice ha potere di sindacato circa il modo in cui la funzione è stata esercitata.
    3. Le norme del Protocollo di Ginevra del 1977 (artt. 35.2, 48, 49, 51, 52 e 57) e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (artt. 2 e 15.2), che disciplinano la condotta delle ostilità, hanno bensì come oggetto la protezione dei civili in caso di attacchi, ma in quanto norme di diritto internazionale regolano rapporti tra Stati.
    Gli stessi trattati strutturano i procedimenti per accertare le violazioni, prevedono le sanzioni in caso di responsabilità (art. 91 del Protocollo; art. 41 della Convenzione), indicano le Corti internazionali competenti ad affermarla.
    Le leggi che vi hanno dato applicazione nello Stato italiano non contengono per contro norme espresse che consentano alle persone offese di chiedere allo Stato riparazione dei danni loro derivati dalla violazione delle norme internazionali.
    Che disposizioni con questo contenuto siano implicitamente risultate introdotte nell'ordinamento per effetto della esecuzione data alle norme di diritto internazionale è principio che trova poi ostacolo in quello contrario, di cui si è fatto cenno, per cui alle funzioni di tipo politico non si contrappongono situazioni soggettive protette.
    Del resto, per assicurare nell'ambito dell'ordinamento interno una riparazione per il pregiudizio risentito in conseguenza della violazione di norme della Convenzione sui diritti dell'uomo, con riguardo all'art. 6 ed a proposito del mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, si è provveduto con apposita legge (la L. 24 marzo 2001, n. 89).
    4. La possibilità di assoggettare a sindacato la determinazione del Governo circa la condotta delle ostilità nell'ambito delle operazioni aeree della Nato contro la Repubblica federale di Jugoslavia non può d'altra parte essere tratta dalla Convenzione di Londra del 1951.
    La circostanza che gli aerei impiegati nel bombardamento della stazione radio televisiva di Belgrado possano avere utilizzato basi ubicate sul territorio italiano costituisce un momento della più alta complessa operazione di cui si chiede di valutare la liceità e dunque non rileva ai fini della applicazione della norma dettata dal paragrafo 5 dell'articolo VIII della Convenzione, che presuppone al contrario la commissione di un atto al riguardo del quale la valutazione di illiceità possa essere compiuta."
  19. L'ordinanza della Corte di Cassazione ha messo fine ipso iure alla causa davanti al Tribunale di Roma.

    II - IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
     
  20. Le disposizioni pertinenti della Costituzione italiana recitano come segue:
    Articolo 10 § 1
    "L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. …"
    Articolo 24 § 1
    "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. …"
    Articolo 28
    "I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. …"
    Articolo 113
    "Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
    Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
    La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa."
  21. L'articolo 31 del Regio Decreto n. 1024 del 26 giugno 1924 dispone che:
    "Il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico."
  22. L'articolo 2043 del Codice civile dispone che:
    "Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".
  23. L'articolo 41 del Codice di procedura civile relativo alla questione della giurisdizione, prevede che:
    "Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'articolo 37. (…)"
    L'articolo 37 del Codice di procedura civile prevede che:
    "Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo."
  24. Le disposizioni pertinenti del Codice penale recitano come segue:
    Articolo 6
    "Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana.
    Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione".
    Articolo 185
    "Restituzioni e risarcimento del danno.
    Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili [articoli 2043 e successivi del Codice civile].
    Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale [articolo 2056 del Codice civile] o non patrimoniale [articolo 2059 del Codice civile], obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili [articolo 2047 del Codice civile], debbono rispondere per il fatto di lui."
  25. L'articolo 174 del Codice penale militare di guerra recita come segue:
    "Il comandante di una forza militare il quale, al fine di nuocere al nemico, ordina o autorizza l'uso di un mezzo o di un metodo bellico proibito dalla legge o dalle convenzioni internazionali, od in ogni modo contrario all'onore militare, è punito con una pena minima di cinque anni di reclusione, a meno che il fatto non costituisca un illecito penale ai sensi di una specifica disposizione di legge.
    Se tale fatto provoca un massacro, la pena non sarà inferiore a dieci anni di reclusione."
  26. Con sentenza del 10 luglio 1992 (n. 124/1993), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito il principio secondo il quale non spetta al giudice conoscere dei ricorsi introdotti nei confronti di pubbliche amministrazioni in relazione ad atti politici.
    Un sindacato aveva introdotto un ricorso nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Funzione Pubblica e del Ministero della Pubblica Istruzione, adducendo che il Governo non aveva rispettato i propri impegni. La Corte di Cassazione ha rilevato, inter alia, che tale inosservanza poteva comportare unicamente la responsabilità politica del Governo, ma non poteva creare un diritto. Essa ha stabilito che non spettava al giudice conoscere del ricorso dopo avere affermato il seguente principio:
    "L'iniziativa legislativa è un atto politico, poiché è la tipica manifestazione della funzione politica e governativa. Pertanto, il comportamento adottato dall'autorità governativa nella fattispecie non era di natura tale da causare danni personali (che si tratti di diritti soggettivi o di interessi legittimi); sfugge quindi a qualsiasi controllo giurisdizionale".
  27. Il giudice italiano aveva del resto già affrontato la questione in diversi casi precedenti e aveva deciso che, essendo a carattere politico, i seguenti atti esulavano dal controllo del giudice nazionale:
    1. la rinuncia al diritto di esercizio della giurisdizione previsto dall'articolo VII dell'Accordo del 1951 tra gli Stati parte al Trattato Nord-atlantico sullo statuto delle loro forze (Corte di Cassazione, Terza Sezione penale, n. 1645 del 21 marzo 1962, Kinardi et al, Giust. Pen., 1963, III, 80);
    2. l'assegnazione di beni appartenenti a cittadini italiani di cui alla Convenzione di Londra del 1951 (Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 2452 del 12 luglio 1968, De Langlande c. Ministero del Tesoro, Rivista diritto internazionale, 1969, 583);
    3. il decreto del Ministero dei Trasporti sospensivo dell'autorizzazione al trasporto di merci in Austria (Tribunale di Roma, 18 maggio 1993, Soc. S. and C. Transp. GmbH c. Ministero dei Trasporti, Rivista diritto internazionale privato e processuale, 1995, 755);
    4. l'atto del Ministero del Lavoro di nomina dei rappresentanti dei lavoratori in qualità di delegati presso l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, 20 agosto 1976, n. 492, CISNAL c. Ministero del Lavoro e Ministero degli Affari esteri, Italian Yearbook of International Law, 1978-1979, 184);
    5. la dichiarazione di guerra nonché le disposizioni del trattato relative al risarcimento dei danni di guerra (I), 28 gennaio 1985, n. 106, Pestalozza c. Ministero del Tesoro, Tribunale Amministrativo Regionale, 1985, 381).
  28. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pronunciato un'ulteriore sentenza (n. 5044) in data 11 marzo 2004. Essa riguardava la giurisdizione del giudice civile italiano in materia di richieste di risarcimento del danno subito da una persona catturata dalle forze militari tedesche nel 1944 e deportata per lavorare nelle industrie tedesche. La Germania aveva invocato l'immunità statale e il Tribunale di primo grado e la Corte di appello avevano dichiarato il proprio difetto di giurisdizione. La Corte di Cassazione ha effettuato un'analisi molto esauriente dei trattati internazionali in materia di crimini internazionali, imprescrittibilità, responsabilità internazionale degli Stati e immunità dalla giurisdizione, nonché la giurisprudenza di diversi tribunali internazionali. La Corte, ritenendo che l'eccezione di immunità dalla giurisdizione non potesse essere riconosciuta e che il giudice italiano dovesse decidere la richiesta, ha affermato inter alia:
    "(…) Con ordinanza del 5 giugno 2002, n. 8157 queste SU hanno infatti statuito che gli atti compiuti dallo Stato nella conduzione di ostilità belliche si sottraggano ad ogni sindacato giurisdizionale, costituendo espressione di una funzione di "indirizzo politico" rispetto alla quale "non è configurabile una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui detta funzione si manifesta assumano o meno un determinato contenuto." In applicazione di detto principio è stato dichiarato il difetto di giurisdizione su una domanda di risarcimento proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio e del ministero della Difesa dell'Italia per l'avvenuta distruzione, nel corso delle operazioni aeree della Nato contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, di un obiettivo non militare, e al conseguente decesso di alcuni civili.
    È agevole però osservare, da un lato, che l'insindacabilità delle modalità di svolgimento delle attività di suprema direzione della cosa pubblica non è di ostacolo all'accertamento degli eventuali reati commessi nel corso del loro esercizio e delle conseguenti responsabilità, sia sul piano penale che su quello civile (articoli 90 e 96 Costituzione; articolo 15,1 cost. 11 marzo 1953 n.1; articolo 30 legge 25 gennaio 1962, n. 20); dall'altro che, in forza del principio di adattamento sancito dall'articolo 10, primo comma, della nostra Carta costituzionale, le norme di diritto internazionale "generalmente riconosciute" che tutelano la libertà e la dignità della persona umana come valori fondamentali e configurano come "crimini internazionali" i comportamenti che più gravemente attentano all'integrità di tali valori, sono divenute "automaticamente" parte integrante del nostro ordinamento e sono, pertanto, pienamente idonee ad assumere il ruolo di parametro dell'ingiustizia del danno causato da un "fatto" doloso o colposo altrui. È quindi evidente che i principi contenuti in detta pronuncia non possono venire in considerazione nel caso di specie.
    9.1 Il riconoscimento dell'immunità dalla giurisdizione in favore degli Stati che si siano resi responsabili di tali misfatti si pone in palese contrasto con i dati normativi appena ricordati, poiché detto riconoscimento, lungi dal favorire, ostacola la tutela di valori, la cui protezione è da considerare invece, alla stregua di tali norme e principi, essenziale per l'intera Comunità internazionale, tanto da giustificare, nelle ipotesi più gravi, anche forme di reazione obbligatorie. E non può esservi dubbio che l'antinomia debba essere risolta dando prevalenza alle norme di rango più elevato, come puntualizzato nelle opinioni dissidenti espresse dai giudici di minoranza (otto contro nove) allegata alla sentenza Al-Adsani [Al-Adsani c. Regno Unito [GC], n. 25763/97, ECHR 2001-XI]: quindi escludendo che, in ipotesi siffatte, lo Stato possa giovarsi dell'immunità della giurisdizione straniera".
  29. Nel 1993, il Governo italiano ha deciso l'invio di un corpo di spedizione militare in Somalia per lo svolgimento di operazioni di mantenimento della pace. Al ritorno del corpo di spedizione in Italia, è emerso che alcuni dei membri della spedizione avevano torturato dei prigionieri somali. Due membri della spedizione sono stati rinviati a giudizio e condannati a pene detentive. Essi sono stati anche condannati al pagamento del risarcimento alla parte civile. Con sentenza n. 28154 del 7 marzo 2002, il cui testo è stato depositato in cancelleria il 10 luglio 2002, il Tribunale civile di Roma ha condannato un altro militare italiano e il Ministero della Difesa al risarcimento dei danni subiti dai congiunti di un civile illecitamente ucciso dal militare.

    III - LE ALTRE DISPOSIZIONI PERTINENTI
     
  30. I ricorrenti hanno invocato davanti al giudice nazionale il Protocollo n. 1 dell'8 giugno 1977 addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali. Il Protocollo, ratificato dall'Italia con legge n. 672 dell'11 dicembre 1985, contiene, inter alia, le seguenti disposizioni:
    "Articolo 35 – Regole fondamentali
    1. In ogni conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato.
    2. È vietato l'impiego di armi, proiettili e sostanze nonché metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili.
    3. È vietato l'impiego di metodi e mezzi di guerra concepiti allo scopo di causare, o dai quali ci si può attendere che provochino, danni estesi, durevoli e gravi all'ambiente naturale.(…)
    Articolo 48 – Regola fondamentale
    Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno, in ogni momento, distinguere la popolazione civile dai combattenti, nonché i beni di carattere civile dagli obiettivi militari e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari.
    Articolo 49 – Definizione degli attacchi e campo di applicazione
    1. Con l'espressione "attacchi" si intendono gli atti di violenza contro l'avversario, siano tali atti compiuti a scopo di attacco o di difesa.
    2. Le disposizioni del presente Protocollo concernenti gli attacchi si applicano a tutti gli attacchi, quale che sia il territorio su cui essi si svolgono, incluso il territorio nazionale appartenente ad una Parte in conflitto, ma che si trovi sotto il controllo di una Parte avversaria.
    3. Le disposizioni della presente Sezione si applicano a qualsiasi operazione terrestre, aerea o navale che possa colpire, su terra, la popolazione civile, le persone civili e i beni di carattere civile. Esse si applicano, inoltre, a tutti gli attacchi navali o aerei diretti contro obiettivi terrestri, ma non pregiudicano altrimenti le regole di diritto internazionale applicabili nei conflitti armati marittimi o aerei.
    4. Le disposizioni della presente Sezione integrano le regole relative alla protezione umanitaria enunciate nella IV Convenzione, in particolare nel Titolo II, e negli altri accordi internazionali che vincolano le Alte Parti contraenti, nonché le altre regole di diritto internazionale relative alla protezione dei civili e dei beni di carattere civile contro gli effetti delle ostilità su terra, sul mare ed in aria.(…)
    Articolo 51 – Protezione della popolazione civile
    1. La popolazione civile e le persone civili godranno di una protezione generale contro i pericoli derivanti da operazioni militari. Allo scopo di rendere effettiva tale protezione, saranno osservate, in ogni circostanza, le seguenti regole, le quali si aggiungono alle altre regole del diritto internazionale applicabile.
    2. Sia la popolazione civile che le persone civili non dovranno essere oggetto di attacchi. Sono vietati gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile.
    3. Le persone civili godranno della protezione concessa dalla presente Sezione, salvo che esse partecipino direttamente alle ostilità e per la durata di detta partecipazione.
    4. Sono vietati gli atti indiscriminati. Con l'espressione "attacchi indiscriminati" si intendono:
      a) quelli che non sono diretti contro un obiettivo militare determinato;
      b) quelli che impiegano metodi o mezzi di combattimento che non possono essere diretti contro un obiettivo militare determinato; o
      c)quelli che impiegano metodi e mezzi di combattimento i cui effetti non possono essere limitati, come prescrive il presente Protocollo, e che sono, di conseguenza, in ciascuno di tali casi, atti a colpire indistintamente obiettivi militari e persone civili o beni di carattere civile.
    5. Saranno considerati indiscriminati, fra gli altri, i seguenti tipi di attacchi:
     a) gli attacchi mediante bombardamento, quale che siano i metodi e i mezzi impiegati, che trattino come obiettivo militare unico un certo numero di obiettivi militari chiaramente distanziati e distinti, situati in una città, un paese, un villaggio o in qualsiasi altra zona che contenga una concentrazione analoga di persone civili o di beni di carattere civile;
     b) gli attacchi dai quali ci si può attendere che provochino incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane e di danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto.
    6. Sono vietati gli attacchi diretti a titolo di rappresaglia contro la popolazione civile o le persone civili.
    7. La presenza o i movimenti della popolazione civile o di persone civili non dovranno essere utilizzati per mettere obiettivi militari al riparo da attacchi o per coprire, favorire o ostacolare operazioni militari. Le Parti in conflitto non dovranno dirigere i movimenti della popolazione civile o delle persone in modo da cercare di mettere degli obiettivi militari al riparo dagli attacchi o di coprire operazioni militari.
    8. Nessuna violazione di tali divieti potrà dispensare le Parti in conflitto dai loro obblighi giuridici nei confronti della popolazione civile e delle persone civili, incluso l'obbligo di prendere le misure di precauzione previste nell'articolo 57.(…)
    Articolo 52 – Protezione generale dei beni di carattere civile
    1. I beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie. Sono beni di carattere civile tutti i beni che non sono obiettivi militari ai sensi del paragrafo 2.
    2. Gli attacchi dovranno essere strettamente limitati agli obiettivi militari. Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono effettivamente all'azione militare, e la cui distruzione totale o parziale, conquista o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio militare preciso.
    3. In caso di dubbio, un bene che è normalmente destinato ad uso civile, quale un luogo di culto, una casa, un altro tipo di abitazione o una scuola, si presumerà che non sia utilizzato per contribuire efficacemente all'azione militare.(…)
    Articolo 57 – Precauzioni negli attacchi
    1. Le operazioni militari saranno condotte curando costantemente di risparmiare la popolazione civile, le persone civili ed i beni di carattere civile.
    2. Per quanto riguarda gli attacchi, saranno prese le seguenti precauzioni:
     a) coloro che preparano o decidono un attacco dovranno:
      i)fare tutto ciò che è praticamente possibile per accertare che gli obiettivi da attaccare non siano persone civili né beni di carattere civile, e non beneficino di una protezione speciale, ma che si tratti di obiettivi militari ai sensi del paragrafo 2 dell'articolo 52, e che le disposizioni del presente Protocollo non ne vietino l'attacco;
      ii) prendere tutte le precauzioni praticamente possibili nella scelta dei mezzi e metodi di attacco, allo scopo di evitare o, almeno di ridurre al minimo il numero di morti e di feriti tra la popolazione civile, nonché i danni ai beni di carattere civile che potrebbero essere incidentalmente causati;
      iii) astenersi dal lanciare un attacco da cui ci si può attendere che provochi incidentalmente morti e feriti tra la popolazione civile, danni ai beni civili, o una combinazione di perdite umane e danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto;
      b) un attacco sarà annullato o interrotto quando appaia che il suo obiettivo non è militare o beneficia di una protezione speciale, o che ci si può attendere che esso provochi incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane e danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto;
     3. nel caso di attacchi che possono colpire la popolazione civile dovrà essere dato un avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci, salvo che le circostanze lo impediscano.
    4. Quando è possibile una scelta fra più obiettivi militari per ottenere un vantaggio militare equivalente, la scelta potrà cadere sull'obiettivo nei cui riguardi si può pensare che l'attacco presenta il minor pericolo per le persone civili o per i beni di carattere civile.
    5. Nella condotta delle operazioni militari marittime o aeree, ciascuna Parte in conflitto dovrà prendere, conformemente ai diritti e ai doveri che discendono per essa dalle regole del diritto internazionale applicabile nei conflitti armati, tutte le precauzioni ragionevoli per evitare perdite di vita fra la popolazione civile e danni ai beni di carattere civile.
    Nessuna disposizione del presente articolo potrà essere interpretata nel senso di autorizzare attacchi contro la popolazione civile, le persone civili o i beni di carattere civile.
    Articolo 91 – Responsabilità
    "La Parte in conflitto che violasse le disposizioni delle Convenzioni o del presente Protocollo sarà tenuta, se del caso, al pagamento di una indennità. Essa sarà responsabile di ogni atto commesso dalle persone che fanno parte delle proprie forze armate."
  31. I ricorrenti hanno inoltre invocato davanti al giudice nazionale il comma 5 dell'articolo VIII della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, tra le Parti del Trattato Nord-atlantico sullo Statuto delle Forze armate, ratificata dall'Italia con Legge n. 1335 del 1955.
    L'articolo I definisce alcuni termini nel seguente modo:" (…)
    d) "Stato d'origine" designa la Parte Contraente cui appartiene la forza;
    e) "Stato di soggiorno" designa la Parte Contraente sul cui territorio si trova la forza o l'elemento civile, sia di stanza, sia di transito; (…)"
    L'Articolo VIII dispone, inter alia:
    5. "…
    le richieste di indennizzo (diverse da quelle risultanti dall'applicazione di un contratto e da quelle alle quali si applichino i commi 6 e 7 del presente articolo) originate da atti o da omissioni commessi da membri di una forza od un elemento civile durante l'esecuzione di mansioni ufficiali, o derivanti da qualsiasi altro atto, omissione o fatto per cui una forza od un elemento civile siano responsabili legalmente, e che provochino, nel territorio dello Stato di soggiorno, danni a terzi che non siano delle parti contraenti, saranno regolate da parte dello Stato di soggiorno secondo le seguenti disposizioni:
    a) le domande di indennizzo saranno depositate ed istruite, e le decisioni saranno prese, conformemente alle leggi e ai regolamenti dello Stato di soggiorno applicabili in materia alle proprie forze armate;
    b) lo Stato di soggiorno può decidere su qualsiasi domanda del genere; il pagamento dell'importo concordato o deciso sarà fatto dallo Stato di soggiorno nella propria valuta;
    c) tale pagamento, sia esso fatto in seguito a liquidazione concordata che in seguito ad una decisione della giurisdizione competente dello Stato di soggiorno, ovvero la decisione della stessa giurisdizione di non luogo a pagamento, vincola definitivamente le parti contraenti;
    d) ogni indennizzo pagato dallo Stato di soggiorno sarà portato a conoscenza degli Stati di origine interessati, che riceveranno contemporaneamente un rapporto circostanziato e una proposta di ripartizione stabilita in conformità al comma e), I), II) e III) del paragrafo seguente. In mancanza di risposta entro due mesi, la ripartizione sarà considerata come accettata;
    e) l'onere delle indennità versate per la riparazione dei danni previsti nei commi precedenti e nel paragrafo 2 del presente articolo sarà ripartito fra le parti contraenti nel modo seguente;
      i) quando un solo Stato d'origine sia responsabile, l'ammontare delle indennità è ripartito in ragione del 25% a carico dello Stato di soggiorno e del 75% a carico dello Stato di origine;
      ii) quando nella responsabilità sia incorso più di uno Stato, l'ammontare dell'indennità è ripartito tra essi in parti uguali; tuttavia, se lo Stato di soggiorno non è uno degli Stati le cui forze armate hanno causato il danno, il suo contributo sarà la metà di quello di ciascuno degli Stati d'origine;
      iii) se il danno sia causato dalle forze armate delle parti contraenti senza che sia possibile attribuirlo in maniera precisa ad una o più di dette forze armate, l'ammontare dell'indennità sarà ripartito in parti eguali tra le parti contraenti interessate; tuttavia, se lo Stato di soggiorno non è uno degli Stati in cui le forze armate hanno causato il danno, il suo contributo sarà la metà di quello di ciascuno degli Stati di origine;
      iv) ogni semestre verrà inviato agli Stati di origine interessati, unitamente alla richiesta di rimborso, un rendiconto delle somme pagate dallo Stato di soggiorno nel corso del semestre precedente per gli affari per i quali una ripartizione in percentuale sia stata ammessa. Detto rimborso verrà effettuato entro il più breve termine possibile, nella valuta dello Stato di soggiorno;
    f) nei casi in cui, in conseguenza dell'applicazione delle disposizioni dei precedenti commi b) e e), una parte contraente venisse ad essere gravata da un onere troppo forte, essa potrà domandare al Consiglio Atlantico di procedere ad un regolamento della questione su base diversa;
    g) un membro di una forza o di un elemento civile non sarà sottoposto ad alcun procedimento esecutivo quando una sentenza sia stata pronunciata contro di lui nello Stato di soggiorno se si tratti di controversia nata da un atto compiuto nell'esercizio delle sue funzioni;
    h) salva l'applicabilità del comma e) del presente paragrafo alle richieste di indennizzo contemplate dal paragrafo 2 del presente articolo, le disposizioni del presente paragrafo non si applicheranno nel caso di navigazione, dell'impiego di una nave, del carico e scarico o del trasporto di un carico, tranne i casi di morte o di danni alle persone alle quali non sia applicabile il paragrafo 4 del presente articolo.
    6. Le richieste di indennizzo contro membri di una Forza armata o di un elemento civile fondate su atti dannosi od omissioni commessi fuori dall'esercizio delle funzioni ufficiali verranno trattate nel modo seguente:
    a) le autorità dello Stato di soggiorno esamineranno la richiesta di indennizzo e fisseranno l'ammontare dell'indennizzo dovuto al richiedente in maniera giusta ed equa, tenendo conto di tutte le circostanze della causa, compreso il comportamento della persona danneggiata, e redigeranno una relazione in merito;
    b) la relazione sarà rimessa alle autorità dello Stato di origine, che decideranno senza indugio se dar corso o meno ad una indennità a titolo grazioso e, in caso affermativo, ne fisseranno l'ammontare;
    c) se verrà offerta un'indennità a titolo grazioso ed essa sarà accettata dal richiedente a piena soddisfazione delle sue pretese, le autorità dello Stato d'origine effettueranno esse stesse il pagamento ed informeranno le autorità dello Stato di soggiorno della loro decisione e della somma pagata;
    d) le disposizioni del presente paragrafo non pregiudicano il diritto dello Stato di soggiorno a prendere in considerazione un'azione legale contro un membro di una forza od un elemento civile, sempreché non sia avvenuto il pagamento a piena soddisfazione della domanda d'indennizzo.
    7. Le richieste di indennizzo fondate sull'uso non autorizzato di qualsiasi veicolo delle forze armate di uno Stato d'origine verranno trattate in conformità alle disposizioni del paragrafo 6 del presente articolo, tranne il caso in cui la forza o l'elemento ne siano legalmente responsabili.
    8. Qualora sorga controversia sulla circostanza se l'atto dannoso o l'omissione da parte di un membro di una forza o di un elemento civile siano stati commessi nell'esercizio di funzioni ufficiali o se l'uso di un veicolo delle forze armate di uno Stato d'origine non sia stato autorizzato, il quesito verrà sottoposto ad un arbitro nominato in conformità al paragrafo 2 b) del presente articolo e la sua decisione su questo punto darà vincolante e definitiva.
    9. Lo Stato di origine non può prevalersi dell'immunità di giurisdizione dei tribunali dello Stato di soggiorno per i membri di una forza o elementi civili per quanto riguarda la competenza civile dei tribunali dello Stato di soggiorno, salvo quanto previsto al paragrafo 5 g) del presente articolo.
    10. Le autorità dello Stato di origine e dello Stato di soggiorno collaborano nella raccolta delle prove necessarie per un esame equo e per una decisione per quanto si riferisce alle richieste di indennizzo che interessano le parti contraenti …".

    IN DIRITTO

    I - AMMISSIBILITÀ DEL RICORSO

    I. A. L'eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
     
  32. Il Governo convenuto ha sottolineato che nel semestre successivo all'ordinanza della Corte di Cassazione, che trattava la questione della giurisdizione solo in relazione allo Stato italiano, e non alla NATO o all'AFSOUTH, i ricorrenti avevano omesso di riassumere il procedimento nei confronti della NATO. Esso ha dedotto che ciò rifletteva una mancanza d'interesse da parte dei ricorrenti ed equivaleva, seppure indirettamente, a un mancato esaurimento delle vie di ricorso interne disponibili per loro a norma della legislazione italiana. Il Governo convenuto ha aggiunto all'udienza che la richiesta dei ricorrenti era basata su disposizioni che, pur essendo rilevanti ai fini dell'avviamento di un procedimento penale, non potevano essere validamente invocate davanti al giudice civile, e ha osservato che i ricorrenti non erano stati in grado di produrre un esempio di un caso in cui una richiesta come la loro fosse stata introdotta con successo.
  33. I ricorrenti hanno dichiarato di aver presentato una richiesta di risarcimento solidale nei confronti dello Stato italiano e della NATO. Tuttavia, avendo la NATO eccepito l'immunità del suo quartiere generale, essi avevano rinunciato, con il suo consenso, all'azione nei suoi confronti. L'azione dei confronti della NATO si era pertanto estinta in modo irrevocabile. Ciò non aveva tuttavia prodotto conseguenze sull'azione nei confronti dello Stato italiano. I ricorrenti hanno sottolineato che la tesi del Governo convenuto era illogica in quanto richiedeva ai ricorrenti di proseguire il procedimento davanti al giudice nazionale quando, in base al Governo convenuto, essi non potevano esercitare validamente un diritto davanti allo stesso.
  34. La Corte osserva che nel ricorso Banković e Altri c. Belgio e altri 16 Stati Contraenti ((sent.) [GC], n. 52207/99, ECHR 2001-XII), che era basato sugli stessi fatti del ricorso di specie ma in cui i ricorrenti non avevano adito il giudice italiano, il Governo italiano aveva eccepito il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e aveva effettivamente citato il ricorso Markovic come prova dell'esistenza di una via di ricorso. Nel caso di specie i ricorrenti avevano esperito la via di ricorso e avevano proseguito il procedimento, nella misura possibile, ritenendo che esso avesse grandissime possibilità di successo, dopo che la NATO aveva eccepito l'immunità dalla giurisdizione del giudice nazionale.
  35. Spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento convincere la Corte che la via di ricorso fosse effettiva e disponibile teoricamente e praticamente al momento utile, vale a dire, che fosse accessibile, potesse offrire la riparazione relativa alle richieste dei ricorrenti e offrisse ragionevoli prospettive di successo (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, ECHR 2006 …).
    Il Governo convenuto non ha fornito alcun esempio concreto di un'azione civile nei confronti della NATO che abbia avuto successo. La Corte pertanto non ritiene convincente la tesi secondo la quale la riassunzione del procedimento nei confronti della NATO avrebbe offerto migliori prospettive di successo rispetto al procedimento nei confronti dello Stato italiano.
  36. Date le circostanze, il ricorso non può essere rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione.

    I. B. La rilevanza per i ricorrenti della "giurisdizione" dello Stato convenuto ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione

    Le deduzioni del Governo convenuto
  37. Il Governo convenuto ha dedotto l'inammissibilità del ricorso per la sua incompatibilità con le disposizioni della Convenzione. Con riferimento alla doglianza di cui all'articolo 6, esso ha invitato la Corte ad adottare il ragionamento che essa aveva applicato nel ricorso Banković e Altri quando aveva dichiarato le doglianze relative ai diritti essenziali garantiti dalla Convenzione inammissibili ratione loci.
  38. Il riferimento all'articolo 1 nelle domande che erano state poste alle parti dalla Corte e il legame indubbiamente esistente con la questione di cui all'articolo 6 indicavano che la Corte riteneva che la questione pertinente fosse l'esame dell'esistenza nel caso di specie di un diritto di accesso al tribunale per esercitare un diritto previsto dalla Convenzione e non un qualsiasi diritto di natura civile. Una persona che non era sottoposta alla giurisdizione nazionale non aveva diritto di accesso a una via di ricorso che le avrebbe consentito di rivendicare il risarcimento di un danno da parte delle autorità dello Stato interessato. Se uno Stato non era responsabile degli atti commessi al di fuori del suo territorio, esso non poteva essere biasimato per aver declinato di accogliere una richiesta che lamentava le conseguenze di tali atti. Il Governo convenuto ha perciò dedotto che, anche se – diversamente dai ricorrenti di cui al ricorso Banković e Altri – nel caso di specie i ricorrenti si erano portati nell'ambito della giurisdizione dello Stato depositando presso le autorità una richiesta di condanna al risarcimento dei danni subiti, il loro ricorso, come il ricorso Banković, doveva essere esaminato nel suo insieme e tutte le doglianze, comprese quelle di cui all'articolo 6, dovevano essere dichiarate inammissibili.
  39. Il Governo convenuto ha inoltre osservato che un'analisi del sistema decisionale della NATO non ha rivelato alcuna partecipazione da parte dell'Italia alla scelta dei diversi obiettivi e che tutte le operazioni militari erano state eseguite nel rispetto delle norme di diritto umanitario internazionale. Date le circostanze, era molto difficile stabilire la responsabilità solidale dell'Italia. Conseguentemente, non vi era un nesso giurisdizionale tra i ricorrenti e lo Stato italiano.
  40. Secondo il Governo convenuto, sarebbe assurdo in un caso in cui non è sorto alcun obbligo di tutelare un diritto sostanziale ritenere che sussista l'obbligo di tutelare il corrispondente diritto procedurale, vale a dire, concedere i mezzi per esercitare lo stesso diritto sostanziale davanti al giudice nazionale.
  41. Il Governo convenuto ha anche sollevato le stesse eccezioni del ricorso Banković e Altri in relazione alla responsabilità individuale degli Stati per gli atti commessi da un'organizzazione internazionale di cui erano membri, osservando che sarebbe illogico ritenere lo Stato – che non era responsabile degli atti delle organizzazioni internazionali di cui era membro – responsabile in base alla Convenzione della mancata adozione di misure interne per riparare le conseguenze di tali atti. Esso ha dedotto che il ricorso doveva pertanto essere dichiarato inammissibile in quanto incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.

    Le deduzioni dei ricorrenti
     
  42. I ricorrenti hanno rinviato all'eccezione del Governo convenuto nel ricorso Banković e Altri relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Essi hanno dedotto che la stessa equivaleva a un riconoscimento, almeno per quanto riguarda l'ordinamento giuridico interno, della loro collocazione all'interno della giurisdizione del giudice nazionale. Essi hanno aggiunto che il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione era della stessa opinione dato che, nella sua memoria scritta, egli aveva sostenuto che l'eccezione del difetto di giurisdizione sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri doveva essere rigettata.
  43. I ricorrenti sono arrivati a sostenere che nel ricorso Banković e Altri non vi era stato un rinvio preliminare al giudice nazionale. Essi hanno dedotto che tale differenza fosse sufficiente a dimostrare che essi erano irrefutabilmente nell'ambito della giurisdizione dello Stato convenuto ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione e conseguentemente godevano della protezione della Convenzione.
    Essi hanno dedotto che l'ordinanza della Corte di Cassazione era incompatibile con l'articolo 1 della Convenzione in quanto precludeva qualsiasi applicazione pratica delle disposizioni della Convenzione nel diritto interno.

    Le deduzioni delle Parti intervenute
    Il Governo di Serbia e Montenegro
  44. Il Governo di Serbia e Montenegro ha dedotto che la doglianza di cui all'articolo 6 della Convenzione non era incompatibile, ratione loci, con le disposizioni della Convenzione. Esso ha osservato che gli atti erano stati commessi o nel territorio di Serbia e Montenegro o in territorio italiano, mentre le conseguenze si sono verificate solo in Serbia e Montenegro. Secondo tale rilievo, il primo punto di cui la Corte avrebbe dovuto tenere conto era che il velivolo che aveva bombardato l'edificio della RTS era decollato dall'Italia, mentre la decisione di eseguire l'incursione era stata presa in coordinazione con il quartier generale della NATO a Bruxelles. Gli atti in questione comprendevano anche tutti i preparativi materiali e logistici dell'operazione, che aveva provocato il decesso di sedici persone. All'epoca, l'Italia e gli altri Stati Membri della NATO avevano il controllo totale dell'uso delle armi nello spazio aereo serbo-montenegrino, ma era l'Italia, in definitiva, ad avere avuto la capacità aerea di bombardare l'edificio della RTS. Tali fattori indicavano chiaramente il nesso tra i fatti in questione e l'Italia, sebbene le conseguenze si fossero verificate solo in Serbia. Pertanto, secondo le osservazioni del Governo di Serbia e Montenegro, il caso di specie era sufficientemente distinguibile dal ricorso Banković e Altri (succitato) da giustificare una conclusione diversa e tale da evitare un diniego di giustizia. Per quanto sopra esposto il Governo ha concluso che l'atto oggetto del ricorso in questione non fosse esclusivamente extra-territoriale.
    Il Governo del Regno Unito
  45. Il Governo britannico ha rilevato che nel caso Banković e Altri la Corte aveva deciso all'unanimità che tutte le disposizioni della Convenzione dovessero essere lette alla luce dell'articolo 1 della stessa, che definiva il campo della loro applicazione. L'effetto dell'articolo 1, così come ha stabilito la Corte nel ricorso Banković e nella sua precedente pronuncia sul caso di specie (si veda paragrafo 4 supra), era che i diritti e le libertà garantiti dalla Convenzione non erano applicabili a un episodio quale un'incursione – effettuata nel corso di un conflitto armato – contro un edificio situato al di fuori del territorio degli Stati Contraenti interessati, in quanto le persone colpite in tale incursione non si trovavano nella giurisdizione degli Stati Contraenti in questione.
  46. Una volta stabilito che la Convenzione non era applicabile, ne seguiva che coloro che agivano in giudizio per tale episodio non erano titolari di diritti ai sensi della Convenzione. Di conseguenza non poteva darsi alcun obbligo per gli Stati Parti alla Convenzione di fornire una via di ricorso davanti al giudice nazionale per la violazione di tali diritti.
  47. Dunque era perfettamente logico che la Grande Camera, nel caso Banković, avesse ritenuto la richiesta inammissibile a norma dell'articolo 13, dopo aver accertato che il ricorso non rientrava nel campo di applicazione degli articoli 2 e 10. Con riferimento al caso Z. e Altri c. Regno Unito ([GC] n° 29392/95 § 103, ECHR 2001-V), il Governo britannico ha dedotto che, nella misura in cui l'articolo 6, contrariamente all'articolo 13, giocava un ruolo distinto nella tutela dei diritti previsti dalle altre disposizioni della Convenzione, la risposta in base a questo articolo doveva essere la stessa.
  48. Non poteva fare alcuna differenza il fatto che il singolo ricorrente fosse successivamente entrato nel territorio dello Stato Contraente e ivi avesse cercato di agire in giudizio. Il fatto che tale persona potesse inserirsi nella giurisdizione dello Stato Contraente in questione dopo essere entrata nel suo territorio, non rendeva la Convenzione applicabile retroattivamente a un evento passato cui la Convenzione non si applicava allorché esso accadde. Né ciò modificava il fatto che la persona in questione, al momento dell'incidente, non si trovava nella giurisdizione e, pertanto lo Stato Contraente non aveva alcun obbligo ai sensi dell'articolo 1 di garantirle i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione. Né l'articolo 13, né l'articolo 6 obbligavano uno Stato Contraente a fornire un rimedio per la violazione di altre disposizioni della Convenzione se esse, in base al loro campo di applicazione di cui all'articolo 1, non erano applicabili all'evento in questione.

    La valutazione della Corte 
  49. Si ricorderà che nel caso Banković e Altri la Corte ha affermato "quanto al ‘significato ordinario' del termine pertinente dell'articolo 1 della Convenzione, la Corte è persuasa che, dal punto di vista del diritto pubblico internazionale, la competenza giurisdizionale di uno Stato è in via primaria territoriale. Per quanto il diritto internazionale non escluda l'esercizio extraterritoriale della giurisdizione da parte di uno Stato, le basi indicate per tale giurisdizione (comprese nazionalità, bandiera, relazioni diplomatiche e consolari, rilevanza, protezione, personalità passiva e universalità) sono, generalmente, definite e limitate dai diritti territoriali sovrani degli altri Stati interessati".
  50. La Corte non ha riscontrato alcun "nesso giurisdizionale" ai fini dell'articolo 1 della Convenzione tra le vittime dell'atto lamentato e gli Stati convenuti e ha ritenuto che l'azione in questione non implichi la responsabilità di questi ultimi ai sensi della Convenzione. Alla luce di tale conclusione non ha stimato necessario esaminare le rimanenti questioni relative all'ammissibilità sollevate dalle parti.
  51. La Corte ha dichiarato le altre doglianze dedotte dai ricorrenti nel presente ricorso (si veda paragrafo 4, supra), inammissibili in quanto le specifiche circostanze del caso, segnatamente il fatto che i ricorrenti avessero cercato un rimedio davanti al giudice italiano, non permettevano di discostarsi dal precedente di Banković.
  52. Tuttavia, quanto alla doglianza di cui all'articolo 6, in relazione all'articolo 1 della Convenzione, la Corte osserva che nel caso Banković il Governo convenuto aveva sottolineato che era possibile ricorrere al giudice nazionale, sottintendendo con ciò che per future doglianze, presentate su basi diverse, non poteva essere esclusa l'esistenza di un nesso giurisdizionale. Di fatto, i ricorrenti avevano già iniziato un ricorso davanti al giudice nazionale.
  53. La Corte non condivide l'opinione del Governo italiano e di quello britannico secondo la quale il fatto che venga successivamente promosso un ricorso a livello nazionale non dia luogo a nessun obbligo da parte dello Stato verso colui che ha proposto ricorso. Tutto dipende dai diritti che possono essere rivendicati in base alla legislazione dello Stato interessato. Se la legislazione nazionale riconosce il diritto di agire in giudizio e se il diritto rivendicato, a una prima valutazione, possiede le caratteristiche previste dall'articolo 6 della Convenzione, la Corte non vede motivo per cui tale ricorso interno non debba essere esaminato allo stesso modo di qualsiasi altro ricorso proposto a livello nazionale.
  54. Sebbene la natura extra-territoriale dei fatti all'origine di un'azione possa avere rilevanza sull'applicabilità dell'articolo 6 e sull'esito finale del procedimento, essa non può, in nessun caso, averne sulla competenza ratione loci e ratione personae dello Stato in questione. Se è introdotta un'azione civile davanti al giudice nazionale, l'articolo 1 della Convenzione impone allo Stato di assicurare in tale azione il rispetto dei diritti tutelati dall'articolo 6. La Corte ritiene che, a partire dal momento in cui un soggetto introduce un'azione civile davanti al giudice di uno Stato, senza pregiudizio per l'esito della causa, esista indiscutibilmente un "nesso giurisdizionale" ai fini dell'articolo 1.
  55. La Corte osserva che nel caso di specie i ricorrenti hanno introdotto un'azione davanti al giudice civile italiano e pertanto essa ritiene che esista un "nesso giurisdizionale" tra costoro e lo Stato italiano.
  56. Date le circostanze, le eccezioni preliminari del Governo basate sull'assenza di un nesso giurisdizionale debbono essere respinte.

    I. C. L'applicabilità dell'articolo 6 al ricorso

    Le deduzioni del Governo convenuto
  57. Il Governo convenuto ha osservato che gli articoli 6 e 13 non si applicavano agli atti politici. Invocando la sentenza pronunciata nel caso Z e Altri c. Regno Unito (succitato), esso ha osservato che il concetto di atto politico non poteva essere considerato un "impedimento procedurale" al potere del giudice nazionale di giudicare un diritto sostanziale, bensì una limitazione di tale diritto.
  58. Esso ha osservato che, nel caso di specie, non esisteva un diritto civile che si potesse definire, con motivazioni almeno sostenibili, riconosciuto dalla legislazione interna.
  59. Vi erano tre ragioni: in primo luogo non esisteva un diritto al risarcimento del danno subito in conseguenza di un crimine di guerra né nelle norme di diritto internazionale applicabili al caso in questione, né nel diritto interno italiano; secondariamente l'atto impugnato era attribuibile alla NATO e non allo Stato italiano; in terzo e ultimo luogo il diritto che i ricorrenti hanno chiesto di esercitare non era riconosciuto nella legislazione nazionale perché la dottrina dell'immunità degli atti politici precludeva in limine qualsiasi azione nei confronti dello Stato.

    Le deduzioni dei ricorrenti
  60. I ricorrenti hanno sottolineato che a determinare la fondatezza o l'infondatezza della loro doglianza in base all'ordinamento giuridico nazionale avrebbe dovuto essere un tribunale. Tuttavia l'ordinanza della Corte di Cassazione aveva impedito loro di esercitare nei tribunali italiani un diritto riconosciuto dall'articolo 2043 del Codice civile. Inoltre essa divergeva dalla giurisprudenza esistente e successiva di tale Corte. I ricorrenti hanno dedotto che l'ordinanza della Corte di Cassazione n° 5044 dell'11 marzo 2004 (si veda il paragrafo 25 supra) ha mostrato, in primo luogo, che l'immunità dalla giurisdizione non avrebbe mai potuto essere estesa al diritto penale e che, quindi, la responsabilità civile per fatto illecito non avrebbe mai potuto essere esclusa, e, in secondo luogo, che le norme di origine internazionale a tutela dei diritti umani fondamentali erano parte integrante dell'ordinamento italiano e quindi potevano essere invocate a sostegno di una richiesta di risarcimento dei danni provocati da fatti illeciti o da negligenza. Ne seguiva che chiunque avesse lamentato la violazione di un diritto garantito da tali norme avrebbe avuto sempre diritto alla protezione dei tribunali.
  61. I ricorrenti hanno aggiunto che il comportamento del Governo convenuto è stato a dir poco ambiguo: nel caso Banković e Altri esso aveva eccepito il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e aveva rinviato al ricorso introdotto dai ricorrenti davanti al giudice nazionale e pendente in quel momento davanti alla Corte di Cassazione. Adesso invece esso tentava di sostenere che i ricorrenti non avevano un diritto da esercitare davanti al giudice nazionale, benché sembrasse di opinione opposta quando il procedimento era ancora pendente. I ricorrenti hanno sostenuto perciò che era stato per loro ragionevole ritenere di avere un diritto almeno sostenibile al momento dell'introduzione del ricorso davanti al giudice nazionale, poiché anche il Governo convenuto era stato sufficientemente convinto che lo avessero da invocare tale argomento nel procedimento internazionale.

    Le deduzioni delle parti intervenute
    Il Governo di Serbia e Montenegro
  62. Il Governo di Serbia e Montenegro ha rilevato che, da quando sono avvenuti i fatti in questione, lo stato di Serbia e Montenegro aveva aderito alla Convenzione e i suoi cittadini dovevano avere la possibilità di esercitare i propri diritti non solo davanti al giudice del loro Stato di origine, ma anche davanti al giudice degli altri Stati parti della Convenzione in tutti i casi in cui esisteva una base giuridica per farlo.
    Il Governo del Regno Unito
  63. Il Governo britannico ha sostenuto che l'articolo 6 § 1 non trasformava gli organi di attuazione della Convenzione in una corte d'appello delle sentenze del giudice nazionale che si pronunciava sul contenuto del diritto applicabile da tale giudice, a prescindere dal fatto che si trattasse di diritto di origine interamente nazionale, o che derivasse dal diritto internazionale pubblico. Secondo esso, le norme generali sulla responsabilità che esoneravano lo Stato dalla responsabilità per motivi di ordine pubblico non rientravano affatto nel campo di applicazione dell'articolo 6 § 1.

    La valutazione della Corte
  64. La Corte ritiene che l'eccezione sull'incompatibilità del ricorso con le disposizioni della Convenzione ratione materiae sia strettamente connessa alla sostanza della doglianza dei ricorrenti ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione. Essa ritiene pertanto opportuno di associarsi a tale eccezione nel merito (si veda, tra gli altri precedenti, Airey c. Irlanda sentenza del 9 ottobre 1979, Serie A n° 32, § 19; e Ferrazzini c. Italia [GC] n° 44759/ 98 § 18, ECHR 2001-VII).
  65. La Corte rileva inoltre che il ricorso solleva questioni di fatto e di diritto che richiedono un esame nel merito. Essa conclude conseguentemente che esso non è manifestamente infondato. Avendo stabilito anche che non sussiste nessun altro ostacolo alla sua ammissibilità, dichiara ammissibile la rimanente parte del ricorso (Vo c. Francia [GC] n° 53924/00 § 45, ECHR 2004-VIII). Conformemente alla sua decisione di applicare l'articolo 29 § 3 della Convenzione (si veda il paragrafo 6 supra), essa procede immediatamente all'esame nel merito della doglianza dei ricorrenti (Kleyn e Altri c. Paesi Bassi [GC] numeri 39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99 § 162, ECHR 2003-VI).

    II - LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN RELAZIONE ALL'ARTICOLO 1
     
  66. Appellandosi all'articolo 6 della Convenzione, in relazione all'articolo 1, i ricorrenti hanno lamentato l'ordinanza della Corte di Cassazione che ha statuito il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
    Le parti rilevanti dell'articolo 6 recitano come segue :
    "Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente… da parte di un tribunale … che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile…"
    L'articolo 1 prevede:
    "Le Alte Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà indicate nel Titolo I della presente Convenzione."

    Le deduzioni delle parti

    Le deduzioni dei ricorrenti
  67. I ricorrenti hanno sottolineato che, nelle sue conclusioni scritte, il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha constatato che le questioni sollevate riguardavano il merito del caso, e non la questione della giurisdizione. Inoltre, in base al diritto interno per esercitare l'azione civile tesa a ottenere il risarcimento di un danno causato da un reato non è necessario che il reato sia stato accertato in un processo penale o che il responsabile sia stato condannato da un tribunale penale. Conseguentemente, essi hanno dedotto di poter pienamente chiedere il risarcimento del danno subito senza dover precedentemente introdurre un procedimento penale per accertare la responsabilità penale personale, che è un tipo di azione completamente indipendente.
  68. Essi hanno dedotto che il loro ricorso davanti al Tribunale di Roma soddisfaceva tutti i requisiti di cui all'articolo 6 della Convenzione per essere definito un ricorso per l'accertamento di un diritto di natura civile. Avendo introdotto un'azione ordinaria per ottenere la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale causato da fatto illecito, essi hanno indubbiamente esercitato un diritto tutelato dal diritto interno che il giudice era pienamente competente a decidere in caso di residenza in Italia del convenuto. Inoltre, anche esaminando la questione dalla prospettiva territoriale, cioè con riferimento al locus commissi delicti, l'articolo 6 del Codice penale italiano consentiva di agire in giudizio anche se solo parte del fatto contestato era stata commessa in territorio italiano. Il bombardamento non si sarebbe potuto verificare senza il consenso delle autorità politiche italiane e la messa a disposizione della NATO delle strutture militari da parte dell'Italia, dato che le incursioni erano partite dal territorio italiano. Inoltre, l'articolo 185 del Codice penale italiano obbligava al risarcimento dei reati a norma delle leggi civili. Pertanto, la natura del diritto che i ricorrenti avevano chiesto di esercitare era effettivamente civile e solo per l'inevitabilità di tale conclusione la Corte di Cassazione era stata costretta a dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, aggirando così le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale.
  69. I ricorrenti hanno sostenuto che la giurisprudenza della Corte di Cassazione sia precedente che successiva all'ordinanza di specie dimostrava che in base al diritto italiano si poteva ritenere che un giudice interno difettasse di giurisdizione solo in assenza di norme o principi nell'ordinamento giuridico interno teoricamente in grado di tutelare il diritto soggettivo che si chiedeva di esercitare (vedi le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 3316 del 31 maggio 1985 e 5740 del 24 ottobre 1988). Nel caso dei ricorrenti, tuttavia, la Corte di Cassazione aveva solo potuto accogliere la tesi del Governo convenuto e così negato l'accesso dei ricorrenti a un tribunale non tenendo conto delle disposizioni del diritto interno e internazionale su cui i ricorrenti avevano basato la loro richiesta di risarcimento del danno causato dagli atti di un'autorità pubblica italiana, consistiti non solo nel bombardamento dell'edificio della RTS, ma anche in tutti gli atti preparatori eseguiti in Italia con il permesso e l'assistenza delle autorità italiane (vedi gli artt. 2043 del Codice civile, 6 del Codice penale e 174 del Codice penale militare di guerra). L'ordinanza aveva privato la Convenzione europea sui diritti umani di ogni effetto nel diritto interno ed era in contrasto con la giurisprudenza della Corte che impone agli Stati Parti della Convenzione di garantire l'effettivo rispetto dei diritti tutelati dalla Convenzione. Inoltre, la Corte di Cassazione aveva qualificato la condotta dello Stato all'origine della richiesta un "atto di governo". Da ciò aveva dedotto che l'atto in questione non fosse soggetto al controllo delle autorità giudiziarie e aveva affermato che questo principio prevaleva sulla Convenzione europea sui diritti umani, cosicché i ricorrenti non potevano appellarsi a essa per ottenere un diritto di accesso ai tribunali.
  70. Secondo i ricorrenti tale affermazione ha negato il primato della Convenzione, primato riconosciuto anche nel diritto interno per mezzo dell'articolo 117 della Costituzione, che prevede: "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali." Inoltre, il bombardamento del quartier generale dell'RTS non poteva essere classificato nel diritto interno un atto politico sottratto al controllo giudiziario. In base al diritto italiano, l'atto di governo era sottratto al controllo del giudice amministrativo, e solo del giudice amministrativo, dato che egli solo giudica direttamente gli atti di governo nelle sue sentenze o ha il potere di annullarli. Benché l'articolo 31 del Regio decreto n. 1054 del 26 giugno 1924 abbia introdotto nell'ordinamento una limitazione al controllo giudiziario, essa non riguardava i diritti personali, quale il diritto al risarcimento del danno, che poteva essere esercitato davanti al giudice ordinario. In ogni caso, anche se si poteva ancora affermare che esisteva la limitazione giurisdizionale nell'ordinamento italiano dopo l'entrata in vigore della Costituzione, essa poteva comprendere solo l'atto di governo con cui era stata decisa la partecipazione italiana alle operazioni militari nell'ex-Yugoslavia, e non ogni singolo atto od operazione militare come l'operazione all'origine del caso di specie. In realtà, una missione di bombardamento di questo tipo non poteva essere considerata un atto di governo che si sottraeva al controllo giudiziario. In un caso simile, non si era ritenuto di escludere la giurisdizione delle autorità giudiziarie italiane in relazione a reati commessi da militari italiani durante la missione militare internazionale in Somalia. Perciò, secondo i ricorrenti, né il diritto interno né la Convenzione giustificavano l'esclusione di un diritto di accesso ai tribunali per esercitare un diritto al risarcimento di un danno causato dagli atti di un'amministrazione pubblica, anche se tali atti derivavano da una decisione politica. È stato necessario distinguere tra il merito della pretesa davanti al giudice e la questione della giurisdizione. Per quanto riguarda la questione generale degli effetti della Convenzione nel diritto interno, i ricorrenti si sono dati la pena di sottolineare la gravità delle affermazioni contenute nell'ordinanza della Corte di Cassazione che ha statuito il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Essi hanno osservato che l'ordinanza contraddiceva le precedenti sentenze della stessa Corte di Cassazione (vedi, inter alia, le sentenze di Polo Castro (1988), Mediano (1993), Galeotti (1998)) e poteva, se confermata, avere serie implicazioni che andavano al di là del loro caso, alla luce del ruolo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di suprema autorità giudiziaria. Essi hanno aggiunto, tuttavia, che la Corte di Cassazione ha successivamente abbandonato la linea adottata nel caso Markovic, sottolineando perciò ulteriormente l'ingiustizia che avevano subito.

    Le deduzioni del Governo convenuto
  71. Il Governo convenuto ha sostenuto che l'articolo 6 non era applicabile. La prima ragione era che il diritto rivendicato dai ricorrenti era un diritto che non si poteva validamente dire riconosciuto nella legislazione interna.
  72. Esso ha osservato che i ricorrenti si sono appellati all'articolo 2043 del Codice civile, 6 e 185 del Codice penale e 174 del Codice penale militare di guerra. Per quanto riguarda l'articolo 2043 la responsabilità dello Stato per fatto illecito poteva essere rivendicata solo per atti dolosi o colposi dei quali lo Stato era responsabile in base a varie disposizioni del diritto interno. Tuttavia le disposizioni invocate non concedevano il diritto al risarcimento per danni causati da un crimine di guerra.
  73. L'articolo 6 del Codice penale aveva l'effetto di stabilire e determinare il campo di applicazione della giurisdizione territoriale dello Stato in materia penale. Secondo il Governo convenuto, l'Italia non poteva essere accusata di violare il diritto di accesso a un tribunale meramente perché il suo diritto interno prevedeva un più ampio accesso a un tribunale rispetto al diritto di altri Stati, in quanto l'articolo 6.2 del Codice penale forniva un rimedio che consentiva di chiedere il risarcimento del danno derivante da atti commessi all'estero. Per quanto riguarda l'applicazione combinata dell'articolo 174 del Codice penale militare di guerra e 185 del Codice penale, essa consentiva di invocare la responsabilità dello Stato per atti commessi da membri delle sue forze armate.
  74. Tutte le disposizioni invocate dai ricorrenti riguardavano la commissione di un reato personale mentre la loro pretesa nel procedimento si riferiva al danno causato dalle forze aeree della Nato, che non si poteva dire riferibile alla responsabilità penale personale di membri delle Forze Armate italiane. Il Governo convenuto ha osservato incidentalmente che la giurisprudenza citata dai ricorrenti era del tutto irrilevante dato che riguardava o casi relativi alla responsabilità personale di un membro delle forze armate o casi in cui non era stata stabilita la responsabilità civile dello Stato.
  75. Né si poteva trovare alcuna base giuridica del diritto al risarcimento rivendicato dai ricorrenti nelle norme applicabili al diritto consuetudinario internazionale. Nei tribunali interni, i ricorrenti si erano appellati agli articoli 35, 48, 51 e 91 del Protocollo n. 1 addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949. Tali disposizioni limitavano il diritto delle parti in un conflitto di scegliere metodi o i mezzi con i quali fare la guerra, vietando di dirigere le operazioni contro obiettivi non militari. L'intenzione era la creazione di diritti e di obblighi solamente a livello interstatale e non il conferimento di diritti alle persone, anche nei casi di obbligo di risarcire. Le disposizioni non concedevano il diritto personale di ottenere il risarcimento del danno subito in guerra nei tribunali dello Stato responsabile, né imponevano agli Stati Parti l'obbligo di modificare il loro diritto interno per fornire tale diritto.
  76. Benché forse auspicabile, la legislazione italiana non prevedeva al momento il diritto al risarcimento del danno causato da un crimine di guerra e l'Italia non era tenuta a introdurre tale obbligo nel suo ordinamento giuridico interno in virtù di un obbligo internazionale. Giungere alla conclusione contraria significherebbe interpretare l'articolo 6 in modo da creare un diritto sostanziale che non aveva fondamento nella legislazione del paese interessato. L'articolo 6, tuttavia, non creava dei diritti. Inoltre, dedurre che l'articolo 6 della Convenzione concedeva il diritto di accesso a un tribunale per agire nei confronti di uno Stato per atti illeciti anche nei casi in cui la violazione del diritto civile derivava da atti di politica internazionale, comprese le operazioni di ristabilimento e di mantenimento della pace, avrebbe minato gli sforzi che si fanno per incoraggiare i governi a collaborare nelle operazioni internazionali di questo tipo.
  77. Poiché l'atto contestato era extraterritoriale ed era stato commesso da un'organizzazione internazionale della quale l'Italia era membro, sarebbe stato estremamente difficile dimostrare la responsabilità solidale dell'Italia. Le prospettive di vittoria di un procedimento in Italia di contestazione della legittimità delle azioni delle forze della NATO in Kosovo erano remote e scarse. I ricorrenti non hanno fornito neanche l'esempio di un caso in cui era stata accolta una pretesa di questo tipo. Per quanto riguarda la sentenza del ricorso del Principe Hans-Adam II del Liechtenstein c. Germania ([GC], n. 42527/98, EHCR 2001-VIII), il Governo convenuto ha fatto presente, perciò, che non era possibile affermare che esisteva un nesso sufficiente tra l'esito del procedimento e il riconoscimento dei diritti rivendicati dai ricorrenti.
  78. Infine, il giudice non poteva essere investito di una controversia di questo tipo. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la questione fondamentale contenuta nella pretesa dei ricorrenti fosse la valutazione dell'illiceità dell'atto contestato e della responsabilità dello Stato italiano. Decidendo nella specie che si trattava di un "atto politico" che non era sottoposto al controllo del giudice, la Corte di Cassazione non ha limitato il diritto di accesso al tribunale ma ha definito il campo di applicazione del diritto sostanziale rivendicato dai ricorrenti. Secondo il Governo convenuto la dottrina dell'atto politico non creava un ostacolo processuale che sottraeva o limitava il diritto a ricorrere ai tribunali, essa precludeva in limine un'azione nei confronti dello Stato.
  79. Per quanto riguarda il merito del ricorso, e nel caso in cui la Corte ritenga applicabile alla fattispecie l'articolo 6 della Convenzione nonostante gli argomenti sopra esposti, il Governo convenuto ha dedotto che non vi è stata violazione di tale disposizione e che la limitazione del diritto dei ricorrenti di accesso a un tribunale era conforme allo stato di diritto e al principio della separazione dei poteri, ed era proporzionata al legittimo fine perseguito.
  80. Secondo esso, il difetto di giurisdizione del giudice nazionale non aveva costituito violazione del diritto di accesso a un tribunale garantito dall'articolo 6 della Convenzione. Il diritto non era illimitato; esso poteva essere regolamentato dallo Stato e lo Stato godeva di un margine di discrezionalità rispetto a esso. In Italia né lo Stato, né il Governo, né i poteri pubblici godevano di una forma generale di immunità dalla giurisdizione. L'ordinanza della Corte di Cassazione relativa al caso di specie che dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice italiano non costituiva una limitazione applicabile alle richieste di risarcimento dei danni dallo Stato per se. Essa riguardava solo una limitatissima categoria di atti di esercizio dell'autorità statale al massimo livello. Essi erano gli "atti politici", che riguardano lo Stato nella sua unità in relazione al quale il potere giudiziario non può essere considerato "un terzo". La legge è un tipico esempio di un "atto di governo" che può danneggiare i singoli. La Corte ha però già dichiarato che la Convenzione non arrivava a imporre agli Stati di prevedere un meccanismo di impugnazione della legge.
  81. Altri atti esprimevano "l'autorità statale" al massimo livello: essi erano gli atti di politica internazionale e, attraverso di essi, gli atti di guerra. Il principio che voleva che gli atti di attuazione delle decisioni politiche fondamentali dello Stato fossero legittimamente esclusi dal dominio della competenza giudiziaria derivava dal principio della separazione dei poteri e dalla necessità di evitare di coinvolgere il potere giudiziario – che per definizione non aveva legittimazione democratica – nel compito di individuare gli obiettivi di interesse generale o di scelta dei mezzi utilizzati per raggiungerli. Insomma, il potere giudiziario non poteva essere coinvolto, neanche a posteriori, nell'attività di decisione della politica nazionale.
  82. Secondo il Governo convenuto vi era perciò un fine legittimo nella limitazione imposta all'accesso ai tribunali quando l'atto contestato aveva un obiettivo politico. Quanto al criterio di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e il fine perseguito, il Governo convenuto ha sottolineato che l'immunità dalla giurisdizione non violava l'essenza fondamentale del diritto dell'individuo di accesso a un tribunale perché non impediva l'accesso a un'intera serie di azioni civili né conferiva l'immunità a numerosi gruppi di persone, ma riguardava solo una categoria di azioni civili nei confronti dello Stato, limitata e definita molto rigidamente. Né vi era dubbio che il fine perseguito dalla dottrina dell'atto politico potesse essere realizzato solo privando i tribunali della giurisdizione. Per tutti questi motivi, non vi era stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione.

    Le deduzioni delle parti intervenute
    Il Governo di Serbia e Montenegro
  83. Il Governo di Serbia e Montenegro ha osservato che il principio che obbliga al risarcimento del danno era una nozione fondamentale risalente al principio di diritto romano del neminem non laedere, riconosciuto come principio generale dai trattati internazionali delle nazioni civilizzate. Esso ha osservato che il principio era stato applicato dalla Corte nel ricorso Osman c. Regno Unito (sentenza del 28 ottobre 1998, Reports of Judgments and Decisions 1998-VIII) quando essa aveva stabilito che uno Stato – che si era concesso l'immunità per motivi di politica pubblica in un'azione per responsabilità da fatto illecito – doveva prevedere altri mezzi per consentire alle vittime del danno, subito in conseguenza di un atto o di un'omissione dello Stato, di ottenere il risarcimento.
  84. Il Governo di Serbia e Montenegro ha aggiunto che si doveva trovare la spiegazione dell'articolo 6 della Convenzione nel principio dello stato di diritto enunciato nell'articolo 3 dello Statuto del Consiglio d'Europa. Esso ha dedotto che sarebbe stato difficile prevedere l'applicazione di questo principio senza accesso a un tribunale e ha citato la sentenza Fayed c. Regno Unito (21 settembre 1994, Serie A n. 294-B, pp. 49-50, § 65), in cui la Corte ha dichiarato: "in una società democratica non sarebbe conforme allo stato di diritto o al principio fondamentale contenuto nell'articolo 6 § 1 – cioè il diritto a presentare al giudice i ricorsi civili perché siano giudicati – il fatto che, per esempio, uno Stato possa, senza limite o controllo da parte degli organi preposti all'esecuzione della Convenzione, sottrarre alla giurisdizione dei tribunali un'intera serie di cause civili o conferire immunità dalla responsabilità civile a ingenti gruppi o categorie di persone".
  85. Infine esso ha spiegato che in Serbia e Montenegro né il giudice civile né quello costituzionale potevano rifiutare di giudicare una causa adducendo il pretesto che essa riguardava un atto di governo. L'unico problema che sarebbe potuto sorgere era quello dell'esistenza nel diritto interno di norme che consentivano di giudicare questi atti. L'adozione della dottrina dell'atto di governo avrebbe limitato notevolmente il fine perseguito dall'applicazione della legge, sia per quanto riguarda l'accesso sia per l'effettività dei rimedi quali quelli garantiti dalla Convenzione. Per propria natura, tale dottrina avrebbe giustificato un'assenza di controllo sugli atti attuativi della politica estera per motivi di "ragione di Stato", con il risultato che la tutela dei diritti umani sarebbe diventata impossibile. Secondo il Governo di Serbia e Montenegro la dottrina dello stato di diritto avrebbe dovuto prevalere su quella della ragione di Stato.
    Il Governo del Regno Unito
  86. Il Governo britannico ha dichiarato che una norma del diritto interno che negava a un individuo il diritto al risarcimento, o il corollario che lo Stato non era responsabile degli atti che esso compiva nella conduzione delle relazioni straniere, non violavano l'articolo 6 § 1.
  87. Esso ha osservato che tale norma era comune sia alle legislazioni degli Stati membri del Consiglio d'Europa sia ad altri paesi, anche se ordinamenti giuridici diversi l'avevano formulata con modalità diverse (per esempio, la norma prevedeva che le decisioni relative alla conduzione delle relazioni straniere non erano giudicabili o che una regola generale sulla responsabilità non si estendeva al danno causato da atti di guerra o ad altre azioni commesse dallo Stato nelle sue relazioni internazionali).
  88. Comunque fosse formulata, tale norma limitava il campo di applicazione del diritto sostanziale dello Stato interessato, non limitava il diritto di accesso ai tribunali per l'applicazione di tale diritto. Secondo il Governo britannico, la posizione sostanziale era molto simile a quella del ricorso Z e Altri c. Regno Unito (succitata). Come la norma limitativa del diritto inglese che era in discussione nel ricorso Z e Altri, la norma del diritto interno che prevedeva che lo Stato non era tenuto a risarcire le persone dei danni che avevano subito in conseguenza di decisioni dello Stato nella conduzione delle relazioni estere limitava il campo di applicazione delle norme generali sulla responsabilità nella loro applicazione allo Stato, per motivi di ordine pubblico. Il Governo britannico ha dedotto che ritenere tale norma contraria all'articolo 6 § 1 sarebbe equivalso a fare precisamente quello che la Corte ha detto ripetutamente di non poter fare, cioè creare, mediante l'interpretazione dell'articolo 6 § 1, un diritto sostanziale che non aveva fondamento nella legislazione dello Stato Contraente interessato.
  89. Il Governo britannico ha ritenuto che le norme del genere considerato sopra non fossero minimamente comprese nel campo di applicazione dell'articolo 6 § 1, e se (contrariamente a quest'opinione) si fosse ritenuto che lo fossero, esso ha dichiarato che esse avrebbero dovuto essere considerate limitazioni ragionevoli e proporzionate del campo di applicazione dei diritti conferiti dall'articolo 6 § 1, necessarie in una società democratica.
  90. Il Governo britannico ha già osservato che molti ordinamenti giuridici nazionali possedevano una norma simile a quella applicata nella specie dal giudice italiano. Esso ha aggiunto che tale norma rispondeva a un chiaro fine pubblico in uno Stato democratico, in quanto definiva la natura della separazione dei poteri tra il potere giudiziario e il potere esecutivo con riguardo alle relazioni estere e all'attività militare.
  91. Secondo il Governo britannico non si poteva sostenere che tale norma violasse l'articolo 6 § 1 della Convenzione.

    La valutazione della Corte
    Principi generali
  92. Il diritto di accesso a un tribunale in questione nel caso di specie derivava dall'articolo 6 ed è stato stabilito nella sentenza Golden c. Regno Unito (21 febbraio 1975, Serie A n. 18, pp. 13-18, §§ 28-36), in cui la Corte ha deciso con riferimento ai principi dello stato di diritto e al divieto di qualsiasi potere arbitrario, contenuti in molte parti della Convenzione, che il diritto di accesso a un tribunale era un aspetto inerente delle garanzie contenute nell'articolo 6. Perciò, l'articolo 6 § 1 garantiva a chiunque il diritto a ottenere da un tribunale la decisione di una sua causa relativa ai suoi diritti ed obbligazioni civili.
  93. La Corte rinvia alla sua costante giurisprudenza secondo la quale "l'articolo 6 § 1 vale solo per le "contestazioni" (controversie) relative a "diritti ed obbligazioni" (di natura civile) che si possono definire, almeno in modo sostenibile, riconosciuti dal diritto interno; esso non garantisce ai "diritti ed obbligazioni" (di natura civile) un particolare contenuto nel diritto sostanziale degli Stati Contraenti" (vedi James e Altri c. Regno Unito, sentenza del 21 febbraio 1986, Serie A n. 98, pp. 46-47, § 81; Lithgow e Altri c. Regno Unito, sentenza dell'8 luglio 1986, Serie A n. 102, p. 70, § 192: e I Santi Monasteri c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, Serie A n. 301-A, pp. 36-37, § 80). La Corte non può creare, mediante l'interpretazione dell'articolo 6 § 1, un diritto sostanziale che non ha fondamento giuridico nello Stato interessato (Roche c. Regno Unito, [GC], n. 32555/96, §§ 116-117, EHCR 2005-X). Esso si applicherà tuttavia alle controversie di "natura genuina e seria" relative all'effettiva esistenza di un diritto, nonché all'ambito o alla modalità con cui è esercitato (vedi Benthem c. Paesi Bassi, sentenza del 23 ottobre 1985, Serie A n. 97, pp. 14-15, § 32; e Z e Altri, succitata, § 87).
  94. La distinzione tra limitazioni sostanziali e limitazioni formali determina l'applicabilità e, a seconda del caso, la portata delle garanzie di cui all'articolo 6. Il fatto che le particolari circostanze, e le pretese relative a un ricorso, possano rendere inutile stabilire la distinzione tra limitazioni sostanziali e limitazioni formali (vedi, tra altre sentenze, A. c. Regno Unito, n. 35373/97,§ 95, EHCR 2002 X) non influisce sulla portata dell'articolo 6 della Convenzione, che, in linea di principio, non può applicarsi alle limitazioni sostanziali del diritto esistenti nel diritto interno.
  95. Perciò nella valutazione dell'esistenza o meno di un diritto di natura "civile" e nella determinazione della natura sostanziale o formale da attribuire alla limitazione contestata, occorre partire dalle disposizioni del relativo diritto interno e dalla loro interpretazione da parte del giudice nazionale (Masson e Van Zon c. Paesi Bassi, sentenza del 28 settembre 1995, Serie A n. 327-A, p. 19, § 49). Se, inoltre, il giudice nazionale superiore ha analizzato in modo esauriente e convincente la precisa natura della limitazione contestata, in base alla pertinente giurisprudenza della Convenzione e ai principi che ne derivano, questa Corte dovrebbe avere delle forti motivazioni per divergere dalla conclusione raggiunta da quel giudice sostituendo le sue opinioni a quelle del giudice nazionale su una questione di interpretazione del diritto interno (Z e Altri, sentenza succitata, § 101) e per ritenere, diversamente da lui, l'esistenza di un diritto sostenibile riconosciuto dal diritto interno.
  96. Infine, nell'eseguire questa valutazione, è necessario guardare oltre le apparenze e il linguaggio utilizzato e concentrarsi sulle realtà della situazione (Van Droogenbroek c. Belgio, sentenza del 24 giugno 1982, Serie A n. 50, § 38). La Corte non deve essere indebitamente influenzata, per esempio, dalle tecniche legislative utilizzate (vedi Fayed, sentenza succitata, § 67) o dalle etichette poste nel diritto interno alla limitazione in questione: il termine spesso usato di immunità può significare "immunità dalla responsabilità" (in linea di principio, una limitazione sostanziale) o "immunità dalla giurisdizione" (che suggerisce una limitazione formale) (vedi Roche, sentenza succitata, §§ 119-121).
  97. Tuttavia, in una società democratica non sarebbe conforme allo stato di diritto o al principio fondamentale espresso nell'articolo 6 § 1 – cioè che si possono sottoporre le cause civili a un giudice perché le giudichi – che, per esempio, uno Stato possa sottrarre alla giurisdizione del giudice nazionale un'intera serie di cause di natura civile o conferire immunità dalla responsabilità civile a vasti gruppi o categorie di persone, senza riserva o controllo da parte degli organi preposti all'esecuzione della Convenzione (vedi Fayed, sentenza succitata, pp. 49-50, § 65).
  98. L'articolo 6 § 1 può essere invocato anche da chiunque ritenga che vi sia un'ingerenza illegittima nell'esercizio di un suo diritto (civile) e lamenti di non aver avuto la possibilità di ricorrere a un tribunale soddisfacente i requisiti di cui all'articolo 6 § 1 (vedi Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, sentenza del 23 giugno 1981, Serie A n. 43, p. 20, § 44). Se vi è una seria e genuina controversia sulla legittimità di una tale ingerenza, che verte sull'esistenza o sulla portata del diritto civile rivendicato, l'articolo 6 § 1 conferisce al singolo il diritto "alla decisione della questione di diritto interno da parte di un tribunale" (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, sentenza del 23 settembre 1982, Serie A n. 52, p. 30, § 81; vedi anche Tre Traktörer AB c. Svezia, sentenza del 7 luglio 1989, Serie A, n. 159, p. 18, § 40).
  99. Il diritto tuttavia non è assoluto. Esso può essere soggetto a limitazioni legittime quali i termini legali della prescrizione, le ordinanze che stabiliscono una cauzione per le spese, i regolamenti relativi ai minori e alle persone malate di mente (vedi Stubbings e Altri c. Regno Unito, sentenza del 22 ottobre 1996, Reports 1996-IV, pp. 1502-1503, §§ 51-52; Tolstoy Miloslavsky c. Regno Unito, sentenza del 13 luglio 1995, Serie A n. 316-B, pp. 80-81, §§ 62-67; e Golder, sentenza succitata, p. 19, § 39). Se l'accesso individuale è limitato per effetto della legge o in fatto, la Corte valuterà se la limitazione imposta intacca l'essenza del diritto e, in particolare, se essa persegue un fine legittimo e vi è un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e il fine perseguito (Ashingdane c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985, Serie A n. 93, pp. 24-25; § 57). Se la limitazione è compatibile con questi principi, non vi è violazione dell'articolo 6 (Z e Altri, sentenza succitata, §§ 92-93).
    L'applicazione di questi principi al caso di specie
    L'applicabilità dell'articolo 6 della Convenzione
  100. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno proposto un'azione di risarcimento danni per fatto illecito nei confronti dello Stato ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile e si sono appellati anche sull'articolo 6 del Codice penale, 174 del Codice militare penale di guerra e alle disposizioni del Protocollo n. 1 Addizionale alla Convenzione di Ginevra del 1977 e della Convenzione di Londra del 1951 (vedi paragrafi 22-25 e 30-31 supra). Essi hanno dedotto diversi precedenti, benché, come ha sottolineato il Governo convenuto, nessuno di essi esattamente corrispondente al ricorso di specie, in quanto riguardanti principalmente la responsabilità personale di membri delle forze armate. Il Governo convenuto ha citato una sentenza relativa agli atti politici. Tuttavia, mentre essa avrebbe potuto avere una certa rilevanza per la decisione del ricorso di specie, non era sufficientemente simile per potere essere qualificata come un precedente. Pertanto il giudice interno era chiamato per la prima volta a decidere, in base ai fatti relativi al caso dei ricorrenti, se la situazione integrasse la fattispecie prevista dall'articolo 2043 del Codice civile.
  101. La Corte ritiene pertanto che vi sia stata dall'inizio del procedimento una seria e genuina controversia sull'esistenza del diritto rivendicato dai ricorrenti a norma del diritto civile. La tesi del Governo convenuto che non sussistesse un diritto (civile) sostenibile ai fini dell'articolo 6 a causa dell'ordinanza della Corte di Cassazione secondo la quale, come atto di guerra, l'atto contestato non era suscettibile di esame giudiziario, poteva avere rilevanza solo per future pretese da parte di altri ricorrenti. L'ordinanza della Corte di Cassazione non rendeva le pretese dei ricorrenti retroattivamente insostenibili (Z e Altri, sentenza succitata, § 89). Date le circostanze, la Corte ritiene che la pretesa dei ricorrenti abbia almeno motivazioni sostenibili nel diritto interno.
  102. Conseguentemente, l'articolo 6 è applicabile all'azione dei ricorrenti nei confronti dello Stato. La Corte rigetta pertanto l'eccezione preliminare del Governo convenuto su questo punto. Essa deve pertanto esaminare se i requisiti di questa disposizione sono stati soddisfatti nel presente procedimento.
    L'osservanza dell'articolo 6 della Convenzione
  103. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno dedotto che l'ordinanza della Corte di Cassazione che stabiliva il difetto di giurisdizione dei tribunali italiani aveva impedito loro di ottenere accesso a un tribunale e di assicurarsi una sentenza sul merito della loro pretesa.
  104. I ricorrenti e il Governo di Serbia e Montenegro hanno dedotto che il diritto alla riparazione derivava direttamente dalla formulazione dei codici in vigore, mentre gli altri due governi hanno dedotto che tale diritto non si poteva applicare agli atti di guerra, o alle operazioni di ristabilimento o di mantenimento della pace. I ricorrenti hanno dichiarato che il loro diritto al risarcimento derivava dall'articolo 2043 del Codice civile e si sono appellati anche agli articoli 6 del Codice penale e 174 del Codice militare penale di guerra, nonché alle disposizioni del Protocollo n. 1, addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949.
  105. La Corte osserva prima di tutto che, sul piano pratico, ai ricorrenti non è stato impedito di presentare le loro pretese al giudice nazionale.
    La Corte di Cassazione ha ritenuto che la risposta fosse chiara ed è per questo che essa ha rigettato questo punto relativo alla giurisdizione in termini piuttosto sommari. Essa ha ritenuto quanto segue: l'atto contestato era un atto di guerra; dato che tali atti sono una manifestazione di decisioni politiche, nessun tribunale aveva il potere di controllare la modalità con cui era stata esercitata tale funzione politica; inoltre, la legislazione che ha dato applicazione agli strumenti di diritto internazionale invocati dai ricorrenti non concedeva espressamente alle parti offese il diritto a chiedere il risarcimento allo Stato per il danno subito in conseguenza di una violazione delle norme di diritto internazionale.
  106. La Corte ribadisce i principi fondamentali stabiliti dalla sua giurisprudenza sull'interpretazione e sull'applicazione della legislazione interna. Se da un lato la Corte ha il compito, secondo l'articolo 19 della Convenzione, di assicurare l'osservanza degli impegni assunti dalle Parti Contraenti della Convenzione, non le compete trattare gli errori di fatto o di diritto commessi dal giudice nazionale a meno che, e nella misura in cui, questi abbiano violato i diritti e le libertà tutelati dalla Convenzione.
    Inoltre, è essenzialmente compito delle autorità nazionali, segnatamente dei tribunali, interpretare e applicare il diritto interno. Ciò vale anche nel caso in cui il diritto interno rinvii a norme di diritto internazionale generale o ad accordi internazionali. Il ruolo della Corte è limitato all'accertamento della compatibilità degli effetti di tale interpretazione con la Convenzione (vedi Waite e Kennedy, sentenza succitata, § 54; Streletz Kessler e Krenz c. Germania [GC], n. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 49, EHCR 2001-II; e Principe Hans-Adam del Liechtenstein c. Germania, sentenza succitata, §§ 43-51).
  107. Benché non le competa di esprimere un parere sull'applicabilità del Protocollo del 1977 o della Convenzione di Londra, la Corte osserva che non appare che le osservazioni della Corte di Cassazione sulle convenzioni internazionali contengano un errore di interpretazione. Ciò per due motivi: per prima cosa, l'affermazione che il Protocollo del 1977 disciplina le relazioni tra gli Stati è vera; secondariamente i ricorrenti hanno invocato il comma 5 dell'articolo VIII della Convenzione di Londra che riguarda gli atti "… che hanno causato, sul territorio dello Stato ricevente, danni a terzi …" (vedi paragrafo 31 supra), mentre i ricorrenti hanno subito il danno in Serbia, non in Italia.
  108. Per quanto riguarda la deduzione che essa è l'unico organo che ha il potere di accertare violazioni della Convenzione, la Corte ribadisce che in base all'articolo 1, che prevede: "Le Alte Parti Contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà indicati nel Titolo I della presente Convenzione", la principale responsabilità di attuazione ed esecuzione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione è attribuita alle autorità nazionali. Il meccanismo di istanza alla Corte è perciò sussidiario ai sistemi nazionali di tutela dei diritti umani (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 38, EHCR 2006-...). Visto che nella fattispecie la doglianza di cui all'articolo 2 della Convenzione è stata dichiarata inammissibile (vedi paragrafo 4 supra), la Corte non ritiene che gli effetti dell'interpretazione della Corte di Cassazione diano origine a problemi di compatibilità.
  109. La Corte osserva inoltre che in virtù degli articoli 41 e 37 del Codice di procedura civile, la questione preliminare relativa alla giurisdizione eccepita dai ministeri in questo caso avrebbe dovuto essere sollevata, in qualche modo anche d'ufficio, dato il coinvolgimento di un'amministrazione pubblica (vedi paragrafo 23 supra). Essa pertanto non costituiva una forma d'immunità cui lo Stato avrebbe potuto rinunciare.
  110. Conseguentemente, non è possibile concludere in base alla modalità di interpretazione del diritto interno o di applicazione dei relativi trattati internazionali nel diritto interno, che esisteva in tale situazione un "diritto" al risarcimento per responsabilità da fatto illecito. Anche se è corretta l'affermazione dei ricorrenti che, in conseguenza dell'evoluzione giurisprudenziale, dal 2004 è stato possibile rivendicare tale diritto, ciò non giustifica la conclusione sull'esistenza di tale diritto prima di quella data.
  111. La Corte osserva anche che la Corte di Cassazione aveva già stabilito in un precedente ricorso il difetto di giurisdizione del giudice italiano rispetto alle autorità per atti di natura politica e che tali atti non davano diritto a una pretesa nei confronti dello Stato perché non danneggiavano gli interessi legittimi personali, che erano gli unici interessi concedenti il diritto al risarcimento a norma della giurisprudenza interna (vedi paragrafo 26 supra). Infatti dopo l'udienza davanti a sé la Corte di Cassazione ha chiarito quella che era una pretesa sostenibile in diritto. Nel determinare i limiti della sua giurisdizione, la Corte di Cassazione ha anche precisato i limiti della responsabilità per fatto illecito.
  112. La Corte non accetta l'affermazione dei ricorrenti secondo la quale l'ordinanza contestata costituiva un'immunità, o di fatto o nella prassi, per la sua natura assoluta o generale. Come ha giustamente dedotto il Governo convenuto, l'ordinanza riguardava solo un aspetto del diritto ad agire in giudizio nei confronti dello Stato, che era costituito dal diritto a chiedere il risarcimento dei danni per un atto di governo relativo a un atto di guerra, e non poteva essere considerata una sottrazione arbitraria di tutta una serie di azioni civili alla giurisdizione del giudice (vedi Fayed c. Regno Unito, sentenza succitata, pp. 49-50, § 65). Come sottolineato dal Governo britannico e come osservato dalla Corte nel paragrafo 93 supra, la giurisprudenza della Convenzione stabilisce il principio che l'articolo 6 non garantisce di per sé un particolare contenuto ai diritti e alle obbligazioni civili nella legislazione interna. Per mettere in gioco l'articolo 6 § 1 non è sufficiente che l'inesistenza del diritto di agire in giudizio nel diritto interno possa essere descritta come avente gli stessi effetti di un'immunità, nel senso di non concedere al ricorrente di ricorrere in giudizio per il risarcimento di una data categoria di danno (Z e Altri, sentenza succitata, § 98).
  113. La Corte ritiene che l'ordinanza della Corte di Cassazione relativa al ricorso di specie non equivalga al riconoscimento di un'immunità, ma sia meramente indicativa dell'ambito dei poteri di controllo del giudice sugli atti di politica estera quali gli atti di guerra. Essa giunge alla conclusione che l'impossibilità per i ricorrenti di agire in giudizio nei confronti dello Stato non sia la conseguenza di un'immunità, ma dei principi che disciplinano il diritto sostanziale di agire in giudizio nel diritto interno. In quel momento, la posizione della giurisprudenza nazionale era tale da escludere in questo tipo di ricorso la possibilità di ottenere la condanna dello Stato. Pertanto non vi era una limitazione all'accesso a un tribunale del genere in questione nel ricorso Ashingdane (vedi la sentenza succitata, § 57).
  114. Segue che i ricorrenti non possono sostenere di essere stati privati del diritto a una determinazione del merito delle loro doglianze. Esse sono state esaminate in modo equo alla luce dei principi giuridici nazionali applicabili al risarcimento per fatto illecito. Dopo che la Corte di Cassazione ha giudicato le relative argomentazioni giuridiche che hanno messo in gioco l'applicabilità dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti non potevano più rivendicare, ai sensi di questa disposizione, il diritto a un'udienza sul merito. Tale udienza sarebbe servita solo a protrarre inutilmente il procedimento nazionale perché, anche supponendo che l'ordinanza della Corte di Cassazione non avesse posto automaticamente fine alla causa pendente di fronte al Tribunale di Roma, il Tribunale avrebbe solo avuto il potere di determinare la natura degli atti contestati e, nelle circostanze del caso, non avrebbe avuto alcuna alternativa al rigetto della pretesa.
  115. La Corte concorda con il Governo britannico che il caso di specie presenta somiglianze con il summenzionato ricorso Z e Altri. Come nel ricorso Z, nel caso di specie i ricorrenti hanno avuto accesso a un tribunale; tuttavia esso è stato limitato nella portata, dato che non ha consentito loro di ottenere una decisione sul merito.
  116. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che non vi sia stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione.


PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Si associa nel merito, all'unanimità, all'eccezione preliminare del Governo convenuto per quanto riguarda l'applicabilità dell'articolo 6 della Convenzione;
  2. dichiara, all'unanimità, ammissibile il resto del ricorso;
  3. dichiara, all'unanimità, che l'articolo 6 della Convenzione è applicabile nel caso di specie e, conseguentemente, rigetta l'eccezione preliminare del Governo;
  4. dichiara, con dieci voti contro sette, che non vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione.

Fatta in inglese e francese, e letta alla pubblica udienza nel Palazzo dei Diritti Umani, in Strasburgo, il 14 dicembre 2006.

IL PRESIDENTE
Luzius WILDHABER

IL CANCELLIERE DI SEZIONE
T.L. EARLY

È allegata alla presente sentenza, in conformità con gli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del Regolamento, l'esposizione dei seguenti distinti pareri:

  1. il parere concorrente del Giudice Costa;
  2. il parere concorrente del Giudice Sir Nicolas Bratza, cui si associa il Giudice Rozakis;
  3. il parere dissenziente del Giudice Zagrebelsky, cui si associano i Giudici Zupančič, Jungwiert, Tsatsa-Nikolovska, Ugrekhelidze, Kovlet e David Thór Björgvinsson.

L.W.
T.L.E.

1. PARERE CONCORRENTE DEL GIUDICE COSTA

Ho votato con la maggioranza per quanto riguarda il dispositivo della sentenza, in particolare i punti 3 e 4 di essa, ma non concordo con la motivazione. Desidero spiegare perché, ma mi limiterò ai punti salienti.
Qual'era in sostanza l'oggetto del ricorso? Come il ricorso Banković, esso riguardava le tragiche conseguenze della parziale distruzione dell'edificio della Radio Televizije Srbije (RTS) a Belgrado, colpito da un missile sparato da un aereo della NATO. Cinque delle persone che perirono in conseguenza dell'incursione aerea, lanciata in corrispondenza con il conflitto del Kossovo, erano congiunti dei ricorrenti nel ricorso Markovic.
I ricorrenti hanno ritenuto che le autorità italiane e il Comando delle Forze alleate della Nato nell'Europa meridionale fossero responsabili dei decessi e hanno presentato una richiesta di condanna al risarcimento dei danni nei loro confronti davanti al Tribunale di Roma (essi hanno successivamente rinunciato all'azione nei confronti delle forze della NATO).
Le autorità italiane hanno ritenuto che la controversia sollevasse una questione di giurisdizione e, invocando una disposizione del Codice di procedura civile, hanno chiesto alla Corte, giudicante a sezioni unite, un regolamento preventivo di giurisdizione, come avevano il diritto di fare come ogni altra parte nel procedimento.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale difettasse di giurisdizione. Vista la natura della controversia e come osservato nel paragrafo 19 della sentenza, questa decisione ha posto fine all'azione pendente davanti al Tribunale, ipso jure.
Date le circostanze, i ricorrenti hanno presentato un ricorso alla Corte in cui hanno sostenuto l'applicabilità dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e ne hanno dedotto la violazione poiché l'Italia aveva negato loro accesso alla giustizia.
La maggioranza ha concordato sull'applicabilità dell'articolo 6 § 1 ma ha ritenuto che non vi fosse stata violazione.
In essenza, la decisione della Corte sull'applicabilità di quella disposizione era basata sul fatto che la pretesa dei ricorrenti, che agivano in base alla normativa relativa alla responsabilità per fatto illecito (articolo 2043 del Codice civile) aveva avuto, fin dall'inizio, motivazioni almeno sostenibili, in base al diritto interno.
Ho esitato in qualche modo a unirmi alla maggioranza che ha ritenuto applicabile l'articolo 6 § 1. Ho avuto simili riserve in passato, in particolare nel ricorso Principe Hans-Adam II del Liechtenstein c. Germania (Reports 2001-VIII) e desidero rinviare al mio parere concorrente allegato a quella sentenza. Comunque, la Corte ha ritenuto in diverse occasioni in passato che l'articolo 6 § 1 fosse applicabile in situazioni simili, in particolare quando vi è una controversia seria e genuina proprio sull'esistenza di un "diritto" ai sensi dell'articolo 6 § 1 (vedi, tra altri precedenti, le sentenze relative ai ricorsi Bentham c. Regno Unito, Serie A n. 97; Mennitto c. Italia, Reports 2000-X, pp. 340-41, §§ da 25 a 27; Z e Altri contro il Regno Unito, [GC], n. 29392/95, EHCR 2001-V, § 89; e Principe Hans-Adam II del Liechtenstein c. Germania, succitata; e, per il parere opposto, Roche c. Regno Unito, sentenza del 19 ottobre 2005, EHCR 2005-…, §§ 124 e 125). Perciò ho deciso di adeguarmi alla linea giurisprudenziale dominante. Si può d'altronde sostenere senza eccesso di artificio che poiché il Tribunale di Roma non ha rigettato de plano per difetto di giurisdizione il ricorso del quale era stato investito (come gli consentiva di fare un distinto articolo del Codice di procedura civile), o per mancanza di fondamento dell'azione, e poiché si sono dovute chiamare a decidere la questione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esisteva una pretesa "sostenibile" ai fini della giurisprudenza della Corte.
Questo, comunque, non è il punto principale. La Corte è stata unanime perciò nel ritenere applicabile l'articolo 6 § 1.
Al contrario, essa è stata estremamente divisa sulla questione relativa alla sussistenza o meno della violazione di questa disposizione.
Il primo argomento su cui si è basata la maggioranza per concludere che non vi era stata violazione è per me inaccettabile. Esso è formulato come segue: "La Corte osserva per prima cosa che dal punto di vista pratico non è stato impedito ai ricorrenti di presentare le loro doglianze al giudice nazionale" (vedi paragrafo 105 della sentenza). Ciò può essere vero, e allora? Anche se hanno potuto ricorrere al Tribunale di Roma, l'ordinanza della Corte di Cassazione ha impedito al Tribunale di esaminare il loro ricorso dato che il procedimento era, ripeto, concluso ipso jure, prima ancora di cominciare. Sicuramente è strano dire che non è stato impedito loro di presentare le loro doglianze al giudice nazionale. Può il diritto di accesso alla giustizia essere teorico e illusorio (in questo caso equivalente a un mero accesso "fisico"), o deve esso essere pratico ed effettivo come è stato dichiarato in altre sfere in moltissime sentenze a cominciare da quella relativa al ricorso Artico. Nel caso di specie, ciò avrebbe significato consentire al competente tribunale di emettere una sentenza motivata (anche di rigetto della pretesa) sul merito della controversia, senza un judex ex machina che afferma che esso non può decidere nulla (anche il paragrafo 113 della sentenza è istruttivo su questo punto).
Ma consentitemi di andare oltre. Non contenta del primo argomento, che logicamente avrebbe dovuto essere sufficiente ("per prima cosa"), la sentenza va oltre e costruisce, nei paragrafi da 106 a 117, una prolissa motivazione che in sostanza si riduce a dichiarare che:
la Corte di Cassazione italiana è il giudice italiano più competente a decidere le questioni di diritto interno;
la sua decisione "non è stata il risultato di un'immunità ma dei principi che disciplinano il diritto sostanziale di agire in giudizio nel diritto interno" (paragrafo115);
il fatto che non vi era alcuna possibilità in base al diritto italiano di dichiarare la responsabilità dello Stato non equivaleva a una "limitazione del diritto di accesso a un tribunale del genere in questione nel ricorso Ashingdane" (stesso paragrafo);
Devo dire che trovo questa linea di ragionamento poco convincente e contraddittoria. Essa è poco convincente, perché se tutto quello che la Corte doveva fare era riconoscere che la Corte di Cassazione ha il diritto di interpretare il diritto interno, la questione era risolta senza necessità di un controllo europeo. Quanto al riferimento alla sentenza Ashingdane, esso è viziato da illogicità dato che in quel ricorso la Corte ha ritenuto che non vi fosse stata violazione (con sei voti contro uno, e l'unico giudice della minoranza era il mio compianto predecessore, Giudice Pettiti). Come e con quale miracoloso procedimento può il fatto che nel ricorso di specie non vi è stata una limitazione "del genere in questione nel ricorso Ashingdane" condurre alla conclusione che non vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1? Questo non riesco a capirlo.

A mio giudizio, sarebbe stato più semplice – e più chiaro – applicare i principi tradizionali. Il diritto di accesso a un tribunale non è assoluto, ma può essere soggetto a implicite limitazioni. Alcune di queste limitazioni sono inerenti al diritto di accesso a un tribunale, per esempio quelle derivanti dall'immunità dello Stato in diritto internazionale.

Per fare un esempio, la Corte ha applicato questi principi nella sentenza Fogarty c. Regno Unito (Reports 2001-XI), con il parere dissenziente del mio collega Loucaides e il parere concorrente mio e dei miei colleghi Caflisch e Vajić. Č vero che il ricorso Fogarty riguardava l'immunità dalla giurisdizione che lo Stato aveva concesso a uno Stato terzo (gli Stati Uniti). Ma la situazione è prontamente trasponibile. Il concetto di atto di governo è familiare sia al diritto comparato sia al diritto internazionale e non vi è un esempio più tipico di atto di governo della decisione di inviare truppe in battaglia o, come l'Italia nel caso di specie, di partecipare ad attacchi aerei in quanto membro di un'organizzazione internazionale, in particolare fornendo una base per gli attacchi e il supporto logistico. È chiaro che l'articolo 2043 del Codice civile italiano concede un'ampissima serie di rimedi giuridici in caso di responsabilità da fatto illecito e si riferisce in generale allo Stato italiano e a procedimenti dinanzi a tribunali ordinari (quale il Tribunale di Roma), non dinanzi a tribunali amministrativi, diversamente dalla posizione di paesi quali la Francia. Ma ciò non impedisce alla giurisdizione dei tribunali italiani di udire ricorsi nei confronti dello Stato italiano quando la base della responsabilità risiede indubbiamente in un atto di governo. In altre parole, nel diritto interno italiano, non si può invocare l'articolo 2043 del Codice civile quando l'asserito atto illecito che ha causato il danno è un atto di governo, il risultato dell'esecuzione di tale atto o una sua conseguenza indiretta.

Costituisce questa immunità dalla responsabilità nel diritto interno un'ingerenza sproporzionata nel diritto di accesso a un tribunale concesso dalla Convenzione? Equivale essa a un diniego di giustizia, incompatibile con la Convenzione? Se ne può discutere, e posso certamente comprendere il parere espresso della minoranza che ha votato per la sussistenza della violazione dell'articolo 6. Tuttavia se si decide di non superare quel punto – per motivi che, a mio avviso, non sono in alcun modo assurdi e fanno parte del diritto amministrativo di molti paesi europei e del diritto internazionale generale, così come sono hic et nunc – allora lo si deve dire e si deve citare una linea giurisprudenziale tradizionale. Ecco perché critico la motivazione del ricorso Marković, senza, tuttavia, disapprovare le sue conclusioni.

2. PARERE CONCORRENTE DEL GIUDICE BRATZA CUI SI ASSOCIA IL GIUDICE ROZAKIS

Condivido il parere della maggioranza della Grande Camera, che ritiene che nella specie non vi sia stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione, e posso in generale sottoscrivere la motivazione della sentenza della Corte. Aggiungo qualche osservazione personale semplicemente per l'importanza della questione chiave che ha diviso la Corte, cioè se l'ordinanza della Corte di Cassazione italiana che ha statuito il difetto di giurisdizione del giudice nazionale per accertare la richiesta di condanna al risarcimento dei danni proposta dai ricorrenti per i decessi dei loro congiunti equivaleva a una limitazione ingiustificata del loro diritto di accesso a un tribunale ai fini dell'articolo 6.
La distinzione tra le disposizioni del diritto interno e la prassi che impediscono o limitano l'accesso a un rimedio giudiziario per fare decidere il merito di pretese relative a "diritti" di natura civile riconosciuti nel diritto interno e che, salva giustificazione, contravvengono all'articolo 6 e quelle che delimitano il contenuto sostanziale del "diritto" stesso e cui l'articolo 6 in linea di massima non è applicabile, è ben consolidata nella giurisprudenza della Corte. Si rivela frequentemente difficile nella pratica tracciare una linea di demarcazione tra le limitazioni formali e quelle sostanziali. Essa rimane tuttavia un'importante distinzione tenuto conto del principio ben fissato secondo il quale l'articolo 6 non garantisce ai "diritti" un particolare contenuto nel diritto interno degli Stati Contraenti e secondo il quale le sue garanzie non valgono che per i diritti che si possono definire, almeno con motivi sostenibili, riconosciuti nel diritto interno dello Stato interessato.
Alcune disposizioni rientrano chiaramente nella categoria delle limitazioni formali: esse comprendono gli esempi citati nella sentenza relativi ai termini legali per la prescrizione, ai decreti che impongono il versamento di una cauzione per le spese e ai regolamenti che disciplinano l'accesso a un tribunale da parte di minori e di persone malate di mente. Un ulteriore esempio è fornito dal caso Tinnelly e Figli a Responsabilità Limitata e McElduff e Altri c. Regno Unito (sentenza del 10 luglio 1998, Reports of Judgments and Decisions, 1998-IV) riguardanti la questione di un certificato perentorio rilasciato da un ministero e avente l'effetto di impedire al giudice nazionale di esaminare il fondamento di un ricorso per trattamento discriminatorio. Sono forse più vicini alla linea di demarcazione i ricorsi che riguardano la concessione di diverse immunità dalla giurisdizione. Tuttavia, nei ricorsi che riguardano l'immunità concessa agli Stati (Al-Adsani c. Regno Unito [GC], n° 35763/97, e Fogarty c. Regno Unito [GC], n° 37112/67, EHCR 2001-XI) e alle organizzazioni internazionali (Waite e Kennedy c. Germania [GC], n° 26083/99, EHCR 1999-I), la Corte ha interpretato queste immunità come delle ostacoli formali che richiedevano una giustificazione invece che delle limitazioni di un diritto sostanziale riconosciuto dal diritto interno.
Tra i ricorsi che si situano dall'altra parte della linea di demarcazione, i più significativi sono forse Z e Altri c. Regno Unito [GC], n° 29392/95, EHCR 2001-V) e più recentemente, Roche c. Regno Unito [GC] n° 32555/96, EHCR 2005-). Nel ricorso Roche, la Corte, prendendo per punto di partenza la valutazione della Camera dei Lords nel ricorso Matthews contro il Ministero della Difesa, ha concluso che l'articolo 10 della Legge sui procedimenti della Corona [Crown Proceedings Act] era una disposizione di diritto sostanziale che delimitava i diritti di un militare ad agire in giudizio nei confronti della Corona per chiedere la condanna al risarcimento del danno fisico subito durante il servizio e che non si doveva interpretare come un'immunità conferita alla Corona da un ricorso per responsabilità colposa che altrimenti sarebbe stato possibile per il militare. Nel ricorso Z, che è più direttamente interessante per il presente ricorso, la Corte ha concluso che l'impossibilità per i ricorrenti di chiedere all'autorità locale il risarcimento del danno colposo in quanto essa non aveva adottato misure finalizzate a sottrarli alla custodia dei genitori, che li avevano trascurati e che avevano inflitto loro delle sevizie, non derivava da un'immunità conferita all'autorità locale, ma dai principi applicabili che regolamentavano il diritto sostanziale di agire in giudizio esistente nel diritto interno, un elemento essenziale del quale affermava che era giusto e ragionevole, date le particolari circostanze del ricorso, imporre ai convenuti un dovere di protezione.
Il ricorso di specie non si situa agevolmente in nessuna delle categorie stabilite. L'ordinanza della Corte di Cassazione, che ha affermato il difetto di giurisdizione del giudice italiano a giudicare l'azione per il risarcimento dei danni proposta dai ricorrenti, ha impedito che questi giudicasse il merito della loro richiesta di risarcimento. Nel procedimento preventivo i ricorrenti hanno dedotto che il giudice italiano aveva tale giurisdizione perché, inter alia, gli atti illeciti che avevano provocato il decesso dei loro congiunti dovevano essere considerati come commessi in Italia, atteso che l'operazione militare in questione era stata organizzata in territorio italiano e vi si era parzialmente svolta: i ricorrenti sostenevano che l'Italia aveva prestato un sostegno materiale e logistico all'operazione della NATO e che, a differenza degli altri membri di questa organizzazione, essa aveva fornito le basi aeree dalle quali era partito l'aereo che aveva bombardato Belgrado e la RTS. I ricorrenti invocavano inoltre il Codice penale militare, la Convenzione di Londra del 1951 e il Protocollo n° 1 Addizionale alle Convenzioni di Ginevra, che costituivano secondo loro il fondamento della giurisdizione del giudice nazionale.
Stabilendo il difetto di giurisdizione del giudice a decidere le pretese, la Corte di Cassazione ha affermato che la natura degli atti e delle funzioni invocate per attribuire la responsabilità allo Stato italiano – in particolare la conduzione delle ostilità mediante la guerra aerea – erano tali che il giudice non era competente a esaminare le modalità di esercizio di queste funzioni. Per i motivi indicati nell'ordinanza, la Corte di Cassazione ha inoltre rigettato la tesi dei ricorrenti che sostenevano che si dovesse concludere per la giurisdizione del giudice italiano per gli strumenti internazionali invocati, che facevano parte del diritto interno.
In netto contrasto con il tipico caso di una limitazione formale all'accesso al tribunale, il fatto che i tribunali italiani non potevano esaminare il merito della pretesa non era dovuto a una misura legislativa o all'esercizio di un potere discrezionale dell'esecutivo che escludeva la giurisdizione del giudice o limitava i suoi poteri di controllo o sottraeva una particolare categoria di azioni al controllo giudiziario. Inoltre, l'ordinanza della Corte di Cassazione che statuiva il difetto di giurisdizione del giudice nazionale non può essere equiparata a mio avviso alla concessione di un'immunità totale ai convenuti in giudizio. La decisione di declinare la giurisdizione ha rappresentato una limitazione assunta volontariamente, e la Corte di Cassazione ha concluso non solo che gli strumenti invocati dai ricorrenti non conferivano tale giurisdizione, ma che la natura dell'azione dei ricorrenti sollevava questioni che il giudice nazionale non poteva determinare. Essa lo ha fatto applicando la nozione di atto di governo, nozione familiare agli ordinamenti romanistici, per mezzo della quale gli atti politici di governo nei campi delle relazioni internazionali, della politica estera, e della conduzione delle ostilità non possono essere oggetto di controllo da parte del giudice nazionale.
Secondo me, occorre vedere nell'ordinanza della Corte di Cassazione non la creazione di una limitazione formale all'esame dei diritti dei ricorrenti da parte del giudice nazionale ma piuttosto una limitazione sostanziale di questi diritti, avendo la Corte di Cassazione concluso che, per la natura delle questioni sollevate dalla loro pretesa, la richiesta dei ricorrenti non era giudicabile nel diritto interno.
Si è sostenuto che l'ordinanza della Corte di Cassazione era incoerente con la sua giurisprudenza anteriore e posteriore, che il bombardamento della RTS non poteva collocarsi nel diritto interno nella categoria degli atti di governo in grado di escludere il controllo giudiziario e che, concludendo per il difetto di giurisdizione a decidere la pretesa dei ricorrenti, la Corte di Cassazione aveva trascurato o mal interpretato le disposizioni del diritto interno e del diritto internazionale su cui si fondava la pretesa. I ricorrenti hanno dedotto anche la povertà della motivazione della Corte e il fatto che essa non aveva soppesato gli interessi concorrenti quando ha ritenuto di escludere la giurisdizione.
Per quanto riguarda il primo argomento, le questioni di interpretazione e di applicazione del diritto interno devono, come sottolinea la sentenza, essere decise principalmente dal giudice nazionale e non esiste a mio avviso alcun motivo per il quale la Corte può sostituire il suo parere a quello della Corte di Cassazione o ritenere che tali pareri siano arbitrari o manifestamente irragionevoli.
L'ultimo argomento mi dà maggiore motivo di dubbio. La motivazione della Corte di Cassazione è breve e aperta alla critica che non conteneva un'esposizione dei limiti della dottrina dell' "atto di governo" che applicava, né una chiara analisi delle questioni sollevate dalla pretesa del ricorso dei ricorrenti, che hanno reso il ricorso non giudicabile. Tuttavia, per quanto la motivazione della Corte sia succinta, mi sembra che i motivi della decisione emergano in modo sufficientemente chiaro, particolarmente se letti insieme alla precedente giurisprudenza citata dalla Corte di Cassazione stessa e indicata nei paragrafi da 26 a 27 della sentenza della Corte. La doglianza dei ricorrenti riguardava i decessi avvenuti in conseguenza del bombardamento della stazione radio di Belgrado nel quadro delle operazioni della NATO durante l'estremamente complesso conflitto del Kossovo e la decisione del merito del ricorso avrebbe inevitabilmente comportato per il giudice nazionale la decisione di questioni relative alla legittimità dell'operazione dal punto di vista del diritto internazionale, nonché l'esame della legittimità degli atti e delle decisioni del Governo italiano nell'esercizio dei suoi poteri sovrani in materia di politica estera e di conduzione delle ostilità. La Corte di Cassazione ha ritenuto chiaramente che queste questioni non rientrassero nell'ambito di esame proprio del giudice nazionale e che le pretese dei ricorrenti non potessero essere decise dal giudice nazionale.
La dottrina dell'"atto di governo" non ha confini molto precisi e l'applicazione della dottrina deve dipendere inevitabilmente dalle particolari circostanze del ricorso in cui è sollevata. Inoltre, come la dottrina dell'immunità statale, alla quale si può a volte sovrapporre, essa non è statica ma suscettibile di modifiche e di sviluppo nel tempo. Secondo me, nel concludere al momento pertinente che, date le particolari circostanze del ricorso davanti a sé, la dottrina era non solo pertinente ma precludeva ai giudici nazionali di determinare le questioni sollevate dal ricorso, la Corte di Cassazione non ha ecceduto i limiti accettabili.
Conseguentemente, a mio avviso non vi è stata una limitazione ingiustificata all'accesso al tribunale da parte dei ricorrenti in violazione dell'articolo 6 della Convenzione.

3. PARERE DISSENZIENTE DEL GIUDICE ZAGREBELSKY, CUI SI ASSOCIANO I GIUDICI ZUPANČIČ, JUNGWIERT, TASTSA-NIKOLOVSKA, UGREKHELIDE, KOVLER E DAVID THÓR BJÖRGVINSSON

Questo ricorso, che ha riguardato unicamente il diritto di accesso a un tribunale di cui all'articolo 6 della Convenzione, solleva una questione di estrema importanza nel quadro della Convenzione, cioè la posizione dell'individuo di fronte all'autorità. L'autorità nella sua forma più temibile: l'autorità basata sulla "ragione di Stato". È stato per puro caso che la questione sia sorta in un ricorso nei confronti dell'Italia. Avrebbe potuto altrettanto facilmente trattarsi di un altro Stato. La questione perciò è di interesse per tutti.
Nel suo discorso all'Assemblea parlamentare il 19 agosto 1949, presentando la proposta di istituzione della Corte europea dei diritti umani, P. H. TEIGTEN ha detto: "Tre cose minacciano ancora la nostra libertà. La prima minaccia è l'eterna ragione di Stato. Dietro lo Stato, qualunque sia la sua forma, fosse pure quella democratica, aleggia sempre là come perenne tentazione, questa ragione di Stato. … Perfino nei nostri paesi democratici dobbiamo stare in guardia dalla tentazione di soccombere alla ragione di Stato". Vi è qualche ragione per supporre che quest'ammonimento indirizzato ai quattordici Stati membri che componevano a quel tempo l'Assemblea del Consiglio d'Europa sia meno importante nell'Europa dei nostri giorni di quarantasei nazioni?
Rimpiango che la conclusione adottata dalla maggioranza aggiunga il peso dell'autorità della Corte alla forza che hanno, ancora oggi, le difese della "ragione di Stato". La "ragione di Stato" ha poco tempo per la legge, ancor meno per lo "stato di diritto", che è inconcepibile se non vi è la possibilità di avere accesso ai tribunali (vedi Golden c. Regno Unito, sentenza del 21 febbraio 1975, Serie A n. 18, p. 17, § 34; e per l'ordinamento giuridico italiano nello stesso senso, la sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 1999).
La Corte di Cassazione ha dichiarato nel ricorso di specie: "… alle funzioni di tipo politico non si contrappongono situazioni soggettive protette". Le funzioni politiche e i diritti individuali non possono, pertanto, coesistere, dato che non si possono esercitare dei diritti in relazione ad atti politici. Si tratta di un'affermazione perentoria, incompatibile con la Convenzione e almeno equivoca in base al diritto nazionale, come riflesso nelle relative disposizioni della costituzione (vedi paragrafo 20 della sentenza), per il fatto che il campo di applicazione dell'articolo 31 del Decreto n. 1024 è limitato alla sola giurisdizione amministrativa con poteri di riesame (Consiglio di Stato) e in assenza di esempio tra le sentenze della Corte di Cassazione citate dal Governo di una situazione comparabile a quella ottenuta nel caso di specie (vedi paragrafo 100 della sentenza). D'altronde la Corte stessa ha affermato che la pretesa dei ricorrenti aveva almeno motivazioni sostenibili nel diritto interno, ed è questo il motivo per cui l'articolo 6 è stato ritenuto applicabile (vedi paragrafo 100 della sentenza).
Osservo anche che la Corte di Cassazione non ha specificato – benché sia vero che la distinzione è in qualche modo artificiale nei casi concreti – se essa riteneva che vi fosse "immunità dalla responsabilità" o "immunità dalla giurisdizione" (vedi paragrafo 96 della sentenza).
Come il Governo convenuto e il Governo britannico, la maggioranza (vedi paragrafo 115 della sentenza) ha fatto riferimento al ricorso Z e Altri c. Regno Unito ([GC], n. 29392/95, § 93, EHCR 2001-V), in cui la Corte ha concluso che anche se i fatti e il merito del ricorso non erano stati esaminati, il grado di accesso al tribunale dato ai ricorrenti era sufficiente a soddisfare i requisiti dell'articolo 6. I ricorrenti hanno tentato di persuadere i tribunali ad ampliare la portata del diritto al risarcimento oltre quanto era stato precedentemente accettato. Le tesi delle parti sono state udite in ciascuno dei vari gradi di giurisdizione in cui è passato il ricorso e sono state considerate in modo esaustivo nella sentenza definitiva. Anche se i ricorrenti hanno avuto accesso ai tribunali italiani, è stato solo per farsi dire che né i tribunali civili né un altro tribunale italiano avevano giurisdizione per udire il loro ricorso. La Corte di Cassazione ha pertanto ristretto per tutti i fini pratici la portata del diritto generale al risarcimento contenuto nell'articolo 2043 del Codice civile. Inoltre, a differenza dei tribunali interni del ricorso Z e Altri, essa non ha ponderato i concorrenti interessi in gioco e non ha tentato di spiegare perché nelle specifiche circostanze del ricorso dei ricorrenti il fatto che l'atto contestato fosse di natura politica avesse annullato la loro azione civile.
È facile vedere come la natura discrezionale – a volte completamente discrezionale – degli atti politici o di governo può condurre all'esclusione di qualsiasi diritto di contestarli. Da questa prospettiva, l'esclusione può essere giustificata dalla natura della funzione eseguita dal governo e dall'esigenza di proteggere la libertà di decisione politica. Non sono solo campi quali gli affari esteri, la difesa nazionale e la sicurezza generale a essere interessati dall'esclusione. Tuttavia per essere compatibile con il principio dello stato di diritto e il diritto di accesso ai tribunali insito in esso, la portata dell'esclusione non può chiaramente estendersi oltre i limiti stabiliti nelle norme giuridiche che disciplinano e circoscrivono l'esercizio delle relative attribuzioni governative (atto di governo). Il predetto fine legittimo non può oltrepassare il campo della discrezione che l'autorità governativa ha il diritto di esercitare entro i limiti imposti dalla legge. Nel ricorso di specie, i ricorrenti hanno sostenuto nei tribunali nazionali che le azioni delle autorità italiane avevano violato le norme del diritto interno e del diritto consuetudinario internazionale in materia di conflitti armati. Così facendo, essi hanno sollevato la questione dei limiti da porre alla nozione di una "ragione di stato" libera da qualsiasi controllo giudiziario. È molto preoccupante che né la Corte di Cassazione né la Corte abbiano fornito una definizione di che cosa si può qualificare un "atto di governo" o un "atto politico" (che non sono concetti identici) o di quali potrebbero essere le limitazioni di tali atti. Qualsiasi atto di un'autorità pubblica sarà, direttamente o indirettamente, il risultato di una decisione politica, che essa sia generale o specifica nel contenuto. Tuttavia, a mio avviso, poiché essa è un concetto troppo vago e troppo generale, la formula della "funzione di natura politica" preclude qualsiasi "implicita limitazione" al diritto di accesso a un tribunale. Nel paragrafo 113 della sentenza, la Corte cerca di limitare la portata del principio che ha accettato, osservando che la sentenza della Corte di Cassazione: "riguardava solo un aspetto del diritto ad agire in giudizio nei confronti dello Stato, che è il diritto a chiedere il risarcimento per un atto di governo relativo a un atto di guerra". Tuttavia la sentenza della Corte di Cassazione, che secondo la Corte soddisfaceva i requisiti della Convenzione, era basata meramente sulla natura politica dell'atto contestato (vedi paragrafo 106 della sentenza). Né è chiaro come o perché si può prevedere una distinzione tra gli atti politici di guerra e altre forme di atti politici al fine di decidere se deve essere concesso accesso a un tribunale.
La Corte di Cassazione è pervenuta a questa conclusione senza tenere conto della natura della richiesta proposta dai ricorrenti: essa non riguardava direttamente la partecipazione dell'Italia al conflitto armato della NATO e il loro fine non era l'annullamento di un atto di governo. Esso era semplicemente ottenere il risarcimento per le remote conseguenze dell'atto politico in questione, conseguenze che erano puramente potenziali e non collegate alla finalità degli atti. Nonostante la natura generale del diritto esposto nell'articolo 2043 del Codice civile italiano, la Corte di Cassazione ha infine rifiutato di accettare che nel diritto interno un giudice italiano avesse giurisdizione per udire le pretese dei ricorrenti, solamente perché la decisione di partecipare alle suddette operazioni militari era di natura politica. La Corte di Cassazione è andata perciò oltre ogni legittimo fine che può essere riconosciuto alla dottrina dell'atto politico e ben oltre ogni proporzionalità.
Posso comprendere perché gli Stati cerchino di tutelarsi dalla minaccia di ricorsi come quello del caso di specie. Tuttavia rimpiango che la maggioranza della Corte abbia accettato una soluzione che colpisce le fondamenta stesse della Convenzione