Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 12 giugno 2007 - Ricorso n. 38897/04 - Macrì c/Italia

DECISIONE SULLA RICEVIBILITA'
del ricorso nº 38897/04 presentato da Edoardo MACRI' contro l'Italia

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione) riunita il 12 giugno 2007 in una camera composta da:

F. TULKENS, presidente,
A.B. BAKA,
I. CABRAL BARRETO,
R. TÜRMEN,
M. UGREKHELIDZE,
V. ZAGREBELSKY,
A. MULARONI, giudici
e da S. DOLLÉ, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra citato introdotto il 14 ottobre 2004,
Vista la decisione della Corte di far valere l'articolo 29 § 3 dela Convenzione e di esaminare congiuntamente la ricevibilità ed il merito della causa,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle di risposta presentate dal ricorrente,
Dopo averne deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

Il ricorrente, il signor Edoardo Macri, è un cittadino italiano, nato nel 1934 e residente a Milazzo. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, I. M. Braguglia, e dal suo cogente aggiunto N. Lettieri.

  1. Le circonstanze della fattispecie
    I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.
    Il 30 novembre 1999, il ricorrente introdusse innanzi al tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto una domanda tesa ad ottenere la nomina giudiziaria di un amministratore per la gestione dell'immobile in cui abitava.
    Il 17 dicembre 1999, il presidente del tribunale, decidendo in camera di consiglio in materia di volontaria giurisdizione, rigettò la domanda poiché il mandato dell'amministratore precedentemente nominato non era ancora scaduto.
    Il 10 gennaio 2000, il ricorrente introdusse un reclamo innanzi alla corte d'appello di Messina avverso la decisione del presidente del tribunale.
    Inoltre, il 7 febbraio 2000, presentò innanzi al tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto una seconda domanda tesa ad ottenere la nomina di un amministratore.
    Con la sentenza camerale del 17 giugno 2000, il tribunale, considerando che la domanda costituiva essenzialmente un reclamo avverso la decisione del 17 dicembre 1999, rigettò il ricorso del ricorrente condannando quest'ultimo a rimborsare ad X, in quanto titolare di un interesse opposto, le spese di procedura fissate in circa 400 euro.
    Il 13 luglio 2000, il ricorrente impugnò innanzi alla corte d'appello di Messina la sentenza del 17 giugno 2000 nella parte relativa alla condanna al pagamento delle spese di procedura. Egli sosteneva che la decisione del tribunale, rientrando nel campo della volontaria giurisdizione, non decideva fra due domande opposte e non poteva contenere una condanna al pagamento delle spese di procedura. Il 14 luglio 2000, X notificò al ricorrente una ingiunzione di pagamento
    Il 17 luglio 2000, il ricorrente domandò alla corte d'appello un rinvio dell'esecuzione della sentenza del 17 giugno 2000. La corte d'appello accolse la domanda del ricorrente e sospese provvisoriamente la procedura esecutiva avviata da X.
    Il 2 ottobre 2000, la corte d'appello di Messina dichiarò irricevibile il reclamo del ricorrente. Essa affermò che la procedura avviata dal ricorrente in materia di condominio rientrava senza dubbio nell'ambito della volontaria giurisdizione. Pertanto, in linea di principio, le decisioni adottate nell'ambito di questo tipo di procedura dove non c'è una parte che soccomba nella controversia, non potevano comportare una condanna al pagamento delle spese procedurali. Tuttavia, quando per errore viene presa una decisione sulle spese, quest'ultima deve essere considerata come una decisione definitiva ed esecutiva che può essere impugnata esclusivamente con un ricorso straordinario innanzi alla Corte di cassazione.
    Il 21 marzo 2001 il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Il ricorrente, facendo riferimento alle affermazioni della corte d'appello di Messina, domandò alla Corte di cassazione di annullare la decisione del 17 giugno 2000 per quanto riguardava la parte concernente le spese di giustizia.
    Con la sentenza del 20 febbraio 2004, depositata in cancelleria il 25 giugno 2004, la Corte di cassazione dichiarò inammissibile il ricorso del ricorrente in quanto la decisione della camera di consiglio del tribunale doveva essere impugnata con un reclamo innanzi alla corte d'appello ai sensi dell'articolo 739 del codice di procedura civile. Essa affermò che il ricorso straordinario previsto dall'articolo 111 della Costituzione era previsto soltanto contro le sentenze definitive ed esecutive, avverso le quali non è possibile alcun ricorso ordinario.
    La sentenza della Corte di cassazione non faceva alcun riferimento al reclamo introdotto dal ricorrente innanzi alla corte d'appello di Messina e non teneva conto delle affermazioni di quest'ultima contenute nella decisione del 2 ottobre 2000.
    L'8 ottobre 2004, X ingiunse al ricorrente di pagare la somma di 1.769 euro. L'esito della procedura esecutiva non è conosciuto.
  2. Il diritto interno pertinente
    Secondo l'articolo 91 del codice di procedura civile, il giudice, nella decisione che conclude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte.

MOTIVI DI RICORSO

Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta l'impossibilità di ottenere l'annullamento della sua condanna al pagamento delle spese di giustizia a causa delle opposte decisioni della corte d'appello di Messina e della Corte di cassazione.

IN DIRITTO

Il ricorrente lamenta un diniego di accesso ad un tribunale ed invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione, le cui disposizioni pertinenti sono così formulate:
«Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata (&) in un tempo ragionevola, da parte di un tribunale (&) che deciderà (&) in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile (&).»
Il ricorrente ammette che il procedimento principale da lui avviato innanzi alle autorità giudiziarie nazionali non rientra nel campo di applicazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto non riguardava una contestazione su un diritto di natura civile. Tuttavia egli afferma che il procedimento riguardante le spese rientra nel campo di applicazione di questa disposizione in particolare per il suo aspetto patrimoniale.
Egli sostiene che la sua condanna al pagamento è il risultato di un errore del tribunale di Pozzo di Gotto che ha deciso sulle spese come se si trattasse di un contenzioso civile tra due parti. Ora, nonostante tale errore sia stato riconosciuto dalla corte d'appello di Messina, le autorità giudiziarie non hanno deciso il merito della questione, ma hanno soltanto dato interpretazioni contraddittorie del diritto nazionale.

Il Governo sostiene che la controversia non aveva ad oggetto una contestazione su un diritto di natura civile. Di conseguenza, il procedimento relativo alle spese, avendo carattere incidentale, sfugge anche al campo di applicazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
A titolo sussidiario il Governo afferma che a prima vista spetta alle autorità nazionali interpretare il diritto interno. Esso ritiene che la decisione del tribunale di Pozzo di Gotto di condannare il ricorrente al pagamento delle spese, lungi dall'essere arbitraria, era ragionevole e rispondeva all'esigenza di imputare agli attori le spese sostenute nell'ambito di richieste prive di qualsiasi fondamento. Infine, il fatto che la corte d'appello e la Corte di cassazione abbiano interpretato in maniera differente una questione controversa di diritto non può aver comportato un diniego di accesso alla giustizia.

La Corte ricorda la sua consolidata giurisprudenza, secondo la quale l'articolo 6 § 1 si applica quando esiste una "contestazione" su un "diritto" "di natura civile" che si possa considerare, almeno in maniera difendibile, riconosciuto nel diritto interno. Deve trattarsi di una "contestazione" reale e seria; essa può riguardare sia l'esistenza stessa di un diritto che la sua estensione o il modo in cui viene esercitato (vedere, fra molte altre, Fayed c. Regno Unito, sentenza del 21 settembre 1994, serie A no 294-B, p. 45-46, § 56 ; Masson e Van Zon c. Paesi Bassi, sentenza del 28 settembre 1995, serie A no 327-A, p. 17, § 44 ; Balmer-Schafroth e altri c. Suisse, sentenza del 26 agosto 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-IV, p. 1357, § 32).
Peraltro, i procedimenti relativi alle spese di giustizia, benché condotti separtamente, devono essere considerati come una continuazione di quello principale. Pertanto, i procedimenti sulle spese di giustizia rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 6 § 1 quando il processo principale tende a decidere una "controversia sui diritti e sugli obblighi di natura civile" (vedere, Robins c. Regno Unito, sentenza del 23 settembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-V, p. 1809, § 29 ; Beer c. Austria, no 30428/96, §§ 12-13, sentenza del 6 febbraio 2001).
Nella fattispecie, la condanna a pagare le spese di giustizia è stata decisa al termine di un procedimento che riguardava la nomina giudiziaria di un amministratore per la gestione dell'immobile in cui il ricorrente abitava in condominio. La Corte osserva che l'inapplicabilità dell'articolo 6 § 1 alla citata procedura non viene contestata dalle parti. Ben al contrario, l'inesistenza di un contenzioso fra cittadini su un diritto civile era il fondamento stesso del reclamo del ricorrente teso ad ottenere l'annullamento della sua condanna a sopportare le spese.
Di conseguenza, alla luce della sua giurisprudenza in materia, la Corte è del parere che l'articolo 6 § 1 non trova applicazione nella procedura relativa alle spese (vedere, mutatis mutandis, Lamprecht c. Austria, no 71888/01, decisione del 25 marzo 2004).
Ne consegue che il motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell'articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 § 4.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,
Dichiara il ricorso irricevibile.

S. DOLLÉ
Cancelliere

F. TULKENS
Presidente