Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 aprile 2007 - Ricorso n. 46794/99 - Panarisi c/Italia

SECONDA SEZIONE

CASO PANARISI c/ITALIA (Ricorso nº 46794/99)

SENTENZA
STRASBURGO, 10 aprile 2007

Tale sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione, e potrà subire delle modifiche formali.

Nella causa Panarisi c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione), riunitasi in camera alla presenza di:

F. TULKENS, presidente,
A.B. BAKA,
I. CABRAL BARRETO,
V. ZAGREBELSKY,
A. MULARONI,
D. JOCIENE,
D. POPOVIC, giudici,
e di F. ELENS-PASSOS, vicecancelliere della Sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 20 settembre 2005 e il 20 marzo 2007,
Pronunzia la seguente decisione, approvata in quest'ultima data:

PROCEDIMENTO

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (nº 46794/99) contro la Repubblica italiana, presentato da un cittadino italiano, Salvatore Panarisi ("il ricorrente"), alla Commissione europea dei Diritti dell'Uomo ("la Commissione") il 26 luglio 1997, ai sensi del vecchio testo dell'articolo 25 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
  2. Il ricorrente è rappresentato dall'Avv. A. Gaito, del foro di Roma. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, I.M. Braguglia, e dal suo coagente, F. Crisafulli.
  3. Il ricorrente sosteneva che alcune intercettazioni a cui era stato sottoposto fossero illegali, e che un procedimento penale avviato nei suoi confronti non fosse stato equo (articoli 8 e 6 della Convenzione).
  4. Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1º novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo nº 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo nº 11).
  5. Il ricorso è stato assegnato alla quarta sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). All'interno di quest'ultima, si è costituita la camera incaricata di esaminare la causa (articolo 27 § 1 della Convenzione) ai sensi dell'articolo 26 § 1 del regolamento.
  6. Con sentenza del 20 settembre 2005, la Corte ha dichiarato ammissibile il ricorso.
  7. Il Governo ha presentato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 del regolamento), ma non il ricorrente (articolo 59 § 1 del regolamento).
  8. Il ricorso è stato successivamente attribuito alla seconda sezione della Corte.

    IN FATTO

    I - LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE
  9. Il ricorrente è nato nel 1954 e risiede a Realmonte (Agrigento).
  10. Nel settembre 1991, la procura di Palermo ha avviato delle indagini nei confronti del ricorrente e di diverse altre persone, tutti sospettati di traffico di stupefacenti e di porto illegale d'armi.
  11. Le intercettazioni durante le indagini.
    Con nota (nº 6/23-18) del 4 maggio 1992, i carabinieri di Agrigento chiesero alla procura di Palermo (Direzione distrettuale antimafia) l'autorizzazione ad intercettare le chiamate dall'abitazione del ricorrente. Nelle sue parti pertinenti, il documento è così scritto:
    "1. Il 27 marzo 1992, la procura ha autorizzato intercettazioni ambientali nell'ufficio della carrozzeria di (S.) (&). Dopo una verifica da parte dei nostri periti, è risultato che la rete telefonica del suddetto ufficio non permetteva l'utilizzo del microtrasmettitore HT-200.
    2. Il sig. Panarisi, (&), già sottoposto ad intercettazioni con decisione n. 105/92 Int. della procura, ha recentemente traslocato (&).
    Sebbene all'anagrafe e nello schedario [dell'operatore telefonico] risulti sempre residente al vecchio indirizzo, egli abita invece al nuovo indirizzo dove adesso è stato installato il telefono intercettato.
    3. Detto questo, alla luce dei motivi indicati nella precedente corrispondenza che lasciano intuire il ruolo rilevante del sig. Panarisi nell'ambito dei reati oggetto delle indagini, si chiede di autorizzare le intercettazioni ambientali nell'abitazione dello stesso invece che nella carrozzeria di S.".
  12. Il 7 maggio 1992, la procura chiese al GIP di Palermo di autorizzare le intercettazioni in questione per i motivi indicati nella nota succitata, con la seguente richiesta:
    "Il procuratore della Repubblica
    Vista la nota nº 6/23-18 del 4 maggio 1992 dei carabinieri con cui si chiede di autorizzare l'intercettazione delle conversazioni tra le persone presenti all'interno dell'abitazione del sig. Panarisi,
    Considerando che vi è un numero di indizi sufficiente a provare la sussistenza del reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, indizi che si possono dedurre dalla nota succitata; che le intercettazioni sono necessarie per proseguire le indagini;
    Considerando che vi sono buone ragioni per ritenere che nei luoghi succitati sia in corso un'attività criminosa;
    Per questi motivi,
    visti gli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale,
    chiede
    che il giudice per le indagini preliminari autorizzi le intercettazioni in questione per un periodo di quaranta giorni dall'inizio effettivo delle operazioni (&)".
  13. L'8 maggio 1992, il GIP di Palermo rilasciò l'autorizzazione richiesta. La sua decisione (nº 308/92 Int.) è la seguente:
    "Il giudice per le indagini preliminari,
    Vista la succitata domanda nº 308/92 Int.;
    In considerazione del fatto che è fondata, in quanto vi sono indizi sufficienti relativamente al reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, indizi che si possono dedurre dalla nota succitata nella richiesta di autorizzazione e dalle note precedenti;
    che le intercettazioni sono necessarie alle indagini;
    In considerazione inoltre del fato che vi sono buone ragioni per ritenere che nei luoghi indicati dal pubblico ministero sia in corso un'attività criminosa;
    Per questi motivi,
    visti gli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale,
    autorizza
    le intercettazioni delle comunicazioni che avranno luogo tra le persone che si trovano nell'abitazione (del ricorrente) per un periodo di quaranta giorni dall'inizio effettivo dell'attività (di intercettazione), che deve essere effettuata nelle forme previste dalla legge, e le cui spese saranno anticipate dal ministero della Giustizia".

    Il rinvio a giudizio del ricorrente
  14. Poiché la procura aveva richiesto il rinvio a giudizio del ricorrente, questi, assistito da un avvocato, chiese di essere giudicato con il rito abbreviato, una procedura semplificata che prevede, in caso di condanna, una diminuzione di un terzo della pena (vedi più avanti, sotto "il diritto e la pratica interni pertinenti"). Il pubblico ministero diede il suo assenso.
  15. Il 19 ottobre 1994, il GIP decise di non accogliere la richiesta del ricorrente in quanto ritenne che il processo non potesse essere definito allo stato degli atti. Secondo il GIP, occorreva interrogare un collaboratore di giustizia (P.), il quale, pur avendo ammesso l'esistenza dell'associazione a delinquere di cui il ricorrente faceva parte, non aveva fornito indicazioni dettagliate relativamente alle sue fonti informative e ad alcuni fatti a cui aveva preso parte. Nelle sue dichiarazioni rese nel corso delle indagini, P. aveva riconosciuto il ricorrente in fotografia ed aveva affermato che dirigeva il traffico di stupefacenti.
  16. Tra l'altro, il ricorrente aveva contestato l'uso delle intercettazioni ambientali, ma il GIP respinse tale eccezione, ritenendo che in considerazione della natura delle intercettazioni (ambientali), non fosse possibile applicare la regolamentazione prevista per le intercettazioni telefoniche. Inoltre, il fatto che la motivazione dell'autorizzazione rinviasse alla richiesta degli inquirenti - a cui la procura aveva dato il suo avallo - non rappresentava una mancanza di motivazione. Il GIP ritenne perciò che ai sensi dell'articolo 208 § 3 del codice di procedura penale ("il CPP"), l'autorizzazione fosse ampiamente motivata relativamente all'impossibilità di utilizzare delle apparecchiature della procura e all'urgenza delle intercettazioni.

    Il processo di primo grado
  17. Il ricorrente fu giudicato dal tribunale di Agrigento con rito ordinario.
  18. Con ordinanza del 26 aprile 1995, emessa nel corso del dibattimento, il tribunale respinse ogni eccezione del ricorrente che mirava a contestare l'utilizzo delle intercettazioni ambientali. Il tribunale osservò che le intercettazioni non erano state fatte nei locali della procura in quanto, a causa della loro diversa natura, le intercettazioni ambientali non potevano essere effettuate nello stesso modo delle intercettazioni telefoniche. Inoltre, relativamente alla presunta insufficienza della motivazione della decisione che autorizzava le intercettazioni, il tribunale osservò che tale decisione era stata preceduta da altre autorizzazioni simili, e che il GIP si era riferito alla richiesta con cui la polizia aveva richiesto le intercettazioni.
  19. P. - che aveva testimoniato durante le indagini preliminari - dichiarò di volersi avvalere del diritto di non rispondere riconosciutogli dall'articolo 513 del CPP in quanto persona imputata in un procedimento connesso.
  20. Il 10 maggio 1995, il tribunale respinse l'eccezione secondo cui, in mancanza del deposito di alcuni verbali, le intercettazioni non sarebbero utilizzabili, ritenendo che tale deposito non era richiesto dalla legge. Quello stesso giorno, il tribunale ordinò la trascrizione delle intercettazioni telefoniche e ambientali, trascrizione che fu allegata al fascicolo del dibattimento (articolo 268 § 7 del CPP).
  21. Con sentenza del 27 novembre 1995, il tribunale di Agrigento condannò il ricorrente a quindici anni e due mesi di detenzione e a 600.000 lire (circa 310 euro) di multa. Secondo il tribunale, le intercettazioni ambientali dimostravano che il ricorrente aveva spiegato a terzi le finalità e il modus operandi dell'organizzazione criminosa di cui faceva parte e che dirigeva. A questo "occorreva aggiungere" che P. aveva dichiarato ai carabinieri il 25 maggio 1993 che il ricorrente controllava il traffico di droga a Realmonte. Inoltre, P. aveva riconosciuto in foto il ricorrente e le altre persone da lui citate, ed aveva altresì fatto riferimento ad un episodio - il sequestro di una certa quantità di hashish in Spagna - in cui il ricorrente aveva probabilmente avuto un ruolo, visto che aveva emesso un assegno destinato a pagare il veicolo utilizzato per trasportare la droga. P. era credibile in quanto, come lui stesso aveva ammesso, era ben inserito nel mercato degli stupefacenti. Tra l'altro, durante alcune conversazioni intercettate, il ricorrente aveva detto di conoscere P. e il suo ruolo in un'associazione a delinquere concorrente con la sua. Infine, lo stesso ricorrente aveva ammesso di possedere una pistola dinanzi alla procura.
  22. Il tribunale concesse la diminuzione di un terzo della pena al ricorrente, ritenendo che, visti gli elementi prodotti nel corso del dibattimento, il processo potesse essere definito allo stato degli atti al momento della richiesta dell'interessato di essere giudicato con il rito abbreviato, e quindi che il GIP avrebbe potuto accogliere tale richiesta.

    Il procedimento d'appello
  23. La procura e il ricorrente presentarono appello. Il ricorrente impugnò in particolare l'ordinanza di primo grado emessa il 26 aprile 1995 con cui il tribunale aveva respinto la sua richiesta che mirava a contestare l'utilizzo delle intercettazioni ambientali, sostenendo che l'autorizzazione di sottoporlo ad intercettazioni data dal GIP non soddisfaceva i requisiti di legge in quanto tale magistrato si era limitato a rinviare per relationem e senza argomenti ai motivi presentati dalla procura.
  24. Con sentenza del 4 giugno 1997, la corte d'appello di Palermo ridusse la pena inflitta al ricorrente a quattordici anni e quattro mesi di detenzione e a 400.000 lire (circa 205 euro) di multa.
  25. La corte ritenne che le intercettazioni ambientali fossero legali, visto che secondo lei il rinvio per relationem era legittimo, quando la necessità di procedere alle intercettazioni emergeva chiaramente dai documenti a cui si faceva riferimento, in modo da far risultare superflua qualsiasi valutazione critica risulta. Infatti, la giurisprudenza secondo cui l'obbligo di motivazione non poteva consistere nell'accettazione passiva delle indicazioni date quanto alla necessità delle intercettazioni non poteva essere interpretata come un obbligo dal contenuto formale e astratto che non teneva conto del caso concreto. La corte d'appello, facendo riferimento a una sentenza della Corte di cassazione, indicò che ciò che contava era l'effettiva sussistenza di elementi preesistenti che giustificassero l'ingerenza delle intercettazioni. Nella fattispecie, la necessità di un'ingerenza emergeva in maniera estremamente chiara dalle indagini condotte in precedenza.
  26. Per quanto attiene all'utilizzo degli apparecchi di intercettazione diversi da quelli della procura, la corte d'appello accertò che nella richiesta di intercettazioni era indicato che non si potevano utilizzare le apparecchiature del pubblico ministero a causa della mancanza di risorse disponibili. Sarebbe inoltre stato tecnicamente impossibile effettuare delle intercettazioni ambientali dalla sede della procura.

    Il ricorso in cassazione del ricorrente
  27. Il ricorrente presentò ricorso in cassazione, ribadendo essenzialmente le sue tesi relativamente all'illegalità delle intercettazioni ambientali a causa del rinvio per relationem e del mancato utilizzo delle apparecchiature della procura.
  28. Il ricorrente si appellò altresì contro l'utilizzo delle dichiarazioni fatte da P. durante le indagini preliminari, sostenendo che occorreva applicare, nel suo caso, la nuova regolamentazione introdotta con la legge nº 267 del 1997, che aveva modificato l'articolo 513 del CPP (vedi successivo paragrafo "il diritto e la pratica interni pertinenti"). La legge in questione vietava l'utilizzo delle dichiarazioni fatte durante le indagini preliminari e non confermate nel corso del dibattimento a causa del rifiuto del coimputato di rispondere alle domande delle parti.
  29. Con sentenza del 12 maggio 1998, il cui testo fu depositato in cancelleria il 25 novembre 1998, la Corte di cassazione respinse il ricorso.
  30. Per quanto riguarda l'utilizzo della testimonianza di P., la Corte di cassazione indicò che occorreva distinguere il caso del ricorrente da quello del coimputato G. Quest'ultimo era stato "giudicato con il rito ordinario", mentre il ricorrente e altri due coimputati "si erano avvalsi dei benefici del rito abbreviato, compresa la relativa riduzione di pena".
  31. Dopo aver specificato che la sentenza doveva essere cassata relativamente a G., la Corte di cassazione aggiunse che il ricorrente e gli altri due coimputati non avevano "alcun diritto all'applicazione della nuova normativa. Infatti, essi hanno beneficiato del rito abbreviato con tutte le conseguenze che questo implica e, tra queste, la chiusura del procedimento allo stato degli atti senza che vi sia il processo, di modo che gli atti su cui si sarebbe dovuto fondare il giudizio non erano quelli del fascicolo del dibattimento, ma quelli del fascicolo della procura che, quindi, [potevano] essere letti ed utilizzati dal giudice [della sede]. Di fronte a tale situazione, era incongruo chiedere all'amministrazione un mezzo procedurale che la scelta della procedura vietava rigorosamente".
  32. Per quanto attiene ai mezzi relativi alle intercettazioni, la Corte di cassazione dichiarò che il ricorrente non poteva introdurli, in quanto "si era avvalso del rito abbreviato". L'alta giurisdizione aggiunse che, nell'ambito del rito abbreviato, l'imputato dava al giudice il potere di decidere allo stato degli atti, senza porre alcun limite alla possibilità di utilizzare le prove contenute nel fascicolo della procura, e quindi potevano essere utilizzati tutti gli atti, anche quelli acquisiti illegalmente nel corso del procedimento della procura. La parte interessata aveva l'obbligo di sollevare fin dall'inizio la questione di tale illegalità.

    I ricorsi contro la sentenza della Corte di cassazione
    La demanda di rettifica di un errore di fatto
  33. Il ricorrente presentò una richiesta di rettifica di un errore di fatto, sostenendo che la Corte di cassazione aveva erroneamente ritenuto che non potevano essere applicate le nuove norme della legge nº 267 del 1997.
  34. Il 21 aprile 1999, la Corte di cassazione dichiarò tale richiesta inammissibile, osservando che la procedura di rettifica non si applicava agli "errori concettuali di fatto", e ciò a causa del carattere definitivo delle sentenze di terzo grado.

    Il ricorso straordinario in cassazione per errore di fatto
  35. In seguito all'introduzione della possibilità di presentare un ricorso straordinario in cassazione per errore di fatto (articolo 625 bis del CPP), il ricorrente presentò tale ricorso. Tuttavia, la Corte di cassazione lo dichiarò inammissibile il 26 novembre 2001 in quanto, sulla base del principio tempus regit actum, la nuova normativa non doveva essere applicata nella fattispecie.

    II - IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI

    L'intercettazione delle conversazioni e delle comunicazioni
    La legislazione
  36. Gli articoli dal 266 al 271 del CPP disciplinano le intercettazioni delle conversazioni, delle comunicazioni telefoniche e con altri mezzi di telecomunicazione, nonché delle comunicazioni informatiche e telematiche.
  37. L'articolo 267 stabilisce le condizioni e il tipo di decisione da prendere per procedere ad intercettazioni. Il comma 1 di tale norma è il seguente:
    "Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le [intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione]. L'autorizzazione è data con decreto motivato, quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini."
  38. L'articolo 268 disciplina l'esecuzione delle operazioni di intercettazione. Il suo comma 4 di tale norma è il seguente: "I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo se il giudice non riconosca necessaria una proroga."
  39. L'articolo 271 definisce i divieti di utilizzo delle intercettazioni. Ai sensi del suo comma 1, "I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 commi 1 e 3".

    La giurisprudenza
  40. Nella loro sentenza nº 16 del 21 giugno 2000 (depositata in cancelleria il 30 giugno 2000) nella causa Tammaro, le sezioni riunite della Corte di cassazione hanno indicato che in qualsiasi momento del procedimento è vietato l'utilizzo di ogni mezzo di prova acquisito contra legem. Il fatto che un imputato abbia chiesto di essere giudicato secondo il rito abbreviato non implicava che fosse tolto tale divieto di utilizzo.
  41. Con altra sentenza emessa lo stesso giorno, le sezioni riunite della Corte di cassazione hanno altresì giudicato che la motivazione per relationem di una decisione giudiziaria è da considerare legittima se essa fa riferimento, accogliendolo o semplicemente rinviandovi, a un atto procedurale, la cui motivazione è soddisfacente relativamente all'esigenza di giustificare la decisione presa. Essa deve altresì provare che il giudice ha preso visione del contenuto del documento di riferimento ed ha ritenuto la sua decisione coerente con tale contenuto. Infine, l'atto di riferimento deve essere conosciuto dalla persona interessata al più tardi nel momento in cui quest'ultima deve valutare la decisione resa ed eventualmente presentare ricorso contro di essa (sentenza nº 17 del 21 giugno 2000, depositata in cancelleria il 21 settembre 2000, nel procedimento Primavera e altri).

    Le dichiarazioni fatte durante le indagini preliminari
  42. La lettura delle dichiarazioni rese da un coimputato o da una persona imputata in un procedimento connesso è disciplinata dall'articolo 513 del CPP. Poiché sono state lette, tali dichiarazioni sono allegate al fascicolo del giudice e possono essere usate per decidere sulla fondatezza dell'imputazione.
  43. Nella sua prima versione, tale norma era così redatta: "1. Il giudice, se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero, o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare.
    3. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210 [se si tratta di persone imputate in un procedimento connesso], il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, il giudice dispone la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l'accordo delle parti."
  44. Con sentenza nº 254 del 3 giugno 1992, la Corte costituzionale ha dichiarato l'articolo 513 § 2 incostituzionale in quanto non prevedeva che "il giudice, dopo aver ascoltato le parti, ordini la lettura dei verbali delle dichiarazioni (&) rese dalle persone di cui all'articolo 210, quando queste si sono avvalse della facoltà di non rispondere."
  45. La legge nº 267 del 7 agosto 1997, entrata in vigore il 12 agosto 1997, ha modificato l'articolo 513 succitato, che prevedeva che le dichiarazioni rese prima del dibattimento dal testimone a carico, coimputato, potessero essere utilizzate soltanto se era stato rispettato il principio del contraddittorio, oppure se la persona in questione aveva dato il suo accordo.
  46. La Corte costituzionale ha tuttavia dichiarato tale legge incostituzionale in quanto non prevedeva la possibilità di utilizzare i verbali delle dichiarazioni rese nel corso dell'istruttoria da un coimputato, quando quest'ultimo si rifiutava di testimoniare e l'imputato non dava il suo consenso alla lettura delle dichiarazioni in questione (sentenza nº 361 del 26 ottobre 1998). E' in seguito a tale sentenza che il Parlamento ha deciso di introdurre il principio dell'equo processo nella Costituzione stessa. I commi dal 3 al 5 dell'articolo 111 della Costituzione, nella loro nuova redazione e nelle loro parti pertinenti, sono i seguenti:
    "3. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (&) abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore (&).
    4. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
    5. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita."
  47. La legge nº 63 del 1º marzo 2001 ha successivamente modificato l'articolo 513 del CPP, prevedendo che, in caso l'autore delle dichiarazioni rese prima del dibattimento si avvalga della facoltà di non rispondere, le sue dichiarazioni possano, di norma, essere acquisite soltanto con il consenso delle parti.
  48. Per quanto riguarda la forza probatoria delle dichiarazioni rese dal coimputato o da persona imputata in un procedimento connesso, l'articolo 192 § 3 del CPP prevede che queste debbano essere "valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità".

    Il giudizio abbreviato
  49. Il giudizio abbreviato è regolamentato dagli articoli dal 438 al 443 del CPP, e si basa sull'ipotesi che il processo possa essere definito allo stato degli atti nell'udienza preliminare. In caso di accoglimento del giudizio abbreviato, l'udienza si svolge in camera di consiglio ed è dedicata alle arringhe delle parti. Di norma, le parti devono basarsi sugli atti presenti nel fascicolo del pubblico ministero. In caso di condanna, la pena che il giudice determina è diminuita di un terzo.
  50. La richiesta del giudizio abbreviato deve essere presentata dall'imputato. Così come esso era in vigore all'epoca del procedimento del ricorrente, il CPP prevedeva che tale giudizio potesse aver luogo soltanto se il pubblico ministero dava il suo consenso e se il giudice riteneva che il processo potesse essere definito allo stato degli atti. La Corte costituzionale ha precisato che si doveva applicare la diminuzione di un terzo della pena quando il giudice riteneva che il mancato accordo del pubblico ministero non fosse motivato (sentenza nº 81 del 15 febbraio 1991). Nella sua sentenza nº 23 del 31 gennaio 1992, la Corte costituzionale ha poi precisato che tale diminuzione deve essere applicata altresì quando, nonostante vi sia il consenso del pubblico ministero, il GIP abbia respinto la richiesta di giudizio abbreviato ma il giudice di merito ritenga, alla fine del dibattimento, che il processo potesse essere definito allo stato degli atti.
  51. Nelle loro parti pertinenti in vigore all'epoca del procedimento del ricorrente, le norme del CPP relative al giudizio abbreviato sono le seguenti:
    Articolo 438
    "1. L'imputato può chiedere, con il consenso del pubblico ministero, che il processo sia definito all'udienza preliminare.
    2. La richiesta e il consenso all'udienza sono espressi oralmente; negli altri casi, sono formulati per iscritto.
    3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3 [da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore]."
    Articolo 439
    "1. La richiesta è depositata in cancelleria unitamente all'atto di consenso del pubblico ministero almeno cinque giorni prima della data fissata per l'udienza.
    2. La richiesta e il consenso possono essere presentati anche nel corso dell'udienza preliminare fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422."
    Articolo 440
    "1. Sulla richiesta il giudice delibera con ordinanza, con la quale dispone il giudizio abbreviato se ritiene che il processo possa essere definito allo stato degli atti.
    2. L'ordinanza di accoglimento o di rigetto è depositata in cancelleria almeno tre giorni prima della data dell'udienza. (&)
    3. In caso di rigetto, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dall'art. 439 comma 2."
    Articolo 441
    "1. Nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423 [si tratta di norme che disciplinano il potere del giudice di disporre, ex officio, l'assunzione delle prove decisive e la possibilità, per il pubblico ministero, di modificare l'imputazione].
    (&)."
    Articolo 442
    "1. Terminata la discussione, il giudice provvede a norma degli artt. 529 e seguenti [norme relative alla pronuncia di sentenza di non luogo a procedere, di assoluzione o di condanna].
    2. In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo.
    (&)."
    Articolo 443
    "1. L'imputato e il pubblico ministero non possono proporre appello contro le sentenze di proscioglimento quando l'appello tende ad ottenere una diversa formula [di proscioglimento] o delle sentenze con cui si applicano sanzioni sostitutive.
    2. L'imputato non può proporre appello contro le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria.
    3. Il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato."
  52. Le norme succitate sono state modificate con legge nº 479 del 16 dicembre 1999. La nuova normativa si trova in Hermi c. Italia [GC], nº 18114/02, §§ 27-28, 18 ottobre 2006.

    IN DIRITTO

    I - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
     
  53. Il ricorrente sostiene che le intercettazioni ambientali e telefoniche di cui è stato oggetto erano illegali, in quanto vi è stata violazione del diritto al rispetto della sua vita privata, così come garantito dall'articolo 8 della Convenzione, che è così formulato:
    "1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. "
    2. Non può aversi interferenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri."

    Tesi delle parti

    Il ricorrente
  54. Il ricorrente ammette che la normativa italiana è conforme all'articolo 8 della Convenzione, ma non lo sarebbe la pratica delle giurisdizione relativamente alla sua applicazione. Infatti, sono necessari due requisiti per autorizzare le intercettazioni: la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e la loro assoluta necessità ai fini delle indagini. Inoltre, ai sensi dell'articolo 267 del CPP, l'autorizzazione deve essere concessa con decisione motivata.
  55. Nella fattispecie, le intercettazioni controverse erano illecite per due motivi: non vi erano documenti che provavano la sussistenza di requisiti legali all'origine e non vi era motivazione, in quanto il GIP si era limitato a rinviare agli argomenti del pubblico ministero e della polizia, e quindi non ha indicato né i motivi che lo portavano a ritenere il ricorrente "responsabile del reato ascrittogli", né il motivo per cui non era stato possibile cercare prove con altri mezzi.
  56. Infine, un'ulteriore violazione deriverebbe dall'affermazione della Corte di cassazione secondo cui, nell'ambito del giudizio abbreviato, sarebbe possibile utilizzare altresì le prove ottenute illegalmente.

    Il Governo
  57. Anzitutto il Governo chiede alla corte di analizzare questo motivo di ricorso soltanto sotto l'angolo dell'articolo 6. Successivamente, afferma che nella fattispecie le intercettazioni sono state effettuate a norma. Per quanto attiene al motivo di ricorso derivante dalla mancanza di motivazione nelle autorizzazione di effettuare delle intercettazioni, la difesa non ha sollevato tale mezzo quando ha impugnato l'autorizzazione.
  58. Il Governo fa osservare che la legislazione italiana è conforme ai principi fissati dalla giurisprudenza della Corte: essa indica i reati per cui una persona può essere intercettata, la durata delle intercettazioni nonché le modalità di effettuazione, di conservazione della registrazione, di trascrizione delle informazioni utili e di distruzione dei dati inutili.
  59. La legislazione in questione è chiara, prevedibile ed accessibile, e corrisponde ai fini dell'articolo 8: proteggere l'individuo dall'ingerenza arbitraria delle autorità. In particolare, le richieste di autorizzazione ad intercettare sono state sottoposte a preventivo controllo giudiziario che corrispondeva a tale esigenza. Infatti, il pubblico ministero può usare le intercettazioni soltanto se il GIP lo autorizza con decisione motivata approvata dopo aver verificato la sussistenza dei requisiti di legalità e di merito. Inoltre, il GIP ne sorveglia l'attuazione.
  60. Inoltre, la legislazione italiana garantisce che l'ingerenza si limiti a quanto indispensabile per la realizzazione dei legittimi scopi ricercati e garantisce che le conversazioni registrate non abbiano una diffusione più estesa del necessario. Questo emergerebbe, implicitamente dalla sentenza Craxi (nº 2) c. Italia (nº 25337/94, 17 luglio 2003). Tutte queste garanzie sono state rispettate nella fattispecie, e nulla permette di concludere che l'utilizzo di mezzi tecnici alternativi, necessari nelle circostanze della fattispecie, ne abbia inficiato l'efficacia.
  61. La Corte può certamente verificare se la legge nazionale sia stata rispettata, ma per affermare che così non è stato, occorrerebbe che la violazione del diritto interno risulti in maniera palese dal testo legale pertinente o dall'interpretazione di questo fornita da una giurisprudenza costante. Di contro, la Corte non dovrebbe ergersi da interprete di norme nazionale, soprattutto quando queste ultime sono oggetto di un'evoluzione giurisprudenziale. Non spetterebbe alla Corte fare una scelta tra due possibili letture della norma giuridica interna.
  62. Nella fattispecie, la legalità delle modalità di autorizzazione e di esecuzione delle intercettazioni è stata esaminata da tre giurisdizione le quali, nell'esercizio del loro incontestato diritto di interpretare il diritto nazionale, hanno concluso che la procedura seguita è stata legale.
  63. Infine, l'ingerenza nella vita privata del ricorrente perseguiva i legittimi scopi della prevenzione e della repressione del reato e della difesa della legalità, ed era proporzionata a tali scopi.

    Valutazione della Corte

    Esistenza di un'ingerenza.
  64. La Corte sottolinea che, poiché le comunicazioni telefoniche e ambientali sono comprese nelle nozioni di "vita privata" e di "corrispondenza" ai sensi dell'articolo 8, la loro intercettazione si traduce in una "ingerenza di un'autorità pubblica" nell'esercizio di un diritto che il comma 1 garantisce al ricorrente (vedi, tra gli altri e mutatis mutandis, Malone c. Regno Unito, sentenza del 2 agosto 1984, serie A nº 82, p. 30, § 64, e Valenzuela Contreras c. Spagna, sentenza del 30 luglio 1998, Recueil des arrêts et des décisions 1998-V, pp. 1925-1926, § 47). Tra l'altro, il Governo non lo contesta.
    Giustificazione dell'ingerenza.
  65. Tale ingerenza disconosce l'articolo 8, a meno che essa non sia "prevista dalla legge", persegua uno o più scopi legittimi relativamente al comma 2 e, inoltre, sia "necessaria in una società democratica" per raggiungere tali scopi.
    L'ingerenza era "prevista dalla legge"?
  66. Le parole "prevista dalla legge" ai sensi dell'articolo 8 § 2 esigono che la misura incriminata abbia una base nel diritto interno, ma riguardano altresì la qualità della legge in questione: richiedono l'accessibilità di questa alla persona interessata, che inoltre deve poter prevederne le conseguenze per sé e la compatibilità con la preminenza del diritto (Coban c. Spagna (dec.), nº 17060/02, 25 settembre 2006).
  67. La Corte osserva che il GIP ha ordinato le intercettazioni controverse in base agli articoli 266 e seguenti del CPP, e quindi l'ingerenza controversa aveva una base legale nel diritto italiano.
  68. La seconda esigenza che deriva dal brano "prevista dalla legge", l'accessibilità di quest'ultima, non solleva alcun problema nella fattispecie. Lo stesso dicasi per la terza, la "prevedibilità della legge" relativamente al senso e alla natura delle misure applicabili. Resta soltanto da decidere se la modalità con cui il GIP di Palermo ha autorizzato le intercettazioni controverse fosse compatibile con le esigenze del diritto interno e della Convenzione.
  69. In proposito, la Corte ricorda che spetta anzitutto alle autorità nazionali, e singolarmente alle corti e ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (vedi, tra molte altre, Malone succitata, p. 36, § 79 e Eriksson c. Svezia, sentenza del 22 giugno 1989, serie A nº 156, p. 25, § 62). Tra l'altro, non si può astrarre da una giurisprudenza affermata. La Corte, infatti, ha sempre inteso il termine "legge" nella sua accezione "materiale" e non "formale"; in un settore dominato dal diritto scritto, la "legge" è il testo in vigore così come interpretato dalle giurisdizioni competenti (Kruslin c. Francia, sentenza del 24 aprile 1990, serie A nº 176-A, pp. 21-22, § 29).
  70. Nella fattispecie, il GIP di Palermo ha autorizzato le intercettazioni controverse avallando le ragioni che la procura aveva esposto nella sua richiesta del 7 maggio 1992; la procura, a sua volta, aveva fatto riferimento alla nota dei carabinieri di Agrigento del 4 maggio 192 (precedenti paragrafi 11-13).
  71. La Corte ritiene che una lettura di tali documenti permetta di soddisfare le esigenze dell'articolo 267 § 1 del CPP, ai sensi del quale l'autorizzazione di effettuare delle intercettazioni deve essere data con ordinanza motivata (precedente paragrafo 37). Nulla prova che il GIP abbia passivamente accettato le note dei carabinieri e del pubblico ministero, senza effettuare, prima di emettere la sua decisione, un esame critico del loro contenuto. In proposito, occorre ricordare che se la Convenzione obbliga i tribunali a motivare le loro decisioni, non si può però intendere questo come una richiesta di risposta dettagliata ad ogni argomento (vedi, dal punto di vista dell'articolo 6 § 1, Van de Hurk c. Paesi Bassi, sentenza del 19 aprile 1994, serie A nº 228, p. 20, § 61, e Latournerie c. Francia (dec.), nº 50321/99, 10 dicembre 2002). Allo stesso modo, la Corte non è chiamata ad indagare se le tesi siano adeguatamente trattate: spetta alle giurisdizioni rispondere ai mezzi di difesa essenziali, sapendo che l'ampiezza di tale compito può variare a seconda della natura della decisione e deve quindi essere analizzata alla luce delle circostanze della fattispecie (vedi, dal punto di vista dell'articolo 6 § 1, Hiro Balani c. Spagna, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A nº 303-B, p. 29, § 27, e Burg e altri c. Francia (dec.), nº 34763/02, CEDH 2003-11).
  72. Alla luce di tutto ciò, la corte ritiene che l'ingerenza controversa fosse "prevista dalla legge".
    Finalità e necessità dell'ingerenza
  73. La Corte ritiene che l'ingerenza mirava a permettere l'accertamento della verità nell'ambito di un procedimento penale, e tendeva dunque alla difesa dell'ordine (Coban, decisione succitata).
  74. Resta da vedere se l'ingerenza fosse "necessaria in una società democratica" al fine di raggiungere tali scopi. Secondo la giurisprudenza costante della Corte, gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità per valutare l'esistenza e l'ampiezza di tale necessità, ma esso è abbinato ad un controllo europeo che riguarda sia la legge che le decisioni che applicano quest'ultima, anche quando esse provengono da una giurisdizione indipendente (vedi, mutatis mutandis, Silver e altri c. Regno Unito, sentenza del 25 marzo 1983, serie A nº 61, pp. 37-38, § 97, e Barfod c. Danimarca, sentenza del 22 febbraio 1989, serie A nº 149, p. 12, § 28). Nell'ambito dello studio della necessità dell'ingerenza, la Corte deve soprattutto accertarsi che esistano garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi (Klass e altri c. Germania, sentenza del 6 settembre 1978, serie A nº 28, pp. 23-25, §§ 50, 54 e 55).
  75. La Corte osserva che l'effettuazione di intercettazioni avrebbe costituito uno dei principali mezzi di indagine per dimostrare il coinvolgimento di diverse persone, tra cui il ricorrente, in un grosso traffico di stupefacenti. Tra l'altro, il ricorrente ha usufruito di un "efficace controllo" per contestare le intercettazioni di cui è stato oggetto.
  76. Infatti, anche se è vero che la Corte di cassazione ha rifiutato di esaminare i mezzi di ricorso relativi alle intercettazioni (precedente paragrafo 32), il GIP di Palermo, il tribunale di Agrigento e la corte d'appello di Palermo hanno esaminato tutte le eccezioni del ricorrente che riguardavano la mancanza di motivazione dell'autorizzazione delle intercettazioni e l'illegalità delle loro modalità di esecuzione (precedenti paragrafi 16, 18, 20 e 25-26).
  77. In considerazione di quanto precede, la Corte ritiene che l'interessato abbia usufruito di un "controllo efficace" così come richiesto dalla preminenza del diritto, idoneo a limitare l'ingerenza controversa a quanto "necessario in una società democratica". Alla luce dei principi che derivano dalla giurisprudenza degli organi della Convenzione, la Corte ritiene che nulla nel fascicolo permetta di individuare una violazione da parte delle giurisdizioni italiane del diritto al rispetto della vita privata quale esso è riconosciuto dall'articolo 8 della Convenzione (vedi, mutatis mutandis, Coban, decisione succitata).
  78. Ne deriva che non vi è stata violazione di tale norma.

    II - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DELL'UTILIZZO DELLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE ED AMBENTALI
     
  79. Nella sua decisione sull'ammissibilità del 20 settembre 2005, la Corte ha ritenuto che il motivo di ricorso del ricorrente relativo alla presunta illegalità delle intercettazioni ambientali e telefoniche dovesse essere esaminato anche dal punto di vista dell'articolo 6 della Convenzione.
    Nelle sue parti pertinenti, tale articolo dispone che:
    " Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente, (&) da parte di un tribunale (&) che deciderà (&) sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei (&)".

    Tesi delle parti

    Il Governo
  80. Secondo il Governo, le intercettazioni telefoniche e ambientali sono state effettuate nel rispetto delle norme procedurali fissate per garantire i diritti dell'individuo. Aggiunge che durante l'udienza preliminare, il ricorrente ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato e "(&) in conclusione (egli) è stato giudicato "come se" avesse usufruito del giudizio abbreviato, con gli stessi limiti e gli stessi vantaggi compensatori". Ora, questo tipo di procedura permette al giudice di utilizzare le prove acquisite durante le indagini preliminari "così come esse sono allo stato degli atti". D'altra parte, il ricorrente non ha, quando è stato informato sull'esistenza di tali intercettazioni e sulla possibilità di prenderne conoscenza, eccepito sulla loro illegalità e su una presunta mancanza di motivazione.
  81. Lo scopo del giudizio abbreviato è di accelerare la definizione delle cause. A tal fine, lo Stato incoraggia le persone da giudicare a rinunciare alle garanzie totali del dibattimento in contraddittorio, purché lo stato degli atti sia tale da permettere una decisione presa con cognizione di causa totale, e, in cambio, offre una diminuzione di pena. In riferimento alla giurisprudenza interna pertinente (vedi precedente paragrafo 50), il Governo precisa che, secondo la Corte costituzionale, tale diminuzione non era un beneficio soggetto a discrezionalità, ma un vero e proprio diritto dell'imputato. Nello stesso tempo, esiste un legame essenziale che unisce il beneficio della diminuzione al rito semplificato: quest'ultimo ha l'effetto di ridurre le garanzie concesse all'imputato, il quale con la sua stessa richiesta accetta tale sacrificio. Se, con decisione giudiziaria che successivamente risulta errata, il procedimento segue il suo normale corso, l'imputato non soffre alcun danno. Da una parte, usufruisce di un procedimento pienamente contraddittorio, nell'ambito del quale può esercitare tutti i diritti a cui aveva inizialmente implicitamente rinunciato; dall'altra, ottiene comunque la diminuzione della pena.
  82. Nella fattispecie, il tribunale di Agrigento aveva due possibilità: ammettere che il GIP aveva giustamente respinto la richiesta di giudizio abbreviato e esaminare approfonditamente il completo rispetto delle norme che disciplinano l'acquisizione delle prove, oppure constatare che il dibattimento non aveva aggiunto nulla di decisivo, "passare oltre alcune eccezioni dell'imputato" e basare la propria decisione sugli elementi contenuti negli atti del pubblico ministero, applicando, in caso di condanna, la diminuzione di pena.
  83. Il Tribunale ha scelto questa seconda soluzione. Secondo il Governo, una terza soluzione, auspicata dal ricorrente e consistente nell'applicare contemporaneamente tutte le regole del contraddittorio e la diminuzione della pena, sarebbe inammissibile.
  84. Perciò, anche supposto che le modalità di acquisizione di alcune prove "abbiano potuto disconoscere (&) le norme del diritto interno e le esigenze di equità di un rito ordinario", nell'ambito del procedimento così come esso si è effettivamente svolto, non si può concludere che vi sia stata violazione dei diritti della difesa.
  85. Il Governo ammette che dall'articolo 6 della Convenzione si potrebbe desumere un principio generale "secondo cui un procedimento giudiziario, per essere equo, deve anzitutto svolgersi secondo delle norme legali". Tuttavia, l'esame della legalità dell'acquisizione di una prova ha lo scopo di permettere alla Corte di valutare se, nell'insieme, la procedura abbia rispettato i diritti della difesa, dando all'imputato un quadro chiaro e prevedibile dei mezzi di indagine e la possibilità di contestare l'uso e il contenuto degli elementi raccolti contro di lui. Il Governo fa riferimento ai principi sviluppati nella causa Khan c. Regno Unito (nº 35394/97, CEDH 2000-V), in cui la Corte, pur concludendo con la violazione dell'articolo 8 della Convenzione, ha escluso ogni disconoscimento dell'articolo 6.
  86. Inoltre, nella causa Schenk c. Svizzera (sentenza del 12 luglio 1988, serie A nº 140), la Corte ha precisato che non si può escludere per principio l'ammissibilità di una prova acquisita in maniera illegale. Si trattava, in quel caso, di una mancanza di autorizzazione ad intercettare da parte di un giudice, ossia una forma di illegalità ben più grave di quella denunciata nella fattispecie. Tra l'altro, come il sig. Schenk, il ricorrente ha potuto contestare l'ammissibilità e l'utilizzo del mezzo di prova controverso, e le intercettazioni ambientali, benché "schiaccianti, non erano l'unica prova ammessa a carico del ricorrente. In proposito, il Governo ricorda che, nella succitata causa Khan, la Corte ha concluso con la non violazione dell'articolo 6 benché le intercettazioni, prive di base legale, fossero l'unico elemento di prova a carico.

    Il ricorrente
  87. Il ricorrente, basandosi sulla sentenza a sezioni unite della Corte di cassazione nel procedimento Tammaro (vedi precedente paragrafo 40) si oppone all'affermazione del Governo secondo cui la sua richiesta di poter beneficiare del giudizio abbreviato gli avrebbe successivamente impedito di contestare la legalità delle intercettazioni.
  88. Secondo il ricorrente, occorre sempre controllare se un giudice ha agito in conformità alla legge quando si tratta di limitazioni delle libertà di un individuo. Nella fattispecie, le intercettazioni erano illegali, in quanto il GIP ha omesso di esercitare il suo controllo relativamente all'esistenza di indizi sufficienti e alla necessità delle intercettazioni. Se è vero che il GIP può motivare la sua autorizzazione facendo riferimento alla richiesta del pubblico ministero e ai rapporti della polizia, resta comunque il fatto che egli non può accettare senza "spirito critico" le indicazioni trasmessegli dagli inquirenti, e deve anzi dare una motivazione che provi che la decisione presa proviene da lui.

    Valutazione della Corte
  89. La Corte ricorda che essa ha il compito, ai sensi dell'articolo 19 della Convenzione, di garantire il rispetto degli impegni derivanti dalla Convenzione per gli Stati contraenti. In particolare, non le spetta conoscere degli errori di fatto o di diritto che si ritiene siano stati commessi da una giurisdizione interna, a meno che e nella misura in cui tali errori possano aver leso i diritti e le libertà tutelati dalla Convenzione. E' vero che l'articolo 6 garantisce il diritto a un equo processo, ma non disciplina l'ammissibilità delle prove in quanto tale, materia che invece rientra anzitutto nella competenza del diritto interno (Schenk succitata, p. 29, §§ 45-46, e Teixeira de Castro c. Portogallo, sentenza del 9 giugno 1998, Recueil 1998-IV, p. 1462, § 34).
  90. Alla Corte spetta esaminare se il procedimento, compresa la modalità con cui sono stati ottenuti gli elementi di prova, sia stato equo nel suo insieme e se siano stati rispettati i diritti della difesa (De Lorenzo c. Italia (dec.), nº 69264/01, 12 febbraio 2004).
  91. Nella fattispecie, la Corte ha concluso che le intercettazioni telefoniche e ambientali erano previste dalla legge e che ogni ingerenza nel diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza era legittima ai sensi del secondo comma dell'articolo 8 della Convenzione (vedi precedenti paragrafi 66-78).
  92. Il loro utilizzo in quanto elementi probatori a carico del ricorrente non può quindi ledere l'equità del processo. Inoltre, il ricorrente ha avuto la possibilità di contestare le registrazioni controverse e di opporsi al loro utilizzo dinanzi al GIP di Palermo, al tribunale di Agrigento e alla corte d'appello di Palermo (vedi precedente paragrafo 76).
  93. Ne deriva che non vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione a causa dell'utilizzo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali.

    III - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 §§ 1 E 3 d) DELLA CONVENZIONE A CAUSA DELL'UTILIZZO DELLE DICHIARAZIONI DI P.
     
  94. Il ricorrente denuncia di essere stato condannato sulla base delle dichiarazioni rese da P. nel corso delle indagini, senza aver potuto interrogare o far interrogare tale testimone a carico.
    Il ricorrente si appella all'articolo 6 § 3 d) della Convenzione, così formulato:
    "3. Ogni accusato ha diritto soprattutto a:
    (&) d) interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico; (&)."

    Tesi delle parti

    Il Governo
  95. Il Governo riprende le sue considerazioni relative al fatto che il ricorrente ha usufruito della diminuzione della pena prevista in caso di giudizio abbreviato (vedi precedenti paragrafi 80-83) e ritiene come minimo singolare che l'interessato, dopo aver rinunciato implicitamente al contraddittorio, lamenti di non aver potuto interrogare P. D'altra parte, la Corte di cassazione ha indicato, nella sua sentenza del 25 novembre 1998, che il ricorrente non aveva né il diritto né l'interesse a chiedere l'applicazione delle norme della legge nº 267 del 1997 (vedi precedente paragrafo 45), in quanto aveva beneficiato del giudizio abbreviato, con tutte le sue conseguenze, compreso l'esame della causa sulla base del fascicolo del pubblico ministero, e non sulla base del fascicolo d'udienza.
  96. Il Governo sottolinea che la causa del ricorrente è stata giudicata dalla Corte di cassazione nel 1998, ossia poco dopo l'entrata in vigore della legge nº 267 del 1997, il che spiega la mancanza di precedenti. Tra l'altro, la situazione del ricorrente - in cui sussistevano, contemporaneamente, il ricorso all'articolo 513 del CPP e una richiesta di rito abbreviato inizialmente respinta - è molto rara. Comunque sia, da un'analisi della successiva giurisprudenza emerge che: a) il divieto di utilizzare dichiarazioni non confermate in dibattimento, introdotto con la legge nº 267 del 1997, non riguardava il rito abbreviato; b) ai sensi di una norma transitoria, la legge nº 267 del 1997 si applicava ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione; c) il ricorrente non poteva appellarsi alla legge nº 267 del 1997 in quanto aveva chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato e aveva usufruito della relativa diminuzione della pena.
  97. Il Governo ricorda che il giudizio abbreviato è stato riformato nel 1999 (vedi precedente paragrafo 52) e che, stando alle nuove norme, un imputato può vincolare la sua richiesta di essere giudicato con il rito semplificato alla produzione di nuove prove. Il giudice accetta la domanda di rito abbreviato se la produzione di tali prove è necessaria e compatibile con le finalità di economia proprie della procedura. Se invece, la richiesta non è vincolata alla produzione di nuove prove, il giudice non può rifiutare il rito abbreviato, e gli elementi raccolti dal pubblico ministero continuano a poter essere usati.
  98. Se il ricorrente fosse stato giudicato dopo il 1999, avrebbe potuto reiterare la sua richiesta di rito abbreviato all'inizio del dibattimento, e questo avrebbe effettivamente potuto aver luogo secondo tale procedura semplificata. In tal caso, tutto il materiale raccolto dal pubblico ministero sarebbe stato utilizzabile ipso facto, in quanto le parti potevano discutere soltanto del suo contenuto.
  99. Alla luce di quanto sopra, il Governo ritiene che il ricorrente non si è trovato in una situazione peggiore di quella che sarebbe stata la sua posizione se la sua richiesta di rito abbreviato fosse stata accolta fin dall'inizio.
  100. In ogni caso, le dichiarazioni di P. non hanno avuto un ruolo esclusivo o determinante per arrivare alla condanna del ricorrente. Infatti, il tribunale di Agrigento ha ritenuto che la necessità di ascoltare P., sulla cui base il GIP aveva rifiutato il giudizio abbreviato, si era rivelata in realtà inesistente. In questo modo, il tribunale avrebbe ritenuto le dichiarazioni accusatorie di P. come prive di qualsiasi importanza o significato ai fini della decisione, a tal punto che questa avrebbe potuto essere presa durante l'udienza preliminare. L'accusa si basava su diversi altri elementi, ossia le intercettazioni ambientali, le indagini e i controlli dei carabinieri, l'arresto di un complice in Spagna, sorpreso mentre trasportava stupefacenti con un veicolo pagato tramite un assegno del ricorrente. Nella motivazione della sentenza del tribunale, soltanto due paragrafi sono dedicati a P., e sono introdotti dalla frase: "a tutto questo, occorre aggiungere quanto segue". Secondo il Governo, le dichiarazioni di P. sono state "acquisite, ma non realmente utilizzate" a scapito del ricorrente.

    Il ricorrente
  101. Il ricorrente ricorda che la riforma del 1997 aveva lo scopo di "rendere" agli imputati il diritto ad un equo processo e riguardava altresì i procedimenti pendenti al momento della sua entrata in vigore. Ciò è stato confermato dalle sezioni riunite della Corte di cassazione. Tuttavia, nella fattispecie, la Corte di cassazione ha ritenuto che non occorressi rifare il processo soltanto a causa della procedura seguita (il rito abbreviato). In proposito, il ricorrente ricorda che il coimputato G. si è visto cassare la sua condanna con rinvio a giudizio in applicazione della nuova normativa.
  102. Secondo il ricorrente, le norme minime dell'equo processo dovrebbero essere garantite a un imputato, qualunque sia il rito seguito. Inoltre, nella fattispecie, la Corte di cassazione avrebbe fatto delle considerazioni improprie: in realtà, il ricorrente non ha beneficiato del rito abbreviato, ma della riduzione di un terzo della pena prevista per tale tipo di procedura. Ora, questa circostanza non può annullare il principio che una condanna non deve basarsi su accuse fatte fuori del dibattimento. Su questo punto, il ricorrente ricorda che la diminuzione di un terzo della pena è una decisione presa a conclusione di un processo che si è svolto secondo il rito ordinario e una volta che la giurisdizione ha ritenuto che l'imputato è colpevole e che il dibattimento non ha portato nulla di più rispetto all'istruttoria preliminare.

    Valutazione della Corte
  103. Visto che le esigenze del paragrafo 3 costituiscono particolari aspetti del diritto a un equo processo garantito dal comma 1 dell'articolo 6, la Corte esaminerà le rimostranze del ricorrente dal punto di vista del combinato di questi due testi (vedi, tra molte altre, Van Geyseghem c. Belgio [GC], nº 26103/95, § 27, CEDH 1999-I).
  104. La Corte ricorda che non è competente per pronunciarsi sul punto di sapere se deposizioni di testimoni sono state giustamente ammesse come prove oppure sulla colpevolezza del ricorrente (Lucà c. Italia, nº 33354/96, § 38, CEDH 2001-II, e Khan succitata, § 34).
  105. In linea di principio, gli elementi di prova devono essere prodotti dinanzi all'imputato in pubblica udienza, ai fini di un contraddittorio. Tale principio soffre di alcune eccezioni, che possono però essere accettate soltanto con riserva dei diritti della difesa; di norma, i commi 1 e 3 d) dell'articolo 6 impongono di concedere all'imputato un'adeguata e sufficiente occasione per contestare una testimonianza a carico e per interrogarne l'autore, al momento della deposizione o successivamente (Lüdi c. Svizzera, sentenza del 15 giugno 1992, serie A nº 238, p. 21, § 49, e Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, sentenza del 23 aprile 1997, Recueil 1997-III, p. 711, § 51).
  106. Come precisato dalla Corte più volte (vedi, tra l'altro, Isgrò c. Italia, sentenza del 19 aprile 1991, serie A nº 194-A, p. 12, § 34, e Lüdi succitata, p. 21, § 47), in alcune circostanze può essere necessario, per le autorità giudiziarie, ricorrerere a deposizioni rese nella fase dell'istruttoria. Se l'imputato ha avuto un'adeguata e sufficiente occasione per contestare tali deposizioni, al momento in cui esse sono rese oppure successivamente, il loro utilizzo non contrasta di per sé con l'articolo 6 §§ 1 e 3 d). Tuttavia, i diritti della difesa sono limitati in maniera incompatibile con le garanzie dell'articolo 6 quando una condanna si basa, soltanto o in misura preponderante, su deposizioni rese da una persona che l'imputato non ha potuto interrogare o far interrogare né durante l'istruttoria né durante il dibattimento (Lucà succitata, § 40, A.M. c. Italia, nº 37019/97, § 25, CEDH 1999-IX, e Saïdi c. Francia, sentenza del 20 settembre 1993, serie A nº 261-C, pp. 56-57, §§ 43-44).
  107. Nella fattispecie, il ricorrente è stato condannato per traffico di stupefacenti e porto d'arma illegale. Uno dei testimoni a carico era P., un coimputato che, in dibattimento, si è avvalso della facoltà, riconosciutagli dalla legge italiana, di non rispondere. Le dichiarazioni che aveva fatto durante le indagini preliminari sono state perciò lette e utilizzate per decidere sulla fondatezza delle imputazioni.
  108. La Corte osserva che la possibilità di utilizzare per la decisione sulla fondatezza delle accusa dichiarazioni rese prima del dibattimento da coimputati che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere era prevista dal diritto interno dello Stato convenuto, così come era in vigore all'epoca dei fatti, ossia dall'articolo 513 del CPP (vedi precedenti paragrafi 42-44).
  109. La Corte osserva allo stesso tempo che l'articolo 513 succitato è poi stato modificato con legge nº 267 del 1997, che ha stabilito che le dichiarazioni rese prima del dibattimento dal testimone a carico, coimputato, potevano essere utilizzate soltanto se il principio del contraddittorio era stato rispettato, ovvero, in mancanza di tale requisito, se l'interessato aveva dato il suo consenso (vedi precedente paragrafo 45). Tali norme sono entrate in vigore il 12 agosto 1997, quando il procedimento contro il ricorrente era pendente in cassazione. Tuttavia, l'interessato non ha potuto avvalersi della nuova normativa, in quanto l'alta giurisdizione italiana ha ritenuto che vi si opponeva il fatto di aver beneficiato della diminuzione di pena per il rito abbreviato (vedi precedenti paragrafi 30-31). La difesa, perciò non ha avuto, in alcun momento del procedimento, la possibilità di porre delle domande a P.
  110. Tuttavia, anche ammettendo che la richiesta del ricorrente di essere giudicato con il rito abbreviato, con la relativa diminuzione della pena, non significhi un'implicita rinuncia al diritto, riconosciutogli dall'articolo 6 § 3 d), di esaminare o di esaminare in contraddittorio qualsiasi elemento di prova sostanziale a carico (Craxi c. Italia, nº 34896/97, § 87, 5 dicembre 2002, e Carta c. Italia, nº 4548/02, § 51, 20 aprile 2006), la Corte ritiene che, nelle circostanze particolari della fattispecie, il procedimento penale nel suo insieme non possa essere considerato non equo.
  111. In proposito, la Corte osserva che le dichiarazioni di P. non erano né l'unico elemento di prova su cui i giudici di merito hanno basato la condanna del ricorrente, né un elemento determinante (vedi, mutatis mutandis e tra molte altre, Scheper c. Paesi Bassi (dec.), nº 39209/02, 5 aprile 2005, Jerinò c. Italia (dec.), nº 27549/02, 7 giugno 2005, Bracci c. Italia, nº 36822/02, § 57, 13 ottobre 2005, Haas c. Germania (dec.), nº 73047/01, 17 novembre 2005, e Carta succitata § 52). Si trattava invece soltanto di uno degli elementi che hanno corroborato le altre prove a carico prodotte nel corso di un dibattimento pubblico e in contraddittorio (vedi, mutatis mutandis, Sofri e altri c. Italia (dec.), nº 37235/97, CEDH 2003-VIII). Tra queste prove, i giudici nazionali hanno attributo un peso rilevante al contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali e alla circostanza che il ricorrente aveva emesso l'assegno destinato a pagare un'automobile utilizzata per trasportare droga in Spagna. La Corte conclude che quest'utilizzo delle intercettazioni non è stato contrario ai principi dell'equo processo (vedi precedenti paragrafi 89-93).
  112. Tra l'altro, il ricorrente ha avuto la possibilità di contestare il contenuto delle dichiarazioni di P. (Carta succitata, § 53).
  113. In tali condizioni, la Corte non può concludere che l'impossibilità di interrogare P. abbia leso i diritti della difesa al punto da violare i commi 1 e 3 d) dell'articolo 6 (vedi, mutatis mutandis e tra molte altre, Artner c. Austria, sentenza del 28 agosto 1992, serie A nº 242-A, pp. 10-11, §§ 22-24, e P.M. c. Italia (dec.), nº 43625/98, 8 marzo 2001).
  114. Non vi è quindi stata violazione di tale norma.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA'

  1. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione a causa dell'utilizzo delle intercettazioni telefoniche e ambientali;
  3. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione a causa dell'utilizzo delle dichiarazioni di P.

Fatto in francese e successivamente comunicato in forma scritta il 10 aprile 2007 ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

F. ELENS-PASSOS
Vicecancelliere

F. TULKENS
Presidente