Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 ottobre 2007 - Ricorso n. 45836/99 - Capone e Centrella c/Italia

CONSIGLIO D'EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE

CASO CAPONE E CENTRELLA c/ITALIA (Ricorso n. 45836/99)

SENTENZA
STRASBURGO, 16 ottobre 2007

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

Nel caso Capone e Centrella c/Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Seconda Sezione), costituita in una Camera composta da:

F. Tulkens, Presidente,
A.B. Baka,
I. Cabral Barreto,
M. Ugrekhelidze,
V. Zagrebelsky,
A. Mularoni,
D. Popovic, giudici,

e da S. Dolle, cancelliere di sezione,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 25 settembre 2007,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 45836/99) nei confronti della Repubblica italiana con cui due cittadini di quello Stato, i sigg. Raffaele Capone e Saverio Centrella ("i ricorrenti"), hanno adito la Corte il 14 gennaio 1999 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali ("la Convenzione").
  2. I ricorrenti sono rappresentati dall'Avv. S. Ferrara, del foro di Benevento. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo Agente, sig. I.M. Braguglia, e dal suo Co-Agente, sig. F. Crisafulli, nonché dal suo Co-Agente aggiunto, sig. N. Lettieri.
  3. Il 14 dicembre 2004, la Corte ha deciso di trasmettere il ricorso al Governo.
  4. Con decisione del 27 gennaio 2005, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ammissibile.
  5. I ricorrenti così come il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 del regolamento).

    IN FATTO

    I - LE CIRCOSTANZE DEL CASO
     
  6.  I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1959 e nel 1940 e risiedono a Pietradefusi (Avellino).

    Il procedimento principale
     
  7. Il 4 novembre 1992, la procura di Benevento chiese il rinvio a giudizio dei ricorrenti e di altre sei persone. Erano accusati di sottrazione di fondi statali e di abuso di autorità pubblica. Il giudice per le indagini preliminari di Benevento fissò la data dell'udienza preliminare al 17 febbraio 1993. Con sentenza del 29 settembre 1997, il tribunale di Benevento assolse i ricorrenti. Il 5 novembre 1997 il pubblico ministero presentò appello. Con sentenza del 3 novembre 1998, il cui testo fu depositato in cancelleria il 10 novembre 1998, la corte d'appello di Napoli assolse i ricorrenti per causa di prescrizione.

    Il procedimento "Pinto"
     
  8. Il 6 luglio 2001, i ricorrenti adirono la corte d'appello di Roma ai sensi della "legge Pinto", al fine di lamentare la durata del procedimento sopra descritto. I ricorrenti chiesero quindi alla Corte di sospendere l'esame del ricorso. Essi chiesero alla corte d'appello di concludere per la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato italiano al risarcimento dei danni materiali e morali subiti, che essi stimavano in 12.000.000 lire italiane (ITL) ciascuno (vale a dire 6.197,48 euro (EUR)). I ricorrenti sottoposero alla corte d'appello il caso Iarrobino e De Nisco c/Italia, il cui procedimento controverso era stato lo stesso di quello che formava oggetto del loro ricorso a Strasburgo, nel quale la Corte europea aveva concluso per la violazione del principio del "termine ragionevole" ed aveva concesso la somma chiesta a titolo di equa soddisfazione (si veda Iarrobino e De Nisco c/Italia, n. 40662/98, del 26 aprile 2001). Con decisione del 15 ottobre 2001, il cui testo fu depositato in cancelleria il 30 ottobre 2001, la corte d'appello rigettò il ricorso. Anche supponendo che la durata fosse stata irragionevole, poiché l'azione penale era prescritta, i ricorrenti non avevano potuto subire danni. La corte d'appello condannò i ricorrenti a 1.600.000 ITL (equivalenti a 826,33 EUR) per spese di giustizia. I ricorrenti presentarono ricorso per cassazione. Essi sottolinearono la contraddizione tra la decisione controversa e la giurisprudenza della Corte europea. Fecero riferimento nuovamente alla sentenza pronunciata dalla Corte nel caso Iarrobino e De Nisco. Con decisione del 4 luglio 2001, il cui testo fu depositato in cancelleria il 27 dicembre 2002, la Corte di cassazione rigettò il ricorso. Essa ritenne che il diritto all'esame del ricorso in un "termine ragionevole" non sia un diritto fondamentale della persona e che, di conseguenza, l'eventuale constatazione di violazione non comporti l'automatico riconoscimento dell'esistenza di un danno. Quest'ultimo non può pertanto essere considerato in re ipsa. La Corte di cassazione condannò i ricorrenti a 500.000 ITL (ossia 258,23 EUR) per spese di giustizia. Con missiva del 21 febbraio 2003, i ricorrenti pregarono la Corte di riprendere l'esame del loro ricorso.

    II - IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
     
  9. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono contenuti nella sentenza Cocchiarella c/Italia ((GC), n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006-&).

    IN DIRITTO

    I - OSSERVAZIONE PRELIMINARE SULLA QUALITA' DI VITTIMA
  10.  Benché il Governo non abbia sollevato eccezioni sul punto, poiché le parti hanno depositato le loro rispettive memorie e osservazioni sul ricorso precedentemente alle sentenze con le quali, nel marzo 2006, la Grande Camera ha esaminato la questione della qualità di vittima, la Corte ha il dovere di esaminarla d'ufficio.
  11. La Corte ricorda che, al fine di sapere se un ricorrente possa sostenere di essere "vittima" ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione, è opportuno verificare se le autorità nazionali abbiano riconosciuto poi riparato adeguatamente e sufficientemente la violazione controversa (si vedano, tra le altre, Delle Cave c/Italia, n. 14626/03, §§ 25-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c/Italia, succitata, §§ 69-98).
  12. Ora, si deve osservare innanzitutto che la prima condizione, vale a dire la constatazione di violazione da parte delle autorità italiane, nel caso di specie non è soddisfatta. Infatti, i giudici nazionali non hanno preso in considerazione la decisione pronunciata dalla Corte nel caso Iarrobino e De Nisco c/Italia, in cui essa aveva concluso per la violazione del termine ragionevole dello stesso procedimento penale. Infatti, tenuto conto della natura non complessa del caso nonché dei ritardi dovuti ai coimputati, in detto caso la Corte aveva tuttavia ritenuto che, alla luce del comportamento delle autorità competenti, non si potesse considerare "ragionevole" una durata totale di sei anni e sei giorni per due gradi di giudizio (Iarrobino e De Nisco, succitata, §§ 19-24). Pertanto, in mancanza di una constatazione da parte delle autorità nazionali del superamento del termine ragionevole, la Corte ritiene che non vi sia stata alcuna riparazione e che i ricorrenti possano sempre sostenere di essere "vittime" ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione.

    II - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
  13. I ricorrenti lamentano la durata del procedimento penale e ritengono che il rigetto delle loro richieste nell'ambito del procedimento "Pinto" vada contro la giurisprudenza della Corte.
  14. Il Governo si oppone a questa tesi.
  15. L'articolo 6 § 1 della Convenzione è così redatto: Articolo 6 § 1 "Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata (&) entro un termine ragionevole, da un tribunale (&) che deciderà (&) sulle controversie sui suoi diritti ed obblighi di natura civile (&)."
  16. La Corte ritiene che il periodo da considerare sia iniziato il 4 novembre 1992, con la richiesta del pubblico ministero di Benevento di rinvio a giudizio dei ricorrenti, e sia terminato il 10 novembre 1998, data del deposito in cancelleria della decisione della corte d'appello di Napoli che assolse i ricorrenti per causa di prescrizione. Pertanto, esso è durato sei anni e sei giorni per due gradi di giudizio. La Corte ricorda di avere appena giudicato che i ricorrenti non hanno ottenuto alcuna riparazione in virtù del procedimento "Pinto". Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazioni fornite dalle parti, tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, e in particolare della sua decisione nel caso Iarrobino e De Nisco (succitata, §§ 19-24), la Corte ritiene che nel caso di specie la durata del procedimento controverso sia eccessiva e non risponda all'esigenza del "termine ragionevole".
  17. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1.

    III - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
  18.  I ricorrenti affermano che il procedimento "Pinto" non è un mezzo d'impugnazione effettivo e viola l'articolo 13 della Convenzione, che è così redatto: Articolo 13 "Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (&) Convenzione siano stati violati, ha diritto di presentare un ricorso effettivo dinanzi ad un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio di funzioni ufficiali."
  19. Il Governo si oppone a questa tesi.
  20. La Corte ricorda che l'articolo 13 della Convenzione sancisce l'esistenza nel diritto interno di un ricorso che consente di far valere i diritti e le libertà quali in essa possono trovarsi consacrati. Ne consegue il diritto ad un ricorso interno che autorizzi il giudice nazionale competente a conoscere il contenuto della doglianza fondata sulla Convenzione e, inoltre, ad offrire la riparazione adeguata nei casi che lo meritano (si vedano Mifsud c/Francia (dec.) (GC), n. 57220/00, § 17, CEDU 2002-VIII; Scordino c/Italia (n. 1), n. 36813/97, §§ 186-188, del 29 marzo 2006; Surmeli c/Germania (GC), n. 75529/01, § 99, 8 giugno 2006). La Corte ricorda inoltre che il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della Convenzione non può essere interpretato come se fosse suscettibile di dare diritto all'accoglimento di una domanda nel senso in cui l'intende l'interessato (Surmeli, succitata, § 98).
  21. La Corte deve stabilire se il mezzo offerto ai ricorrenti nel diritto italiano possa essere considerato un ricorso effettivo, adeguato ed accessibile, che consente di sanzionare la durata eccessiva di un procedimento giudiziario. Al riguardo, essa ricorda di avere già ritenuto che il ricorso dinanzi alle corti d'appello introdotto in Italia dalla legge Pinto sia accessibile e che niente induca a dubitare della sua effettività (Brusco c/Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001-IX; Scordino (n. 1), succitata, § 144).
  22. Nel caso di specie, la corte d'appello di Roma nonché la corte di cassazione erano competenti a pronunciarsi sulla doglianza dei ricorrenti ed hanno proceduto al suo esame.
  23. Di conseguenza, tenuto conto di quanto è stato deciso in casi italiani simili (si vedano Delle Cave c/Italia, succitata, §§ 35-39 e §§ 43-46; G.M. c/Italia, n. 56293/00, §§ 40-43, 5 luglio 2007), poiché i ricorrenti hanno disposto di un ricorso effettivo per esporre le violazioni della Convenzione che adducevano, non vi è stata violazione dell'articolo 13.

    IV - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  24. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
    "Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa."

    Danni
  25. I ricorrenti chiedono la somma di 50.756,26 EUR ciascuno a titolo di risarcimento del danno materiale e del danno morale.
  26. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
  27. La Corte ritiene che avrebbe potuto concedere a ciascun ricorrente, in mancanza di mezzi d'impugnazione interni, la somma di 7.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale. Pertanto, il fatto che la corte d'appello di Roma, nonché la corte di cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla durata del procedimento, non siano giunte ad una constatazione di violazione porta ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, tenuto conto delle caratteristiche del mezzo d'impugnazione "Pinto" e della soluzione adottata nelle sentenze Cocchiarella c/Italia (succitata, mutatis mutandis §§ 139-142 e 146) e Iarrobino e De Nisco c/Italia (succitata, mutatis mutandis §§ 26-28), deliberando secondo equità, la Corte concede a ciascun ricorrente la somma di 3.000 EUR a titolo di risarcimento dei danni morali.

    Spese
  28. I ricorrenti chiedono il rimborso di 7.448,98 EUR per le spese sostenute dinanzi agli organi interni, poi dinanzi alla Corte.
  29. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
  30. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il rimborso delle spese ai sensi dell'articolo 41 presuppone che siano accertate la realtà, la necessità e la ragionevolezza del loro tasso. Inoltre, le spese di giustizia sono recuperabili solo nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (si vedano, ad esempio, Beyeler c/Italia (equa soddisfazione) (GC), n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c/Germania (GC), n. 30943/96, § 105, CEDU 2003-VIII).
  31. Quanto alle spese sostenute dai ricorrenti, la Corte ritiene ragionevole rimborsare ai ricorrenti le spese di giustizia che sono stati obbligati a pagare nell'ambito del procedimento "Pinto", in particolare, 542,28 EUR ciascuno, nonché le spese del procedimento a Strasburgo. Deliberando secondo equità come vuole l'articolo 41 della Convenzione, la Corte concede a ciascun ricorrente la somma di 1.800 EUR.

    Interessi moratori
  32. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA',

  1. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare a ciascuno dei ricorrenti, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 3.000 EUR (tremila euro) a titolo di risarcimento del danno morale;
      2. 1.800 EUR (milleottocento euro) a titolo di rimborso delle spese;
      3. ogni importo che possa essere dovuto a titolo d'imposta su dette somme;
    2. che a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.

Redatto in francese, poi comunicato per iscritto il 16 ottobre 2007 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

S. Dolle
Cancelliere

F. Tulkens
Presidente

All'origine della causa vi è un ricorso (n.45836/99) nei confronti della Repubblica Italiana con il quale due cittadini Raffaele Capone e Saverio Centrella hanno adito la Corte il 14 gennaio 1999 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il 14 dicembre 2004 la Corte ha deciso di trasmettere il ricorso al Governo.
Con decisione del 27 gennaio 2005, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ammissibile.
I ricorrenti erano stati imputati in un procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Benevento per i reati di sottrazione di fondi statali e di abuso di autorità pubblica. L'iter giudiziario si era concluso con l'assoluzione per prescrizione con pronuncia della Corte d'Appello di Napoli del 3 novembre 1998.
Il 6 luglio 2001 i ricorrenti adirono la Corte d'appello di Roma ai sensi della legge Pinto per lamentare la durata del procedimento in cui erano stati imputati. I ricorrenti, pertanto nel frattempo chiesero alla Corte di sospendere l'esame del ricorso.
La richiesta alla Corte d'appello di Roma era di concludere per la violazione dell'art. 6 § 1 con l'attribuzione di un risarcimento del danno pari a L. 12.000.000 ciascuno, citando a loro sostegno il caso Iarrobino e De Nisco c/Italia.
La Corte d'appello rigettò la tesi dei ricorrenti del danno subito poiché l'azione penale era prescritta. La Corte condannò i ricorrenti alle spese di giustizia Successivamente, con decisione del 4 luglio 2001, la Corte di Cassazione rigettò il ricorso con conseguente ulteriore condanna alle spese.
I ricorrenti chiedono alla Corte Edu di riprendere l'esame del ricorso: lamentano la durata del procedimento penale e ritengono che il rigetto delle loro richieste nell'ambito del procedimento Pinto vada contro la giurisprudenza della Corte.
La Corte deve stabilire se il mezzo offerto ai ricorrenti nel diritto italiano possa essere considerato un ricorso effettivo.
La conclusione della stessa Corte Edu è per l'effettività del rimedio: la corte d'appello di Roma e la Corte di Cassazione erano competenti a pronunciarsi sulla doglianza dei ricorrenti, procedendo al suo esame. Ne consegue che poiché i ricorrenti hanno disposto di un ricorso effettivo per esporre le violazioni della Convenzione che avevano addotto, non vi è stata violazione dell'art. 13.
La Corte conclude all'unanimità che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e che non vi è stata violazione dell'art. 13 della Convenzione.
La sentenza è divenuta definitiva il 31 marzo 2008 (ex art. 44 § 2 della Convenzione).