Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 ottobre 2007 - Ricorso n. 64215/01 - causa De Trana c. Italia

Ritenuta violazione dell’art. 6 § 1 della Cedu per diniego di accesso ad un tribunale derivante dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione di una decisione giudiziaria che riconosceva un diritto di credito e dell’art. 1 Prot. 1 per una lesione del diritto al rispetto dei beni.

In sintesi la Corte EDU ha ritenuto la violazione dell’art. 6 § 1 della Cedu,  sotto il profilo del diniego di accesso ad un tribunale derivante dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Potenza, che riconosceva loro un diritto di credito.
Più specificatamente la Corte Edu ha ritenuto che la situazione protratta di inadempimento della decisione giudiziaria: ordinanza del Tribunale di Potenza del 5 settembre 1997, che resta a tutt’oggi ancora non eseguita, costituisce una limitazione dell’effettività del diritto di accesso alla giustizia (§ 36 della sentenza ) e “che le difficoltà amministrative che sarebbero derivate dal preteso comportamento negativo dei ricorrenti”, “non possono considerarsi come circostanze particolari atte a giustificare l’eccessivo protrarsi della mancata esecuzione della decisione giudiziaria favorevole ai ricorrenti” ( § 38 della sentenza) e “che l’omissione delle autorità italiane di conformarsi all’ordinanza del tribunale di Potenza per quasi vent’anni abbia ostacolato il diritto dei ricorrenti ad una protezione giudiziaria effettiva garantita dall’art. 6 § 1 della CEDU” (§ 39 della sentenza).
Per quanto riguarda la lesione del diritto al rispetto dei beni, art. 1 Prot. 1, la Corte EDU ha ritenuto “che rifiutando di pagare ai ricorrenti le somme dovute, nonostante l’avvio di esecuzione forzata e dopo molti anni di attesa, le autorità competenti hanno compromesso il diritto al rispetto dei loro beni.

CONSIGLIO D’EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA DE TRANA c. ITALIA(ricorso n. 64215/01)

SENTENZA
STRASBURGO 16 ottobre 2007

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma
 
Nella causa de Trana c. Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da :
F. TULKENS, presidente,
A.B. BAKA,
I. CABRAL BARRETO,
M. UGREKHELIDZE,
V. ZAGREBELSKY,
A. MULARONI,
D. POPOVIĆ, giudici,
e da S. DOLLÉ, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 25 settembre 2007,
Pronuncia la seguente sentenza adottata in quest’ultima data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n° 64215/01) diretto contro la Repubblica italiana proposto da due cittadini di questo Stato, Pasquale e Bruno de Trana (« i ricorrenti »), i quali hanno adito la Corte il 27 novembre 2000 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (« la Convenzione »).
2.  I ricorrenti sono rappresentati dall’avvocato Raffaelle Fonliano, del foro di Calvello. Il Governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, I.M. Braguglia, e dal suo cogente, F. Crisafulli.
3.  I ricorrenti lamentavano in particolare la mancata esecuzione di una decisione giudiziaria che riconosceva loro un diritto di credito.
4.  Con una decisione del 22 settembre 2005, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile.
5.  Sia i ricorrenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito del caso (articolo 59 § 1 del regolamento).

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

6.  I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1934 e nel 1942 e risiedono a Calvello.
7.  Sono proprietari di un terreno agricolo che confina con un poligono di tiro delle forze armate italiane. Il 29 aprile 1988, il terreno, facente parte della « zona che poteva essere eventualmente raggiunta dai colpi », fu evacuato e occupato dalle forze armate in vista dello svolgimento di un’esercitazione militare. Venne concessa un’indennità di occupazione ai ricorrenti.
8.  Durante l’esercitazione di tiro, che ebbero luogo tra il 1° ed il 12 maggio 1988, il terreno dei ricorrenti, nonché alcuni edifici che si trovavano sullo stesso e degli attrezzi da lavoro, furono danneggiati.
9.  Tra il 1988 e maggio 1990, il Ministero della Difesa invitò i ricorrenti a fornire le informazioni necessarie per instaurare la procedura di risarcimento prevista dalla legge n° 898 del 1976, in materia di regolamentazione delle servitù militari.
10.  L’11 agosto 1990, i ricorrenti presentarono al Ministero della Difesa la loro richiesta di risarcimento dei danni accompagnata dalle informazioni richieste dalla legge.

La procedura di risarcimento dei danni

11.  Con atto notificato il 14 novembre 1990, i ricorrenti nonché la moglie del primo ricorrente citarono in giudizio innanzi al tribunale di Potenza il Ministero della Difesa al fine di ottenere un risarcimento.
12.  L’istruzione della causa iniziò il 16 gennaio 1991. Il 14 aprile 1994, il tribunale dispose una perizia tecnica per la valutazione dei danni. Il perito nominato d’ufficio depositò il suo rapporto in data non precisata.
13.  Il 13 dicembre 1995, i ricorrenti, rilevando che la fase istruttoria della causa era terminata, chiesero la liquidazione delle somme determinate dal perito a titolo di risarcimento ai sensi dell’articolo 186 quater del codice di procedura civile (« Ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione »).
14.  L’amministrazione non contestò né la richiesta dei ricorrenti né l’esistenza del suo debito nei loro confronti.
15.  Il 5 settembre 1997, il tribunale di Potenza accolse la richiesta dei ricorrenti e pronunciò un’ordinanza conformemente all’articolo 186 quater. Qualificando come risarcimento del danno la fonte dell’obbligo dell’amministrazione, il tribunale accordò ai ricorrenti la somma di 22.0684.300 lire italiane, cioè 11.715,46 EURO, rivalutata e maggiorata degli interessi legali dalla data del fatto illecito.
16.  La procedura sul merito è ancora oggi pendente presso il tribunale di Potenza.

L’attività intrapresa dai ricorrenti al fine di ottenere l’esecuzione dell’ordinanza

17.  L'ordinanza del 5 settembre 1997 fu notificata al Ministero della Difesa il 6 novembre 1997.
Con lettera del 2 dicembre 1997, i ricorrenti sollecitarono al Ministero il pagamento della somma liquidata dal tribunale, rivalutata e maggiorata degli interessi.
18.  Con le note del 20 novembre 1997 e dell’8 gennaio 1998, l'amministrazione chiese ai ricorrenti di fornire i dati personali al fine di procedere al pagamento. I ricorrenti risposero a tali richieste il 14 gennaio 1998.
19.  Poiché l'amministrazione non aveva eseguito l’ordinanza, il 9 marzo 1998, i ricorrenti notificarono al Ministero della Difesa un atto di precetto.
20.  Il 5 giugno 1998, i ricorrenti avviarono una procedura di pignoramento presso terzi presso la Banca d’Italia. Il 3 marzo 1999, nell'udienza fissata dinnanzi al tribunale di prima istanza di Roma, il rappresentante della Banca d’Italia dichiarò l’inesistenza, all’interno dell’istituto, di somme del Ministero della Difesa che potessero essere pignorate.
21.  Nel frattempo, il 31 agosto 1998, il Ministero della Difesa, avendo constatato il decesso della moglie del primo ricorrente, inizialmente parte nella procedura di risarcimento e titolare del credito, chiese ai ricorrenti di fornire un aggiornamento dei dati personali necessari per il pagamento. Inoltre, l’amministrazione invitò i ricorrenti a rinunciare alla procedura di pignoramento intrapresa davanti al tribunale di Roma.
22.  Il 9 ottobre 1998, i ricorrenti rinunciarono al pignoramento.
23.  Il 15 settembre 1999, i ricorrenti notificarono all’amministrazione un nuovo atto di precetto.
24.   Poiché l'amministrazione non aveva eseguito l’ordinanza, con atto notificato al Ministero della Difesa l’8 marzo 2000, i ricorrenti ingiunsero di nuovo all’amministrazione di pagare. Quest’ultima non eseguì.
25.  I ricorrenti avviarono allora dinnanzi alla Corte d’appello di Potenza un pignoramento presso una caserma situata nella stessa città. Il 6 giugno 2000, giorno fissato per il pignoramento, l'ufficiale giudiziario prese atto del fatto che i beni che si trovavano nella caserma non potevano essere pignorati in quanto proprietà dello Stato.
26. Il 23 agosto 2002, i ricorrenti notificarono al Ministero della Difesa un terzo atto di precetto.
27.  Secondo le ultime informazioni fornite dai ricorrenti, l’Amministrazione non ha ancora adempiuto

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
28.  L'articolo 186 quater del codice di procedura civile italiano è così formulato:
« Esaurita l'istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme (…) può disporre con ordinanza il pagamento, (…) nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova (…).
L'ordinanza è titolo esecutivo. Essa è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio. (…)».

IN DIRITTO

I.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

 29.  I ricorrenti lamentano un diniego di accesso ad un tribunale derivante dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione dell’ordinanza del tribunale di Potenza che riconosceva loro un diritto di credito. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, è formulato come segue :
 « Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, (…) ed entro un termine ragionevole da un tribunale (…) il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»

30.  Il Governo si oppone a tale tesi

A.  Argomenti delle parti

31.  Il Governo non contesta che il diritto invocato dai ricorrenti dinnanzi alle autorità giudiziarie nazionali sia un diritto di carattere civile ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione. Tuttavia, l'esecuzione dell’ordinanza del tribunale di Potenza non può costituire l’oggetto di un’obbligo per lo Stato, perché non costituisce una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria. Infatti, essendo la suddetta ordinanza provvisoria, non dirime il caso in modo irrevocabile e rimane suscettibile di essere inficiata dalle autorità giudiziarie nel corso di una procedura di merito. Questo significa che i ricorrenti potrebbero essere obbligati a restituire totalmente o parzialmente le somme percepite.
32.  Inoltre, essa afferma che i ritardi nella procedura di esecuzione, già complessa in sé, sono in grande misura imputabili al comportamento dei ricorrenti. Di fronte al comportamento positivo dell’amministrazione, che non ha mai contestato l’esistenza del suo debito nei confronti dei ricorrenti, questi hanno sempre opposto un comportamento reticente, rifiutando dapprima di fornire i dati necessari alla messa in opera della procedura d’indennizzo e ricorrendo poi alla via giudiziaria per risolvere la controversia. Tali pratiche, dettate secondo il Governo da un pregiudizio dei ricorrenti nei confronti delle forze armate, hanno sensibilmente rallentato lo svolgimento della causa.
 33.  Per quanto riguarda l’affermazione dei ricorrenti secondo cui l’impossibilità di pignorare i beni dello Stato renderebbe vana ogni possibilità di azione che miri ad ottenere il recupero del loro credito, il Governo rileva che solo i beni indispensabili al compimento delle funzioni istituzionali dello Stato non sono pignorabili. Per cui, sarebbe stato possibile per i ricorrenti ottenere la soddisfazione desiderata mirando a beni che non rientrano in tale categoria.
 34.  I ricorrenti affermano che i danni causati ai loro beni dalla pubblica amministrazione sono stati constatati da molto tempo senza che la questione sia ancora risolta. Essi non capiscono perché avrebbero dovuto aspettare che l’amministrazione si attivasse senza tentare di ottenere l’esecuzione forzata del loro diritto di credito. D’altronde, fino ad ora, ogni tentativo di ottenere una qualche soddisfazione è stato inutile a causa dell’impossibilità di pignorare i beni dello Stato.
35.  Rilevano in seguito che l’ordinanza del tribunale di Potenza è obbligatoria, conformemente all'articolo 186 quater del codice di procedura civile, in quanto pronunciata dopo che erano stati raccolti tutti gli elementi della causa e terminata l’istruzione. In più, visto che l’amministrazione non ha contestato la somma della riparazione fissata dall’ordinanza, è molto probabile che la stessa verrà confermata dalla sentenza definitiva di merito.

B.  Valutazione della Corte

36.  La Corte ricorda che nella sentenza Hornsby c. Grecia (del 19 marzo 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-II), ha affermato che l’esecuzione di una sentenza o di una decisione, di qualsiasi autorità giudiziaria si tratti, deve essere considerata come facente parte integrante del « processo » ai sensi dell'articolo 6. Se l'amministrazione rifiuta o omette di eseguirla, oppure ritarda di farlo, le garanzie dell'articolo 6 di cui ha beneficiato il giudicabile nella fase giudiziaria della procedura perderebbero ogni ragion d’essere (p. 511, §§ 40-41).
37.  Essa ricorda anche che il diritto all’esecuzione di una decisione giudiziaria è uno degli aspetti del diritto d'accesso alla giustizia (Hornsby c. Greciagià citata, § 40). Tale diritto non è assoluto e per la sua stessa natura richiede una disciplina da parte dello Stato. Gli Stati contraenti godono in materia di un certo margine di valutazione. Spetta però alla Corte decidere in ultima istanza sul rispetto delle esigenze della Convenzione; deve convincersi che le limitazioni poste in essere non comprimono le possibilità di accesso del singolo in un modo o ad un punto tale che il diritto venga compromesso nella sua stessa sostanza. Tale limitazione si concilia con l’articolo 6 § 1 solo se persegue un fine legittimo, e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e il fine perseguito. Se la compressione è incompatibile con i suoi principi, non c’è violazione dell’articolo 6 (Popescu c. Romania, no 48102/99, 2 marzo 2004, § 66).
38.  Nel caso di specie, la Corte osserva che l’ordinanza del tribunale di Potenza, resa il 5 settembre 1997, resta ancora oggi non eseguita. Tale situazione protratta di inadempimento della decisione giudiziaria costituisce una limitazione dell’effettività del diritto di accesso alla giustizia (Dimitrios Georgiadis c. Grecia, n°  41209/98, 28 marzo 2000 ; Matheus c. Francia, n° 62740/00, 31 marzo 2005).
39.  La Corte non è convinta dagli argomenti del Governo secondo cui l’ordinanza del tribunale di Potenza, non definitiva, non sarebbe esecutiva per lo Stato. Osserva che tale ordinanza, pronunciata dopo che l’istruzione era stata completata e che tutti gli elementi riguardanti il credito dei ricorrenti erano riuniti, costituisce un titolo esecutivo. D’altronde, l’ordinanza controversa non può essere oggetto di appello, potendo essere eventualmente revocata solo dalla decisione che decida sul merito della causa.
40.  In tali circostanze, la Corte ritiene che il caso di specie si differenzi dal caso Ouzounis e altri c. Grecia (no49144/99, § 25, 18 aprile 2002, non pubblicato), dove la Corte ritenne che i ricorrenti non potevano pretendere di avere una « speranza legittima » di ottenere il riconoscimento del credito reclamato, perché la decisione giudiziaria a loro favore era stata appellata e quindi rimessa al controllo di una istanza superiore.
41.  La Corte nota peraltro che i ricorrenti hanno anche provato più volte ad ottenere il pagamento del loro credito per vie legali, senza tuttavia raggiungere il risultato sperato.
Essa ritiene che le difficoltà amministrative che sarebbero derivate dal preteso comportamento negativo degli interessati, esposte dal Governo per giustificare il ritardo nell’esecuzione, non possono considerarsi come circostanze particolari atte a giustificare l’eccessivo protrarsi della mancata esecuzione della decisione giudiziaria favorevole ai ricorrenti.
42.  Visti gli elementi del fascicolo, la Corte ritiene che l’omissione delle autorità italiane di conformarsi all’ordinanza del tribunale di Potenza per quasi venti anni abbia ostacolato il diritto dei ricorrenti ad una protezione giudiziaria effettiva garantita dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Pertanto, vi è stata violazione di questa disposizione.

II.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 1

43.  I ricorrenti sostengono inoltre che il rifiuto delle autorità competenti di versare loro la somma riconosciuta dal tribunale a titolo di risarcimento del danno comporta una lesione del loro diritto al rispetto dei loro beni garantito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1 che è formulato come segue:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

44.  Il Governo sostiene che dal momento che il caso dei ricorrenti non è stato deciso da una sentenza irrevocabile, il credito di questi ultimi non è sufficientemente certo ed esigibile.
45.  I ricorrenti contestano questo argomento.
46.  La Corte ricorda che un «credito» può costituire un «bene» ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n° 1, a condizione di essere sufficientemente certo per essere esigibile (sentenza Raffinerie greche Stran e Stratis
Andreadis c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A n° 301-B, p. 84, § 59). Ricorda anche che la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all’insieme degli articoli della Convenzione (sentenza Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Recueil 1996-III, pp. 850-851, § 50) e implica l’obbligo dello Stato o di una autorità pubblica di conformarsi ad una sentenza o a una decisione resa nei loro confronti (si veda, mutatis mutandis, la sentenza Hornsby già citata, p. 511, § 41). Ne consegue che l’esigenza di valutare se è stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia dal 23 settembre 1982, serie A no 52, p. 26, § 69) può essere ravvisata solo quando si è verificato che l’ingerenza oggetto della lite ha rispettato il principio di legalità e non era arbitraria (sentenza Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDU 1999–II del 25 marzo 1999, Recueil 1999)
 47.  La Corte nota che nel caso di specie l’ordinanza del tribunale di Potenza aveva ammesso un debito dell’amministrazione dello Stato verso i
ricorrenti. Questa decisione, che non poteva essere impugnata in appello, conferiva quindi ai ricorrenti un credito sufficientemente certo ed un diritto incontestato dei ricorrenti alle somme concesse. D’altronde, come lo stesso Governo sottolinea, l’amministrazione non ha mai negato l’esistenza del
suo debito nei confronti dei ricorrenti, né ha in alcun momento contestato
l’ammontare del risarcimento.
48.  La Corte ritiene, quindi, che rifiutando di pagare ai ricorrenti le somme dovute, nonostante l’avvio di una procedura di esecuzione forzata e dopo molti anni di attesa, le autorità competenti hanno compromesso il diritto al rispetto dei loro beni ai sensi della prima frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n° 1. Secondo il parere della Corte, questa ingerenza non si fondava su alcuna giustificazione valida; era perciò arbitraria e comportava una violazione del principio di legalità. Tale conclusione esime la Corte dal verificare se è stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti individuali (si veda Iatridis, già
citata, § 62).
Per cui, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.

III.  SUR L'APPLICATION DE L'ARTICLE 41 DE LA CONVENTION

49.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi e stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa. »

A.  Danno
50.  I ricorrenti chiedono 57.000 EURO a titolo di danno materiale derivante dall’impossibilità di utilizzare il terreno e gli edifici danneggiati dallo Stato durante l’esercitazione militare del 1988.
 Per quanto riguarda il danno morale, chiedono 100.000 EURO ciascuno, a causa dell’angoscia e dello sconforto provati nel corso della procedura oggetto della lite.
 51.  Il Governo considera che il risarcimento richiesto a titolo di danno materiale non è provato e non è in stretto rapporto con le pretese violazioni della Convenzione.
 In ogni caso, considera eccessive le somme richieste dal ricorrente per i danni morali e materiali.
52.  La Corte sottolinea che in virtù dell’articolo 60 del suo regolamento, ogni pretesa in materia di equa soddisfazione deve essere quantificata e ventilata per rubrica, esposta per iscritto e accompagnata dalle giustificazioni necessarie, in mancanza delle quali la Corte può respingere la domanda, in tutto o in parte (Romachov c. Ucraina, no 67534/01, § 49, 27 luglio 2004).
53.  Per quanto riguarda il danno materiale, la Corte non nota nessun nesso di causalità tra le violazioni constatate e l’impossibilità per i ricorrenti di utilizzare i beni danneggiati dai colpi dell’esercito italiano nel 1988. Pertanto, la Corte respinge le pretese formulate a titolo di danno materiale, che non sono peraltro sostenute da nessun elemento.
54.  Tuttavia, la Corte nota che nel caso si specie ha riscontrato la violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n° 1 a causa dell’omissione dell’amministrazione di conformarsi all’ordinanza del tribunale di Potenza del 5 settembre 1997 e osserva che il debito fondato sulla suddetta ordinanza non è ancora stato pagato.
55.  La Corte richiama la sua consolidata giurisprudenza secondo la quale nel caso di violazione della Convenzione e dei suoi Protocolli si devono porre i ricorrenti, il più possibile, in una situazione equivalente a quella nella quale si troverebbero se non ci fosse stata alcuna violazione delle disposizioni convenzionali in causa (Piersack c. Belgio (articolo 50), sentenza del 26 ottobre 1984, serie A no 85, p. 16, § 12). Una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico, non solo di versare all’interessato le somme accordate in sede di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, eventualmente, individuali da adottare nel suo ordine giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte ed eliminare il più possibile le conseguenze, in modo da ripristinare la situazione anteriore alla violazione (Ilaşcu e altri c. Moldavia e Russia [GC], no 48787/99, § 487, CEDU 2004-VII).
56.  Tenuto conto degli elementi in suo possesso la Corte considera che nella fattispecie il modo più appropriato per riparare alle violazioni constatate è porre fine al più presto alla situazione di non esecuzione (si vedano, Plotnikovy c. Russia, no 43883/02, § 33, 24 febbraio 2005 ; Apostol c. Georgia, no 40765/02, §§ 71-73, CEDU 2006-...).
57.  Inoltre, la Corte ritiene che i ricorrenti hanno subito un danno morale certo derivante dalla frustrazione provocata dall’omissione reiterata dall’amministrazione di dare esecuzione e considera che tale danno non sia sufficientemente compensato da una constatazione della violazione (si veda, tra altri, Antonetto c. Italia, già citata, Dactylidi c. Grecia, no 52903/99, § 58, 27 marzo 2003 e Fotopoulou c. Grecia, già citata). Statuendo secondo equità, la Corte accorda a ciascuno dei ricorrenti 5.000 EURO a questo titolo.

B.  Spese legali
58.  I ricorrenti chiedono il rimborso delle spese sostenute per cercare di ottenere il pagamento del loro credito dal Ministero della Difesa. In particolare, quantificano le spese sopportate per gli atti di precetto e i tentativi di pignoramento in 1.900 EURO.
I ricorrenti richiedono anche 9.238,75 EURO a titolo di spese per la procedura dinnanzi alla Corte.
59.  Le Governo sostiene che le spese relative alla procedura interna non hanno nessun rapporto con le violazioni della Convenzione. Per quanto riguarda i costi della procedura di Strasburgo, il Governo si rimette alla
saggezza della Corte.
60.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle proprie spese solo nella misura in cui ne sia provata la realtà, necessità, e ragionevolezza del loro ammontare (si veda, tra molte altre, Nilsen e Johnsen c. Norvegia [GC], no 23118/93, § 62, CEDU 1999- VIII).
61.  Nella fattispecie e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene che i ricorrenti hanno il diritto di chiedere il rimborso delle spese relative alla procedura interna  e, considerando ragionevole la somma richiesta a questo titolo, la accorda interamente.
62.  Per quello che riguarda le spese riferite alla procedura attuale, la Corte ritiene eccessiva la richiesta dei ricorrenti e, decidendo secondo equità, decide di accordare loro, congiuntamente, 1 500 EURO a questo titolo.
C.  Interessi moratori
63.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse di finanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuale.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’

1.  Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
2.  Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3.  Dichiara

  1. che lo Stato, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà
  2. diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, deve garantire, con misure appropriate, l’esecuzione integrale dell’ordinanza del 5 settembre 1997 del tribunale de Potenza ;
  3. che lo Stato dovrà versare, entro tre mesi,
    i) 5.000 EURO (cinque mila euro) a ciascuno dei ricorrenti a titolo di danno morale,
    ii) 3.400 EURO (tremila quattrocento euro), congiuntamente ai ricorrenti, a titolo di spese,
    iii) più ogni altra somma dovuta a titolo di imposta su tali somme;
  4. che a partire dalla scadenza del suddetto termine e fino al versamento, l’ammontare di tali somme dovrà essere maggiorato di un interesse semplice pari al tasso di interesse di finanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuale ;

4. Respinge la richiesta di equa soddisfazione per il surplus.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 ottobre 2007 ai sensi dell’articolo 77 § 2 e 3 del regolamento. 

S. DOLLÉ F. 
Cancelliere 

TULKENS
Presidente