Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 novembre 2007 - Ricorso n.15619/04 - Attanasio c/Italia

Diritto alla tutela dell'art. 3 della Convenzione nel regime di detenzione previsto dall'art. 41 bis della legge n. 354 del 1975. Diritto alla tutela previsto dall'art. 8 della Convenzione in relazione al rispetto della corrispondenza. Assenza del suo diritto di accesso ad un tribunale così come previsto dall'art. 6 § 1 della Convenzione. Mancata violazione dei richiamati articoli di tutela della Convenzione: conseguente irricevibilità del ricorso.

La persona detenuta ha interesse ad ottenere una decisione dall'autorità giudiziaria preposta anche se il periodo di validità del decreto impugnato è scaduto per gli effetti diretti della decisone sui decreti successivi a quello impugnato.

SECONDA SEZIONE
DECISIONE SULLA RICEVIBILITA' Del ricorso n. 15619/04 presentato da Alessio ATTANASIO contro l'Italia

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione), riunita il 13 novembre 2007 in una camera composta da :

F. TULKENS, presidente,

A.B. BAKA,
R. TÜRMEN,
M. UGREKHELIDZE,
V. ZAGREBELSKY,
D. JOCIENE,
D. POPOVIC, giudici,

e da F. ELENS-PASSOS, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il summenzionato ricorso introdotto il 17 aprile 2004,
Vista la decisione della Corte di avvalersi dell'articolo 29 § 3 della Convenzione e di esaminare contemporaneamente la ricevibilità ed il merito della causa,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle di risposta presentate dal ricorrente,
Dopo averne deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

  1. Il ricorrente, signor M. Alessio Attanasio, è un cittadino italiano, nato nel 1970 e detenuto nel carcere di Viterbo.

    Le circostanze della fattispecie
  2. I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.

    Decisioni giudiziarie riguardanti il ricorrente
  3. La corte d'appello di Catania condannò il ricorrente a cinque anni di reclusione per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso. Il 23 giugno 2003, il giudice delle indagini preliminari di Catania condannò il ricorrente a sei anni di reclusione per i delitti di estorsione e aggressione a mano armata.
  4. A carico del ricorrente furono avviati altri procedimenti penali per fatti criminali legati alla sua appartenenza ad una organizzazione di stampo mafioso.
  5. Il 2 maggio 2005, il procuratore presso la corte d'appello di Catania emise un provvedimento di cumulo delle pene nei confronti del ricorrente.

    Il regime di detenzione previsto dall'articolo 41 bis della legge sull'ordinamento penitenziario
  6. Il 28 dicembre 2002, tenuto conto della pericolosità del ricorrente, il Ministro della Giustizia adottò un decreto con il quale gli veniva imposto per il periodo di un anno il regime di detenzione speciale previsto dall'articolo 41 bis, comma 2, della legge sull'ordinamento penitenziario - nº 354 del 26 luglio 1975 ("la legge nº 354/1975"). Modificata dalla legge nº 356 del 7 agosto 1992, questa norma derogava alle normali condizioni di detenzione qualora lo esigessero ragioni di ordine e di sicurezza pubblica. Il citato decreto imponeva le seguenti restrizioni:
    • limitazione delle visite con i membri della famiglia (al massimo una al mese per un'ora) ;
    • divieto di incontrare terze persone ;
    • divieto di usare il telefono (al massimo una chiamata al mese con i membri della famiglia - sottoposta a registrazione - e ciò soltanto se non si è svolto nessun incontro con i membri della famiglia);
    • divieto di ricevere o di inviare all'esterno delle somme di denaro oltre una determinata cifra;
    • divieto di ricevere più di due pacchi al mese, ma possibilità di riceverne due all'anno contenenti biancheria ;
    • divieto di eleggere i rappresentanti di detenuti e di essere eletti a questo titolo;
    • limitazione delle ore di permanenza all'aperto a quattro ore al giorno (di cui due ore da trascorrere in biblioteca, in palestra o in gruppi di cinque persone al massimo)
  7. Inoltre, tutta la corrispondenza del ricorrente doveva essere sottoposta a controllo su preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
  8. Il ricorrente afferma anche di essere stato sottoposto ad una serie di altre limitazioni e restrizioni che, secondo lui, avrebbero leso la sua dignità di uomo. In particolare, egli dichiara:
    1. la perquisizione, il denudamento e l'ispezione della cavità anale dopo ogni partecipazione ad una udienza, benché questa partecipazione si sia svolta in una sala d'udienza o a distanza in videoconferenza, in un luogo scelto dall'amministrazione penitenziaria e sotto la costante sorveglianza degli agenti;
    2. essere stato costretto a mangiare per terra e a dormire nudo ;
    3. essere stato sottoposto ad un completo isolamento che comportava una mancanza quasi totale di attività sportive, ricreative e di lavoro;
  9. Il ricorrente introdusse parecchi reclami innanzi al magistrato di sorveglianza e parecchie denunce innanzi all'autorità giudiziaria. L'esito di queste denunce non è noto.
  10. L'applicazione del regime speciale fu in seguito prorogato più volte per dei periodi successivi di un anno fino al 6 ottobre 2006, l'ultimo decreto comunicato alla Corte è datato 7 ottobre 2005.
  11. Il 2 gennaio 2003, il ricorrente introdusse un ricorso innanzi al tribunale di sorveglianza di L'Aquila avverso il decreto del 28 dicembre 2002. Egli contestava l'applicazione del regime speciale nei suoi confronti e denunciava la mancanza di ragioni concrete che ne giustificassero l'applicazione. Lamentava inoltre la limitazione dei colloqui con i membri della sua famiglia.
  12. Con la decisione del 29 luglio 2003, il tribunale di sorveglianza di L'Aquila ritenne pienamente giustificata l'applicazione del regime speciale, ma soppresse le limitazioni riguardanti il numero delle visite dei membri della famiglia del ricorrente.
  13. Il 23 aprile 2004, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente introdotto in una data non precisata avverso la decisione del 29 luglio 2003 ritenendolo manifestamente infondato.
  14. Il 27 dicembre 2003, il ricorrente introdusse innanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna un ricorso contro il decreto del 23 dicembre 2003; il ricorso fu respinto il 18 marzo 2004 in quanto l'applicazione del regime speciale era giustificata alla luce delle informazioni raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziarie sul conto del ricorrente.
  15. Il 13 aprile 2004, il ricorrente propose ricorso per cassazione.
  16. Il 23 febbraio 2005, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente ritenendolo manifestamente infondato.
  17. Il ricorrente introdusse innanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna un ricorso contro il decreto del 17 dicembre 2004; il ricorso fu rigettato il 12 aprile 2005 in quanto l'applicazione del regime speciale era giustificata alla luce delle informazioni raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziarie sul conto del ricorrente.
  18. Il ricorrente introdusse in innanzi alla tribunale di sorveglianza di Roma un ricorso contro il decreto del 7 ottobre 2005.
  19. Con una decisione dell'8 novembre 2005, depositata in cancelleria il 15 novembre 2005, il tribunale di sorveglianza confermò il decreto del 7 ottobre 2005, ritenendo pienamente giustificata l'applicazione del regime speciale pur sopprimendo la limitazione ad un'ora della durata di visita per i membri della famiglia del ricorrente.

    L'assegnazione del ricorrente ad un' "area riservata" del carcere
  20. Dal fascicolo risulta che a decorrere dal 19 ottobre 2004, per la sua pericolosità e per la gravità dei delitti commessi, il ricorrente fu posto in isolamento in un' "area riservata" del carcere di Parma. Questa decisione fu adottata in applicazione dell'articolo 14 della legge sull'ordinamento penitenziario (norma che permette che l'assegnazione di un detenuto in aree riservate del carcere quando lo esigano ragioni di sicurezza) combinato con l'articolo 33 della succitata legge (norma che permette di porre in isolamento un detenuto quando lo richiedano ragioni di salute, ragioni legate all'esecuzione della pena o a alla procedura ).
  21. Il 20 gennaio 2005 il DAP di Parma dispose il trasferimento del ricorrente nel carcere di Viterbo.
  22. Con una decisione del 15 dicembre 2005, depositata in cancelleria il 9 gennaio 2006, il magistrato di sorveglianza di Viterbo, su richiesta del ricorrente, revocò il suo collocamento in isolamento nell'"area riservata" ritenendo che non si trovasse più in una delle situazioni previste dall'articolo 33 della legge sull'ordinamento penitenziario che prevedeva la possibilità di sottoporre i detenuti ad isolamento.

    Il controllo della corrispondenza
  23. Dal dicembre 2002, la corrispondenza del ricorrente è sottoposta al controllo delle autorità penitenziarie. Risulta dal fascicolo che un documento contenuto nella lettera del 21 aprile 2004 inviato alla Corte dal ricorrente, è stato controllato l'8 marzo 2004, come provato dal visto di censura.
  24. Inoltre, con due decisioni del giudice di sorveglianza di Reggio Emilia datate 20 luglio 2004 e 27 dicembre 2004, tutta la corrispondenza del ricorrente doveva essere controllata, ad eccezione di quella indirizzata "al Consiglio d'Europa ed alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo". Dette decisioni avevano la validità di sei mesi.
  25. Infine, risulta dal fascicolo che la lettera del 4 ottobre 2005 inviata al ricorrente dalla Corte è stata controllata il 15 ottobre 2005.
  26. Il 16 dicembre 2004, il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia sottopose al controllo la corrispondenza del ricorrente per un nuovo periodo di tre mesi, ad eccezione di quella indirizzata "al Consiglio d'Europa ed alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo".
  27. Il 3 gennaio 2005, il ricorrente introdusse un ricorso innanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna, che respinse il ricorso con una decisione del 18 luglio 2005.
  28. Il 3 febbraio 2005, il magistrato di sorveglianza di Viterbo sottopose al controllo la corrispondenza del ricorrente fino al 17 dicembre 2005.
  29. Il ricorrente introdusse un ricorso innanzi al tribunale di sorveglianza di Roma contro il decreto del 3 febbraio 2005.
  30. Con una decisione del 12 luglio 2005, il tribunale di sorveglianza revocò il decreto in quanto tale decreto aveva disposto il controllo della corrispondenza del ricorrente per un periodo superiore a sei mesi, situazione che è vietata dall'articolo 18 della legge sull'ordinamento penitenziario.
  31. Il 30 agosto ed il 21 ottobre 2005, il magistrato di sorveglianza di Viterbo sottopose a controllo, per un nuovo periodo di tre mesi, la corrispondenza del ricorrente, ad eccezione di quella indirizzata "al Consiglio d'Europa ed alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo".

    Il diritto e la prassi interni pertinenti

    L'articolo 41 bis della legge no 354 del 1975 e le disposizioni pertinenti in materia di controllo della corrispondenza
  32. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha riassunto il diritto e la prassi interni pertinenti per quanto riguarda il regime di detenzione applicato nella fattispecie e il controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, nº 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004). Essa ha anche accolto le modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 (ibidem).
  33. Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (in ultimo luogo la sentenza Ganci c. Italia del 30 ottobre 2003, §§ 19-31, CEDH 2003-XI), la Corte di cassazione si è discostata dalla sua precedente giurisprudenza ed ha ritenuto che un detenuto ha interesse ad ottenere una decisione, anche se il periodo di validità del decreto impugnato è scaduto, e questo per gli effetti diretti della decisione sui decreti successivi a quello impugnato. (Corte di cassazione, prima sezione, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 février 2004, no 4599, Zara).

    L'assegnazione dei detenuti ad un' "area riservata" del carcere
  34. Con la circolare no 3470/5920 del 20 febbraio 1998, in base al principio di individualizzazione del trattamento penitenziario previsto dagli articoli 13 e 14 della legge sull'ordinamento penitenziario e dal suo regolamento di esecuzione, e tenuto conto della legislazione in materia, in particolare delle sentenze della Corte costituzionale aventi ad oggetto le condizioni di legittimità dell'articolo 41 bis, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, prevede delle sezioni differenziate che raggruppano alcune categorie di detenuti al fine di facilitare le operazioni di controllo. Questa circolare stabilisce le regole pratiche da rispettare al fine di garantire la sicurezza e l'ordine pubblico pur rispettando i diritti fondamentali dei detenuti. Essa prevede le attività alle quali i detenuti possono partecipare e le caratteristiche delle sezioni.

    MOTIVI DI RICORSO
  35. Invocando l'articolo 3 della Convenzione, il ricorrente lamenta di subire trattamenti inumani e degradanti dal momento che è sottoposto alle restrizioni previste dall'articolo 41bis della legge sull'ordinamento penitenziario nonché ad altre restrizioni quali perquisizioni personali nel corso delle quali non viene fatta salva la sua intimità. Inoltre, il ricorrente lamenta di essere stato assegnato ad un' "area riservata" del carcere in completo isolamento. Egli sostiene che queste condizioni di detenzione sono insopportabili
  36. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto al rispetto della sua vita familiare a causa delle restrizioni alle quali è sottoposto da molto tempo e le modalità delle visite dei familiari. Egli si lamenta anche della violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza.
  37. Invocando l'articolo 13 della Convenzione, egli lamenta di non disporre di alcun ricorso interno effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione. In particolare egli allega il ritardo impiegato dalle autorità giudiziarie nell'esame dei suoi ricorsi contro i decreti del Ministro della Giustizia.

    IN DIRITTO

    Motivi di ricorso basati sull'articolo 3 della convenzione
  38. Il ricorrente lamenta di subire trattamenti inumani. Egli invoca l'articolo 3 della Convenzione ai sensi del quale: " Nessuno può essere sottoposto a tortura, né pene o trattamenti inumani o degradanti. "
  39. Il Governo si oppone a questa tesi.

    Applicazione del regime previsto dall'articolo 41 bis e perquisizioni personali
  40. Il ricorrente lamenta di subire trattamenti inumani dal momento che è sottoposto alle restrizioni previste dall'articolo 41bis della legge sull'ordinamento penitenziario nonché ad altre restrizioni quali le perquisizioni personali nel corso delle quali non viene rispettata la sua intimità.
  41. Il Governo nega qualsiasi ingerenza nei diritti invocati dal ricorrente. Esso sottolinea che il ricorrente è sottoposto al regime previsto dall'articolo 41bis della legge sull'ordinamento penitenziario in considerazione della natura dei crimini per i quali era stato condannato ed al fine di impedirgli di mantenere i contatti con le organizzazioni criminali, e che le restrizioni imposte non raggiungono la soglia minima di gravità necessaria per rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione.
  42. Esso sottolinea innanzitutto che il ricorrente non ha prodotto elementi di prova che permettano di concludere che era sottoposto a maltrattamenti. Poi, per quel che riguarda le perquisizioni personali e la mancanza di intimità nella cella, esso sostiene trattarsi di disagi derivanti dalla necessità di evitare la possibilità di contatti tra il ricorrente, gli altri detenuti, gli avvocati e i parenti.
  43. Il Governo sostiene che le perquisizioni si sono svolte nel rispetto delle disposizioni della legge sull'ordinamento penitenziario e della dignità umana, dopo i contatti del ricorrente con terze persone e per ragioni di sicurezza.
  44. Il Governo sottolinea anche che le restrizioni alle quali il ricorrente era sottoposto erano rese necessarie dal suo stesso comportamento. Egli doveva essere sorvegliato in quanto pericoloso; in effetti aveva bruciato e distrutto la sua cella e aveva incitato gli altri detenuti a fare lo stesso.
  45. Pertanto, il Governo conclude che il mantenimento del ricorrente sotto il regime particolare, che non ha mai comportato il suo isolamento, è giustificato dal bisogno di prevenire qualsiasi possibile interazione con terze persone per finalità che possono mettere in causa la sicurezza e l'ordine pubblico.
  46. La Corte ricorda che l'articolo 3 della Convenzione sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Anche nelle circostanze più difficili, quali la lotta al terrorismo ed al crimine organizzato, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti. L'articolo 3 non prevede restrizioni, in questo esso contrasta con la maggioranza delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli nº 1 e 4 e, conformemente all'articolo 15 § 2, non ammette alcuna deroga, anche in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione (sentenze Labita c. Italia (GC), no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV ; Selmouni c. Francia (GC), no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V ; Assenov e altri c. Bulgaria del 28 ottobre 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998 VIII, p. 3288, § 93). La proibizione della tortura o dei trattamenti inumani o degradanti è assoluta, qualsiasi siano i comportamenti della vittima (sentenza Chahal c. Regno Unito del 15 novembre 1996, Recueil 1996-V, p. 1855, § 79). La natura del reato ascritto al ricorrente (associazione per delinquere di stampo mafioso) è quindi priva di pertinenza per l'esame dal punto di vista dell'articolo 3.
  47. Per ricadere sotto l'effetto dell'articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa per natura; essa dipende da tutti gli elementi della causa, soprattutto dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali nonché, talvolta, dal sesso, dall'età, dallo stato di salute della vittima. Quando un individuo è privato della sua libertà, l'uso della forza fisica nei suoi confronti allorquando ciò non si renda strettamente necessario per il suo comportamento lede la dignità umana e costituisce, in via di principio, una violazione del diritto garantito dall'articolo 3 (sentenze Labita, succitata, § 120 ; Assenov e altri, succitata, p. 3288, § 94 ; Tekin c. Turchia del 9 giugno 1998, Recueil 1998-IV, pp. 1517-1518, §§ 52 e 53).
  48. La Corte ricorda innanzitutto che essa, più volte, ha ritenuto che il regime speciale previsto dal citato articolo 41bis, che comporta un semplice isolamento sociale relativo, non costituisce di per sé un trattamento inumano o degradante (vedere Indelicato c. Italia (dec.), no 31143/96, 6 luglio 2000). Tuttavia essa nota che nella fattispecie il ricorrente afferma di essere stato sottoposto anche ad una serie di altre limitazioni e restrizioni (quali le numerose perquisizioni personali e la mancanza di intimità) che, secondo l'interessato, avrebbero leso la sua dignità umana. La Corte ricorda che "quando un individuo si trova privato della sua libertà, l'uso nei suoi confronti della forza fisica quando essa non si renda strettamente necessaria per il suo comportamento lede la dignità umana e costituisce, in via di principio, una violazione del diritto garantito dall'articolo 3" (Labita c. Italia (GC), no 26772/95, § 120, ECHR 2000 ; Indelicato c. Italia, no 31143/96, 18 ottobre 2001).
  49. Tuttavia, essa ricorda che le dichiarazioni di maltrattamento devono essere sostenute innanzi alla Corte da appropriati elementi di prova (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Klaas c. Geramnia del 22 settembre 1993, serie A no 269, p. 17, § 30). Per stabilire i fatti allegati, la Corte si serve del criterio della prova "al di là di qualsiasi ragionevole dubbio"; tale prova può tuttavia risultare da un fascio di indizi o da presunzioni non rifiutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (asentenza Irlanda c. Regno Unito del 18 gennaio 1978, serie A no 25, p. 65, § 161 in fine).
  50. Visto quanto precede e tenuto conto delle osservazioni del Governo, la Corte ritiene come non provati, aldilà di ogni ragionevole dubbio, gli atti denunciati dal ricorrente. In effetti, il ricorrente non ha fornito alcuna prova che consenta di stabilire che gli atti denunciati erano tali da ingenerare sentimenti di paura e di angoscia atti a svilirlo ed umiliarlo ed abbastanza seri e gravi per concludere nel loro carattere inumano o degradante.
  51. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che questa parte del ricorso è manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    Assegnazione del ricorrente ad un' "area riservata" del carcere
  52. Il ricorrente lamenta anche di essere stato assegnato ad un'"area riservata" nel carcere in completo isolamento. Egli sostiene che queste condizioni di detenzione sono insopportabili.
  53. Il Governo solleva un'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e si oppone alle affermazioni del ricorrente. Esso sostiene che il ricorrente è stato assegnato ad un'"area riservata" del carcere per ragioni di sicurezza e che la detenzione in un'"area riservata" comporta l'impossibilità di comunicare con i detenuti degli altri settori del carcere, ma non comporta alcuna particolare e supplementare restrizione rispetto a quelle che sono imposte dal regime previsto dall'articolo 41bis della legge sull'ordinamento penitenziario.
  54. Nella fattispecie, a partire dal 19 ottobre 2004, a causa della sua pericolosità e della gravità dei delitti commessi, il ricorrente è stato sottoposto a isolamento in un'"area riservata" del carcere di Parma. Il ricorrente si oppose alla decisione che disponeva l'assegnazione in un'area riservata rivolgendosi al magistrato di sorveglianza di Viterbo che, con una decisione del 15 dicembre 2005, depositata in cancelleria il 9 gennaio 2006, revocò questa misura ritenendo che la sua assegnazione all'area riservata non era più necessaria. Ne consegue che l'eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo è priva di fondamento.
  55. La Corte nota tuttavia che la decisione di assegnare il ricorrente ad un'"area riservata" era ampiamente e razionalmente giustificata e che, quando il citato collocamento è risultato non più necessario, la decisione è stata revocata. La Corte ripete che il regime speciale previsto dall'articolo 41bis prima citato non costituisce di per sé un trattamento inumano o degradante (vedere precedente paragrafo 46) e che queste stesse considerazioni si applicano all'assegnazione ad un'"area riservata" del carcere dal momento che quest'ultima non comporta alcuna restrizione supplementare comparabile con il regime 41bis fatta eccezione per il divieto di entrare in contatto con i detenuto degli altri settori del carcere.
  56. Alla luce delle considerazioni che precedono, la corte non può scorgere alcuna parvenza di violazione dell'articolo 3 della Convenzione. Questo motivo di ricorso deve essere quinti respinto in quanto manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    Motivi di ricorso basati sull'articolo 8 della Convenzione
  57. Il ricorrente lamenta un doppia violazione dell'articolo 8 della Convenzione ai sensi del quale: " 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (&) e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, (&) alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati (&)."
  58. Il Governo si oppone a questa tesi.

    Vita familiare
  59. Il ricorrente lamenta la violazione del sui diritto al rispetto della sua vita familiare a causa delle restrizioni alle quali è sottoposto.
  60. La Corte ricorda che essa ha già dovuto decidere sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall'applicazione dell'articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di alcuni detenuti costituivano un'ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell'articolo 8 (vedere la sentenza Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, §§ 59 74, CEDH 2000 X e Indelicato c. Italia (dec.), no 31143/96, 6 luglio 2000).
  61. Queste restrizioni si propongono di tagliare i legami esistenti tra la persona interessata ed il suo ambiente criminale di origine, al fine di rendere minimoil rischio di veder utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di questo ambiente.
  62. Prima dell'introduzione del regime speciale, un buon numero di detenuti pericolosi riuscivano a mantenere la loro posizione in seno all'organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare informazioni con gli altri detenuti e con l'esterno nonché ad organizzare e fare eseguire reati. In questo contesto, la Corte ritiene che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, soprattutto di stampo mafioso, e del fatto che molto spesso le visite familiari sono state il mezzo per trasmettere ordini e istruzioni verso l'esterno, le restrizioni, certo importanti, imposte alle visite ed i controlli che ne accompagnano lo svolgimento non possono essere considerati sproporzionati rispetto agli scopi legittimi perseguiti (vedere Salvatore c. Italia (dec.), no 37827/97, 9 gennaio 2001).
  63. La Corte ha anche dovuto esaminare la questione di sapere se l'applicazione prolungata di questo regime ad un detenuto abbia infranto il diritto garantito dall'articolo 8 della Convenzione. Nella causa Gallico c. Italia (no 53723/00), essa ha ritenuto utile precisare che non vedeva un disconoscimento di questa norma semplicemente a causa del tempo trascorso. Nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente è sottoposto a regime speciale dal dicembre 2004 e che ad ogni rinnovo, il Ministro della Giustizia ha tenuto conto dei recenti rapporti della polizia attestanti che il ricorrente rimaneva una persona pericolosa. La Corte fa anche riferimento alla decisione di parziale irricevibilità nella causa Bastone c. Italia (no 59638/00, 10 gennaio 2005), nella quale la Corte ha esaminato e rigettato questo tipo di motivi sul terreno degli articoli 3 e 8 della Convenzione.
  64. Infine, essa nota che, nella fattispecie, le considerazioni che precedono si applicano anche ai detenuti assegnati ad un' "area riservata" del carcere dal momento che non è dimostrato che tale assegnazione comporti limitazioni diverse da quelle imposte ai detenuti sotto il regime 41bis della legge sull'ordinamento penitenziario.
  65. Concludendo, la Corte ritiene che le restrizioni al diritto del ricorrente al rispetto della sua vita familiare non siano andate oltre quello che, ai sensi dell'articolo 8 § 2, è necessario in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione dei reati. Essa ritiene quindi che questa parte del ricorso sia manifestamente infondata in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    Controllo della corrispondenza
  66. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta anche che l'applicazione del regime speciale di detenzione viola il suo diritto al rispetto della sua corrispondenza.
  67. Il Governo eccepisce il fatto che questa parte del ricorso è tardiva dal momento che essa è legata alle sentenze emesse da dicembre 2002 a ottobre 2003. Esso sottolinea tuttavia che questi decreti sono stati emessi conformemente all'articolo 18 della legge sull'ordinamento penitenziario prima dell'entrata in vigore della legge nº 95 dell'8 aprile 2004 e che, di conseguenza, il controllo della corrispondenza del ricorrente era fondato sulla legge. Esso sostiene infine che, da una parte, questo controllo perseguiva uno scopo legittimo, ossia la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e la lotta contro la criminalità organizzata e che, dall'altra parte, era proporzionato allo scopo perseguito.
  68. Per quanto attiene ai cinque decreti successivi a quello dell'ottobre 2003 (decreti del 20 luglio, 15 settembre e 27 dicembre 2004, 3 febbraio e 30 agosto 2005), il Governo osserva che si tratta di decreti disposti dal competente magistrato di sorveglianza, conformemente all'articolo 18 della legge sull'ordinamento penitenziario, dopo l'entrata in vigore della citata legge nº 95 e nel rispetto della Convenzione.
  69. Per quanto riguarda la corrispondenza con la Corte, soprattutto avuto riguardo al documento controllato l'8 marzo 2004 e inviato dal ricorrente alla Corte al momento della presentazione del ricorso, il Governo nota che il visto non poteva essere stato apposto quando il documento è stato inviato alla Corte dal momento che reca la data dell'8 marzo 2004 mentre è stato inviato il 17 aprile 2004. Esso osserva che il visto di controllo è stato apposto in una circostanza diversa e precedente all'invio del documento alla Corte, verosimilmente quando quest'ultimo era allegato ad una lettera sottoposta a regolare controllo. In seguito, in merito alla lettera del 4 ottobre 2005 inviata dalla Corte al ricorrente, il Governo sottolinea che questa lettera è arrivata in carcere il 14 ottobre 2005 e che è stata consegnata al ricorrente il giorno stesso senza essere controllata. Esso osserva che questa lettere è stata controllata il 15 ottobre 2005, quando il ricorrente ha domandato di trasmetterla ad una terza persona.
  70. Per quanto riguarda il controllo della corrispondenza da dicembre 2002 a ottobre 2003, la Corte rileva che tale controllo era stato disposto dal magistrato di sorveglianza conformemente all'articolo 18 della legge sull'ordinamento penitenziario. Ora, la Corte ha già giudicato più volte il che il controllo della corrispondenza basato sull'articolo 18 della legge vìola l'articolo 8 della Convenzione perché non è "previsto dalla legge" dal momento che questa non disciplina né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che possono giustificarli, e non indica con abbastanza chiarezza l'ampiezza e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nell'ambito considerato (vedere, tra altre, le sentenze Labita c. Italia, succitata, §§ 175-180, Calogero Diana c. Italia succitata, §§ 32-33). Tuttavia, poiché il ricorso è stato presentato il 17 aprile 2004, la Corte, trovandosi d'accordo con l'eccezione del Governo, ritiene che questa parte del ricorso sia stata introdotta tardivamente.
  71. Ne consegue che questa parte del ricorso deve rigettata in quanto tardiva ai sensi dell'articolo 35 §§ 1, 3 e 4 della Convenzione.
  72. La Corte prende atto, comunque, dell'entrata in vigore della legge no 95 di aprile 2004 che modifica la legge sull'ordinamento penitenziario; il nuovo articolo 18ter prevede che il controllo della corrispondenza può avere luogo, per un periodo massimo di sei mesi, allo scopo di prevenire la commissione di crimini o di proteggere la sicurezza degli istituti penitenziari ed il segreto istruttorio. Il controllo è disposto con un decreto motivato dell'autorità giudiziaria su richiesta del pubblico ministero o del direttore del carcere. Il paragrafo 2 dell'articolo 18ter esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto, in particolare, con il suo avvocato e gli organi internazionali competenti in materia di diritti dell'uomo.
  73. Tuttavia, per quanto riguarda i documenti controllati l'8 marzo 2004 ed il 15 ottobre 2005 (vedere precedente paragrafo 69), la Corte osserva che vi è disaccordo tra le parti per quanto riguarda l'esistenza di un controllo della corrispondenza tra il ricorrente e la Corte. Essa nota anche che non si possa escludere, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, che la corrispondenza controversa sia stata controllata nel momento in cui è stata inviata a terzi dal ricorrente. In queste circostanze, la Corte non può scorgere alcuna parvenza di violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
  74. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    Motivo basato sull'articolo 13 della Convenzione
  75. Invocando l'articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta di non disporre di alcun ricorso effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione. Egli allega in particolare il ritardo impiegato dalle autorità giudiziarie nell'esaminare i suoi ricorsi contro i decreti del Ministro della Giustizia.
  76. La Corte sottolinea che il ricorrente lamenta in sostanza la mancanza del suo diritto di accesso ad un tribunale. E' quindi sul terreno dell'articolo 6 § 1 della convenzione che essa esaminerà questo motivo.
  77. La parte pertinente di questa disposizione recita : " 1. ogni persona ha diritto che la sua causa si esaminata (&) da un tribunale (&) che deciderà sia in ordine alle controversi e sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei (&) ".
  78. Il Governo si oppone alle dichiarazioni del ricorrente.
  79. Esso ammette che il tribunale di sorveglianza di L'Aquila ha reso la decisione sul ricorso del ricorrente del 2 gennaio 2003 soltanto il 29 luglio 2003. Sottolinea tuttavia che questo ritardo è giustificato dal fatto che la procedura si è svolta in tre udienze, in particolare le udienze del 4 marzo, 17 giugno e 29 luglio 2003, al fine di raccogliere delle prove nell'interesse del ricorrente. Nota altresì che per ogni ricorso introdotto dal ricorrente avverso i decreti del Ministro della Giustizia, ivi compresi quello del 2 gennaio 2003, i tribunali di sorveglianza hanno statuito nel merito e durante il periodo di validità dei decreti interessati.
  80. Il Governo fa valere che è praticamente impossibile rispettare il termine di dieci giorni previsto dalla legge al fine di analizzare il ricorso innanzi al tribunale di sorveglianza e, a tale proposito, ricorda che la Corte, decidendo su un motivo analogo basato sull'articolo 13 della Convenzione, ha affermato che il semplice superamento di un termine di legge non costituisce una violazione del diritto invocato (Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, § 94, CEDH 2000 X). Per quanto riguarda i ricorsi per cassazione, sottolinea che la Corte di cassazione si è pronunciata sul merito dei ricorsi e che, per questi ultimi, sarebbe impossibile rispettare lo stesso termine del primo grado di giurisdizione.
  81. La Corte ricorda che, se il semplice superamento di un termine di legge non costituisce in linea di principio una violazione del diritto ad un ricorso effettivo (Messina c. Italia (no 2), succitata, §§ 94-96), la mancanza di qualsiasi decisione sul merito dei ricorsi proposti avverso i decreti del Ministro della Giustizia costituisce una violazione del diritto ad un tribunale garantito dall'articolo 6 § 1 della convenzione (Ganci c. Italia, no 41576/98, § 31, CEDH 2003-XI, Bifulco c. Italae, no 60915/00, §§ 21-24, 8 febbraio 2005 ; Salvatore c. Italia, no 42285/98, 6 dicembre 2005).
  82. La Corte osserva che nella fattispecie, i tribunali di sorveglianza si sono pronunciati sul merito dei ricorsi del ricorrente, ivi compreso quello del 2 gennaio 2003, e questo per il periodo di validità dei decreti interessati. Pertanto la Corte ritiene che nella fattispecie, il diritto del ricorrente a che la sua causa sia esaminata da un tribunale è stato rispettato. Ne consegue che questo motivo è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 e 4 della Convenzione.
  83. Di conseguenza è opportuno porre fine all'applicazione dell'articolo 29 § 3 della Convenzione e dichiarare il ricorso irricevibile.

    Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

    Dichiara il ricorso irricevibile.

    F. ELENS-PASSOS
    Cancelliere aggiunto

    F. TULKENS
    Presidente

    Il caso trae origine da un ricorso presentato da Alessio Attanasio, cittadino italiano detenuto nel carcere di Viterbo Tenuto conto della pericolosità del ricorrente, il 28 dicembre 2002 il Ministero della Giustizia adottò un decreto con il quale gli veniva imposto per il periodo di un anno il regime di detenzione speciale previsto dall'art. 41 bis, comma 2, della legge sull'ordinamento penitenziario n. 354 del 26 luglio 1975, successivamente modificata dalla l. n. 356 del 7 agosto 1992.
    Il 2 gennaio 2003, il ricorrente introdusse un ricorso innanzi al Tribunale di sorveglianza di l'Aquila avverso il decreto del 28 dicembre 2002. In quella sede contestava l'applicazione del regime speciale nei suoi confronti e denunciava la mancanza di ragioni concrete che ne giustificassero l'applicazione.
    Con la decisione del 29 luglio 2003 il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila ritenne pienamente giustificata l'applicazione del regime speciale, pur sopprimendo le limitazioni riguardanti il numero delle visite dei membri della famiglia del ricorrente.
    La Corte di Cassazione il 23 aprile 2004 respinse il ricorso avverso la decisione del 29 luglio 2003 ritenendolo manifestamente infondato.
    Analoga sorte hanno avuto altri ricorsi instaurati pressi altri Tribunali di sorveglianza - fino all'esito negativo in Corte di Cassazione.
    La Corte di Cassazione in questi giudizi si è discostata dalla sua precedente giurisprudenza ed ha ritenuto che un detenuto ha interesse ad ottenere una decisione anche se il periodo di validità del decreto impugnato è scaduto per gli effetti diretti sui decreti successivi a quelli impugnato.
    In relazione all'applicazione del regime previsto dall'articolo 41 bis della legge sull'ordinamento penitenziario la Corte, inoltre ricorda che l' articolo 3 della Convenzione sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Per ricadere sotto l'effetto dell'articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità.
    Le dichiarazioni di maltrattamento devono essere sostenute innanzi alla Corte da appropriati elementi di prova. La Corte ritiene non provati gli atti denunciati dal ricorrente. Per quanto riguarda invece l'assegnazione del ricorrente ad un'"area riservata" , la Corte osserva che era ampiamente e razionalmente giustificata e che quando detto collocamento non è più risultato essere necessario la decisione è stata revocata.
    La Corte osserva che il regime speciale previsto dall'art- 41 bis non costituisce di per sé un trattamento inumano o degradante e che le stesse considerazioni valgono per l'assegnazione ad "un'area riservata"
    In relazione alla dedotta violazione del diritto al rispetto della vita familiare a causa delle restrizioni alle quali è sottoposto Invocando l'articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta di non disporre di alcun ricorso effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione. La Corte sottolinea che il ricorrente lamenta in sostanza la mancanza del suo diritto di accesso ad un tribunale da valutare nell'ottica dell'art. 6 § 1della Convenzione.
    La Corte ricorda che, il semplice superamento di un termine di legge non costituisce in linea di principio una violazione del diritto ad un ricorso effettivo.
    La Corte osserva che nella fattispecie i tribunali di sorveglianza si sono pronunciati sul merito dei ricorsi dell'attuale ricorrente.
    La Corte conclude, all'unanimità, con la dichiarazione di irricevibilità del ricorso.