Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell Uomo del 24 aprile 2008 - Ricorso n. 15349/06 - Rizzotto c/Italia

Diritto alla libertà e alla sicurezza - Diritto delle persone private della libertà a presentare ricorso ad un tribunale e diritto ad ottenere entro un breve termine una decisione sulla legittimità della detenzione - Ritardi ingiustificati nella durata delle procedure decisionali sulla legittimità della detenzione - Violazione art. 5 §4 della Cedu.

L'articolo 5 § 4 della Convenzione garantisce alle persone arrestate o detenute un ricorso per contestare la regolarità della loro privazione della libertà e sancisce altresì il diritto per dette persone, in seguito all'avvio di un tale procedimento, di ottenere entro breve termine una decisione giudiziaria sulla regolarità della loro detenzione che ponga fine alla privazione della libertà quando questa si riveli illegittima. Se è vero che la disposizione in questione non costringe gli Stati contraenti ad instaurare un doppio grado di giudizio per l'esame della legittimità della detenzione e delle domande di scarcerazione, pur tuttavia uno Stato che si dota di un tale sistema deve, in linea di principio, concedere ai detenuti le stesse garanzie tanto in appello quanto in primo grado: l'esigenza del rispetto del "breve termine" costituisce senza dubbio una di tali garanzie.

CONSIGLIO D'EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE

CASO RIZZOTTO c/ITALIA (Ricorso n. 15349/06)

SENTENZA
STRASBURGO, 24 aprile 2008

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

Nel caso Rizzotto c/Italia,

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Seconda Sezione), costituita in una Camera composta da:

Françoise Tulkens, Presidente,
Antonella Mularoni,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
AndrA's SajO', giudici,
Riza Türmen,
Nona Tsotsoria, giudici supplenti,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 27 marzo 2008,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 15349/06) nei confronti della Repubblica italiana con cui un cittadino di quello Stato, il sig. Salvatore Stefano Rizzotto ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 21 aprile 2006 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali ("la Convenzione").
  2. Il ricorrente è rappresentato dall'Avv. E.P. Reale, del foro di Siracusa. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dall'Agente I.M. Braguglia e dal Co-Agente aggiunto N. Lettieri.
  3. Il ricorrente sosteneva che i ricorsi da lui presentati sulla legittimità della sua detenzione non erano stati decisi "entro breve termine".
  4. Il 30 maggio 2007, il presidente della seconda sezione della Corte ha deciso di trasmettere il ricorso al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell'articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate contestualmente l'ammissibilità e la fondatezza del caso.

    IN FATTO
  5. Il ricorrente è nato nel 1972 e risiede a Siracusa.
  6. Il ricorrente fu indagato per associazione per delinquere e traffico di stupefacenti insieme a diverse altre persone.
  7. Con ordinanza datata 24 giugno 2004, il giudice per le indagini preliminari ("il GIP") di Catania ordinò la custodia cautelare in carcere del ricorrente, osservando che da alcune intercettazioni telefoniche e dalle indagini condotte dalla polizia era emerso che l'interessato riceveva regolarmente stupefacenti, che vendeva poi a Siracusa.
  8. Il 2 luglio 2004, il ricorrente presentò istanza di riesame dell'ordinanza del 24 giugno 2004. Sostenne che gli elementi a suo carico dimostravano solo che egli faceva uso di stupefacenti e che nessuna esigenza cautelare giustificava l'adozione nei suoi confronti del provvedimento di custodia cautelare in carcere.
  9. Il 13 luglio 2004, si tenne un'udienza in camera di consiglio dinanzi alla sezione del tribunale di Catania incaricata di riesaminare le misure cautelari ("la sezione specializzata").
  10. Con ordinanza in pari data, il cui testo fu depositato in cancelleria il 14 luglio 2004, detta sezione confermò la decisione del GIP di Catania.
  11. Essa osservò in particolare che le intercettazioni telefoniche effettuate durante le indagini costituivano gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente. Questi era già stato condannato per reati legati agli stupefacenti e manteneva contatti con un pericoloso ambiente mafioso. Pertanto, c'era da temere che potesse commettere recidiva.
  12. L'ordinanza della sezione specializzata fu notificata all'avvocato del ricorrente il 23 agosto 2004.
  13. Il 13 settembre 2004, il ricorrente presentò ricorso per cassazione, sostenendo che la sezione specializzata non aveva motivato debitamente la sua decisione.
  14. Un'udienza pubblica si tenne dinanzi alla Corte di cassazione il 16 marzo 2005.
  15. Con sentenza in pari data, il cui testo fu depositato in cancelleria il 28 giugno 2005, la Corte di cassazione cassò l'ordinanza controversa ed indicò come organo del rinvio il tribunale di Catania.
  16. Essa ritenne che la sezione specializzata avesse motivato debitamente l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente. Tuttavia, essa non aveva spiegato perché il 14 luglio 2004, in un procedimento separato ma analogo, aveva deciso di applicare al ricorrente la misura cautelare degli arresti domiciliari, vista la scarsa gravità dei suoi precedenti.
  17. Nell'ambito del procedimento di rinvio, l'udienza in camera di consiglio dinanzi alla sezione specializzata del tribunale di Catania fu celebrata il 19 ottobre 2005.
  18. Con ordinanza del 24 ottobre 2005, depositata in cancelleria e notificata al ricorrente in pari data, la sezione specializzata sostituì la custodia cautelare in carcere del ricorrente con gli arresti domiciliari.
  19. Essa osservò che i fatti delittuosi risalivano al 2003, che i precedenti del ricorrente non erano tali da far pensare ad una scelta di vita basata sul crimine e che le patologie di cui egli soffriva portavano a ritenere che il rischio di recidiva fosse ridotto e avrebbe potuto essere limitato da una misura cautelare meno rigida.

    IN DIRITTO

    I - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 5 § 4 DELLA CONVENZIONE
     
  20. Il ricorrente sostiene che gli organi giudiziari italiani non hanno deciso "entro breve termine" sulla legittimità della sua detenzione. Osserva di avere chiesto il riesame del provvedimento di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti il 2 luglio 2004 e di avere ottenuto una decisione definitiva al riguardo solo il 24 ottobre 2005. Il ricorrente invoca l'articolo 5 § 4 della Convenzione, così redatto: "Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché questo decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ordini la sua scarcerazione se la detenzione è illegittima."
  21. Il Governo si oppone a tale tesi.
    Sull'ammissibilità
  22. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte osserva del resto che esso non si oppone a nessun altro motivo d'inammissibilità. E' pertanto opportuno dichiararlo ammissibile.

    Sul merito

    Argomentazioni delle parti

    Il ricorrente
  23. Il ricorrente ammette che la durata del suo appello avverso l'ordinanza che disponeva la sua custodia cautelare in carcere ha rispettato l'esigenza del "breve termine" prevista dall'articolo 5 § 4 della Convenzione. Tuttavia, la decisione della sezione specializzata di Catania è stata notificata al suo legale solo un mese e nove giorni dopo la data del suo deposito in cancelleria (14 luglio 2004). Inoltre, la durata dei procedimenti di cassazione e di rinvio è stata manifestamente eccessiva. Quei lunghi ritardi non possono essere attribuiti al ricorrente o al suo avvocato.
  24. Il ricorrente osserva infine che in Italia una persona privata della libertà può presentare un ricorso ai sensi dell'articolo 5 § 4 della Convenzione solo se, dopo la decisione di appello, fatti nuovi giustificano la sua scarcerazione.

    Il Governo
  25. Il Governo osserva che la durata dei procedimenti cui fa riferimento il ricorrente è stata la seguente: a) circa undici giorni per l'appello avverso l'ordinanza di custodia cautelare in carcere; b) circa sei mesi per il ricorso per cassazione; c) circa quattro mesi per la decisione del giudice del rinvio.
  26. Il ricorrente non lamenta la durata dell'appello; del resto, tenuto conto delle garanzie che circondano la procedura di esame delle domande in questione, tale durata sarebbe organica. Il Governo rappresenta anche che in Italia una persona privata della libertà può in qualsiasi momento presentare un ricorso ai sensi dell'articolo 5 § 4 della Convenzione, beneficiando di tre gradi di giudizio. Tale circostanza consentirebbe, da sola, di evitare qualsiasi constatazione di violazione della disposizione summenzionata.
  27. Quanto ai procedimenti di cassazione e di rinvio, anche se vi è stato superamento del termine legale, ciò non può configurare un'inosservanza delle esigenze della Convenzione. I ricorsi presentati dall'interessato, infatti, non sono stati privati della loro efficacia e occorre tenere conto del fatto che il caso era particolarmente complesso e che i giudici interni hanno motivato le loro decisioni in modo "ampio e completo".
  28. Durante i procedimenti controversi, il ricorrente ha beneficiato d'importanti garanzie; i giudici interni hanno quindi dosato in modo equilibrato i diritti della difesa e il rispetto dell'esigenza di adottare le loro decisioni "entro breve termine".
  29. Il Governo osserva che i procedimenti cui fa riferimento il ricorrente non riguardano la decisione iniziale sulla sua privazione della libertà, ma ricorsi successivi. Ora, per questi ultimi, il concetto di "breve termine" sarebbe meno stretto, trattandosi piuttosto di verificare l'esistenza di un "ritmo ragionevole" nel controllo giudiziario. Inoltre, trattandosi di un secondo grado di giudizio in materia di libertà, che lo Stato non è tenuto ad istituire, l'articolo 5 § 4 della Convenzione dovrebbe applicarsi con maggiore elasticità. Giungere ad una diversa conclusione equivarrebbe a spingere gli Stati ad eliminare i successivi ricorsi in materia di libertà, il che andrebbe solo contro i diritti del cittadino e le esigenze dell'articolo 53 della Convenzione. Il Governo sottolinea, al riguardo, che le giurisdizioni superiori (corti d'appello e di cassazione) sono composte da un minor numero di giudici e siedono in sezioni che hanno un numero di membri maggiore rispetto a quello delle giurisdizioni di primo grado.

    Valutazione della Corte
  30. La Corte rammenta che, garantendo alle persone arrestate o detenute un ricorso per contestare la regolarità della loro privazione della libertà, l'articolo 5 § 4 della Convenzione sancisce anche il diritto per dette persone, in seguito all'avvio di un tale procedimento, di ottenere entro breve termine una decisione giudiziaria sulla regolarità della loro detenzione che ponga fine alla loro privazione della libertà quando questa si riveli illegittima (si vedano, ad esempio, Musial c/Polonia [GC], n. 24557/94, § 43, CEDU 1999-II, e Baranowski c/Polonia, n. 28358/95, § 68, CEDU 2000-III). E' vero che la disposizione in questione non costringe gli Stati contraenti ad instaurare un doppio grado di giudizio per l'esame della legittimità della detenzione e delle domande di scarcerazione. Tuttavia, uno Stato che si dota di un tale sistema deve in linea di principio concedere ai detenuti le stesse garanzie tanto in appello quanto in primo grado. L'esigenza del rispetto del "breve termine" costituisce senza dubbio una di tali garanzie (Navarra c/Francia, sentenza del 23 novembre 1993, serie A n. 273-B, p. 28, § 28, e Singh c/Repubblica ceca, n. 60538/00, § 74, 25 gennaio 2005).
  31. La Corte ricorda anche che il rispetto del diritto di ogni persona, sotto il profilo dell'articolo 5 § 4 della Convenzione, di ottenere entro breve termine una decisione di un tribunale sulla legittimità della sua detenzione deve essere valutata alla luce delle circostanze di ogni caso (Sanchez-Reisse c/Svizzera, sentenza de 21 ottobre 1986, serie A n. 107, p. 20, § 55, e R.M.D. c/Svizzera, sentenza de 26 settembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VI, p. 2013, § 42). In particolare, è necessario tenere conto dello svolgimento generale del procedimento e della misura in cui i ritardi sono attribuibili alla condotta del ricorrente o dei suoi legali. Tuttavia, in linea di principio, essendo in gioco la libertà dell'individuo, lo Stato deve fare in modo che il procedimento si svolga nel minor tempo possibile (Mayzil c/Russia, n. 63378/00, § 49, 20 gennaio 2005, e Rapacciolo c/Italia, n. 76024/01, § 32, 9 maggio 2005).
  32. Del resto, anche se un detenuto ha presentato diverse domande di scarcerazione, questa disposizione non conferisce alle autorità un "margine di valutazione" trattate più rapidamente. Tutti i procedimenti devono soddisfare l'esigenza del "breve termine" (Ilowiecki c/Polonia, n. 27504/95, §§ 77-78, 4 ottobre 2001, e Naranjo Hurtado c/Italia, n. 16508/04, § 34, 3 luglio 2007).
  33. Nel caso di specie, il ricorrente ammette che il procedimento d'appello ha rispettato l'esigenza del "breve termine" (precedente paragrafo 23). Quanto ai procedimenti successivi, la Corte osserva che il ricorrente ha proposto il ricorso per cassazione il 13 settembre 2004 e che la Corte di cassazione si è pronunciata su di esso solo il 16 marzo 2005 (precedenti paragrafi 13-15). Inoltre, il procedimento di rinvio è terminato solo il 24 ottobre 2005, mentre il testo della sentenza della Corte di cassazione era stato depositato in cancelleria il 28 giugno 2005 (precedenti paragrafi 15, 17 e 18). Come ammesso dallo stesso Governo, i periodi di tempo sotto accusa sono quindi, rispettivamente, di circa sei e quattro mesi.
  34. Confrontando il caso di specie con altri casi in cui essa ha concluso per il mancato rispetto dell'esigenza del "breve termine" ai sensi dell'articolo 5 § 4 (si vedano, ad esempio, Rehbock c/Slovenia, n. 29462/95, §§ 84-88, CEDU 2000-XII, e Kadem c/Malta, n. 55236/00, §§ 43-45, 9 gennaio 2003, dove si trattava, rispettivamente, di ritardi di ventitré e diciassette giorni), la Corte ritiene che i ritardi denunciati dal ricorrente siano eccessivi. Essa ritiene altresì che l'innegabile complessità del caso non possa spiegare la durata totale del procedimento sotto accusa (si vedano, mutatis mutandis, Baranowski succitata, § 73, Rapacciolo succitata, § 35, e Naranjo Hurtado succitata, § 36). Inoltre, i ritardi controversi devono essere imputati alle autorità, dato che niente lascia pensare che il ricorrente abbia, in qualsiasi modo, ritardato l'esame dei suoi ricorsi (Mayzil succitata, § 52, e Naranjo Hurtado, loc. ult. cit.).
  35. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 5 § 4 della Convenzione.
  36. Questa conclusione dispensa la Corte dall'accertare se la notificazione tardiva dell'ordinanza della sezione specializzata di Catania del 13 luglio 2004 (precedenti paragrafi 12 e 23) abbia comportato anch'essa un superamento del "breve termine" (si veda, mutatis mutandis, Naranjo Hurtado succitata, § 38).

    II - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  37. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, "Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa."

    Danni
     
  38. Il ricorrente chiede 15.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento del danno morale che avrebbe subito.
  39. Il Governo osserva che le richieste dell'interessato non sono legate ai fatti del caso e, comunque, i criteri per calcolare l'entità del danno non sono stati indicati.
  40. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un torto morale certo. Deliberando secondo equità, come vuole l'articolo 41 della Convenzione, essa decide di concedergli 4.000 EUR a tale titolo.

    Spese
     
  41. Il ricorrente chiede anche 4.000 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  42. Il Governo ritiene che l'importo richiesto sia eccessivo.
  43. Stando alla giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo se sono accertate la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro tasso. Nel caso di specie e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri summenzionati, la Corte ritiene ragionevole la somma di 2.500 EUR per il procedimento dinanzi ad essa e la concede al ricorrente.

    Interessi moratori
     
  44. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA',

  1. Dichiara il ricorso ammissibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 5 § 4 della Convenzione;
  3. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 4.000 EUR (quattromila euro) a titolo di risarcimento del danno morale e 2.500 EUR (duemilacinquecento euro) a titolo di rimborso delle spese, oltre ad ogni importo che possa essere dovuto a titolo d'imposta;
    2. che a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.

Redatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 aprile 2008, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente

Il caso trae origine dalla doglianza di un cittadino italiano, il Sig. Salvatore Stefano Rizzotto, che ha adito la Corte lamentando la violazione dell'art. 5, § 4, della Cedu poichè i ricorsi da lui presentati sulla legittimità della sua detenzione non erano stati decisi entro breve termine. Nella fattispecie il ricorrente fu arrestato per associazione per delinquere e traffico di stupefacenti, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 24.6.2004 dal Gip di Catania.
In data 2.7.2004 presentò istanza di riesame della misura cautelare alla sezione specializzata (Tribunale del riesame) del Tribunale di Catania e, avverso la decisione di detta sezione, presentò ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione decise di cassare l'ordinanza di applicazione della misura cautelare della detenzione in carcere, rinviando la decisione nel merito nuovamente alla sezione specializzata del Tribunale di Catania, la quale in data 24.10.2005 decise in via definitiva sul ricorso, sostituendo la misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari.
La Corte ha ritenuto eccessivo il periodo di tempo impiegato per giungere ad una decisione definitiva, considerando ingiustificati i ritardi intervenuti tra la proposizione del ricorso per cassazione e la decisione della Corte di Cassazione e tra quest'ultima e la decisione definitiva della sezione specializzata del Tribunale di Catania (rispettivamente circa sei e quattro mesi di ritardo).
Poiché i ritardi in questione non potevano ritenersi addebitabili al comportamento del ricorrente né giustificabili con la complessità del caso, la Corte ha sancito che vi è stata violazione dell'art. 5 § 4 della Convenzione.