Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell Uomo del 1º aprile 2008 - Ricorso n. 10557/03; Gigli Costruzioni s.r.l. c. Italia

Il caso trae origine dalle doglianze di una società la Gigli Costruzioni S.R.L., che ha adito la Corte lamentando la violazione dei seguenti articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo:

  • art. 1 Prot. 1 per l'inadeguatezza dell'indennità di espropriazione che è stata calcolata in funzione della legge n. 359 del 1992;
  • art. 6 § 1 a causa dell'applicazione alla fattispecie dell'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992;
  • art. 6 § 1 a causa della eccessiva durata della procedura.

Il ricorso è dichiarato ricevibile.

Quanto alla lamentata violazione dell'art. 1 Prot. 1 della Convenzione la Corte ha ritenuto "che l'indennità accordata alla ricorrente non sia adeguata, visto il basso ammontare e la mancanza di ragioni di utilità pubblica che possono legittimare una indennità talmente inferiore al valore di mercato del bene."

In ordine alla presunta violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, circa la mancanza di equità della procedura, la Corte ha ritenuto che "il Governo non ha dimostrato che le considerazioni da lui invocate - ossia considerazioni finanziarie e la volontà del legislatore di attuare un programma politico - permettessero di far emergere l'"interesse collettivo generale evidente ed imperativo" richiesto per giustificare l'effetto retroattivo, che essa ha riconosciuto nelle cause (sentenze: Forrer - Niedenthal c/Germania, OGIS-Istitut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri c/Francia r Back c/Finlandia) citate dal Governo".

Ed infine quanto alla lamentata violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, circa la eccessiva durata della procedura, la Corte "dopo aver esaminato i fatti alla luce delle informazioni fornite dalle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, ha ritenuto che la durata del procedimento" è stata eccessiva e non ha risposto alle esigenze del "termine ragionevole".

CONSIGLIO D'EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA GIGLI COSTRUZIONI S.R.L. c. ITALIA (Ricorso n. 10557/03)

SENTENZA

STRASBURGO, 1º aprile 2008

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni stabilite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa potrà subire modifiche formali.

Nella causa Gigli Costruzioni S.R.L. c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Antonella Mularoni,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Dragoljub Popovi?,
AndrA's SajO',
Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio l'11 marzo 2008,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (no 10557/03) diretto contro la Repubblica italiana con il quale una società di questo Stato, la Gigli Costruzioni S.R.L. ("la ricorrente"), ha adito la Corte il 6 marzo 2003 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
  2. Il ricorrente è rappresentato dall'avvocato F. Morbiducci, del foro di Jesi. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dai suoi agenti successivi, rispettivamente I. M. Braguglia e Roberto Adam, nonché dal suo coagente aggiunto N. Lettieri.
  3. Il 9 novembre 2004, la Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi dell'articolo 29 § 3 della Convenzione, essa ha deciso di esaminare congiuntamente la ricevibilità ed il merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE
 

  1. La Ricorrente, Gigli Costruzioni S.r.l., è una società con sede a Jesi (Ancona).
  2. Essa era proprietaria di un terreno edificabile di 20.847 metri quadrati situato a Morro d'Abba e registrato in catasto al foglio 5, particelle 288, 130, 104, 245, 484, 157 e 131.

    L'esproprio del terreno

  3. Con un provvedimento del 16 giugno 1978, il comune di Morro d'Abba approvò il progetto di costruzione di case popolari sul terreno della ricorrente.
  4. Con un decreto del 13 febbraio 1981, il comune decretò l'occupazione d'urgenza del terreno della ricorrente in vista dell'espropriazione.
  5. Il 6 aprile 1981, il comune procedette all'occupazione materiale del terreno.
  6. Con decreto del 24 settembre 1982, notificato alla ricorrente il 28 settembre 19, il comune offrì un acconto sull'indennità di espropriazione determinata conformemente alla legge n. 865 del 1971, riservandosi di stabilire l'ammontare dell'indennizzo definitivo in applicazione della legge n. 385 del 1980. L'acconto fu versato nel marzo 1983.
  7. Con un decreto del 16 agosto 1983, il terreno della ricorrente fu formalmente espropriato.
  8. Nel frattempo, con la sentenza n. 223 del 1983, la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale la legge n. 385 del 1980 in quanto quest'ultima sottoponeva l'indennizzo all'adozione di una legge futura. Per effetto di questa sentenza, fu nuovamente in vigore la legge n. 2359 del 1865, che prevedeva che l'indennità di espropriazione di un terreno corrispondesse al valore di mercato di quest'ultimo.
  9. Con atto di citazione notificato il 16 maggio 1986, la ricorrente citò il comune innanzi al tribunale di Ancona, facendo valere il suo diritto ad un indennizzo corrispondente al valore di mercato del terreno.
  10. L'11 novembre 1988 fu depositata nella cancelleria del tribunale una perizia. Secondo il perito, il valore venale del terreno riferito al mese di marzo 1983 era di 403.125.707 lire, ossia 208.197 euro.
  11. Il 14 agosto 1992 entrò in vigore la legge n. 359 dell'8 agosto 1992 (articolo 5bis del decreto legislativo n. 333 de1 992), che prevedeva nuovi criteri per calcolare l'indennità di espropriazione dei terreni edificabili. Questa legge si applicava espressamente alle procedure in corso.
  12. Il 6 dicembre 1993 fu depositata nella cancelleria del tribunale una perizia integrativa, vista l'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, e nuovi criteri di calcolo dell'indennità di espropriazione. Il perito stimò in 206.219.079 lire, ossia 106.503 euro, l'indennizzo dovuto ai sensi della nuova legge.
  13. All'esito dell'istruzione, il 7 novembre 1996, la ricorrente domandò al tribunale di emettere una ordinanza ai sensi dell'articolo 186 quater del codice di procedura civile.
  14. Con una ordinanza depositata in cancelleria il 2 dicembre 1998, il tribunale ordinò al comune di versare alla ricorrente 188.779.789 lire, ossia 97.496,62 euro, somma che doveva corrispondere alla differenza tra l'indennità di espropriazione dovuta conformemente alla legge n. 359 del 1992 e l'acconto già versato nel marzo 1983. Secondo la legge n. 359 del 1992 questa somma è sottoposta al pagamento di una ritenuta alla fonte del 20%.
  15. Con una sentenza del 17 novembre 2001, depositata in cancelleria il 27 novembre 2001, il tribunale di Ancona ordinò alla ricorrente di restituire al comune 8.719.645 lire ossia 4.503, 32 euro, somma che le era stata versata in eccesso.
  16. Delle 25 udienze fissate tra il 6 novembre 1986 ed il 16 settembre 2000, dieci furono rinviate d'ufficio, nove riguardavano la preparazione della perizia o il suo deposito, una riguardava il deposito di documenti e due la fissazione dell'udienza di presentazione delle conclusioni.
  17. Le parti proposero appello. Con una sentenza depositata il primo aprile 2004, la corte d'appello di Ancona rigettò tutti i mezzi d'appello e confermò la sentenza del tribunale.

    Il ricorso ai sensi della "legge Pinto"
     
  18. Nel frattempo, il 12 ottobre 2001, la ricorrente introdusse un ricorso ai sensi della legge Pinto innanzi alla corte d'appello di L'Aquila, al fine di ottenere un indennizzo per la durata della procedura innanzi al tribunale di Ancona.
  19. Con una decisione depositata in cancelleria l'8 gennaio 2002, la corte d'appello di L'Aquila constatò il superamento del tempo ragionevole. Essa rigettò la domanda relativa al danno materiale ritenendo che quest'ultimo non fosse in rapporto con la procedura. Concesse 2.324 euro per il danno morale e 1.032, 91 per le spese legali nella procedura nazionale.
  20. Dal fascicolo risulta che questa decisione non è stata oggetto di ricorso per cassazione ed è diventata definitiva nel febbraio 2003.
  21. Il diritto e la prassi interni pertinenti figurano nella sentenza Scordino c. Italia (n. 1) (GC], n. 36813/97, CEDH 2006&).
  22. Con la sentenza n. 348 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'articolo 5bis del decreto n. 333 del 1992, come modificato dalla legge n. 359 del 1992 per quanto riguarda i criteri utilizzati per calcolare l'ammontare degli indennizzi. La Corte costituzionale ha anche indicato al legislatore i criteri da tenere in considerazione per una eventuale nuova legge facendo riferimento al valore venale del bene.
    La legge finanziaria n. 244 del 24 dicembre 2007 ha stabilito che l'indennità di espropriazione di un'area edificabile è pari al valore venale del bene. Essa è ridotta del 25% quando l'operazione è finalizzata a interventi di riforma economico-sociale.
    Questa disposizione è applicabile a tutte le procedure di espropriazione pendenti al 1° gennaio 2008, fatta eccezione per quelle in cui la decisione sull'indennità di espropriazione è stata accettata o è diventata definitiva.
  23. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1, la ricorrente lamenta l'inadeguatezza dell'indennità di espropriazione che è stata calcolata in funzione della legge n. 359 del 1992. La disposizione in causa recita:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
  24. Il Governo si oppone a questa tesi.
  25. Il Governo sostiene che il ricorso è stato introdotto tardivamente dal momento che la ricorrente lamenta che l'ammontare dell'indennità è stato calcolato ai sensi della legge n. 359 del 1992. Esso ritiene che il termine dei sei mesi previsto dall'articolo 35 della Convenzione sia iniziato a decorrere o nel 1992, ossia alla data di entrata in vigore di questa legge, o nel 1993, ossia alla data del deposito in cancelleria della sentenza con la quale la Corte costituzionale ha confermato la legalità della norma in questione. A sostegno di queste affermazioni, il Governo cita il caso Miconi c. Italia ((dec.), n. 66432/01, 6 maggio 2004).
  26. La ricorrente contesta questo argomento.
  27. La Corte ricorda che ha respinto questo tipo di eccezione in parecchie cause (vedere, tra altre, Donati c. Italia (dec.), n. 63242/00, 13 maggio 2004; Chirò c. Italian. 2 (dec.), n. 65137/01, 27 maggio 2004). Essa non scorge alcun motivo per derogare alle sue precedenti conclusioni e rigetta quindi l'eccezione in questione.
  28. La Corte constata poi che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità.

B. Nel merito

Tesi delle parti

  1. Il Governo
  • Il Governo afferma innanzitutto che l'espropriazione del terreno della ricorrente si è svolta in conformità di legge e allo scopo di un'utilità generale.
  • Occorre poi osservare che la ricorrente contesta l'ammontare dell'indennità di espropriazione che le è stata accordata a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992. A tale proposito il Governo precisa che non si tratta affatto di un'applicazione retroattiva della legge, ma di un'applicazione immediata, cosa che costituisce una regola generale in uno Stato di diritto. Peraltro, l'articolo 5bis sarebbe stato ispirato da ragioni di bilancio e, tenuto conto della sua provvisorietà, questa norma, nel 1993, è stata ritenuta dalla Corte costituzionale conforme alla Costituzione.
  • Per quanto riguarda l'ammontare che è stato calcolato in funzione di questa legge, il Governo, pur ammettendo che l'indennità controversa è inferiore al valore di mercato del terreno, ritiene che questo ammontare debba ritenersi adeguato, visto il margine di valutazione lasciato agli Stati in questo campo. Inoltre, il "valore di mercato" di un bene è una nozione imprecisa e incerta, che dipende da numerose variabili ed è di natura soggettiva. Il Governo osserva che ad ogni modo, il valore di mercato del terreno è uno degli elementi presi in esame nel calcolo effettuato dalle autorità giudiziarie interne conformemente all'articolo 5bis. Ai sensi di questa norma, il valore di mercato è temperato da un altro criterio, ossia la rendita fondiaria calcolata a partire dal valore iscritto in catasto.
  • Facendo riferimento alle sentenze della Corte in più cause (Lithgow e altri c. Regno Unito, dell'8 luglio 1986, serie A n. 102; James e altri c. Regno Unito, del 21 febbraio 1986, serie A n. 98), il Governo sostiene che il ricorso in questione deve essere esaminato alla luce del principio secondo il quale la Convenzione non impone un'indennità pari al pieno valore di mercato del bene. Affinché non venga rotto il giusto equilibrio è sufficiente che l'indennizzo abbia un ragionevole rapporto di proporzionalità con il valore commerciale del bene.
  • Pertanto, esso domanda alla Corte di concludere nella non violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

La ricorrente

  • La ricorrente sostiene di aver subito una violazione sproporzionata al suo diritto al rispetto dei beni. A tale proposito, essa tira in ballo l'ammontare dell'indennità che risulta dall'applicazione della legge n. 359 del 1992 e fa valere che l'indennità calcolata conformemente a questa legge corrisponde a meno della metà del valore di mercato del terreno.

Valutazione della Corte

 

  • La Corte constata innanzitutto che le parti sono d'accordo per dire che vi è stata "privazione dei beni" ai sensi della seconda frase del primo comma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.
  • Come essa ha già precisato più volte, la Corte ricorda che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte: "la prima, che si esprime nella prima frase del primo comma ed ha carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso comma, prevede la privazione della proprietà e la sottopone a determinate condizioni; quanto alla terza, consegnata nel secondo comma, riconosce agli Stati il potere, tra altri, di disciplinare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale (&). Non si tratta comunque di norme prive di rapporto tra loro. La seconda e la terza si riferiscono a esempi particolari di violazione del diritto di proprietà; pertanto, esse devono essere interpretate alla luce del principio consacrato dalla prima" (vedere, tra altre, la sentenza James e altri c. Regno Unito, succitata, § 37, la quale riprende in parte i termini dell'analisi che la Corte ha sviluppato nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia 23 settembre 1982, serie A n. 52, p. 24, § 61; vedere anche le sentenze Les Saints Monastères c. Grecia, 9 dicembre 1994, serie A n. 301-A, p. 31, § 56, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDH 1999-II, e Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, §106, CEDH2000-I).
  • Una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve mantenere un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali della persona (vedere, fra altre, Sporrong e Lönnroth, sentenza succitata, p. 26, § 69). La preoccupazione di assicurare tale equilibrio si riflette nella struttura dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 nella sua interezza, quindi anche nella seconda frase, che deve essere letta alla luce del principio consacrato dalla prima. In particolare, deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da qualsiasi misura applicata dallo Stato, ivi comprese le misure che privano una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.A. e altri c. Belgio, sentenza del 20 novembre 1995, serie A n. 332, p. 23, § 38; Ex-re di Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, § 89-90, CEDH 2000-XII; Sporrong et Lönnroth, p. 28, § 73, sentenza succitata).
  • Controllando il rispetto di questa esigenza, la Corte riconosce allo Stato un ampio margine di valutazione sia per scegliere le modalità di attuazione che per giudicare se le loro conseguenze sono legittimate, nell'interesse generale, dalla preoccupazione di raggiungere l'obiettivo della legge in causa (Chassagnou e altri c. Francia [GC], nos 25088/94, 28331/95 e 28443/95, § 75, CEDH 1999-III). Essa non può tuttavia rinunciare al suo potere di controllo in virtù del quale le spetta verificare che sia stato preservato l'equilibrio voluto compatibilmente con il diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni, ai sensi della prima frase dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (Jahn e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §93, non ancora apparsa in CEDH 2005).
  • Per stabilire se la misura controversa rispetti il "giusto equilibrio" voluto e, soprattutto, se non fa pesare sui ricorrenti un onere sproporzionato, occorre prendere in considerazione le modalità di indennizzo previste dalla legislazione interna. A tale proposito, la Corte ha già affermato che, senza il versamento di una somma ragionevolmente rapportata al valore del bene, una privazione di proprietà costituisce normalmente una lesione eccessiva. La mancanza totale di un indennizzo può essere giustificata sulla base dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 soltanto in circostanze eccezionali (Les Saints Monastères, p. 35, § 71, Ex-Re di Grecia e altri, § 89, sentenze succitate). Questa norma non garantisce in tutti i casi il diritto ad una riparazione integrale (James et autres, sentenza succitata, p. 36, § 54; Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 182, CEDH 2004-V).
  • Se è vero che in numerosi casi di espropriazione lecita, come l'espropriazione isolata di un terreno in vista della costruzione di una strada o per altri fini "di utilità pubblica", solo un indennizzo integrale può essere considerato ragionevolmente rapportato al valore del bene, questa norma non è tuttavia priva di eccezioni (Ex-re di Grecia e altri c. Grecia [GC] (equa soddisfazione), n. 25701/94, § 78).
  • Alcuni obiettivi legittimi di "pubblica utilità", come quelli che vengono perseguiti da alcune misure di riforma economica o di giustizia sociale, possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore di mercato (Scordino c. Italia (n. 1), succitata, §§93-97).
  • Nella fattispecie, non viene contestato il fatto che l'ingerenza controversa abbia soddisfatto la condizione di legalità e perseguisse uno scopo legittimo di pubblica utilità. Resta quindi da verificare se nell'ambito di una privazione di proprietà lecita, la ricorrente abbia dovuto sopportare un onere sproporzionato ed eccessivo.
  • La Corte constata che l'indennità accordata alla ricorrente è stata calcolata in funzione dell'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992. Essa nota che questi criteri si applicano qualunque sia l'opera pubblica da realizzare ed il contesto dell'espropriazione. La Corte ricorda che essa non ha il compito di controllare in astratto la legislazione controversa; essa deve limitarsi per quanto possibile ad esaminare i problemi sollevati dai ricorrenti nel caso per il quale è stata adita. A tale scopo, nella fattispecie, essa deve occuparsi della legge sopraccitata dal momento che la ricorrente se la prende con le ripercussioni di quest'ultima sui suoi beni (Les Saints Monastères c. Grecia, sentenza succitata, § 55).
  • Nel caso specifico, l'ammontare definitivo dell'indennizzo fu fissato in 106.503 euro, mentre il valore di mercato del terreno stimato alla data dell'espropriazione era di 208.197 euro (precedenti paragrafi 13 e 15). Ne risulta che l'indennità di espropriazione è ampiamente inferiore al valore di mercato del bene in questione. Inoltre, questo ammontare è stato ulteriormente tassato con ritenuta del 20% (precedente paragrafo 17).
  • Si tratta nella fattispecie di un caso di espropriazione isolato, che non si colloca in un contesto di riforma economica, sociale o politica e non è riferito a nessuna altra particolare circostanza. Di conseguenza, la Corte non scorge alcun obbiettivo legittimo "di pubblica utilità" che possa giustificare un rimborso talmente inferiore al valore di mercato.
  • Avuto riguardo all'insieme delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che l'indennità accordata alla ricorrente non sia adeguata, visto il suo basso ammontare e la mancanza di ragioni di utilità pubblica che possono legittimare una indennità talmente inferiore al valore di mercato del bene. Ne deriva che l'interessata ha dovuto sopportare un onere sproporzionato ed eccessivo che non può essere giustificato da un interesse generale legittimo perseguito dalle autorità (Scordino c. Italia (n. 1),succitata, §§ 99-103).
  • Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

II. SULLA ASSERITA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DELLA MANCANZA DI EQUITA' DELLA PROCEDURA

La ricorrente sostiene che l'adozione e l'applicazione dell'articolo 5 bisdella legge n. 359 del 1992 alla sua procedura costituisca un'ingerenza legislativa contraria al suo diritto ad un processo equo come garantito dall'articolo 6 § 1 della Convenzione che, nei suoi passaggi pertinenti, dispone:
«Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente (&) da un tribunale (&), che deciderà (&) in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile»

A. Sulla ricevibilità

La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. Deve quindi essere dichiarato ricevibile.

B. Nel merito

Tesi delle parti

 

  • Reiterando i suoi argomenti sviluppati nella causa Scordino(Scordino c. Italia (n. 1), succitata, §§ 118-125), il Governo contesta in primo luogo il fatto che la nuova legge abbia avuto una applicazione retroattiva, in quanto essa si limiterebbe, dopo aver modificato lo stato di diritto, a renderlo immediatamente applicabile alle istanze in corso, secondo un principio correntemente applicato. Ad ogni modo, il Governo sostiene che la Convenzione non vieta la retroattività delle leggi e quindi, anche a voler supporre che vi sia stata una ingerenza legislativa, quest'ultima rientrerebbe nel margine di valutazione lasciato agli Stati e sarebbe giustificata.
  • Il Governo osserva poi che al momento del versamento dell'acconto sull'indennità, nel marzo 1983, i criteri introdotti dalla legge n. 865 del 1971 e ripresi dalla legge n. 385 del 1980 erano ancora in vigore visto che la decisione che dichiarava quest'ultima legge incostituzionale è intervenuta soltanto il 15 luglio 1983. Ora, i criteri di indennizzo dichiarati incostituzionali erano meno favorevoli al ricorrente di quelli prodotti dall'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992.
  • Il Governo sostiene che la legge criticata dalla ricorrente è una legge finanziaria che si iscrive nel processo politico iniziato nel 1971, che tende a ad allontanarsi dalla legge generale sull'espropriazione del 1865 per andare al di là dei principi superati di una economia liberale. Da questo punto di vista, le dichiarazioni di incostituzionalità avrebbero creato "un vuoto" in quanto il fatto che la legge del 1865 ridispiegasse i suoi effetti non rispondeva alle esigenze di politica economica e sociale che guidavano il legislatore. Da questo punto di vista l'articolo 5bis avrebbe dunque colmato una lacuna.
  • Infine, il Governo osserva che l'articolo 5 bis non è stato adottato per influenzare lo svolgimento del procedimento intentato dalla ricorrente.
  • Conclude che l'applicazione della disposizione controversa alla causa della ricorrente non solleva alcun problema riguardo alla Convenzione. A sostegno delle sue tesi, il Governo fa specifico riferimento alle sentenze Forrer-Niedenthal c. Germania(n. 47316/99, 20 février 2003), OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri c. Francia(nn. 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004) e Bäck c. Finlandia, (n. 37598/97, CEDH 2004-VIII).
  • La ricorrente denuncia una ingerenza del potere legislativo nel funzionamento del potere giudiziario, a causa della adozione e dell'applicazione nei suoi confronti dell'articolo 5 bisdella legge n. 359 del 1992. Essa lamenta soprattutto di non aver beneficiato di un processo equo in quanto, quando è stato deciso l'ammontare della sua indennità di espropriazione, la questione sottoposta ai tribunali nazionali è stata decisa dal legislatore e non dal potere giudiziario.

 

Valutazione della Corte

  • La Corte riafferma che se, in linea di principio, non è vietato al potere legislativo regolamentare in materia, i diritti che derivano da leggi in vigore civile con nuove disposizioni aventi portata retroattiva, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo consacrati dall'articolo 6 della Convenzione si oppongono, salvo che per imperativi motivi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare lo svolgimento giudiziario della controversia (Zielinski et Pradal & Gonzales c. Francia [GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, § 57, CEDH 1999-VII; Raffineries grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A no 301-B; Papageorgiou c. Grecia, sentenza del 22 ottobre 1997, Recueil 1997-VI).
  • La Corte osserva che prima dell'entrata in vigore dell'articolo 5 bisdella legge n. 359 del 1992, tenuto conto delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale italiana il 25 gennaio 1980 ed il 15 luglio 1983, la legge applicabile al caso di specie era la legge n. 2359 del 1865, il cui articolo 39 prevedeva il diritto di essere indennizzato in misura pari al pieno valore di mercato del bene. Come conseguenza della disposizione contestata, la ricorrente ha subito una sostanziale diminuzione del suo indennizzo. A tale proposito, la Corte ricorda che ha appena constatato che l'indennità accordata alla ricorrente non era adeguata, visto il suo modesto ammontare e la mancanza di ragioni di utilità pubblica che possano giustificare un indennizzo talmente inferiore al valore commerciale del bene (precedente paragrafo 49).
  • Modificando il diritto applicabile agli indennizzi derivanti dagli espropri in corso ed alle relative procedure giudiziarie pendenti, fatta eccezione di quelle in cui il principio di indennizzo è stato oggetto di decisione irrevocabile, l'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992 ha applicato un nuovo regime di indennizzo a fatti pregiudizievoli verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore e che avevano già dato luogo a crediti risarcitori - ed anche a procedure pendenti in tale data - producendo così un effetto retroattivo.
  • Senza dubbio l'applicabilità alle indennità in corso ed alle procedure pendenti non potrebbe, in sé, costituire un problema sotto il profilo della Convenzione, in quanto in linea di principio non è impedito al legislatore di intervenire in materia civile per modificare lo stato del diritto con una legge immediatamente applicabile(OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri c. Francia, nn. 42219/98 e 54563/00, § 61, 27 maggio 2004; Zielinski et Pradal & Gonzalez e altri c. Francia [GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, § 57, CEDH 1999-VII).
  • Tuttavia, nella fattispecie, l'articolo 5 bisha semplicemente soppresso retroattivamente una parte essenziale dei crediti indennitari, di elevato ammontare, che i proprietari dei terreni espropriati, così come la ricorrente, avrebbero potuto reclamare dagli esproprianti. A tale riguardo, la Corte ricorda di aver appena constatato che l'indennità accordata ai ricorrenti non era adeguata, visto il suo modesto ammontare e la mancanza di ragioni di pubblica utilità che possono giustificare un indennizzo inferiore al valore commerciale del bene (Scordino c. Italia (n. 1), succitata, §§126-131).
  • Per la Corte, il Governo non ha dimostrato che le considerazioni da lui invocate - ossia considerazioni finanziarie e la volontà del legislatore di attuare un programma politico - permettessero di far emergere l'«interesse generale evidente ed imperativo» richiesto per giustificare l'effetto retroattivo, che essa ha riconosciuto nelle cause citate dal Governo (precedente paragrafo 57).
  • Pertanto vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

III. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DELLA ECCESSIVA DURATA DELLA PROCEDURA

Invocando l'articolo 6 della Convenzione, la ricorrente lamenta la durata della procedura innanzi al tribunale di Ancona. Essa sostiene che l'indennizzo ricevuto dalla corte d'appello non costituisce in sé una riparazione sufficiente. La disposizione invocata, nelle sue parti pertinenti, recita:
«Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata (&) entro un termine ragionevole da un tribunale (&), che deciderà (&) in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile»

Il Governo contesta questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

 

  • Il Governo solleva una eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne affermando che la ricorrente non ha fatto ricorso in cassazione per contestare la decisione della corte d'appello.
  • La Corte ricorda che essa ha rigettato eccezioni simili nella causa Delle Cave e Corrado c. Italia (n. 14626/03, §§ 17-24, 5 giugno2007). Essa non scorge alcun motivo per derogare alle sue precedenti conclusioni e rigetta quindi l'eccezione del Governo.

Qualità di "vittima"

 

  • Per sapere se un ricorrente possa ritenersi "vittima" ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione, occorre in primo luogo esaminare se le autorità nazionali hanno riconosciuto poi riparato in maniera adeguata e sufficiente la violazione controversa (vedere, fra altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, succitata, §§25?31; Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, §§ 69-98, CEDH-...).
  • La Corte, dopo aver esaminato l'insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, ritiene che la correzione si è rivelata insufficiente e che la ricorrente può ancora ritenersi "vittima" ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione.
  • La Corte constata che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità.

B. Nel merito

La Corte ritiene che il periodo da considerare è iniziato il 16 maggio 1986, con la citazione del comune innanzi al tribunale di Ancona, per terminare il 27 novembre 2001, data del deposito in cancelleria del testo della sentenza. Esso è quindi durato più di quindici anni e sei mesi per un grado di giudizio.

Dopo aver esaminato i fatti alla luce delle informazioni fornite dalle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte ritiene che nella fattispecie, la durata del procedimento controverso sia eccessiva e non risponda alle esigenze del "termine ragionevole".
Pertanto vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1.

IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa.»

Danni

 

  • Per il pregiudizio materiale, la ricorrente reclama la somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato del terreno al momento dell'espropriazione e l'indennità ottenuta conformemente all'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992, nonché il rimborso della ritenuta del 20% applicata sull'indennità di esproprio. Pertanto essa domanda 122.994,43 euro più indicizzazione e interessi calcolati a decorrere dal 1983.
  • Per il pregiudizio morale, la ricorrente domanda 12.000 euro meno il risarcimento di 2.324 euro accordato dalla corte d'appello nell'ambito della procedura Pinto.
  • Il Governo si oppone alle pretese della ricorrente. Esso sostiene che l'equa soddisfazione per il pregiudizio materiale dovrà essere certamente inferiore al valore commerciale del terreno. Per quanto riguarda il danno morale, il Governo ritiene esorbitante la somma reclamata dalla ricorrente e si rimette alla saggezza della Corte.
  • In merito al danno materiale, la Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l'obbligo giuridico di porre fine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire per quanto possibile la situazione preesistente alla violazione stessa (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
  • Nella fattispecie, per quanto riguarda l'articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ha dichiarato che l'ingerenza controversa soddisfaceva alla condizione di legalità e non era arbitraria (precedente paragrafo 45). L'atto del governo italiano che essa ha ritenuto contrario alla Convenzione era una espropriazione che sarebbe stata legittima se fosse stato versato un adeguato indennizzo. Inoltre, la Corte ha constatato che l'applicazione retroattiva dell'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992 aveva privato la ricorrente della possibilità offerta dall'articolo 39 della legge n. 2359 del 1865, applicabile alla fattispecie, di ottenere un indennizzo pari al valore commerciale del bene (precedente paragrafo 60).
  • Ispirandosi ai criteri generali enunciati nella sua giurisprudenza relativa all'articolo 1 del Protocollo n. 1 (Scordino c. Italia (n. 1)succitata, §§93-98; Stornaiuo loc. Italia, n. 52980/99, §61, 8 agosto 2006; Mason e altri c. Italia (equa soddisfazione), n. 43663/98, §38, 24 luglio 2007), la Corte ritiene che l'indennità di esproprio adeguata alla fattispecie avrebbe dovuto corrispondere al valore di mercato del bene al momento della privazione di quest'ultimo.
  • Essa accorda di conseguenza una somma corrispondente alla differenza tra il valore del terreno all'epoca dell'espropriazione, come risulta dalle perizie di ufficio effettuate nel corso della procedura nazionale (208.197 euro nel 1983, vedere precedente paragrafo 13) e sulle quali la ricorrente fonda le sue pretese, e l'indennità ottenuta a livello nazionale, più indicizzazione e interessi suscettibili di compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento del terreno. Agli occhi della Corte, questi interessi devono corrispondere all'interesse legale semplice applicato al capitale progressivamente rivalutato. Quanto alla ritenuta del 20% applicata all'indennità di espropriazione, la Corte non ha concluso nell'illegalità dell'applicazione di questa imposta in quanto tale, ma ha considerato questo elemento nella valutazione della causa (Scordino c. Italia (n. 1), succitata, §258).
  • Tenuto conto di questi elementi, e decidendo secondo equità, la Corte ritiene ragionevole concedere alla ricorrente la somma di 500.000 euro, più qualsiasi somma dovuta a titolo di imposta su questa cifra, per il pregiudizio materiale.
  • Per quanto riguarda il pregiudizio morale, tenuto conto delle circostanze della causa e decidendo secondo equità, la Corte accorda interamente la somma richiesta dalla ricorrente a questo titolo, ossia 9.676 euro.

 

Spese legali

 

  • La ricorrente reclama anche 37.233 euro per le spese affrontate innanzi alla Corte fornendo i giustificativi a sostegno.
  • Il Governo vi si oppone.
  • Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese legali nella misura in cui ne venga provata la loro realtà, necessità e congruità del loro ammontare. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte, decidendo secondo equità, assegna alla ricorrente 10.000 euro per le spese affrontate a Strasburgo, più qualsiasi somma che potrà essere dovuta a titolo di imposta su questa somma.

Interessi moratori

  • La Corte giudica appropriato che il tasso degli interessi moratori sia ragguagliato al tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA'

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell'applicazione alla fattispecie dell'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata della procedura;
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      i. 500.000 EUR (cinquecentomila euro) per il danno materiale;
      ii. 9.676 EUR (novemilaseicentosettantasei euro) per il danno morale, più qualsiasi altra somma che potrà essere dovuta a titolo di imposta;
      iii. 10.000 EUR (diecimila euro) per spese legali;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali somme dovranno essere maggiorate di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta nel resto la domanda di equa soddisfazione.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 1º aprile 2008 ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé
Cancelliere
Françoise Tulkens
Presidente
P.T.C.
Il traduttore
Rita Carnevali