Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 gennaio 2009 - Ricorso n. 33932/06 - Todorova c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Pucci

Abstract

Diritto al rispetto della vita familiare – adozione – consenso della madre

La ricorrente ha lamentato davanti alla Corte la violazione dell’art. 8 della Cedu in relazione al suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, a causa della decisione di dichiarare adottabili i suoi gemelli, assunta dal Tribunale per i minorenni il 2 novembre 2005, dopo appena 27 giorni dalla loro nascita.

 In sintesi la Corte Edu ha ritenuto la violazione dell’art. 8 della Cedu,  perché nei confronti della ricorrente è stato ignorato  “l’obbligo positivo dello Stato, di assicurarsi che il consenso dato“ ”all’abbandono dei figli fosse stato chiarito e circondato da adeguate garanzie”.
 Più specificatamente la Corte Edu ha ritenuto che la decisione di adottabilità del Tribunale dei minorenni, è stata emessa senza aver prima sentito la ricorrente nonostante essa avesse manifestato la volontà di essere sentita da giudice per il suo eventuale consenso. “Il tribunale avrebbe pertanto omesso di tutelare i suoi diritti genitoriali”.

CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CASO TODOROVA c. ITALIA (Ricorso n. 33932/06)
SENTENZA
STRASBURGO 3 gennaio 2009

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

Nel caso Todorova c/Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Seconda Sezione), costituita in una Camera composta da:
    Françoise Tulkens, Presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danuté Jočiené,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó, 
    Işil Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 9 dicembre 2008,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in questa data:

PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 33932/06) nei confronti della Repubblica italiana con cui una cittadina bulgara, la sig.ra Temenuzhka Ivanchova Todorova («la ricorrente»), ha adito la Corte il 17 agosto 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali («la Convenzione»).
2. La ricorrente, la quale è stata ammessa al beneficio dell’assistenza giudiziaria, è rappresentata dall’Avv. di Muro, del foro di Bari. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato successivamente dagli Agenti I.M. Braguglia, R. Adam e E. Spatafora e dal Co-Agente F. Crisafulli.
3. La ricorrente, madre biologica di due gemelli, adduce, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, a causa della decisione di dichiarare adottabili i gemelli assunta dal tribunale per i minorenni dopo appena 27 giorni dalla nascita. Essa denuncia anche una violazione del principio dell’equità del procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni di Bari.  
4. Il 26 ottobre 2006, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, la sezione ha deciso che l’ammissibilità e la fondatezza del caso sarebbero state esaminate contestualmente. E’ stato deciso anche di trattare il ricorso prioritariamente in virtù dell’articolo 41 del regolamento della Corte.
5. Con missiva del 30 ottobre 2006, il governo bulgaro è stato invitato ad intervenire nel procedimento in virtù degli articoli 36 § 1 della Convenzione e 44 del regolamento della Corte. La missiva è rimasta senza risposta, pertanto è da ritenersi che il governo bulgaro non intenda avvalersi del suo diritto d’intervento.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO

 6. La ricorrente è nata nel 1967 a Oryahovo (Bulgaria) e risiede a Bari.
7. I fatti della causa, quali sono stati esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.
8. Il 7 ottobre 2005, la ricorrente diede alla luce due gemelli all’ospedale San Paolo di Bari. Non riconobbe i figli e chiese che il suo nome non fosse rivelato. Lo stesso giorno, l’assistente sociale, M.P., con una breve nota informò il suo superiore gerarchico dell’abbandono dei neonati.
9. Il 10 ottobre 2005, la procura presso il tribunale per i minorenni di Bari invitò il tribunale a procedere con urgenza al collocamento dei bambini in un centro di accoglienza.
10. L’11 ottobre 2005, M.P. fece pervenire al suo superiore un rapporto nel quale si rappresentava che la ricorrente chiedeva di disporre di tempo per riflettere prima di decidere se riconoscere o meno i figli, e di essere ricevuta dal tribunale per i minorenni. La ricorrente esprimeva anche l’auspicio che i figli fossero collocati provvisoriamente in un centro di accoglienza o presso una famiglia a condizione di poterli vedere, e ciò fino al momento in cui essa avrebbe preso una decisione.
11. La nota e il rapporto furono inviati alla procura i giorni 7 e 11 ottobre 2005. Come risulta dal fascicolo, i documenti furono registrati in arrivo il 12 ottobre.
12. Il 13 ottobre 2005, i bambini furono collocati in un centro di accoglienza e fu nominato un tutore provvisorio. Il tribunale vietò alla ricorrente di fare visita ai figli e chiese all’ospedale di trasmettere i loro fascicoli.
13. Il 18 ottobre 2005, la procura chiese al tribunale di dichiarare adottabili i bambini. Nel suo parere, il magistrato rilevava: 1) che la ricorrente non aveva chiesto un periodo per riconoscere i figli ma solo un po’ di tempo per ristabilirsi e valutare le prospettive; 2) che la sospensione del procedimento era facoltativa e poteva essere disposta se i minori erano assistiti da un genitore, mentre nel caso di specie la ricorrente desiderava solo vedere i gemelli; 3) che, nella sua dichiarazione, la ricorrente aveva affermato di avere altri due figli ed una famiglia in un altro Stato, che il padre dei gemelli era un cittadino italiano con il quale essa aveva interrotto ogni rapporto, di non avere né i mezzi economici né una vita sufficientemente stabile per occuparsi adeguatamente dei figli, ed infine che era impensabile che l’abbandono non fosse stato ben ponderato durante la gravidanza.
14. Il 2 novembre 2005, ritenendo sufficienti gli elementi raccolti durante l’inchiesta - infatti, da un lato, il padre dei bambini era ignoto e, dall’altro, la madre non li aveva riconosciuti -, il tribunale per i minorenni dichiarò adottabili i gemelli.
15. Il 2 dicembre 2005, la ricorrente chiese di essere sentita dal tribunale per i minorenni e sollecitò la sospensione del procedimento eventualmente avviato per la dichiarazione di adottabilità dei gemelli.
16. Il 5 dicembre 2005, il tribunale per i minorenni invitò la procura a comunicare se si sarebbe opposta alla decisione del 2 novembre, in questi termini: «con preghiera di valutare l’opportunità di rinunciare al termine per fare opposizione alla dichiarazione di adottabilità».
17. In pari data, la procura rinunciò ad opporsi alla decisione del 2 novembre 2005, che divenne quindi immediatamente definitiva.
18. Il 6 dicembre 2005, i minori furono dati in affidamento preadottivo.
19. Nel suo parere del 13 dicembre 2005, la procura consigliò il rigetto della domanda di sospensione del procedimento presentata dalla ricorrente il 2 dicembre in quanto i figli erano già stati dichiarati adottabili.
20. Il 21 dicembre 2005, il tribunale per i minorenni rilevò che i bambini erano stati dichiarati adottabili, il che comportava l’inammissibilità della domanda della ricorrente in quanto il procedimento non poteva più essere sospeso. Il tribunale precisò anche che la ricorrente non aveva riconosciuto i figli e che, tutt’al più, essa avrebbe potuto opporsi alla decisione del 2 novembre. Il legale della ricorrente fu informato del rigetto con notificazione del 21 febbraio 2006.
21. Il 22 febbraio e il 15 marzo 2006, il legale della ricorrente, allo scopo di opporsi alla decisione del 2 novembre 2005, adì il tribunale per i minorenni di Bari al fine di ottenere copia degli atti del procedimento all’esito del quale i bambini erano stati dichiarati adottabili.
22. Il 20 marzo 2006, l’ufficiale di stato civile del comune di Bari informò il presidente del tribunale per i minorenni che la ricorrente aveva chiesto, il 17 marzo, di potere riconoscere «due gemelli minorenni non riconosciuti alla nascita». L’ufficiale chiese il parere del presidente in merito al procedimento da seguire.
23. Il 20 marzo 2006, il tribunale per i minorenni rigettò la domanda presentata dal legale della ricorrente il 22 febbraio 2005 e reiterata il 15 marzo. Il tribunale rammentò: 1) che, rigettando la domanda con cui la ricorrente chiedeva di essere sentita, esso aveva già osservato che i bambini erano stati dichiarati adottabili il 2 novembre 2005 e che tale decisione era passata in giudicato il 5 dicembre 2005; 2) che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in materia di adozione plenaria, l’opposizione alla decisione che dichiara adottabile un bambino può essere presentata dai genitori biologici che hanno riconosciuto il bambino prima che la decisione divenga definitiva, dopo di che i genitori biologici possono chiedere la revoca della decisione solo a condizione che il bambino non sia stato dato in affidamento preadottivo. Nel caso di specie, i bambini erano stati dati in affidamento il 6 dicembre 2005, il che impediva alla ricorrente di avviare un procedimento di revoca.
24. Il 12 aprile 2006, il presidente del tribunale per i minorenni informò l’ufficiale di stato civile delle decisioni adottate nei confronti dei gemelli sottolineando che, ai sensi della legge n. 184/1983, il riconoscimento di un bambino dichiarato adottabile e dato in affidamento preadottivo è inefficace.
25. Il 21 marzo 2006, la ricorrente adì la corte d’appello di Bari chiedendo la revoca della dichiarazione di adottabilità.
26. Nella sua decisione del 14 luglio 2006, la corte d’appello dichiarò inammissibile la domanda in quanto la ricorrente avrebbe dovuto prima rivolgersi al tribunale per i minorenni e solo in seguito presentare appello contro la sentenza da esso emessa.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI ED INTERNAZIONALI PERTINENTI

 27. La legge n. 184 del 4 maggio 1983, così come in vigore all’epoca dei fatti, ha ampiamente rivisto la materia dell’adozione. In seguito, essa ha subito a sua volta una revisione (legge n. 149 del 2001).
28. L’articolo 8 prevede che «possono essere dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni, anche d’ufficio, (…) i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio». «La situazione di abbandono sussiste», prosegue l’articolo 8, «… anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza ovvero siano in affidamento familiare». Infine, tale disposizione prevede che la causa di forza maggiore non sussista qualora i genitori o altri membri della famiglia del minore tenuti ad occuparsi di lui rifiutino le misure di assistenza pubbliche e tale rifiuto sia ritenuto ingiustificato dal giudice. La situazione di abbandono può essere segnalata all’autorità pubblica da qualsiasi privato e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. D’altra parte, il pubblico ufficiale nonché i familiari del minore che siano a conoscenza dello stato di abbandono di quest’ultimo sono tenuti a farne denuncia.
29. L’articolo 15 prevede che la dichiarazione dello stato di adottabilità sia disposta dal tribunale per i minorenni riunito in camera di consiglio con decisione motivata, sentito il pubblico ministero, il rappresentante dell’istituto presso il quale è stato collocato il minore o l’eventuale famiglia di accoglienza, il tutore, il minore di età superiore a dodici anni nonché il minore di età inferiore a dodici anni se necessario.
30. L’articolo 17 dispone che gli interessati possono proporre impugnazione dinanzi al tribunale che ha emesso la misura che dichiara adottabile il minore, entro trenta giorni dalla notificazione. Avverso la sentenza della Corte d'appello è ammesso ricorso per Cassazione per violazione della legge, entro trenta giorni dalla notificazione.
31. L’articolo 20 prevede infine che l’adottabilità cessi nel momento in cui il minore è adottato o se quest’ultimo raggiunge la maggiore età.
32. Del resto, ai sensi dell’articolo 21, lo stato di adottabilità può essere revocato, d’ufficio o su richiesta dei genitori o del pubblico ministero, se nel frattempo sono venute meno le condizioni di cui all'articolo 8. Tuttavia, nel caso in cui sia in atto l'affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità non può essere revocato.

La Convenzione europea in materia di adozione dei minori (STCE n. 58)

33. La Convenzione europea in materia di adozione dei minori del Consiglio d’Europa è entrata in vigore il 24 aprile 1968. L’Italia l’ha ratificata il 26 agosto 1976. L’articolo 5 dispone:

«1. Salvo quanto disposto nei paragrafi da 2 a 4 del presente articolo, l'adozione non verrà decisa se non quando siano stati concessi e non siano stati ritirati i seguenti consensi:
a) il consenso della madre (…)
3. Se il padre o la madre sono privati dei diritti genitoriali nei confronti del minore o comunque del diritto di acconsentire all'adozione, la legge può prevedere che tale consenso non sia richiesto.
4. Il consenso della madre all'adozione del figlio sarà accettato solo se prestato dopo la nascita di questi, alla scadenza del termine prescritto dalla legge, termine che non dovrà essere inferiore a 6 settimane o, ove non sia specificato un termine, quando, a giudizio dell'autorità competente, la madre si sarà ristabilita sufficientemente dalle conseguenze del parto.
(…)
5. Nel presente articolo, per 'padre' e 'madre' si intendono le persone che sono legalmente i genitori del minore.»

34. Secondo il rapporto esplicativo, il paragrafo 3 conferisce alle Parti Contraenti la possibilità di specificare che non sarà richiesto il consenso del padre e della madre privati dei diritti genitoriali. La redazione tiene conto del caso in cui la legislazione consente di privare i genitori naturali di alcuni diritti genitoriali pur lasciando loro il diritto di acconsentire all’adozione.
35. Il paragrafo 4 ha lo scopo di evitare le adozioni premature per le quali il consenso della madre è prestato in seguito ad una pressione esercitata prima della nascita o prima che il suo stato fisico e psicologico si sia stabilizzato.
36. La convenzione ha subito una revisione. L’articolo 5 della nuova Convenzione, adottata dal Comitato dei Ministri durante la sua 118a Sessione Ministeriale, il 7 maggio 2008, e aperta alla firma il 27 novembre 2008, prevede che:
37. «1. Salvo quanto disposto nei paragrafi da 2 a 5 del presente articolo, l'adozione non verrà decisa se non quando siano stati concessi e non siano stati ritirati i seguenti consensi:

a. il consenso della madre e del padre; o, se non vi sono genitori che possano acconsentire, il consenso di qualsiasi persona o ente abilitato ad acconsentire al loro posto; (…)

4. Se il padre o la madre non è titolare della responsabilità genitoriale nei confronti del minore o comunque del diritto di acconsentire all'adozione, la legge può prevedere che tale consenso non sia richiesto.
5. Il consenso della madre all'adozione del figlio sarà valido solo se prestato dopo la nascita di questi, alla scadenza del termine prescritto dalla legge, che non dovrà essere inferiore a sei settimane o, ove non sia specificato un termine, quando, a giudizio dell'autorità competente, la madre si sarà ristabilita sufficientemente dalle conseguenze del parto.
6. Nella presente convenzione, per «padre» e «madre» si intendono le persone che sono, ai sensi della legislazione, i genitori del minore.
38. Il rapporto esplicativo precisa quanto segue:
«Il paragrafo 2 sottolinea che è essenziale che la persona che presta il consenso sia debitamente informata in anticipo delle conseguenze di tale consenso. Il consenso deve essere prestato liberamente e per iscritto (…). Il paragrafo 3 prevede che, in tutti i casi, la legislazione nazionale dovrebbe prevedere i motivi per i quali l’autorità competente potrebbe, in casi eccezionali, fare a meno del consenso o passare sopra al rifiuto di prestare il consenso. E’ evidente che la disposizione comporta l’esclusione di qualsiasi eccezione.
I motivi eccezionali previsti al paragrafo 3 sono ad esempio:
(a) il caso in cui le persone di cui è richiesto il consenso non possano essere contattate o siano incapaci di prestare il consenso;
(b) il caso in cui le persone interessate non prestino il consenso per motivi che possono essere considerati come un abuso di diritto.
Il fatto di fare a meno del consenso della persona non significa tuttavia che tale persona non dovrebbe essere informata del procedimento di adozione.»
39. Il paragrafo 4 conferisce agli Stati parte la possibilità di specificare che il consenso del padre e della madre non titolari della responsabilità genitoriale non deve essere richiesto. La redazione di questo paragrafo tiene conto del caso in cui la legislazione consente di privare i genitori di origine di alcune responsabilità genitoriali pur lasciando loro il diritto di acconsentire all’adozione. Inoltre, l’espressione «diritti genitoriali» è sostituita dall’espressione «responsabilità genitoriale» che riflette l’evoluzione del diritto di famiglia per quanto riguarda il ruolo dei genitori (si veda in particolare la Raccomandazione n. R (84)4 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulle responsabilità genitoriali). Ciò non significa che quel genitore non debba essere informato, per quanto possibile, del procedimento di adozione.
40. Il paragrafo 5 ha lo scopo di evitare le adozioni premature per le quali il consenso della madre è prestato in seguito ad una pressione esercitata prima della nascita del bambino o prima che il suo stato fisico e psicologico si sia stabilizzato dopo la nascita del bambino.
41. Il paragrafo 6 dà una definizione dei termini «padre» e «madre». Tenuto conto di tale definizione, il consenso previsto in questo articolo non riguarda i genitori d’origine quando non sia stabilita la filiazione legale.


IN DIRITTO

I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

 42. La ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, a causa della decisione di dichiarare adottabili i suoi gemelli assunta dal tribunale per i minorenni il 2 novembre 2005, dopo appena 27 giorni dalla loro nascita.
 43. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la ricorrente lamenta che il tribunale per i minorenni ha: 1) dichiarato adottabili i figli senza averla prima sentita; 2) omesso di notificare al suo legale per due mesi il rigetto della domanda di sospensione del procedimento; 3) chiesto alla procura di rinunciare ad opporsi alla decisione che dichiara adottabili i figli. Essa ne inferisce la violazione del suo diritto ad un processo equo dinanzi ad un tribunale imparziale.
 44. Padrona della qualificazione giuridica dei fatti della causa, la Corte ritiene appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati dalla ricorrente unicamente sotto il profilo dell’articolo 8, il quale esige che il processo decisionale che porta all’adozione delle misure d’ingerenza sia equo e rispetti come si deve gli interessi tutelati da tale disposizione (Havelka ed altri c/Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c/Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c/Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).
L’articolo 8 della Convenzione dispone come segue nelle parti pertinenti:
  «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita (…) familiare (…).
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (…) per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
A. Sull’ammissibilità
1. Sull’esistenza di un legame tra la ricorrente e i suoi gemelli costitutivo di una «vita familiare», ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione
a) Tesi delle parti
45. Il Governo ritiene in via principale che l’articolo 8 della Convenzione non si applichi alla situazione della ricorrente, la quale non può avvalersi dell’esistenza di una «vita familiare» suscettibile di essere tutelata dalla disposizione succitata. Basandosi sulla sentenza Lebbink c/Paesi Bassi, n. 45582/99, CEDU 2004-IV, il Governo afferma che l’esistenza di un legame puramente biologico di filiazione privo di tutti gli elementi giuridici o fattuali indicanti l’esistenza di un rapporto personale stretto non comporterebbe la tutela dell’articolo 8. Perciò, è necessario costruire un rapporto stabile che duri da qualche tempo, oppure che esista un rapporto reale ed effettivo, tra gli interessati (si vedano a contrario Berrehab c/Paesi Bassi, 21 giugno 1988, serie A n. 138; Keegan c/Irlanda, 26 maggio 1994, serie A n. 290). Ora, il Governo sostiene che la Corte non ha mai riconosciuto che il semplice legame di sangue non accompagnato da una volontà espressa di collegare ad esso un corrispondente valore morale, sociale e giuridico, e non consacrato da un riconoscimento legale, sarebbe sufficiente da solo a creare un legame tutelato dall’articolo 8.
 46. Il Governo ricorda che nella sentenza Kroon ed altri c/Paesi Bassi (del 27 ottobre 1994, serie A n. 297-C), la Corte ha attribuito importanza ad un legame biologico perché i genitori avevano manifestato concretamente e inequivocabilmente la ferma intenzione di riconoscere il figlio. Al contrario, nel caso di specie, la ricorrente non ha riconosciuto i figli; essa ha chiesto che fossero dati in affidamento, non ha mai manifestato l’intenzione di creare un rapporto significativo con loro, né presentato una domanda formale di sospensione del procedimento. Essa ha chiesto «che le fosse dato il tempo di riflettere meglio prima di fare una scelta in merito al riconoscimento della sua maternità». Secondo il Governo, la ricorrente non può quindi sostenere di essere vittima di una violazione di questo diritto.
47. Innanzitutto, la ricorrente invita la Corte a non prendere in considerazione le osservazioni del Governo perché tardive. Essa contesta poi la tesi del Governo. Afferma che lo Stato convenuto le avrebbe impedito di instaurare una vita familiare con i figli. Secondo lei, una vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione esiste ipso jure tra lei e i figli in virtù della sua maternità biologica. La ricorrente sottolinea che la domanda presentata dinanzi al tribunale per i minorenni il 2 dicembre 2005 mirava ad interrompere il procedimento di adozione al fine di riconoscere legalmente i figli. Inoltre, secondo lei, la sua intenzione di riconoscere i figli era nota già dall’11 ottobre 2005.
48. La ricorrente sostiene di essersi trovata in una situazione di grande sconforto dovuta alla sua situazione di immigrata irregolare e a rischio di espulsione. Essa afferma di non avere mai avuto copia degli atti di nascita dei figli e di non essere stata informata che i figli erano stati dati in affidamento preadottivo. La ricorrente ricorda che nel caso Kroon ed altri c/Paesi Bassi, succitato, la Corte ha concluso per l’applicabilità dell’articolo 8 nei confronti di un padre biologico.
49. Infine, anche se la Corte decidesse che nel caso di specie non vi sarebbe stata una «vita familiare», le misure controverse costituirebbero tuttavia un’ingerenza nella vita privata della ricorrente.

b) Valutazione da parte della Corte

50. La Corte risponde subito alla domanda se sia opportuno prendere in considerazione le osservazioni del Governo. Al riguardo, essa osserva che le parti sono state invitate a presentare le loro memorie entro il 9 gennaio 2007. Dal fascicolo della causa emerge che il Governo ha presentato le sue osservazioni entro il termine impartito. Queste non possono quindi essere ritenute tardive.
51. La Corte rammenta che il concetto di famiglia sul quale si fonda l’articolo 8 della Convenzione include, anche in assenza di convivenza, il legame tra un individuo e suo figlio, sia questi legittimo (si vedano, mutatis mutandis, Berrehab c/Paesi Bassi, 21 giugno 1988, § 21, serie A n. 138, e Gül c/Svizzera, 19 febbraio 1996, § 32, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1996-I) o naturale. Se, in genere, la convivenza può costituire un requisito di tale rapporto, eccezionalmente anche altri fattori possono servire a dimostrare che un rapporto è sufficientemente costante da creare «legami familiari» di fatto (Kroon ed altri c/Paesi Bassi, succitata). L’esistenza o l’assenza di una «vita familiare» è innanzitutto una questione di fatto dipendente dalla realtà pratica di legami personali stretti (K. e T. c/Finlandia [GC], n. 25702/94, § 150, CEDU 2001-VII).
52. Rivolgendo l’attenzione alle circostanze del caso di specie, la Corte osserva che la ricorrente non ha riconosciuto i figli e non ha mai costituito con loro una «cellula familiare». Pertanto, nasce la domanda se esistano altri elementi atti a dimostrare che il rapporto in questione è sufficientemente costante e sostanziale da creare «legami familiari» fattuali.
53. Certo, garantendo il diritto al rispetto della vita familiare, l’articolo 8 presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx c/Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31; Johnson c/Regno Unito, 24 ottobre 1997, § 62, Raccolta 1997-VII), requisito che non sembra soddisfatto nel caso di specie, in mancanza di convivenza o di legami de facto sufficientemente stretti tra la ricorrente e i figli. Non ne consegue tuttavia, a giudizio della Corte, che una vita familiare in progetto non rientri per niente nell’ambito dell’articolo 8. In questo senso, la Corte ha già ritenuto che questa disposizione potesse estendersi anche al rapporto che avrebbe potuto svilupparsi, ad esempio, tra un padre naturale ed un figlio nato fuori del matrimonio (Nylund c/Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEDU 1999-VI), o al rapporto nato da un matrimonio non fittizio, anche se non esisteva ancora una vera e propria vita familiare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c/Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A n. 94).
54. Nel caso di specie, la Corte osserva che la ricorrente ha chiesto di incontrare i figli quattro giorni dopo il parto e che, due mesi dopo, ha presentato dinanzi al tribunale per i minorenni una domanda di sospensione del procedimento di adozione. Certo, la domanda è stata respinta in quanto i figli erano stati dati in affidamento preadottivo. Tuttavia, la Corte non può negare l’interesse che la ricorrente ha dimostrato nei confronti dei figli ed escludere che tra lei e i figli avrebbe potuto svilupparsi un rapporto se essa avesse avuto la possibilità di rimettere in discussione la sua scelta dinanzi al tribunale.
55. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il legame tra la ricorrente e i figli rientri nel concetto di vita familiare, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, l’eccezione del Governo deve essere respinta.

2. Sull’assenza della qualità di vittima della ricorrente

a) Tesi delle parti

56. Il Governo ritiene che la ricorrente abbia volontariamente omesso di riconoscere i figli, riconoscimento che le avrebbe consentito di godere dei diritti genitoriali sul piano sostanziale e processuale. La ricorrente non si è mai occupata dei figli né ha manifestato l’intenzione di farlo. Secondo il Governo, anche supponendo che esistano dei diritti, il loro esercizio effettivo è stato impedito dall’inerzia consapevole e volontaria della ricorrente, la quale è stata peraltro assistita da un avvocato a partire dal 2 dicembre 2005.
57. La ricorrente contesta la tesi del Governo. Essa ritiene di avere fatto i passi necessari per difendere il suo diritto sancito dall’articolo 8 della Convenzione.

b) Valutazione da parte della Corte

58. La Corte osserva che questa eccezione è legata, per essenza, all’eccezione d’incompatibilità ratione materiae. Ora, la Corte ha appena affermato che il legame tra la ricorrente e i figli rientra nel concetto di «vita familiare», ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione. La Corte ritiene che al riguardo non si ponga nessun’altra questione.

3. Eccezione preliminare relativa al mancato esperimento di tutti i mezzi d’impugnazione interni

a) Tesi delle parti

59. Il Governo eccepisce in subordine il mancato esperimento di tutti i mezzi d’impugnazione interni. La ricorrente avrebbe potuto, ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 184 del 1983, in vigore all’epoca dei fatti, impugnare dinanzi al tribunale per i minorenni la decisione che dichiarava adottabili i figli e chiedere la revoca dello stato di adottabilità ai sensi dell’articolo 21.
60. Ora, la ricorrente ha impugnato il decreto di adottabilità dei gemelli dinanzi alla corte d’appello, organo incompetente, invece di fare opposizione dinanzi al tribunale per i minorenni ai sensi dell’articolo 17 della legge. L’appello è stato dichiarato inammissibile. Essa ha reiterato la pratica ma non ha avviato la procedura ad essa relativa né presentato una domanda di revoca conformemente all’articolo 21 della legge. La ricorrente ha effettuato dei passi giudiziari non previsti dalla legge. Il Governo ammette che la ricorrente, non avendo riconosciuto i figli, non poteva fare opposizione ai sensi dell’articolo 17; tuttavia, esso sottolinea che anche se il diritto interno avesse riconosciuto più ampie facoltà di intervento nel procedimento e di opposizione alle decisioni giudiziarie, la ricorrente ha commesso un errore di procedura che avrebbe comunque determinato il fallimento dei passi da lei effettuati. Inoltre, la ricorrente era assistita da un avvocato a partire dal 2 dicembre 2005, in tempo utile per fare opposizione nelle forme di legge alla dichiarazione di adottabilità e chiederne la revoca. Il Governo rammenta che spetta all’avvocato e non alle autorità informare la ricorrente sui passi da fare (Hermi c/Italia [GC], n. 18114/02, § 91, CEDU 2006-…).
61. La ricorrente contesta la tesi del Governo. Basandosi sulla giurisprudenza della Corte (Cardot c/Francia, 19 marzo 1991, § 34 serie A n. 200; Melnikova c/Ucraina, n. 24626/03, § 67, 22 novembre 2005; Akdivar ed altri c/Turchia, 16 settembre 1996, § 67, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1996-IV; Andronicou e Constantinou c/Cipro, 9 ottobre 1997, § 159, Raccolta 1997-VI; Estrikh c/Lettonia, n. 73819/01, § 93, 18 gennaio 2007), essa rammenta che la regola dell’esperimento di tutti i mezzi d’impugnazione interni deve applicarsi con una certa elasticità e senza eccessivo formalismo e che non esiste alcun obbligo di usare ricorsi che non sono né adeguati né effettivi. Per giunta, spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento dei mezzi d’impugnazione convincere la Corte che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria sia in pratica all’epoca dei fatti, vale a dire che era accessibile, suscettibile di offrire al ricorrente la riparazione dei suoi motivi di ricorso e presentava ragionevoli prospettive di successo. Essa sostiene che la Corte d’appello di Bari l’ha informata del procedimento solo il 16 febbraio 2006, quando ormai nessuna azione giudiziaria era più possibile.

b) Valutazione da parte della Corte

62. Alla luce delle argomentazioni delle parti nel loro complesso, la Corte ritiene che questa eccezione sia strettamente legata al merito del ricorso e decide di riunirla al merito.

4. Conclusioni

63. La Corte constata che il motivo di ricorso relativo all’articolo 8 non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Essa rileva del resto che esso non si oppone a nessun altro motivo d’inammissibilità. E’ pertanto opportuno dichiararlo ammissibile.

B. Sul merito

64. Secondo la ricorrente, la decisione che dichiara adottabili i figli assunta dopo soli 27 giorni dal parto è incompatibile con gli standard del Consiglio d’Europa espressi nell’articolo 5 § 4 della Convenzione europea in materia di adozione dei minori, aperta alla firma il 24 aprile 1967 e ratificata dall’Italia il 25 maggio 1976. La disposizione prevede infatti che non si possa decidere un’adozione sulla base del consenso espresso dalla madre prima che sia trascorso un periodo di sei settimane a partire da detto consenso. La ricorrente afferma inoltre che l’ingerenza delle autorità italiane nel suo diritto alla vita privata e familiare non era né proporzionata allo scopo perseguito né necessaria in una società democratica.
65. Essa osserva che il tribunale per i minorenni di Bari ha dichiarato adottabili i figli senza averla prima sentita e ciò nonostante che essa avesse manifestato la volontà di essere sentita dal giudice all’assistente sociale M.P. qualche giorno dopo la nascita dei gemelli. Il tribunale avrebbe pertanto omesso di tutelare i suoi diritti genitoriali.
66. Il Governo contesta questa tesi. Esso afferma innanzitutto che non vi sarebbe stata ingerenza in una vita familiare inesistente. Anche supponendo che si fosse verificata una tale ingerenza, essa era prevista dalla legge, perseguiva lo scopo legittimo della tutela degli interessi dei bambini ed era proporzionata allo scopo. Inoltre, il diritto italiano sarebbe pienamente conforme agli standard del Consiglio d’Europa in materia di adozione. Il Governo sostiene che l’articolo 5 § 4 della Convenzione europea in materia di adozione dei minori non si applicherebbe nel caso di specie in quanto la situazione della ricorrente cadrebbe nel campo di applicazione dell’articolo 5 § 3. D’altra parte, il Governo sostiene che, anche supponendo che l’articolo 5 § 4 si applichi al caso di specie, il termine di sei settimane scadeva il 18 novembre 2005, mentre la ricorrente aveva presentato il primo atto ufficiale dinanzi al tribunale per i minorenni solo il 2 dicembre 2005.
67. Il Governo rammenta che gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento nella definizione concreta delle condizioni e dei termini per l’esercizio dei diritti, compreso dei diritti genitoriali. Esso ritiene che la legislazione, la giurisprudenza e la prassi nazionali abbiano offerto alla ricorrente garanzie adeguate e sufficienti dei suoi diritti tutelati dalla Convenzione sul terreno sostanziale e processuale.
68. Il Governo afferma inoltre che la ricorrente avrebbe potuto procedere alla semplice pratica amministrativa del riconoscimento della sua maternità ancora prima di presentare la domanda al tribunale o fino al 16 febbraio 2006, il che le avrebbe consentito di chiedere la revoca del decreto conformemente all’articolo 21 della legge. Infine, il Governo rammenta che la legislazione, la prassi e la giurisprudenza offrivano alla ricorrente mezzi d’impugnazione che essa non ha utilizzato. Ne consegue che la procedura seguita, alla luce delle possibilità che si aprivano alla ricorrente, non era iniqua.
69. La Corte rammenta che se l’articolo 8 tende essenzialmente a premunire l’individuo contro ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, esso non si limita a ordinare allo Stato di astenersi da simili ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad un effettivo rispetto della vita familiare. Essi possono comportare l’adozione di misure finalizzate al rispetto della vita privata, persino nei rapporti tra gli individui. Il confine tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato ai sensi dell’articolo 8 non si presta ad una definizione precisa; i principi applicabili sono tuttavia equiparabili. In particolare, in entrambi i casi, è necessario tenere conto del giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concorrenti; parimenti, in entrambe le ipotesi, lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (cfr. Keegan c/Irlanda, sentenza del 26 maggio 1994, serie A n. 290, § 49; Odièvre c/Francia [GC], n. 42326/98, § 40, CEDU 2003-III; Evans c/Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 75, 10 aprile 2007).
70. La Corte osserva che la questione principale è sapere se l’applicazione delle disposizioni di legge fatta nel caso di specie abbia garantito un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e diversi interessi privati concorrenti in gioco, tutti fondati sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Essa ritiene quindi più appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati sotto l’aspetto degli obblighi positivi (Evans succitata, § 76).
71. Il margine di apprezzamento di cui dispongono gli Stati contraenti è generalmente ampio quando le autorità pubbliche devono garantire un equilibrio tra gli interessi privati e pubblici concorrenti o tra diversi diritti tutelati dalla Convenzione. Ciò è a maggior ragione vero quando non esiste un consenso in seno agli Stati membri del Consiglio d’Europa sull’importanza relativa all’interesse in gioco o sui mezzi migliori per tutelarlo (Evans succitata, §§ 77-81).
72. La Corte rammenta del resto che il suo compito non è quello di sostituirsi alle autorità interne, ma di esaminare sotto il profilo della Convenzione le decisioni che tali autorità hanno pronunciato nell’esercizio del loro potere discrezionale. La Corte valuterà quindi se le autorità italiane abbiano agito in violazione dei loro obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione (Hokkanen c/Finlandia, sentenza del 23 settembre 1994, serie A n. 299-A, § 55; Mikulić c/Croazia, n. 53176/99, § 59, CEDU 2002-I; P., C. e S. c/Regno Unito, n. 56547/00, § 122, CEDU 2002-VI).
73. La Corte osserva che le autorità italiane, in seguito all’abbandono dei figli da parte della ricorrente, hanno adottato tutte le misure necessarie per tutelarli. Hanno collocato con urgenza i bambini in un centro di accoglienza, hanno nominato un tutore provvisorio ed hanno avviato un procedimento di adottabilità. Tuttavia, la Corte osserva che l’11 ottobre 2005, ossia quattro giorni dopo il parto, l’assistente sociale aveva presentato un rapporto in cui rappresentava che la ricorrente chiedeva di disporre di tempo per riflettere prima di decidere se riconoscere o meno i figli, e di essere ricevuta dal tribunale per i minorenni. La ricorrente esprimeva anche l’auspicio che i figli fossero collocati provvisoriamente in un centro di accoglienza o presso una famiglia a condizione di poterli vedere, e ciò fino al momento in cui essa avrebbe preso una decisione entro il termine previsto dalla legge.
74. La Corte rileva che il 2 novembre 2005, ritenendo sufficienti gli elementi raccolti durante l’inchiesta – in quanto, da un lato, il padre dei bambini era ignoto e, dall’altro, la madre non li aveva riconosciuti -, il tribunale per i minorenni ha dichiarato adottabili i gemelli senza avere sentito la ricorrente. Il tribunale per i minorenni, basandosi sul parere della procura, non ha ritenuto necessario sentirla. Ora, la Corte rileva che la ricorrente ha reiterato la sua domanda di essere sentita dal tribunale il 2 dicembre 2005, ma che, in mancanza di opposizione della procura alla decisione che dichiarava adottabili i bambini emessa dal tribunale il 2 novembre, tale decisione è divenuta definitiva il 5 dicembre 2005.
75. Nel caso di specie, la Corte constata che la ricorrente si trovava in una situazione di sconforto psicologico dovuta al fatto di essere un’immigrata irregolare in Italia, sola e senza lavoro. Ora, è vero che la ricorrente non ha fatto opposizione alla decisione che dichiarava adottabili i figli né ha chiesto la revoca dello stato di adottabilità al tribunale per i minorenni, ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 184 del 1983, ma si è rivolta ad un tribunale incompetente, vale a dire la corte d’appello di Bari. Tuttavia, la Corte non condivide le argomentazioni del Governo secondo le quali la ricorrente avrebbe dovuto fare opposizione dinanzi al tribunale ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 184 del 1983. Essa rammenta che secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in materia di adozione plenaria, tale mezzo d’impugnazione interno era votato al fallimento (precedente paragrafo 23).
76. Alla luce di quanto precede, l’eccezione di mancato esperimento di tutti i mezzi d’impugnazione interni sollevata dal Governo non può essere accolta.
77. La Corte osserva che, in questo tipo di causa, si è in presenza di interessi difficilmente conciliabili, quelli della madre biologica, quelli del figlio e quelli della famiglia di adozione. Non è assente nemmeno l’interesse generale (Odièvre c/Francia [GC], n. 42326/98, § 45, CEDU 2003-III). Nella ricerca dell’equilibrio tra questi diversi interessi, deve prevalere l’interesse superiore del bambino.
78. La Corte ritiene che la complessità del caso e il sottile equilibrio che era opportuno garantire tra gli interessi dei bambini e quelli della loro madre esigessero che si attribuisse un’importanza particolare agli obblighi processuali derivanti necessariamente dall’articolo 8 della Convenzione. Nella fattispecie, era fondamentale per la ricorrente potersi esprimere dinanzi all’autorità giudiziaria e rimettere in discussione la scelta di abbandonare i figli.
79. La Corte ritiene che questa lacuna le abbia impedito di essere coinvolta nell’intero processo decisionale a sufficienza da potere beneficiare della tutela dei suoi interessi richiesta in virtù dell’articolo 8 della Convenzione.
80. La Corte non è convinta neanche che la necessità di un procedimento rapido, che generalmente caratterizza le cause in cui sono in gioco gli interessi di un bambino, richiedesse una misura tanto radicale quanto la dichiarazione di adottabilità 27 giorni dopo la nascita, senza sentire la ricorrente. E’ indubbio che era preferibile decidere al più presto sul futuro dei due bambini, ma la Corte ritiene che il fatto di dichiarare adottabili i bambini al termine di un procedimento in cui la madre non è mai stata sentita, nonostante che essa lo avesse chiesto avendo iniziato a dubitare della scelta di abbandonare i figli, costituisse una misura che non teneva gran che conto dei fatti del caso di specie.
81. Pur riconoscendo che nel caso di specie i giudici si sono sforzati in buona fede di tutelare il benessere dei bambini, la Corte ritiene che la procedura seguita abbia impedito alla ricorrente di presentare le sue argomentazioni in modo adeguato ed effettivo e di tutelare il suo diritto a condurre una vita privata e familiare.
82. Ora, nelle controversie di questa natura, dalle conseguenze di estrema importanza perché riguardanti i legami familiari, lo Stato aveva l’obbligo positivo di assicurarsi che il consenso dato dalla ricorrente all’abbandono dei figli fosse stato chiarito e circondato da adeguate garanzie.
83. La Corte conclude pertanto che lo Stato ha ignorato nei confronti della ricorrente gli obblighi positivi che gli derivano dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, vi è stata violazione di questa disposizione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

   84. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

 A. Danni

 85. La ricorrente adduce di avere subito un grave danno morale a causa della separazione irreversibile dai figli e della dichiarazione di adottabilità. Essa chiede 400.000 euro (EUR). D’altra parte, la ricorrente chiede una restitutio in integrum.
 86. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte pur ritenendo la somma indicata eccessiva. Inoltre, il Governo sostiene che nessuna misura controversa può essere adottata dalle autorità per ristabilire la situazione creata dall’adozione controversa. Esso sostiene che nel caso di specie non si pone alcun problema di restitutio in integrum.
 87. La Corte ritiene che il dolore provato dalla ricorrente le abbia causato un danno morale certo che la constatazione di violazione della Convenzione non basta a compensare (si vedano, ad esempio, Elsholz c/Germania [GC], n. 25735/94, §§ 70-71, CEDU 2000-VIII, e P. C. e S. c/Regno Unito, n. 56547/00, § 150, CEDU 2002-VI).
 88. Deliberando secondo equità, la Corte concede alla ricorrente 15.000 EUR a questo titolo.

 B. Spese

 89. La ricorrente chiede, giustificativi alla mano, 17.748,56 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
 90. Il Governo non si pronuncia.
 91. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo se siano accertate la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro tasso. Nel caso di specie, la Corte rileva che l’avvocato della ricorrente è intervenuto solo dopo la comunicazione del ricorso. Tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri summenzionati, la Corte ritiene ragionevole la somma di 3.000 EUR per il procedimento dinanzi alla Corte, da cui è opportuno detrarre gli importi versati dal Consiglio d’Europa a titolo di assistenza giudiziaria, ossia 850 EUR, vale a dire un totale di 2.150 EUR, e la concede alla ricorrente.
  
C.  Interessi moratori

92. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

1.  Dichiara ammissibile il ricorso;
2.  Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3.  Dichiara,

  1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
    (i) 15.000 EUR (quindicimila euro), oltre ad ogni importo che possa essere dovuto a titolo d’imposta, per danni morali;
    (ii) 2.150 EUR (duemilacentocinquanta euro), per spese, oltre ad ogni importo che possa essere dovuto a titolo d’imposta dal ricorrente;
  2. che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

4.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.
Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 13 gennaio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé       
Cancelliere    

Françoise Tulkens
Presidente

P.T.C.
Roma, 29 gennaio 2009
L’esperto linguistico C1