Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 gennaio 2009 - Ricorso n. 24424/03 - Zara c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Ombretta Palumbo

Abstract

DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE - REGIME EX ART. 41 BIS O.P. - CONTROLLO DELLA CORRISPONDENZA DIRETTA AL LEGALE PATROCINANTE DAVANTI ALLA CORTE EUROPEA
Il ricorrente, detenuto in regime di 41 bis o.p., era stato sottoposto al controllo della corrispondenza ed in particolare aveva subito il controllo il 1° febbraio 2007 di una lettera inviata al suo legale che lo rappresentava davanti alla Corte europea. Davanti alla Corte, il governo italiano aveva sostenuto che quando un detenuto intende scrivere al suo avvocato, gli spetta fornire le indicazioni necessarie perché il controllo della corrispondenza non sia attuato, affiggendo queste indicazioni in particolare sulla busta sigillata che contiene la posta. La Corte ha rilevato che la normativa nazionale esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto con il suo avvocato e con gli organi internazionali competenti in materia dei diritti dell’uomo. Ha pertanto ritenuto la violazione dell’art. 8 della Cedu.

In materia  di  detenzione  in  regime di applicazione dell’art. 41-bis della legge  n.  354  del 1975  si   constata  la   violazione dell’art. 8 CEDU,  relativo  al  diritto  al rispetto  della vita privata e familiare, poiché  ai  sensi  dell’art.  18  ter  della  legge  n. 354  del   1975, introdotto  con la legge n.95 del 2004, il controllo sulla  corrispon - denza di detenuti in regime di applicazione dell’art. 41-bis non può essere  esercitato  sulle  missive indirizzate  al proprio difensore di fiducia ed agli organi internazionali competenti in materia di diritti umani.

CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA ZARA c. ITALIA (ricorso n. 24424/03)
SENTENZA
STRASBURGO 20 gennaio 2009

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire delle modifiche nella forma.

Nella causa Zara c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
 Françoise Tulkens, presidentessa,
 Ireneu Cabral Barreto,
 Vladimiro Zagrebelsky,
 Danuté Jočiené,
 Dragoljub Popoviċ,
 András Sajó,
 Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 16 dicembre 2008,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in quest’ultima data:

PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 24424/03) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Alfredo Zara («il ricorrente»), ha adito la Corte il 20 giugno 2003 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è rappresentato dall’Avv. C. De Filippi del foro di Parma. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, il sig. R. Adam, e dal suo co-agente aggiunto, il sig. N. Lettieri.
3. Il ricorrente sosteneva che le sue condizioni di detenzione erano incompatibili con la Convenzione.
4. Il 13 settembre 2006 la Corte ha deciso di informare il Governo del ricorso. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, essa ha inoltre deciso che sarebbero stati esaminati nel contempo la ricevibilità e il merito della causa.

IN FATTO

1. LE CIRCOSTANZE DELLA CAUSA

5. Il ricorrente, il sig. Alfredo Zara, è un cittadino italiano nato nel 1960. Condannato per omicidio, quando ha presentato il ricorso stava scontando una pena detentiva di trent'anni nel carcere di Parma.
6. Il 14 luglio 1998, il ministro della Giustizia emanò un decreto che imponeva al ricorrente - ritenuto molto pericoloso- il regime detentivo speciale previsto dall'articolo 41bis, comma 2, legge sull'amministrazione penitenziaria - n° 354 del 26 luglio 1975 (legge n° 354/1975), per un periodo di sei mesi. Modificata con legge del 7 agosto 1992, tale norma permetteva la sospensione totale o parziale dell'applicazione del regime normale di detenzione quando ciò era richiesto da motivi d'ordine e di sicurezza pubblici. Il decreto imponeva le seguenti restrizioni:
- limitazione delle visite dei familiari (al massimo una al mese per un'ora);
- divieto di incontrare terze persone;
- divieto di usare il telefono, tranne una chiamata al mese alla famiglia, ascoltata e registrata, nel caso in cui non vi sia stata la visita mensile dei familiari;
- divieto di ricevere o di spedire più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all'anno con della biancheria;
- divieto di eleggere rappresentanti dei detenuti e di essere eletto in qualità di rappresentante;
- divieto di esercitare attività artigianali;
- divieto di organizzare attività culturali, ricreative o sportive.
Inoltre, tutta la corrispondenza del ricorrente doveva essere soggetta a controllo su autorizzazione preventiva dell'autorità giudiziaria.
7. Dal fascicolo risulta che la procura allegata al modulo di richiesta alla Corte è stata controllata nel novembre 2002. Inoltre, una lettera del ricorrente inviata all'avvocato che lo rappresenta dinanzi alla Corte, del 31 gennaio 2007, la cui busta è stata acquisita agli atti, è stata controllata il 1° febbraio 2007.
8. L'applicazione del regime speciale è stato in seguito prorogato di sei mesi in sei mesi fino al 31 dicembre 2002. Nelle sue osservazioni, l'avvocato del ricorrente ha fatto sapere che quest'ultimo era ancora soggetto al regime speciale. Le decisioni relative al prolungamento del regime non sono acquisite agli atti.
9. Il ricorrente non ha presentato alcuno dei ricorsi che avrebbe intentato contro i decreti ministeriali, né le relative decisioni giudiziarie.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

10. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha riassunto il diritto e la prassi interni pertinenti per quanto riguarda il regime di detenzione speciale applicato nella fattispecie e il controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, n. 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004). Essa ha indicato anche le modifiche introdotte dalla legge n. 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge n. 95 dell’8 aprile 2004 (ibidem). L’entrata in vigore di tale legge, tuttavia, non permette di riparare le violazioni che hanno avuto luogo anteriormente alla sua entrata in vigore.
71. Tenuto conto di tale riforma e delle decisioni della Corte (Ganci c. Italia, n. 41576/98, §§ 19-31, CEDU 2003-XI), la Corte di cassazione si è discostata dalla sua giurisprudenza in materia di interesse a mantenere un ricorso presentato contro un decreto ministeriale nel frattempo scaduto. Essa ha ritenuto che lo scadere del periodo di validità del decreto impugnato non faccia venire meno l’interesse del detenuto ad ottenere una decisione sul suo ricorso, e ciò a causa degli effetti diretti della decisione sui decreti posteriori al decreto in questione (Corte di cassazione, prima sezione, sentenza del 26 gennaio 2004,
depositata il 5 febbraio 2004, n. 4599, Zara).

IN DIRITTO

I. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

12. Il ricorrente afferma che l’applicazione del regime speciale di detenzione nei suoi confronti lo ha sottoposto per molto tempo a trattamenti inumani e degradanti. Egli si lamenta per il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41 bis e si appella all’articolo 3 della Convenzione, che recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»
13. La corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, per ricadere nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è sostanzialmente relativa; essa dipende da tutti i dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonché, a volte, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A n. 25, p. 65, § 162). In quest’ottica, la Corte deve cercare di stabilire se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis – che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è divenuta una disposizione permanente della legge sull’amministrazione penitenziaria – per più di dieci anni nel caso del ricorrente costituisca una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 119, CEDH 2000 IV).
14. La Corte ammette che, in generale, l’applicazione prolungata di alcune restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Tuttavia, essa non può considerare una durata precisa come il momento a partire dal quale viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. Invece, essa ha il dovere di controllare se, in un determinato caso, il rinnovo e la proroga delle restrizioni siano giustificati (Argenti c. Italia, n. 56317/00, § 21, 10 novembre 2005).
15. Orbene, sembra che ogni volta il ministro della Giustizia si sia riferito, per giustificare la proroga delle restrizioni, al persistere delle condizioni che avevano motivato la prima applicazione. Nella misura in cui il ricorrente sostiene di aver investito i competenti tribunali di sorveglianza ma non ha presentato alcuna decisione, nulla lascia credere che i tribunali non abbiano controllato ogni volta la realtà di tali constatazioni.
16. La Corte osserva che il ricorrente non ha fornito alla Corte elementi che le permetterebbero di concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis gli abbia provocato effetti fisici o psichici che ricadano nelle previsioni dell’articolo 3. Pertanto, la sofferenza o l’umiliazione che il ricorrente ha potuto provare non sono andate oltre quelle che inevitabilmente comporta una determinata forma di trattamento – in questo caso prolungato – o di pena legittima (Labita, già cit., § 120, e Bastone c. Italia (dec.), n. 59638/00, 18 gennaio 2005).
17. Pertanto, secondo la Corte, l’applicazione del regime speciale di detenzione dell’articolo 41bis non ha raggiunto il minimo di gravità necessaria per ricadere nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione.
18. Questa parte del ricorso deve perciò essere respinta in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

II. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE

19. Il ricorrente denuncia il fatto di non disporre di alcun ricorso interno effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione, e si appella all’articolo 13 della Convenzione, che recita:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
20. La Corte ricorda che, quando si pone una questione di accesso a un tribunale, le garanzie dell’articolo 13 vengono assorbite da quelle dell’articolo 6 della Convenzione (Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997 VIII, p. 2957, § 41). È dunque opportuno esaminare il motivo di ricorso del ricorrente sotto il profilo di quest’ultima disposizione (v. altresì la sentenza Ganci c. Italia, n. 41576/98, §§ 19 e 33-34, CEDU 2003 XI), la cui parte pertinente recita:
«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sia sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (…).».
21. La Corte osserva anzitutto che il ricorrente non ha presentato alcuno dei ricorsi che avrebbe intentato avverso i decreti ministeriali, né le relative sentenze giudiziarie. In tali circostanze, la Corte ritiene che tale motivo di ricorso non sia abbastanza motivato e debba quindi essere respinto in quanto palesemente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

22. Il ricorrente denuncia le continue restrizioni del suo diritto al rispetto della sua vita familiare a causa delle limitazioni e delle modalità delle visite familiari. Denuncia altresì la violazione del suo diritto al rispetto della propria corrispondenza. Il ricorrente si appella all’articolo 8 della Convenzione che, nella sua parte pertinente, recita:

  1. «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.»
  2. «Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (…) alla pubblica sicurezza, (…) alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, (…).»

23. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sulla ricevibilità
248. Per quanto riguarda il motivo relativo alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare, la Corte ricorda che si è già trovata ad esaminare la questione di stabilire se le restrizioni previste dall’applicazione dell’articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di alcuni detenuti costituiscano un’ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell’articolo 8 (v. la sentenza Messina c. Italia (n. 2), n. 25498/94, §§ 59 74, CEDU 2000 X; Indelicato c. Italia (dec.), n. 31143/96, 6 luglio 2000).
25. La Corte si rifà alla propria giurisprudenza secondo la quale il regime previsto dall’articolo 41bis tende a troncare i legami esistenti tra la persona interessata e il suo ambiente criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio di veder utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture dell’organizzazione criminale di detto ambiente.
26. Prima dell’introduzione del regime speciale, molti detenuti pericolosi riuscivano a mantenere la loro posizione in seno all’organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare informazioni con gli altri detenuti e con l’esterno, e ad organizzare e far eseguire dei reati. In questo contesto, la Corte ritiene che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e del fatto che spesso le visite familiari hanno costituito il mezzo di trasmissione di ordini e istruzioni all’esterno, le restrizioni, sicuramente rilevanti, alle visite e i controlli che ne accompagnano lo svolgimento non possono essere considerati sproporzionati rispetto agli scopi legittimi perseguiti (Salvatore c. Italia (dec.), n. 42285/98, 7 maggio 2002).
27. Concludendo, la Corte ritiene che le restrizioni al diritto del ricorrente al rispetto della sua vita familiare non siano andate oltre a ciò che, ai sensi dell’articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati. Pertanto, questo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto palesemente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
28. Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla violazione del diritto al rispetto della corrispondenza, la Corte constata che esso non è palesemente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte osserva peraltro che esso non si scontra con nessun altro motivo di irricevibilità, ed è dunque opportuno dichiararlo ricevibile.
B. Sul merito
29. Il Governo osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte, in Italia il controllo della corrispondenza non era provvisto di una base legale sufficiente, ma che questa situazione è stata profondamente  modificata, in  un  primo  tempo,  dalle  circolaridella Direzione generale degli affari penali (circ. n. 575 del 26 aprile 1999) e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (circ. n. 549557 del 31 marzo 1999 e n. 665459-2/11 del 19 luglio 1999), e poi dalle leggi n. 279/2002 e n. 95/2004. Secondo il Governo, il controllo della corrispondenza era perciò “previsto dalla legge”. Inoltre, in considerazione del termine di sei mesi, solo il controllo della corrispondenza successivo al 20 dicembre 2002 può essere preso in considerazione.
30. Inoltre, quando un detenuto vuole scrivere al proprio avvocato, deve fornire le necessarie indicazioni affinché il controllo della corrispondenza non sia effettuato, in particolare scrivendo tale indicazione sulla busta sigillata con la missiva.
31. Il ricorrente si oppone alle tesi del Governo.
32. La Corte constata che, per quanto riguarda la corrispondenza del ricorrente in generale, vi è stata «ingerenza di un’autorità pubblica» nell’esercizio del diritto del ricorrente al rispetto della sua corrispondenza sancito dall’articolo 8 § 1 della Convenzione. Una tale ingerenza viola questa disposizione salvo che, « prevista dalla legge», essa persegua uno o più scopi legittimi rispetto al paragrafo 2 e, inoltre, sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Petra c. Romania, sentenza del 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita succitata, § 179; Musumeci c. Italia, n. 33695/96, § 56, sentenza dell’11 gennaio 2005).
33. Prima del 15 aprile 2004, il controllo della corrispondenza del ricorrente veniva effettuato conformemente all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La Corte ha già giudicato ripetutamente che il controllo della corrispondenza fondato sull’articolo 18 violava l’articolo 8 della Convenzione poiché non era « previsto dalla legge», in quanto non disciplinava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti né i motivi che potevano giustificarli, e non indicava in maniera sufficientemente chiara la portata e le modalità di esercizio del potere discrezionale delle autorità competenti nell’ambito considerato (v., tra le altre, le sentenze Labita c. Italia, succitata, §§ 175-185, e Calogero Diana c. Italia, succitata, § 33). Nella fattispecie, la Corte ritiene che il problema di sapere se il controllo della corrispondenza effettuato prima del 20 dicembre 2002 sfugga alla sua competenza ai sensi della regola dei sei mesi resti aperto, in virtù delle seguenti considerazioni.
34. La Corte ricorda che la legge n° 95 del 2004 ha introdotto un nuovo articolo 18 ter relativo al controllo della corrispondenza che è stato aggiunto alla legge sull’amministrazione penitenziaria. Il paragrafo 2 di tale articolo esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto con in particolare il suo avvocato e gli organismi internazionali competenti in materia dei diritti umani.
Nella fattispecie, la lettera inviata dal ricorrente all’avvocato che lo rappresenta dinanzi alla Corte è stata controllata il 1° febbraio 2007. Secondo la Corte, tale controllo non è conforme al diritto nazionale, visto che quest’ultimo vieta di censurare questo tipo di corrispondenza.
35. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

IV. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 34 DELLA CONVENZIONE

36. Dopo aver comunicato il ricorso, l’avvocato del ricorrente ha denunciato, dal punto di vista dell’articolo 6 § 3 della Convenzione, le difficoltà incontrate per trovare i documenti pertinenti. La Corte ritiene di dover analizzare tali denunce dal punto di vista dell’articolo 34 della Convenzione, così redatto:
«La Corte può essere investita di una domanda fatta pervenire da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alti Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’effettivo esercizio efficace di tale diritto
37. La Corte osserva anzitutto che il ricorrente ha potuto presentare un ricorso dinanzi alla Corte e che l’avvocato del ricorrente, alla richiesta di fornire dei documenti a sostegno delle sue tesi, ha risposto, con lettera del 23 luglio 2004, di aver inviato tutta la documentazione a disposizione del suo cliente. In tale momento del procedimento, non parlò di alcun ostacolo che impedisse al ricorrente o a lui stesso di trovare i documenti a sostegno del ricorso. La Corte ritiene quindi che le autorità nazionali non possano essere considerate responsabili di un ostacolo al diritto di ricorso del ricorrente.
38. Tenuto conto di tali elementi, la Corte ritiene che non si ponga alcuna questione relativa all’articolo 34 della Convenzione. Pertanto, questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto palesemente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

39. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Danni
40. Il ricorrente chiede 200 000 euro (EUR) per i danni materiali e morali che avrebbe subito.
41. Il Governo osserva che il ricorrente non ha fornito alcuna prova dei presunti danni materiali. Quanto ai danni morali, il Governo chiede alla Corte di affermare che la constatazione di violazione è di per sé sufficiente.
42. La Corte ricorda che ha concluso per la violazione della Convenzione solo per quanto riguarda il controllo della corrispondenza del ricorrente. Essa non individua alcun nesso di causalità tra questa violazione e un qualsiasi danno materiale. Per quanto riguarda i danni morali, essa ritiene che, nelle circostanze della presente causa, la constatazione di violazione sia sufficiente a compensarlo.
B. Spese
43. L’avvocato del ricorrente ha anche trasmesso una parcella dell’importo di 20.105,89 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
44. Il Governo trova eccessivo l’importo delle spese richiesto.
459. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui sono dimostrate la realtà, la necessità e la ragionevolezza dell’importo delle stesse (Belziuk c. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Raccolta 1998 II, p. 573, § 49). Nella fattispecie, e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte considera ragionevole la somma di 1.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte e la accorda al ricorrente.
C. Interessi moratori
46. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo relativo all’articolo 8 della Convenzione (controllo della corrispondenza) e irricevibile per il resto;
2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione (controllo della corrispondenza);
3. Dichiara che la constatazione di violazione costituisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per i danni morali;
4. Dichiara

a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1.000 EUR (mille euro) per le spese, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
b) che, a decorrere dallo scadere del termine suddetto e fino al versamento, tale somma dovrà essere maggiorata di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;

5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatto in francese, e poi comunicato per iscritto il 20 gennaio 2009 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 Sally Dollé 
Cancelliere

Françoise Tulkens 
 Presidentessa

P.T.C.
LA TRADUTTRICE
PALUMBO Ombretta