Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 febbraio 2009 - Ricorso n. 46967/07 - C.G.I.L. e Cofferati c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo 

In materia di immunità parlamentare si constata la violazione dell’art. 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo, poiché l’impossibilità di adire la giurisdizione ordinaria in conseguenza della deliberazione di insindacabilità parlamentare, seguita da una sentenza non di merito della Corte costituzionale, costituisce un ostacolo sproporzionato rispetto agli scopi perseguiti dagli istituti immunitari.

Viola l’art. 6, comma 1, della Convenzione dei diritti dell’uomo il combinato effetto della delibera parlamentare d’immunità - ex art. 68, primo comma, Cost. – e la sentenza della Corte costituzionale (resa su conflitto d’attribuzione del giudice civile procedente elevato ex art. 134 Cost.) che dichiara tale conflitto inammissibile, senza entrare nel merito dei fatti in alcuna maniera (sent. 305 del 2007). La sentenza della Corte EDU è stata pronunciata su ricorso della CGIL e di Sergio Cofferati, che si erano ritenuti offesi da alcune frasi contenute in un’intervista rilasciata da Umberto Bossi al Messaggero il 25 marzo 2002, in ordine all’omicidio di Marco Biagi. In virtù della delibera parlamentare, il giudice civile non si era potuto pronunciare, né la Corte costituzionale aveva offerto in maniera alcuna agli attori in sede civile la possibilità di far valere le proprie ragioni.

CONSIGLIO D’EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA C.G.I.L. E COFFERATI c. ITALIA (Ricorso no 46967/07)

SENTENZA

STRASBURGO 24 febbraio 2009

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire alcune lievi modifiche formali.

Nella causa C.G.I.L. e Cofferati c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
 Françoise Tulkens, presidente,
 Ireneu Cabral Barreto,
 Vladimiro Zagrebelsky,
 Danutė Jočienė,
 Dragoljub Popović,
 András Sajó,
 Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 gennaio 2009,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in questa data:

IL PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 46967/07) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Sergio Cofferati, ed una associazione sindacale, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro («la C.G.I.L.», di seguito «i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 19 ottobre 2007 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono rappresentati dall’avv. F. Coccia, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dalla sua agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, F. Crisafulli.
3. I ricorrenti sostengono di avere subito una violazione del loro diritto di accesso a un tribunale.
4. Il 28 novembre 2007 il presidente della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, la Corte ha deciso che sarebbero stati esaminati nel contempo la ricevibilità e il merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. La ricorrente è un’associazione sindacale con sede a Roma. Il ricorrente è nato nel 1948 ed è residente a Bologna.
6. Nel 2002 il ricorrente era segretario generale della C.I.G.L.
7. Il 19 marzo 2002 il sig. Marco Biagi, un professore di diritto che era il consulente del ministro del Lavoro, fu assassinato dalle brigate rosse. Il sig. Biagi aveva sostenuto la necessità di introdurre una maggiore flessibilità nei contratti di lavoro. Le sue idee erano state contestate dai ricorrenti, che sostenevano che avrebbero portato alla precarietà e ad una diminuzione dei salari per i lavoratori.
8. Il 20 marzo 2002 una seduta della Camera dei deputati fu dedicata alle dichiarazioni del ministro degli Interni sull’omicidio del sig. Biagi. Ne seguì un dibattito supplementare. Vari interventi si riferirono al legame presumibilmente esistente tra terrorismo, questioni sociali e lotte sindacali per quanto riguarda la riforma del diritto del lavoro.
9. Il 23 marzo 2002 a Roma si tenne una manifestazione organizzata dalla C.I.G.L. e volta a protestare contro l’intenzione del Governo di abrogare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, disposizione ai sensi della quale se un licenziamento è ritenuto ingiustificato, il lavoratore può chiedere di essere reintegrato nel suo posto.
10. Il 25 marzo 2002 il quotidiano Il Messaggero pubblicò un articolo, firmato dal sig. Mario Conti, dal titolo «Senza le riforme il Governo è morto. Bossi: le bugie della C.G.I.L. hanno creato l’alibi che ha portato all’omicidio Biagi». Il testo dell’articolo, che riportava le affermazioni fatte durante un’intervista dal sig. Umberto Bossi, ministro per le Riforme e deputato, è il seguente:
«“Prima la sinistra ha creato il clima, poi qualcuno lo ha ammazzato, infine sono stati talmente bravi da appropriarsi anche del morto». Il solito Umberto Bossi, usa le parole come pietre. Ma va sempre interpretato, tant’è che Berlusconi invita a non prenderlo alla lettera. Così quell’«hanno ammazzato», riferito al professor Biagi, ha un colore tutto politico. Bossi fa di tutta la sinistra un fascio: per lui i partiti, il sindacato e i terroristi che si definiscono di sinistra sono la stessa cosa.
Ministro Bossi, che ne pensa della manifestazione sindacale di sabato?
Ma quale sindacato, quello è un partito. Un partito che ormai non può più trattare perchè è prigioniero delle balle che ha raccontato sinora.”
Anche lei pensa che il destino di Cofferati è scritto e che sarà il prossimo leader della sinistra?
Perché diventi leader, gli altri, D'Alema e Fassino, devono perdere le elezioni amministrative e poi, per Cofferati, la strada sarà libera. In maggio lui e Moretti diranno «fatevi da parte». Questa è una mossa politica, non sindacale, e per il momento la politica delle balle li ha portati al terrorismo.
Pensa che, durante la riunione di domani con gli interlocutori sociali, il Governo si presenterà con qualche novità?
Vedremo che atteggiamento sarà adottato a questo tavolo. Quel che osservo è che la piccola impresa sta sparendo con il mercato globale se non le viene tolto il cappio dal collo, e l’articolo 18 è un cappio al collo. Poi ce ne sono altri. La riforma è fatta senza costi per i lavoratori, forse vi sono dei costi per il sindacato che vuole difendere la propria pagnotta fatta di intermediazione.”
La manifestazione di sabato porterà ad una modifica della linea del Governo?
“Non credo, ma l’ultima parola spetta a Berlusconi e Maroni [rispettivamente il Presidente del Consiglio dei ministri e il ministro del Lavoro all’epoca dei fatti]. Sabato un partito è sceso in piazza. Cofferati ha visto che la sinistra era debole senza un’idea e senza una bandiera, ed è andato a spasso nelle fabbriche raccontando balle come quella che si licenziano i lavoratori. Questo ha portato al terrorismo. Peraltro anche a sinistra sono maligni, prima l’hanno ucciso ... e poi si sono appropriati di questa morte. Sono molto più maligni di noi
.”
Sarebbe a dire?
Prima l’hanno ucciso. Non [si può pensare] che sia stato chiunque. Viene da quel mondo e l’alibi sono le bugie che Cofferati ha raccontato in fabbrica.”
Sta dicendo che vi è contiguità tra il sindacato e le frange estremiste?
“Non so se vi sia contiguità, quel che vedo è che le bugie raccontate dalla C.G.I.L. hanno creato l’alibi per l’omicidio di Biagi. Andare a spasso dicendo «guarda, sarai licenziato» ti farà diventare segretario della sinistra, di un certo tipo di sinistra fuori dalla storia, ma in questo modo socchiudi la porta a una connivenza con persone implicate nel terrorismo.”
Berlusconi dice che con Biagi il Governo è stato colpito. Lei è d’accordo?
Hanno colpito il Governo perché questo è un Governo che vuole cambiare e loro, il sindacato, non vogliono cambiamenti.”
Il libro bianco scritto da Biagi parla solo dell’articolo 18. Quale sarà la prossima riforma che vorreste fare?
Non lo so. Bisogna chiederlo a Maroni. Quello che vogliamo è liberare la piccola impresa che, in un mercato globale, ha bisogno di rimuovere i vincoli che la soffocano. Vi sono molte cose che non vanno bene nello statuto dei lavoratori. Lo statuto dei lavoratori, con la grande crisi petrolifera, ha provocato negli anni settanta una grande crisi economica. All’epoca, le grandi imprese hanno creato una serie di piccole imprese per sottrarsi ai costi del mercato. Ora, il mercato globale rischia di eliminarle e noi dobbiamo assolutamente salvare la piccola impresa.”
Ciampi [il Presidente della Repubblica all’epoca dei fatti] continua a invitare al dialogo tra maggioranza e opposizione, in particolare adesso visto il ritorno della minaccia terroristica. Lei è d’accordo?
“Noi siamo contrari al consociativismo. Queste cose non hanno altra origine che quella di sinistra. Non vi è dialogo. Sul terrorismo, d’accordo, si possono fare conferenze. Ma mi ricordo del passato, quando gli inciucisti portavano, da una parte, all’inciucio e, dall’altra, all’espansione del terrorismo. Il terrorismo deve essere fermato richiamando alle responsabilità coloro che le hanno.”
Berlusconi ha detto chiaramente che il Governo andrà avanti, ma se non riesce a fare le riforme promesse, che cosa farà la Lega [il partito a cui apparteneva il sig. Bossi]?
“Perché non dovremmo fare le riforme? Berlusconi è morto se non facciamo le riforme. Se non facciamo le cose, i democristiani, quelli che giocano contemporaneamente su due tavoli, ritorneranno. Che interesse ha Berlusconi a far ritornare la Democrazia Cristiana ? Per lui, sarebbe la morte
.”
È vero che le hanno dato di nuovo una scorta?
Non è vero, non l’ho mai avuta. Vado in giro con i miei uomini. Così se uccidono significa che sono contro il nord. Vuol dire che la sinistra sceglie di essere contro il nord. Se un membro della Lega viene colpito, è il nord che si metterà a caccia della sinistra.”
Maroni resterà al ministero del Lavoro anche dopo il mini-rimpasto?
Certo, si resta qui. Niente democristiani su questa poltrona. Via, sciò, sgombrare”»
11. Durante la seduta del 26 marzo 2002 il Governo informò la Camera dei deputati di alcune dichiarazioni dei suoi membri riguardo alla manifestazione sindacale organizzata dalla C.G.I.L. La seduta del 26 giugno 2002 fu dedicata alle risposte del Governo riguardanti una interrogazione di un deputato relativa alle dichiarazioni di alcuni ministri nei confronti della C.G.I.L. Infine, delle riflessioni analoghe a quelle svolte dal sig. Bossi nell’intervista sopra citata furono fatte dal alcuni deputati durante la seduta del 3 luglio 2002.
12. Ritenendo che le affermazioni del sig. Bossi fossero diffamatorie, il 15 maggio 2002 i ricorrenti citarono quest’ultimo, oltre che il sig. Conti, il direttore del quotidiano Il Messaggero e la sua casa editrice dinanzi al tribunale civile di Roma per ottenere un risarcimento per i danni subiti. I ricorrenti sostenevano che l’articolo in questione tendeva a suggerire che c’era una relazione di causa ad effetto tra l’attività di difesa dei lavoratori condotta dal sindacato e dal suo segretario generale e l’omicidio del sig. Biagi, e che il sindacato costituiva l’ambiente da cui provenivano i terroristi.
13. Il 30 luglio 2003 la Camera dei Deputati, confermando una proposta formulata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, giudicò che le affermazioni in questione del sig. Bossi costituivano delle opinioni espresse da un parlamentare nell’ambito delle sue funzioni. Di conseguenza, il sig. Bossi beneficiava al riguardo dell’immunità prevista dall’articolo 68 § 1 della Costituzione.
14. Con ordinanza in data 10 febbraio 2005 il tribunale di Roma sollevò presso la Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e sospese il procedimento civile avviato dai ricorrenti. Esso chiese l’annullamento della delibera della Camera dei deputati del 30 luglio 2003.
15. Il tribunale osservò che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari aveva giustificato la propria proposta con i seguenti elementi: a) le dichiarazioni del sig. Bossi erano strettamente legate al dibattito politico nato a seguito dell’omicidio del sig. Biagi; b) l’omicidio in questione aveva dato luogo a un dibattito parlamentare nel corso del quale alcuni membri della maggioranza avevano evidenziato il legame esistente tra il delitto e il dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro; c) in quanto ministro, il sig. Bossi aveva espresso delle opinioni sulla politica del Governo.
16. Tuttavia, agli occhi del tribunale, le opinioni del sig. Bossi non erano state espresse nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari, come previsto dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, letto anche alla luce della legge no 140 del 20 giugno 2003 (v., di seguito, «Il diritto e la prassi interni pertinenti»). Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'immunità poteva essere accordata solo se vi era una «corrispondenza sostanziale» tra un atto parlamentare e le dichiarazioni controverse.
17. Nella fattispecie, dal fascicolo non risultava che il sig. Bossi fosse intervenuto in Parlamento a proposito dell’omicidio del sig. Biagi o nell’ambito della riforma del mercato del lavoro affrontando la questione dei rapporti tra il sindacato e il terrorismo. Inoltre, le affermazioni del sig. Bossi erano ben diverse rispetto alle dichiarazioni fatte da altri deputati durante i dibattiti parlamentari. Peraltro, la circostanza che il sig. Bossi era un ministro non aveva alcuna rilevanza, dato che tale qualità non implicava alcuna immunità.
18. Il tribunale osservò infine che, nella sentenza De Jorio c. Italia (no 73936/01, 3 giugno 2004), la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva giudicato che il fatto di accordare l'immunità parlamentare con riguardo a dichiarazioni fatte durante un’intervista con la stampa e non legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu violava il diritto di accesso a un tribunale della persona che riteneva di essere stata diffamata.
19. La Camera dei deputati, che chiese il rigetto del ricorso, e i ricorrenti, che sostennero le tesi del tribunale di Roma, basandosi, tra l’altro, sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, si costituirono nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale.
20. Con sentenza no 305 del 10 luglio 2007, il cui testo fu depositato in cancelleria il 20 luglio 2007, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dal tribunale di Roma.
21. Essa osservò che la Camera dei deputati aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto le affermazioni presumibilmente diffamatorie del sig. Bossi non erano state esplicitamente riportate dal tribunale di Roma nella sua ordinanza del 10 febbraio 2005. Tale eccezione meritava di essere accolta in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, la mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto precludeva alla Corte di accertare se sussistesse il nesso funzionale tra le frasi pronunciate da un deputato e gli eventuali atti parlamentari. Nella fattispecie, il tribunale si era limitato a riportare solo alcuni passaggi dell’atto di citazione degli attori del giudizio. Era vero che il tribunale aveva citato la data di pubblicazione dell’articolo nel quotidiano Il Messaggero. Tuttavia, ciò non permetteva di colmare la lacuna.
22. La sentenza della Corte costituzionale fu pubblicata nella gazzetta ufficiale del 25 luglio 2007.
23. Ai sensi dell’articolo 297 del codice di procedura civile («il CPC»), quando un procedimento civile viene sospeso, le parti devono chiedere la fissazione di una nuova udienza per la ripresa del procedimento entro sei mesi a decorrere dal giorno della cessazione della causa di sospensione. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 7 aprile 2008, in tale data non era pervenuta alla cancelleria del tribunale di Roma alcuna richiesta di fissazione di udienza.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

24. L’articolo 68 § 1 della Costituzione e la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di immunità parlamentare sono descritti nelle sentenze Cordova c. Italia (nn. 1 e 2) (rispettivamente no 40877/98, §§ 22-27, CEDU 2003-I, e no 45649/99, §§ 26-31, CEDU 2003-I).
25. La legge no 140 del 20 giugno 2003, intitolata «Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato» ha precisato il campo di applicazione di tale disposizione. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 3 di tale legge recita:
«L'articolo 68, primo comma, della Costituzione si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, (…), per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento
2. Quando in un procedimento giurisdizionale è rilevata o eccepita l'applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, il giudice dispone, anche d'ufficio, se del caso, l'immediata separazione del procedimento stesso da quelli eventualmente riuniti.
(...).»
26. Ai sensi dell’articolo 137, terzo comma, della Costituzione, contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione. Con la sentenza no 29 del 1998 la Corte costituzionale ha confermato il carattere assoluto di tale limitazione, che comprende qualsiasi domanda volta a ottenere l’annullamento o la modifica di una sua decisione.

IN DIRITTO

I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

27. I ricorrenti si lamentano per una violazione del loro diritto di accesso a un tribunale, così come sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, tale disposizione recita:
«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»
28. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità
1. L’eccezione del Governo relativa alla manifesta infondatezza del ricorso o all’assenza della qualità di vittima dei ricorrenti
a) Eccezione del Governo

29. Il Governo osserva che l’azione civile intentata dai ricorrenti non era rivolta unicamente nei confronti del sig. Bossi, ma anche del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della sua casa editrice. L'ostacolo processuale riguardante il sig. Bossi non impediva la decisione sul merito nei confronti degli altri convenuti. Orbene, l’articolo 6 della Convenzione non garantirebbe il diritto di ottenere una decisione giudiziaria nei confronti di una persona in particolare. Il diritto di accesso a un tribunale è soddisfatto quando un ricorrente che rivendica un credito può agire in maniera effettiva contro una o l’altra delle persone civilmente responsabili. Pertanto,o il motivo di ricorso dei ricorrenti è manifestamente infondato, o gli interessati non possono pretendersi «vittime» dei fatti che denunciano.
30. Peraltro, non è vero che i giornalisti, i direttori e gli editori di quotidiani sono esentati da ogni responsabilità quando riferiscono in maniera fedele le affermazioni di una personalità pubblica intervistata. Al contrario, secondo una sentenza resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione il 30 maggio 2001 (no 37140), spetta al giudice di merito valutare, in ogni singolo caso, se il giornalista si sia limitato a riferire il fatto o se si sia egli stesso fatto «strumento» della diffamazione o «co-autore» delle dichiarazioni diffamatorie. In ogni caso, il fatto di avere riportato «alla lettera» le dichiarazioni del soggetto intervistato, quando queste sono di contenuto oggettivamente oltraggioso o diffamatorio, non costituisce di per sé una causa di giustificazione.
31. Il Governo osserva anche che la tesi dei ricorrenti – secondo la quale essi avrebbero citato in giudizio il sig. Conti e il direttore del giornale solo nell’ipotesi in cui il sig. Bossi avesse negato di aver pronunciato le frasi considerate offensive (paragrafo 32 infra) – è poco attendibile. I ricorrenti, infatti, sarebbero stati esposti al pagamento delle spese sostenute da tali convenuti e dagli atti del procedimento interno risulta che l’azione per diffamazione era rivolta solidalmente contro tutti i convenuti.
b) Argomenti dei ricorrenti
32. I ricorrenti sostengono anzitutto che le osservazioni del Governo sono inammissibili in quanto tardive, essendo pervenute alla cancelleria della Corte il 10 aprile 2008, ossia tre giorni dopo la scadenza del termine fissato a questo scopo (7 aprile 2008). Essi osservano poi che sarebbe stato inutile continuare il procedimento civile per risarcimento danni nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della casa editrice dello stesso. In effetti, tutti i giornalisti hanno il diritto di intervistare degli uomini politici e sono responsabili di diffamazione solo se riportano dichiarazioni false o inesistenti. I ricorrenti hanno citato in giudizio il sig. Conti e il direttore del giornale solo nell’ipotesi in cui il sig. Bossi avesse negato di avere pronunciato le frasi ritenute offensive, il che non è avvenuto nella fattispecie.
c) Valuazione della Corte
33. La Corte osserva che l’azione intentata dai ricorrenti nei confronti del sig. Bossi aveva un oggetto diverso rispetto a quella intentata nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della sua casa editrice. Nella prima il convenuto era stato citato in giudizio per la responsabilità derivante dalle affermazioni, presumibilmente diffamatorie, che aveva fatto; nella seconda il fatto ascritto ai convenuti era di avere divulgato le dichiarazioni di altri.
34. I ricorrenti sostengono peraltro che la seconda azione era stata intentata solo a titolo sovrabbondante, nell’ipotesi in cui il sig. Bossi avesse negato di aver pronunciato le frasi che gli erano state attribuite. Il Governo contesta questa tesi, affermando che nel diritto italiano una responsabilità civile può derivare dalla diffusione di dichiarazioni altrui aventi un carattere oggettivamente oltraggioso o diffamatorio.
35. La Corte non ritiene necessario prendere in esame questa questione di diritto interno. Essa si limita ad osservare che la questione sottoposta all’attenzione dei giudici italiani era quella di stabilire se, tenuto conto del contesto politico e fattuale in cui erano state fatte, le dichiarazioni del sig. Bossi potessero essere interpretate come lesive della reputazione dei ricorrenti attribuendo loro una responsabilità morale per l’omicidio del sig. Biagi. Ne consegue che, anche a voler supporre che le frasi in questione fossero state effettivamente pronunciate dal sig. Bossi, l’azione dei ricorrenti nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della sua casa editrice sembrava in ogni caso avere poche possibilità di successo.
36. Inoltre, la Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, «sanzionare un giornalista per aver contribuito a divulgare dichiarazioni provenienti da un terzo (...) ostacolerebbe gravemente il contributo della stampa alla discussione di problemi di interesse generale e non si può concepire senza motivi particolarmente seri» (Thoma c. Lussemburgo, no 38432/97, § 62, CEDU 2001-III, e Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, § 35, serie A no 298).
37. In queste circostanze, la Corte ritiene che la possibilità teorica di proseguire l’azione per diffamazione nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della sua casa editrice non abbia privato i ricorrenti della loro qualità di «vittime» rispetto all’immunità accordata al sig. Bossi e non potrebbe tradursi in un fattore che porta a concludere che il ricorso è manifestamente infondato.
38. Pertanto l’eccezione del Governo non può essere accolta.
2. L’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
a) Eccezione del Governo
39. Il Governo osserva che, nonostante la deliberazione parlamentare in questione, il tribunale di Roma avrebbe potuto pronunciarsi sul merito dei motivi dei ricorrenti nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della sua casa editrice. Tuttavia, i ricorrenti non hanno chiesto, in tempo utile, la fissazione di un’udienza dinanzi a questo tribunale allo scopo di riattivare il procedimento. Questo atto era necessario per evitare che la causa fosse radiata dal ruolo. La deliberazione parlamentare e la sentenza della Corte costituzionale avrebbero sicuramente condizionato in parte l’esito della controversia (in particolare per quanto riguarda il sig. Bossi), ma non impedivano la ripresa del processo principale e la pronuncia di una sentenza di primo grado. Per di più, i ricorrenti avrebbero potuto interporre appello contro quest’ultima. Come si evince dalla giurisprudenza interna in materia, il procedimento di appello avrebbe offerto una seconda occasione per sollevare – in maniera corretta – un conflitto tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale. Il Governo ne deduce che i ricorrenti hanno omesso di esaurire le vie di ricorso che erano loro offerte nel diritto italiano.
40. Il Governo ricorda che, a differenza delle cause Cordova sopra citate, nella presente causa il giudice interno di primo grado aveva ritenuto necessario sollevare un conflitto tra poteri dello Stato, che è stato dichiarato inammissibile solo a causa di un vizio di procedura. Di conseguenza, è molto probabile che anche il giudice di appello avrebbe sollevato un simile conflitto cercando di evitare lo stesso errore di procedura.
41. È vero che le sentenze della Corte costituzionale non possono essere oggetto di alcun appello. Tuttavia, ciò significa unicamente che sarebbe stato impossibile contestare la fondatezza della decisione di inammissibilità o sollevare nuovamente il conflitto tra poteri dello Stato se la Corte costituzionale avesse esaminato la fondatezza di quest’ultimo. Nella fattispecie, la Corte costituzionale si è fermata davanti ad un ostacolo di procedura e non si è pronunciata sulla validità della deliberazione parlamentare controversa. Se questa questione le fosse stata nuovamente posta in forma appropriata dal giudice di appello, nulla le avrebbe impedito di esaminarla. Infine, la giurisprudenza interna vieta di sollevare uno stesso conflitto nello stesso grado di giudizio, ma non nel grado successivo dello stesso procedimento.
b) Argomenti dei ricorrenti
42. I ricorrenti osservano che dopo la sentenza con cui la Corte costituzionale ha deciso di non annullare la deliberazione che accorda l’immunità parlamentare, il procedimento civile per ottenere il risarcimento dei danni non aveva alcuna possibilità di successo. Era dunque inutile chiederne la ripresa. Peraltro, detta sentenza della Corte costituzionale non poteva essere oggetto di alcun ricorso, come previsto dall’articolo 137 § 3 della Costituzione e dalla sentenza no 29 del 1998 (paragrafo 26 supra). Non era dunque possibile sollevare, in appello, un nuovo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
c) Valutazione della Corte
43. Per quanto riguarda la possibilità di continuare l’azione avviata nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e della sua casa editrice, la Corte non può che ribadire le osservazioni svolte per rigettare l’eccezione relativa all’assenza della qualità di «vittime» dei ricorrenti (paragrafi 33-38 supra).
44. Per quanto riguarda la possibilità di chiedere la pronuncia di una sentenza di primo grado che riconosca l’immunità di cui beneficiava il sig. Bossi al fine di interporre appello avverso tale sentenza e invitare il giudice di secondo grado a sollevare un nuovo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la Corte ricorda che, nell’ambito del dispositivo di tutela dei diritti dell’uomo, la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne deve applicarsi con una certa flessibilità e senza un eccessivo formalismo. Allo stesso tempo, essa obbliga, in linea di principio, a sollevare dinanzi ai giudici nazionali adeguati, almeno in sostanza, nelle forme e entro i termini prescritti dal diritto interno, i motivi di ricorso che si intende formulare in seguito a livello internazionale (v., tra molte altre, Azinas c. Cipro [GC], no 56679/00, § 38, CEDU 2004-III, e Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDU 1999 I).
45. Tuttavia, l’obbligo derivante dall’articolo 35 § 1 si limita a quello di fare un uso normale dei ricorsi verosimilmente efficaci, sufficienti ed accessibili (Sofri e altri c. Italia (dec.), no 37235/97, CEDU 2003-VIII). In particolare, la Convenzione prescrive l’esaurimento unicamente dei ricorsi che siano relativi alle violazioni in questione, disponibili e appropriati. Essi devono esistere con un grado sufficiente di certezza non solo in teoria ma anche in pratica, poiché in caso contrario mancano loro l’effettività e l’accessibilità volute (Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Recueil des arrêts et décisions 1998-I). Inoltre, secondo i «principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti», alcune circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne che gli sono offerte (Aksoy c. Turchia, Recueil 1996-VI, § 52, 18 dicembre 1996).
46. Nella fattispecie, i ricorrenti avrebbero dunque dovuto chiedere la ripresa di un procedimento di primo grado che, nella misura in cui era diretto contro il sig. Bossi, era destinato all’insuccesso. Essi avrebbero anche dovuto, successivamente, interporre appello avverso la sentenza del tribunale di Roma unicamente al fine di chiedere al giudice di secondo grado di sollevare un nuovo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sperando che, malgrado la sentenza della Corte costituzionale no 305 del 10 luglio 2007 e il testo dell’articolo 137 § 3 della Costituzione, i giudici di appello avrebbero ritenuto tale atto necessario.
47. Agli occhi della Corte, obbligare un ricorrente ad avviare un simile iter in presenza di una decisione negativa di una giurisdizione Suprema equivale ad imporgli di fare ricorso ad artifizi processuali, le cui possibilità di successo sembrano inesistenti, per chiedere un riesame della sua causa. Ciò sembra andare oltre l’uso «normale» dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
48. In ogni caso, conviene ricordare che «nell’ordinamento giuridico italiano, un individuo non gode di un accesso diretto alla Corte costituzionale: ha facoltà di adirla, su richiesta di una parte o d’ufficio, solo una giurisdizione che conosce del merito di una causa. Pertanto, una simile domanda non può tradursi in un ricorso del quale (...) la Convenzione esige l’esperimento» (v., mutatis mutandis e tra molte altre, Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989, § 34, serie A no 67).
49. In queste circostanze, è opportuno rigettare l’eccezione di mancato esaurimento del Governo.
3. Altri motivi di irricevibilità
50. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione, e osserva inoltre che esso non si scontra con nessun altro motivo di irricevibilità È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomentazioni delle parti
a)  Il Governo
51.   Il Governo ritiene innanzitutto che non vi sia stata ingerenza nel diritto dei ricorrenti di avere accesso alla giustizia. Esso ribadisce l’osservazione secondo la quale i ricorrenti avrebbero potuto proseguire l’azione civile da loro avviata nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e del suo editore. Inoltre, per quanto riguarda l’on. Bossi, i ricorrenti hanno avuto la possibilità di intervenire nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale, dove hanno potuto presentare argomentazioni volte ad ottenere l’annullamento della deliberazione parlamentare controversa. Tale possibilità ha costituito di per sé una forma adeguata di accesso alla giustizia. E’ vero che nel caso di specie i ricorrenti non hanno potuto raggiungere il risultato che si prefiggevano a causa di un difetto di formulazione del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato. D’altra parte, la Corte costituzionale ha affermato costantemente che tale ricorso deve contenere un « preciso riferimento agli elementi indispensabili all’individuazione dei motivi del conflitto », cosa che mancava nel caso di specie. Resta pur sempre il fatto che, essendosi arrestata di fronte ad un ostacolo di natura processuale, la Corte costituzionale non ha confermato la validità della deliberazione parlamentare controversa. Ciò avrebbe consentito di sollevare un nuovo conflitto in appello. Pertanto, l’azione civile nei confronti dell’on. Bossi non era « paralizzata ».
52.  Anche supponendo che vi sia stata ingerenza in uno dei diritti sanciti dall’articolo 6, essa era prevista dalla legge e perseguiva gli scopi legittimi di garantire la separazione dei poteri dello Stato, l’indipendenza del potere legislativo, la libertà del dibattito parlamentare e la libera espressione dei rappresentanti del popolo. Inoltre, essa era proporzionata a tali scopi.
53.  In quanto attori del gioco politico, gli eletti del popolo devono godere di una più ampia libertà di espressione. In precedenti casi di immunità parlamentare, la Corte non ha tenuto in debita considerazione tutto ciò. Quando, in un procedimento per diffamazione, viene sollevata un’eccezione d’immunità, il giudice del merito si trova di fronte ad una scelta che dipende da una pluralità di fattori. Se l’attività contestata al deputato rientra manifestamente nel concetto di esercizio della funzione parlamentare, il giudice potrà porre fine al procedimento. Se, al contrario, sorge un dubbio al riguardo, il giudice potrà, in linea di principio, sollevare un conflitto tra poteri dello Stato, ma conserva una qualche scelta discrezionale in materia, tenendo conto delle esigenze costituzionali e convenzionali. Il giudice deve chiedersi, in particolare, se sia realmente utile avviare un procedimento lungo e complesso dinanzi alla Corte costituzionale, che implichi la sospensione dell’esame della causa. Al riguardo, egli dovrà tenere conto anche della necessità di rispettare il « termine ragionevole ». In particolare, se il giudice è convinto che, dal punto di vista del diritto interno o ai sensi della Convenzione, l’azione per diffamazione non abbia alcuna possibilità di successo, potrà proseguire l’esame della causa senza interpellare la Corte costituzionale.
54.  L’immunità parlamentare entra in gioco solo se gli atti in contestazione sono riprensibili; se, invece, essi costituiscono una legittima manifestazione della libertà di espressione, l’immunità non ha da svolgere alcun ruolo. In quest’ultimo caso, non si può riconoscere a colui che si ritiene a torto diffamato un diritto di accesso alla giustizia per invocare diritti che non sono, in modo difendibile, riconosciuti dalla legislazione interna. Del resto, quando un deputato esercita, anche al di fuori del suo mandato parlamentare, la sua libertà di espressione in modo legittimo, una sua eventuale condanna violerebbe l’articolo 10 della Convenzione. Quest’ultima disposizione e la giurisprudenza che ne fa applicazione svolgono quindi un ruolo cruciale nella valutazione di un’ingerenza nel diritto di accesso alla giustizia. Se non esiste alcun diritto sostanziale, o se la controversia non è atta a garantirne direttamente la realizzazione, l’articolo 6 della Convenzione non trova applicazione.
55.  Affinché un’azione per diffamazione sia accolta è necessario che le espressioni controverse siano intrinsecamente diffamatorie e che non costituiscano affatto un legittimo esercizio del diritto alla libertà di espressione. La Corte dovrebbe quindi dedicarsi ad un esame delle dichiarazioni dell’on. Bossi al fine di valutare se esse fossero tutelate dall’articolo 10 della Convenzione.
56.  Nel caso di specie, sollevando un conflitto tra poteri dello Stato, il tribunale di Roma ha implicitamente espresso un dubbio in merito al peso da attribuire, da un lato, alla libertà di espressione dell’on. Bossi e, dall’altro, ai diritti rivendicati dai ricorrenti. La Corte non è tuttavia vincolata da questa valutazione del giudice interno. Infatti, nel caso specifico, il diritto rivendicato dai ricorrenti doveva passare in secondo piano di fronte alla libertà di espressione esercitata dall’on. Bossi. Questi è un uomo politico di spicco in Italia, capo di una formazione rappresentata al Parlamento italiano ed europeo.
57.  Qualunque fosse il loro legame con una specifica attività parlamentare, le dichiarazioni controverse si inserivano nel dibattito pubblico provocato dall’assassinio del prof. Biagi da parte di un gruppo terroristico. Il crimine era motivato dalle posizioni assunte e dal lavoro svolto dalla vittima nel campo del diritto del lavoro. In tale dibattito d’interesse pubblico, alcuni sostenevano che le posizioni del sindacato e la critica virulenta delle idee della vittima avevano contribuito a creare il clima che aveva favorito la nascita del progetto criminale dei terroristi. Tale era, in sostanza, la tesi difesa dall’on. Bossi, ricorrendo ad una certa dose di esagerazione e di veemenza polemica. Pertanto, anche in assenza di immunità parlamentare, il procedimento nel merito avrebbe potuto concludersi solo con una decisione di rigetto della domanda dei ricorrenti. In una nota allegata alle osservazioni del Governo, l’avvocatura della Camera dei deputati afferma che le dichiarazioni dell’on. Bossi erano legate ad un’attività parlamentare preliminare, vale a dire i dibattiti tenutisi in seno alla camera legislativa i giorni 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002 (precedenti paragrafi 8 e 11). Del resto, ogni opinione connessa con la « politica parlamentare » dovrebbe essere considerata come legata ad un’attività parlamentare.
b)  I ricorrenti
58.  I ricorrenti ricordano che il loro ricorso verte sulla questione se vi sia stata ingerenza nel loro diritto di accesso alla giustizia e se tale ingerenza fosse proporzionata. La questione se vi sia stato un giusto equilibrio tra la libertà di espressione di un parlamentare e la tutela del diritto all’onore delle persone che si ritengono offese da lui potrebbe porsi solo se vi fosse una decisione sul merito dell’azione per diffamazione. I ricorrenti non hanno avuto l’opportunità di convincere i giudici del merito che le dichiarazioni dell’on. Bossi oltrepassavano i limiti di una critica legittima e costituivano offese gratuite.
59.  Ad ogni modo, l’on. Bossi ha sostanzialmente accusato i ricorrenti di essere politicamente e moralmente responsabili di un omicidio. Ciò costituisce un’accusa specifica non provata che ha leso in modo ingiustificato la loro reputazione, e consente di distinguere la presente fattispecie dai casi in cui la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 10 della Convenzione a causa della condanna per diffamazione di un eletto del popolo.
60.  I ricorrenti osservano inoltre che il meccanismo previsto dall’ordinamento italiano per controllare la legittimità di una deliberazione d’insindacabilità è tale da rendere difficile la tutela dei diritti dei terzi. La persona che si ritiene diffamata da un membro del Parlamento non può intervenire nel procedimento per la concessione dell’immunità e deve poi convincere il giudice a sollevare, nelle forme appropriate, un conflitto tra poteri dello Stato; infine, essa ha la facoltà di intervenire nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale. Nel caso di specie, per motivi non riconducibili ai ricorrenti, il giudice del merito non ha rispettato le formalità richieste dalla Corte costituzionale e il loro intervento dinanzi a quest’ultima è stato privato di ogni effetto utile.
61.  I ricorrenti osservano che, a causa della deliberazione della Camera dei deputati e della sentenza della Corte costituzionale, il procedimento civile da loro avviato nei confronti dell’on. Bossi dovrà arrestarsi.  Pertanto, essi non avranno alcuna possibilità di ottenere una decisione sul merito della loro azione per diffamazione. Peraltro, pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, le dichiarazioni controverse non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari. Infatti, l’on. Bossi non è mai intervenuto, per iscritto o verbalmente, in seno ad una camera legislativa in merito all’assassinio del prof. Biagi. Inoltre, non esiste alcun atto parlamentare preliminare con il quale l’on. Bossi avrebbe rivelato l’intenzione di accusare i ricorrenti di essere gli ispiratori morali o politici di detto omicidio. Gli atti citati dalla Camera dei deputati erano stati presentati da altri membri del Parlamento; la maggior parte sono del resto successivi all’intervista dell’on. Bossi e nessuno di essi accusa, neanche moralmente, i ricorrenti dell’omicidio.
2.  Valutazione della Corte
62.  La Corte ritiene che il ricorso ponga innanzitutto la questione se i ricorrenti abbiano potuto esercitare il loro diritto, sancito dall’articolo 6 della Convenzione, di accesso alla giustizia (Golder c/Regno Unito, 21 febbraio 1975, §§ 35-36, serie A n. 18, Cordova (n. 2), succitata, § 48, e De Jorio c/Italia, n. 73936/01, § 40, 3 giugno 2004).
a)  Sull’esistenza di un’ingerenza nell’esercizio da parte dei ricorrenti del loro diritto di accesso alla giustizia
63. La Corte osserva che, con la deliberazione del 30 luglio 2003, la Camera dei deputati ha dichiarato che le affermazioni dell’on. Bossi erano coperte dall’immunità sancita dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, il che impediva di proseguire ogni procedimento penale o civile volto ad accertare la responsabilità del deputato in questione e ad ottenere la riparazione dei danni subiti.
64.  E’ vero che la legittimità di detta deliberazione ha formato oggetto di un esame prima del tribunale di Roma (precedenti paragrafi 14-18) poi della Corte costituzionale che, nella sentenza n. 305 del 10 luglio 2007, ha dichiarato il conflitto tra poteri dello Stato inammissibile per motivi procedurali (precedenti paragrafi 20-21).
65.  Non si possono tuttavia paragonare tali valutazioni ad una decisione sul diritto dei ricorrenti alla tutela della loro reputazione, né considerare che un grado di accesso alla giustizia limitato alla facoltà di porre una questione preliminare bastasse a garantire ai ricorrenti il « diritto alla giustizia », tenuto conto del principio della preminenza del diritto in una società democratica (Cordova (nn. 1 e 2), succitate, rispettivamente § 52 e § 53, De Jorio, succitata, § 53, e, mutatis mutandis, Waite e Kennedy c/Germania [GC], n. 26083/94, § 58, CEDU 1999-I). Al riguardo, è opportuno rammentare che l’effettività del diritto in questione richiede che un individuo goda di una possibilità chiara e concreta di contestare un atto lesivo dei suoi diritti (Bellet c/Francia, 4 dicembre 1995, § 36, serie A n. 333-B). Nel presente caso, in seguito alla deliberazione del 30 luglio 2003, rafforzata dalla decisione della Corte costituzionale di dichiarare inammissibile il conflitto tra poteri dello Stato, l’azione civile avviata nei confronti dell’on. Bossi ha subito una battuta d’arresto e i ricorrenti si sono visti privare della possibilità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per il danno da loro addotto (si veda, mutatis mutandis, Ielo c/Italia, n. 23053/02, §§ 43-44, 6 dicembre 2005).
66.  Quanto alle affermazioni del Governo riguardanti la possibilità di proseguire l’azione civile nei confronti del sig. Conti, del direttore del quotidiano Il Messaggero e del suo editore (precedente paragrafo 51), la Corte non può che ribadire le osservazioni che l’hanno portata a rigettare le eccezioni preliminari (precedenti paragrafi 35-38 e 43).
67.  Pertanto, la Corte ritiene che i ricorrenti abbiano subito un’ingerenza nel loro diritto di accesso alla giustizia (si vedano, mutatis mutandis, Cordova (nn. 1 e 2), succitate, rispettivamente §§ 52-53 e §§ 53-54 ; De Jorio succitata, §§ 45-47 ; Patrono, Cascini e Stefanelli c/Italia, n. 10180/04, §§ 55-58, 20 aprile 2006).
68.  Essa rammenta tuttavia che tale diritto non è assoluto, ma può dare luogo a limitazioni implicitamente ammesse. Nondimeno, tali limitazioni non possono ridurre l’accesso offerto all’individuo in modo o in misura tali che il diritto ne risulti leso nella sua stessa sostanza. Inoltre, esse sono conformi all’articolo 6 § 1 solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo prefissato (si vedano, tra molte altre, Khalfaoui c/Francia, n. 34791/97, §§ 35-36, CEDU 1999-IX, e Papon c/Francia, n. 54210/00, § 90, 25 luglio 2002 ; si veda anche il richiamo dei principi in Fayed c/Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A n. 294-B).
b)  Scopo dell’ingerenza
69.  La Corte rileva che il fatto che gli Stati concedano generalmente un’immunità più o meno ampia ai membri del Parlamento costituisce una prassi consolidata, volta a consentire la libera espressione dei rappresentanti del popolo e ad impedire che azioni giudiziarie partigiane possano ledere la funzione parlamentare. Pertanto, la Corte ritiene che l’ingerenza in questione, la quale era prevista dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, perseguisse scopi legittimi, vale a dire la tutela del libero dibattito parlamentare e il mantenimento della separazione dei poteri legislativo e giudiziario (A. c/Regno Unito, n. 35373/97, §§ 75-77, CEDU 2002-X ; Cordova (nn. 1 e 2) succitate, rispettivamente § 55 e § 56 ; De Jorio succitata, § 49 ; Patrono, Cascini e Stefanelli, succitata, § 59).
70.  Rimane da verificare se le conseguenze subite dai ricorrenti fossero proporzionate agli scopi legittimi menzionati.
c)  Proporzionalità dell'ingerenza
71.  Per quanto riguarda i principi generali relativi alla proporzionalità delle ingerenze in materia di immunità parlamentare, la Corte rinvia innanzitutto alla giurisprudenza che ha enucleato nei casi Cordova c/Italia (Cordova (nn. 1 e 2), succitate, rispettivamente §§ 57-61 e §§ 58-62).
72.  Nel caso di specie, la Corte osserva che, pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, e quindi al di fuori di una camera legislativa, le dichiarazioni controverse dell’on. Bossi non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu. E’ vero che, nel corso delle sedute dei giorni 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002, in seno alla Camera dei deputati si è tenuto un dibattito parlamentare in merito all’omicidio del prof. Biagi (precedenti paragrafi 8 e 11). Resta il fatto che dal fascicolo non risulta che l’on. Bossi sia intervenuto, per iscritto o verbalmente, in una camera del Parlamento in merito a ciò o abbia parlato di una responsabilità morale o politica dei ricorrenti per l’assassinio in questione. I ricorrenti lo sottolineano con ragione (precedente paragrafo 61) e il Governo non ha contestato tale affermazione. E’ altresì opportuno notare che le sedute parlamentari dei giorni 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002 si sono tenute dopo l’intervista dell’on. Bossi alla stampa.
73.  La Corte ha esaminato le dichiarazioni di quest’ultimo, come riferite dal quotidiano Il Messaggero. Essa ritiene che fossero volte a sostenere, in sostanza, che, con la loro azione di contestazione delle riforme che il Governo aveva in programma di realizzare nel campo del diritto del lavoro, i ricorrenti erano, almeno in parte, responsabili del clima di tensione sociale che aveva portato all’omicidio del prof. Biagi. Ora, in tale caso, non si può giustificare un diniego di accesso alla giustizia per il solo motivo che la disputa potrebbe esse di natura politica o legata ad un’attività politica (si vedano, mutatis mutandis, Cordova (n. 2) succitata, § 63, De Jorio, succitata, § 53, e Patrono, Cascini e Stefanelli, succitata, § 62).
74.  A giudizio della Corte, l’assenza di un legame evidente con un’attività parlamentare esige un’interpretazione stretta del concetto di proporzionalità tra lo scopo prefissato e i mezzi impiegati. Ciò vale in particolar modo quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Giungere ad una conclusione diversa equivarrebbe a limitare in modo incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso alla giustizia dei privati ogniqualvolta i discorsi attaccati in giustizia siano stati pronunciati da un membro del Parlamento (Cordova (nn. 1 e 2), succitate, rispettivamente § 63 e § 64, e De Jorio, succitata, § 54).
75.  La Corte ritiene che, nel caso di specie, la deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003 concedendo l’immunità all’on. Bossi, immunità che ha comportato la paralisi dell’azione dei ricorrenti volta a garantire la tutela della loro reputazione, non abbia rispettato il giusto equilibrio che deve regnare in materia tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
76.  Inoltre, la Corte attribuisce importanza al fatto che, dopo la deliberazione in questione e la sentenza della Coste costituzionale n. 305 del 2007, i ricorrenti non disponevano di altri mezzi ragionevoli per tutelare efficacemente i loro diritti sanciti dalla Convenzione (si vedano Patrono, Cascini e Stefanelli succitata, § 65, e, a contrario, Waite e Kennedy, succitata, §§ 68-70, e A. c/Regno Unito, succitata, § 86).
77.  Al riguardo, la Corte rammenta di avere osservato, nei casi Cordova e De Jorio, che la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva registrato una certa evoluzione e che l’alta Corte italiana riteneva ormai illegittimo che l’immunità fosse estesa a discorsi privi di un rapporto sostanziale con atti parlamentari preliminari di cui il rappresentante interessato potrebbe passare per essersi fatto portavoce (Cordova (nn. 1 e 2) succitate, rispettivamente § 65 e § 66, e De Jorio, succitata, § 56). Ciò non toglie che, nel presente caso, la Corte costituzionale, rilevando l’esistenza di un ostacolo di natura procedurale posto dal testo dell’ordinanza del tribunale di Roma del 10 febbraio 2005, si è rifiutata di verificare se i discorsi dell’on. Bossi rientrassero nell’esercizio di « funzioni parlamentari » e fossero coperti dall’articolo 68 § 1 della Costituzione (si veda, mutatis mutandis, Jelo, succitata, § 54).
78.  Non spetta alla Corte esaminare l’esattezza di questa interpretazione nel diritto interno. Infatti, è in primo luogo alle autorità nazionali, in particolare alle corti e ai tribunali, che spetta interpretare la legislazione interna (Edificaciones March Gallego S.A. c/Spagna, Recueil 1998-I, § 33, 19 febbraio 1998, e Pérez de Rada Cavanilles c/Spagna, 28 ottobre 1998, § 43, Recueil 1998-VIII). Il ruolo della Corte è invece quello di verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di una simile interpretazione (Cordova (n. 1), succitata, § 57, Kaufmann c/Italia, n. 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, e Ielo, succitata, § 55). Senza esaminare in abstracto la legislazione e la prassi pertinenti, essa deve accertare se il modo in cui esse hanno interessato i ricorrenti abbia violato la Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Padovani c/Italia, 26 febbraio 1993, § 24, serie A n. 257-B). Ora, come la Corte ha appena constatato (precedente paragrafo 75), l’ostacolo al diritto di accesso alla giustizia dei ricorrenti non è stato, nel caso di specie, proporzionato agli scopi legittimi perseguiti.
79.  Infine, per quanto riguarda l’argomentazione del Governo secondo la quale, poiché i discorsi dell’on. Bossi erano stati pronunciati nell’esercizio legittimo della sua libertà di espressione, il procedimento nel merito avrebbe potuto concludersi solo con una decisione di rigetto della domanda dei ricorrenti (precedenti paragrafi 53-57), la Corte osserva di non essere chiamata a pronunciarsi se, nel caso di specie, vi fosse stata diffamazione. Nell’ambito del presente ricorso, la questione che le viene sottoposta è quella di valutare se i ricorrenti, che avevano presentato dinanzi ad un tribunale interno un’azione per diffamazione non manifestamente infondata, abbiano potuto beneficiare di un accesso alla giustizia conforme alle esigenze della Convenzione. Ora, ciò non si è verificato nel caso di specie.
80.  Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II.  SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

81.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »
A.  Danni
82.  I ricorrenti chiedono la concessione di una « riparazione pecuniaria per il danno morale e materiale » che avrebbero subito.
83.  Il Governo sottolinea che i ricorrenti non hanno quantificato le loro pretese e che le loro domande di equa soddisfazione sono molto vaghe, il che dovrebbe comportare un loro rigetto. In mancanza dell’indicazione, sia pure approssimativa, di una somma ritenuta appropriata, il Governo non è in grado di formulare adeguati commenti. Pertanto, accogliere la domanda dei ricorrenti si tradurrebbe in una violazione del diritto del Governo di disporre degli elementi necessari per esporre le sue tesi e difendersi.
84.  La Corte ritiene che i ricorrenti non abbiano fornito alcuna prova del danno materiale che sostengono di avere subito. Pertanto, nessuna somma può essere concessa a tale titolo. Essa ritiene invece che gli interessati abbiano subito un torto morale certo. Tenuto conto delle circostanze della causa e deliberando secondo equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, essa decide di concedere a ciascun ricorrente la somma di 8.000 EUR. La somma totale da versare ai ricorrenti a tale titolo ammonta quindi a 16.000 EUR.
B.  Spese
85.  I ricorrenti non hanno presentato alcuna domanda di rimborso delle spese sostenute a livello interno o per il procedimento dinanzi alla Corte. Pertanto, la Corte ritiene che non sia opportuno concedere loro alcuna somma a tale titolo.
C.  Interessi moratori
86.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

1.  Dichiara, all’unanimità, il ricorso ammissibile;

2.  Afferma, con cinque voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

3.  Afferma, con cinque voti contro due,
a)  che lo Stato convenuto deve versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 8.000 EUR (ottomila euro) per danni morali, oltre ad ogni importo che possa essere dovuto a titolo d’imposta;
b)  che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

4.  Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione nel resto.
Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 24 febbraio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé        Françoise Tulkens
Cancelliere       Presidente
Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata dei giudici Sajó e Karakaş.
F.T.
S.D.
 
OPINIONE DISSENZIENTE COMUNE AI GIUDICI
SAJÓ E KARAKAŞ
Non condividiamo il parere della maggioranza secondo il quale, in questo caso,  vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
Innanzitutto, è necessario rammentare che l’immunità riconosciuta ai membri del Parlamento per i loro voti e le loro opinioni ha lo scopo di assicurare agli stessi, nell’esercizio delle loro funzioni, la più ampia libertà di espressione affinché possano discutere liberamente di ogni questione riguardante la vita pubblica senza dovere temere persecuzioni od eventuali conseguenze giudiziarie.
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana relativa alle opinioni espresse fuori dal Parlamento, è necessario accertare l’esistenza di un legame con le attività parlamentari: in particolare, deve esistere una sostanziale corrispondenza tra le opinioni in questione e un atto parlamentare preliminare (Cordova c/Italia (n. 2), n. 45649/99, CEDU 2003 I).
Nel presente caso, secondo la maggioranza, le dichiarazioni dell’on. Bossi pubblicate su Il Messaggero del 25 marzo 2002, espresse al di fuori di una camera legislativa, non erano legate all’esercizio delle funzioni parlamentari stricto sensu.
Da parte nostra, pensiamo che questo caso si distingua dagli altri casi italiani relativi all’immunità parlamentare in cui la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 6 (Cordova (n. 2), succitata; De Jorio c/Italia, n. 73936/01, 3 giugno 2004).
Le osservazioni in questione non riguardano un individuo nella sua sfera privata; contrariamente alle dichiarazioni controverse nel caso De Jorio (§ 53), le dichiarazioni che qui interessano non sembrano « iscriversi nel quadro di una disputa tra privati ». La ricorrente è un’importante associazione sindacale (e il ricorrente un suo membro) che partecipa al dibattito politico, con tutte le possibilità di reazione che spettano agli enti pubblici dotati di un certo potere.
Nel caso di specie, l’intervista dell’on. Bossi fu pubblicata il 25 marzo 2002, pertanto successivamente al dibattito parlamentare del 20 marzo 2002 sull’assassinio del prof. Biagi, sul terrorismo e sulla lotta dei sindacati nel contesto della riforma del diritto del lavoro. Il 23 marzo, il sindacato in questione organizzò una manifestazione di protesta contro la riforma prevista dal Governo. In quanto ministro per le Riforme e deputato, l’on. Bossi rilasciò un’intervista su tali questioni (probabilmente il 23 o il 24 marzo), pubblicata sul quotidiano Il Messaggero il 25 marzo. L’indomani 26 marzo, il Governo informò la Camera dei deputati in merito ad alcune dichiarazioni dei suoi membri sulla manifestazione organizzata dal sindacato. Una seduta dedicata alle risposte del Governo al riguardo fu fissata per il 26 giugno 2002.
Le date corrispondenti alle circostanze del caso ci mostrano il legame tra le attività parlamentari (contrariamente alla maggioranza, noi non pensiamo che il mancato intervento dell’on. Bossi durante i dibattiti parlamentari sia un elemento decisivo) e le opinioni che l’interessato ha espresso fuori dal Parlamento.
Non si può poi ritenere, nel caso di specie, che i discorsi pronunciati dall’on. Bossi si iscrivano nel quadro di una disputa tra privati (in questo senso, si veda De Jorio, succitata, § 53). Al contrario, le dichiarazioni dell’on. Bossi costituivano un contributo ad un dibattito d’interesse pubblico, nell’ambito dell’esercizio legittimo della sua libertà di espressione.
In una società moderna in cui regna la comunicazione di massa, le funzioni parlamentari e la presa di parola legata a tali funzioni non possono essere limitate alle dichiarazioni rese in seno al Parlamento; esse sono strettamente legate alle affermazioni rilasciate ai media in merito al dibattito parlamentare. Tale dibattito non concerne unicamente altri deputati ma anche l’opinione pubblica nel suo complesso. Nel caso di specie, l’intervista concessa al quotidiano faceva parte di un dibattito parlamentare più ampio e, in virtù di ciò, era legata ad esso stricto sensu.
Consentire i procedimenti penali e civili contro i deputati significherebbe accettare tutto l’effetto inibitore che tali procedimenti inevitabilmente hanno sul discorso politico. Anche se in fin dei conti l’autore delle dichiarazioni controverse viene assolto o comunque vince il processo, le spese di giustizia, il tempo trascorso ed altri obblighi avranno nel frattempo ostacolato un vero e proprio dibattito. Se non si tutela l’irresponsabilità dei principali eletti politici per le loro affermazioni, è l’essenza stessa del discorso politico ad essere posta in gioco. La tutela dell’articolo 10 della Convenzione perde di effettività se applicata a posteriori, dopo un lungo procedimento. Anche l’immunità assoluta dei deputati è stata giudicata legittima, in quanto consente a questi di partecipare in modo costruttivo ai dibattiti parlamentari e di rappresentare i loro elettori su questioni di interesse pubblico formulando liberamente i loro discorsi o le loro opinioni, senza rischio di essere perseguiti dinanzi ad un giudice o ad un’altra autorità  (si veda, in particolare, A. c/Regno Unito, n. 35373/97, § 75, CEDU 2002 X).
E’ vero che il ricorrente ha subito una violazione del suo diritto di accesso alla giustizia. Ma tale diritto non è assoluto e può dare luogo a limitazioni implicitamente ammesse. Tali limitazioni non possono tuttavia restringere l’accesso offerto all’individuo in modo o in misura tali da ledere il diritto nella sua stessa sostanza. Inoltre, esse sono conformi all’articolo 6 § 1 solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo prefissato (si vedano, tra molte altre, Khalfaoui c/Francia, n. 34791/97, §§ 35-36, CEDU 1999-IX, e Papon c/Francia, n. 54210/00, § 90, CEDU 2002-VII ; si veda anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c/Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A n. 294-B).
La Camera dei deputati ha ritenuto che le dichiarazioni dell’on. Bossi costituissero opinioni espresse da un parlamentare nell’ambito delle sue funzioni. L’interessato ha quindi beneficiato al riguardo dell’immunità prevista all’articolo 68 della Costituzione. La legittimità della deliberazione della Camera dei deputati è stata esaminata dal tribunale di Roma e dalla Corte costituzionale in virtù del diritto interno.
Condividiamo il parere secondo il quale l’ingerenza in discussione nel caso di specie perseguiva scopi legittimi ed era proporzionale nell’ambito dell’immunità concessa per l’esercizio di funzioni parlamentari, soprattutto per un dibattito libero ed aperto su una questione pertinente della società che non riguardava una disputa tra privati.
Pertanto, concludiamo che non vi è stata violazione dell’articolo 6.

La traduzione è stata curata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo (fino al paragrafo 50) e dalla dott.ssa Rita Pucci (dal paragrafo 51).