Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 marzo 2009 - Ricorso n. 2638/07 - Abdelhedi c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo

Argomento: proibizione della tortura (violazione art.3 CEDU)

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI  - DIRITTO ALLA LIBERTA' E ALLA SICUREZZA - ESPULSIONI VERSO LA TUNISIA - VIOLAZIONE

La Corte, con riferimento a molteplici espulsioni disposte dall’Italia verso la Tunisia, ha ribadito quanto affermato nella sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008, secondo cui molte fonti internazionali (da ultimo, anche l’Amnesty International Report del 2008) riferiscono di trattamenti inumani attuati in quel paese nei confronti di persone indagate o condannate per fatti di terrorismo. La Corte ha ritenuto insufficienti le assicurazioni diplomatiche fatte all’Italia dal Governo tunisino e ha stabilito che in caso di esecuzione delle espulsioni si configurerà a carico del nostro Paese la violazione dell’art. 3 CEDU.
In materia di espulsione di stranieri. L’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione.
Fatto. In tutte le cause in titolo i ricorrenti, di nazionalità tunisina, erano stati colpiti da provvedimenti di espulsione basati sulla loro pretesa appartenenza ad organizzazioni di stampo terroristico.
Dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, i ricorrenti adivano la Corte europea dei diritti dell’uomo chiedendo preliminarmente, ex art. 39 Regolamento CEDU, la sospensione degli effetti dei rispettivi provvedimenti di espulsione e lamentando che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei suddetti provvedimenti li avrebbe esposti al rischio di essere sottoposti, una volta giunti nel paese di destinazione (la Tunisia), a trattamenti inumani e degradanti contrari all’art. 3 CEDU.
Alcuni ricorrenti invocavano altresì gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto ad un processo equo) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU. In particolare nei ricorsi Abdelhed e Soltana, i ricorrenti lamentavano anche la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7, affermando che la misura dell’espulsione era stata adottata in violazione delle garanzie procedurali prescritte in caso di espulsioni di stranieri.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte di Strasburgo, le autorità italiane ricevevano rassicurazioni da parte delle corrispondenti autorità tunisine circa le garanzie inerenti al rispetto della dignità, dell’equo processo, del diritto di ricevere visite nonché del diritto di beneficiare di cure mediche.
Nelle more del procedimento, la Corte, in accoglimento delle istanze dei ricorrenti, ha richiesto al Governo italiano di sospendere la procedura di espulsione fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del buon esito del procedimento pendente davanti ad essa.
Diritto. Le sentenze in titolo seguono il filone giurisprudenziale in materia di espulsione di stranieri, inaugurato dalla Corte EDU con la sentenza della Grande Camera pronunciata nella causa Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 .
La Corte, richiamando le considerazioni esposte nel caso Saadi, ha affermato che il recepimento da parte di uno Stato di trattati internazionali volti a garantire il rispetto dei diritti fondamentali non è di per sé sufficiente ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di torture quando, come nei casi de quibus, fonti affidabili confermino l’esistenza di pratiche delle autorità - o da queste tollerate - contrarie ai principi della Convenzione.
Relativamente alle rassicurazioni a tal fine offerte dallo Stato di destinazione, la Corte ha precisato che è suo compito accertare se le stesse rappresentino, nella loro applicazione concreta, una sufficiente garanzia per i ricorrenti contro il rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione. Il peso da attribuire alle suddette rassicurazioni varia a seconda delle circostanze che si presentano all’epoca considerata.
A tal riguardo, la Corte richiamando il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 1433 del 2005, ha affermato che le rassicurazioni diplomatiche non rappresentano un sufficiente strumento di garanzia quando l’assenza di pericolo di subire torture non è dalle stesse fermamente escluso.
Per ritenere reali e comprovati, nelle fattispecie sottoposte al suo esame, i rischi connessi all’esposizione dei ricorrenti a trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione, la Corte ha fatto riferimento ai rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch concernenti la Tunisia. In tali rapporti si denunciano ripetute pratiche di violazioni di diritti fondamentali, casi di tortura nei confronti di persone anche solo sospettate di terrorismo, mentre le autorità tunisine non sono solite punire i responsabili dei trattamenti disumani verso i detenuti e sono poco inclini a cooperare con le organizzazioni internazionali che operano in difesa dei diritti umani.
Tanto premesso, la Corte ha quindi constatato che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei provvedimenti di espulsione nei confronti dei ricorrenti verso la Tunisia comporterebbe violazione dell’art. 3 CEDU. Per quanto riguarda le altre norme della Convenzione invocate da alcuni ricorrenti, la Corte non ha ritenuto di affrontarne l’esame.
Infine, nei casi in cui i ricorrenti avevano chiesto il ristoro dei danni morali subiti ex art. 41 della Convenzione, la Corte ha respinto tali richieste di riparazione, considerando la mera constatazione della eventuale violazione dell’art. 3 della Convenzione un’equa soddisfazione.

CONSIGLIO D’EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA ABDELHEDI c. ITALIA (Ricorso n. 2638/07)

SENTENZA
STRASBURGO 24 marzo 2009

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire alcune lievi modifiche formali.
 
Nella causa Abdelhedi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 marzo 2009,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in questa data:

IL PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 2638/07) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino tunisino, il sig. Mohamed Abdelhedi («il ricorrente»), ha adito la Corte l’8 gennaio 2007 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è rappresentato dall’Avv. G. Regina del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente aggiunto, il sig. N. Lettieri.
3. Il ricorrente sostiene che l’esecuzione della decisione con cui è stata disposta la sua espulsione verso la Tunisia lo esporrebbe a un rischio di tortura e di non avere beneficiato della possibilità di far valere le ragioni contro tale decisione.
4. Il 2 maggio 2007 il presidente della seconda sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Come consente l’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha inoltre deciso che la Camera si sarebbe pronunciata nel contempo sulla ricevibilità e sul merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1965 ed è residente a Varese.
A. Il procedimento e il decreto di espulsione nei confronti del ricorrente
6. Il ricorrente è residente in Italia dal 4 settembre 1989. È coniugato con una cittadina tunisina. La coppia ha quattro figli. Il 14 marzo 2002 la Questura di Varese ha accordato al ricorrente un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.
7. Nel 2003 il ricorrente fu arrestato. Era accusato di far parte di una associazione per delinquere collegata a gruppi terroristici stranieri e finalizzata, in particolare, al traffico di armi, alla ricettazione, alla falsificazione di documenti e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
8. Il ricorrente fu poi sottoposto agli arresti domiciliari. Con sentenza in data 3 dicembre 2004 il tribunale di Milano lo condannò a quattro anni e otto mesi di reclusione e 1.700 euro di multa. Nella sentenza si precisava che dopo aver scontato la pena, il ricorrente avrebbe dovuto essere espulso verso la Tunisia. In effetti, ai sensi dell’articolo 235 del codice penale («il CP»), quando lo straniero è condannato a una pena della reclusione superiore a due anni il giudice ordina la sua espulsione.
9. Il ricorrente interpose appello.
10. Con sentenza in data 29 settembre 2005 la corte d’appello di Milano, ritenendo che non fosse provato che l’organizzazione criminale della quale faceva parte il ricorrente era collegata a gruppi terroristici stranieri, ridusse la pena inflitta all’interessato a tre anni e quattro mesi di reclusione e 1.700 euro di multa, e confermò la sentenza di primo grado per il resto.
11. Il ricorrente non presentò ricorso per cassazione e la sua condanna passò in giudicato il 13 febbraio 2006.
12. Il 30 marzo 2006 il Procuratore Generale della Repubblica di Milano ordinò la sospensione dell’esecuzione della pena (un anno, tre mesi e diciassette giorni di reclusione) che il ricorrente doveva ancora scontare. Il ricorrente presentò dinanzi al Magistrato di Sorveglianza di Milano una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale.
13. Mentre era in corso la procedura dinanzi al Magistrato di Sorveglianza, entrò in vigore la legge n. 241 del 31 luglio 2006 che stabilisce le condizioni per la concessione dell’indulto. Ai sensi di tale legge la pena che il ricorrente doveva ancora scontare veniva interamente condonata. Secondo le informazioni fornite dal ricorrente il 28 marzo 2007, il magistrato di sorveglianza in tale data attendeva di ricevere una decisione con cui veniva applicato l’indulto al suo caso; e dopo che fosse stato presentato tale documento il tribunale non avrebbe potuto fare altro che prendere atto del fatto che la pena in questione non doveva più essere eseguita. Il ricorrente teme dunque di poter essere espulso in qualsiasi momento in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza del tribunale di Milano del 3 dicembre 2004 e confermato dalla corte d’appello di Milano.
14. Su richiesta del ricorrente il presidente della seconda sezione ha deciso, il 13 aprile 2007, di indicare al governo italiano, in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e di un buono svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte, non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Essa ha richiamato l’attenzione del Governo sul fatto che, quando uno Stato contraente non si adegua ad una misura indicata ai sensi dell’articolo 39 del regolamento, ciò può comportare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (v. Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDU 2005-I).
15. Il 23 maggio 2007 la Questura di Varese ha revocato il permesso di soggiorno del ricorrente.
B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
16. Il 29 agosto 2008 l’Ambasciata d’Italia a Tunisi inviò al ministero tunisino degli Affari esteri la seguente nota verbale(n. 3124):
«L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali n. 2738 del 21 luglio scorso e n. 2911 del 6 agosto scorso ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24  luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi dei decreti di espulsione.
L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri per la nota verbale DGAC n. 011998 del 26 agosto scorso e per il suo tramite il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione manifestata nel caso del signor Essid Sami Ben Khemais.
Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio, le autorità italiane si pregiano di sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi supplementari specifici, che risultano necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia e i cittadini tunisini qui di seguito citati (…) (…)
A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia di chiedere al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti in relazione ai seguenti argomenti :
- che, in caso di espulsione verso la Tunisia, la persona le cui generalità saranno specificate non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti ;
- che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
- che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati, compreso quello italiano che la rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari e di un medico.
Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per i suddetti casi è fissata al prossimo 19 settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse farle pervenire al più presto gli elementi che sono stati richiesti e che risultano fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano, e suggerisce che l'avvocato Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
L’Ambasciata d’Italia sarebbe grata inoltre al ministero degli Affari Esteri se volesse verificare se le autorità tunisine competenti ritengono opportuno che il governo tunisino partecipi, per i citati ricorsi, alle procedure innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e ciò conformemente agli articoli 36 [della Convenzione], 44 del regolamento della Corte [ed] A1 paragrafo 2 dell’allegato al regolamento.
L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovarle i sensi della sua alta considerazione.»
17. Il 5 novembre 2008 le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle sue parti pertinenti, tale risposta è cosi formulata:
«Nella sua nota verbale del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale del 4 settembre 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto alle autorità tunisine le assicurazioni qui di seguito riportate, riguardanti i cittadini tunisini (…)Mohamed ABDELHEDI [e altri] qualora essi dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
I. Le autorità tunisine sottolineano, anzitutto, che (...) e Mohamed ABDELHEDI non sono attualmente sottoposti a procedimenti giudiziari in Tunisia. I giudici tunisini, non essendo venuti a conoscenza di una loro eventuale implicazione in fatti delittuosi, non hanno avviato nei l loro confronti alcuna azione penale.
Non essendo soggetti ad alcuna condanna o azione penale, gli interessati beneficiano, come ogni cittadino tunisino, e sullo stesso piede di parità, di tutti i diritti ad essi riconosciuti dalla Costituzione tunisina, il cui articolo 6 dispone che «tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali davanti alla legge». L’articolo 7 della Costituzione aggiunge che essi «esercitano la pienezza dei loro diritti nelle forme e alle condizioni previste dalla legge». (...)
1. La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito e trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone e più particolarmente ai detenuti il cui status è minuziosamente disciplinato.
È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che «ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità».
La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini sottoposti alla sua giurisdizione che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione (ratificata dalla legge n. 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n. 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035).
Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come «un atto con il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione.»
Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che «è punito con otto anni di reclusione il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto, fra cui in particolare:
- Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i suoi famigliari.
- Il diritto di chiedere durante il fermo di polizia o allo scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai famigliari.
- La durata della detenzione preventiva è regolamentata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle «condizioni detentive nelle carceri al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento. »
Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di vari tipi di controlli eseguiti da diversi organi e istituzioni:
- Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario sito nel distretto di sua competenza, per conoscere le condizioni dei detenuti; dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
- Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali; il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato e le condizioni dei detenuti.
- Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dell'ispettorato generale che dipende dalla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori del citato ministero sono magistrati di carriera, fatto che costituisce una garanzia supplementare ai fini di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
- Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle carceri e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi maltrattamenti. Si citano due esempi:
- il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria perseguiti per maltrattamenti su un detenuto; l'inchiesta aperta a tale proposito ha portato alla condanna dei tre agenti carcerari alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno (sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002).
- Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato condannato a 15 anni di reclusione per lesioni volontarie che hanno preterintenzionalmente provocato la morte (sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002).
Questi due esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.
I pochi casi di condanna per maltrattamenti segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo ed al Comitato dei diritti dell'uomo denotano così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi tortura o  maltrattamento, e questo permette di respingere qualsiasi allegazione di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.
(...)
2. La garanzia di un processo equo agli interessati:
Se verranno espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno di procedure di azione penale, istruzione e giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo, e in particolare:
- Il rispetto del principio della separazione tra le autorità dell'accusa, dell'istruzione e del giudizio.
- L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria),
- Le udienze sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
- Ogni persona sospettata di un crimine ha diritto all'assistenza di uno o più avvocati. Se necessario le viene nominato un avvocato di ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue per tutte le fasi del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
- L'esame dei crimini è di competenza delle corti criminali che sono formate da cinque magistrati; questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
- Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
- La condanna può essere resa soltanto sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi alla autorità giudiziaria competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata prova determinante. Questa posizione sarà confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n. 12150 del 26 gennaio 2005, con la quale la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla ed è considerata come non avvenuta, e questo in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: «la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli sono presentare al fine di decidere la forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
3. La garanzia del diritto di ricevere visite:
Se l'arresto delle persone interessate viene deciso dall'autorità giudiziaria competente, esse beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti previsti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria. Questa legge sancisce il diritto di ogni imputato di ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente carcerario, nonché la visita dei familiari. Se viene deciso il loro arresto, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla legislazione vigente e senza alcuna restrizione.
Per quanto riguarda la richiesta di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di una convenzione o di un quadro legale interno che l'autorizzi.
In effetti la legge sull’ordinamento carcerario determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta soprattutto dei familiari del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità per gli avvocati italiani di visitare i detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare avvocati di fiducia tunisini di rendere loro visita e di coordinare, con i loro omologhi italiani, le loro azioni nella preparazione degli elementi difensivi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:
La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle carceri e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a esame medico.
Se viene deciso l'arresto delle persone interessate, esse saranno sottoposte a esame medico non appena entrate nell’istituto penitenziario. Potranno, peraltro, fruire successivamente di un controllo medico nell'ambito di esami periodici. In conclusione gli interessati fruiranno di un regolare controllo medico come ogni detenuto e di conseguenza non occorre autorizzare un altro medico a visitarli.
Le autorità tunisine ribadiscono la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura in corso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

18. I ricorsi che è possibile presentare contro un decreto di espulsione in Italia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], n. 37201/06, §§ 58-59, 28 febbraio 2008).

III. TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI

19. Nella sentenza Saadi sopra citata vi è una descrizione dei seguenti testi, documenti internazionali e fonti di informazioni: l’accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall’Italia e dalla Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’Unione europea e i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei rifugiati (§ 63); le linee direttrici del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).
20. Dopo l’adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione di tale rapporto dedicata alla Tunisia sono riportate in Ben Khemais c. Italia, n. 246/07, § 34, ... 2009).
21. Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, «di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi su «garanzie diplomatiche» di Paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura, e in ogni caso se l’assenza di rischio di maltrattamenti non è fermamente accertata».

IN DIRITTO

I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

22. Il ricorrente considera che l’esecuzione della sua espulsione lo esporrebbe a un rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione. Tale disposizione recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti
23. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. Le eccezioni di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e di superamento del termine sollevate dal Governo
24. Il Governo eccepisce anzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, sostenendo che il ricorrente non ha presentato ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Milano che conferma la sua condanna e la sua espulsione e che, inoltre, nel suo appello contro la condanna pronunciata dal tribunale di Milano, egli non ha presentato alcun argomento di natura tale da convincere i giudici che rischierebbe, in Tunisia, di essere sottoposto a trattamenti contrari alla Convenzione.
25. Il Governo osserva anche che la sentenza della Corte d’appello di Milano è passata in giudicato il 13 febbraio 2006, ossia più di sei mesi prima della data di presentazione del ricorso (8 gennaio 2007). Quest’ultimo sarebbe dunque tardivo.
26. Il ricorrente spiega di non avere presentato ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Milano poiché questa decisione, che aveva escluso la finalità terroristica dal reato di associazione per delinquere, gli era favorevole.
27. La Corte osserva che la misura di sicurezza consistente nell’espulsione dal territorio italiano applicata dal tribunale e dalla corte d’appello di Milano era, ai sensi dell’articolo 235 del CP, una conseguenza automatica della condanna del ricorrente. Per evitare una tale misura di sicurezza, l’interessato avrebbe dovuto sottoporre degli argomenti volti a convincere i giudici interni che la sua pena doveva essere ridotta ameno di due anni di reclusione. Orbene, tali argomenti non vertevano su una violazione dei principi della Convenzione. Peraltro, il Governo non ha prodotto alcun esempio da cui risulti che delle allegazioni di rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione nel paese di destinazione potevano portare i giudici italiani a rifiutarsi di applicare l’articolo 235 del CP.
28. Per quanto riguarda l’eccezione relativa al superamento dei termini, la Corte osserva che il motivo di ricorso del ricorrente verte sull’eventuale esecuzione dell’espulsione, che non ha ancora avuto luogo, e non sulla pronuncia della decisione di espellerlo.
29. Di conseguenza le eccezioni preliminari del Governo non possono essere accolte.
2. Altri motivi di irricevibilità
30. La Corte osserva che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non si scontra con nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti
a) Il ricorrente
31. Secondo il ricorrente, è risaputo che persone sospettate di terrorismo sono state torturate una volta rimpatriate in Tunisia. Egli precisa che le sue noie con la giustizia sono state riportate dalla stampa scritta, dalla radio e dalla televisione, nonché su Internet. Il suo nome comparirebbe su delle liste di persone considerate pericolose a causa della loro appartenenza all’organizzazione terroristica «Al Qaida» o dei loro legami con tale organizzazione, e questo nonostante la sentenza della corte d’appello di Milano abbia escluso l’esistenza di connessioni tra lui e gruppi terroristici stranieri. Il ricorrente chiede che il suo nome venga ritirato dalle liste in questione. Aggiunge che la sua fotografia compare su un album che la polizia italiana fa vedere nell’ambito di procedimenti penali in materia di terrorismo internazionale.
32. Il ricorrente ritiene che le fonti internazionali alle quali ha fatto riferimento sono serie e attendibili. Spiega di non avere chiesto che gli fosse accordato lo status di rifugiato in quanto viveva da venti anni con la sua famiglia in Italia, dove lavorava regolarmente.
33. Peraltro, il ricorrente sottolinea che la legislazione tunisina in materia di terrorismo, che egli considera ispirata dai principi dello Stato di polizia, prevede che le persone accusate di terrorismo vengano giudicate da tribunali militari. Egli evoca il caso del sig. Habib Ben Hamed Loubiri, che è stato espulso verso la Tunisia: per sei mesi i suoi parenti non sarebbero riusciti ad ottenere notizie sul suo conto, poi il suo avvocato sarebbe venuto a sapere che era stato arrestato e condannato.
34. Le autorità tunisine adotterebbero la prassi di non rinnovare il passaporto delle persone sospettate di terrorismo, obbligandole in tal modo a ritornare in Tunisia, dove sarebbero interrogate allo scopo di verificare quali sono le loro idee riguardo al fondamentalismo islamico. I famigliari del ricorrente, che sono residenti in Tunisia, avrebbero subito controlli e interrogatori da parte di forze speciali antiterroristiche, che si sarebbero recate da loro varie volte.
b) Il Governo
35. Il Governo sottolinea che le allegazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere suffragati da elementi di prova adeguati, e ritiene che ciò non sia avvenuto nella fattispecie, poiché il ricorrente si è limitato a descrivere una situazione presumibilmente generalizzata in Tunisia.
36. Egli sostiene che i tre casi citati nel rapporto di Amnesty International sono dei casi isolati, da situare nel contesto della lotta contro il terrorismo, e che non mostrano «nulla di inquietante» (si tratta in particolare di persone condannate per terrorismo o in attesa di un processo). Per quanto riguarda i presunti maltrattamenti il Governo osserva che il rapporto utilizza dei verbi al condizionale o delle espressioni come «sembra». Non vi sarebbe dunque alcuna certezza al riguardo. Il carattere superficiale del rapporto sarebbe «evidente» se si pensa alle pagine dedicate all’Italia, in cui è citata a titolo di esempio di violazione dei diritti dell’uomo l’espulsione verso la Siria del sig. Al Shari, il cui ricorso alla Corte è stato rigettato in quanto manifestamente infondato (v. Al-Shari e altri c. Italia (dec.), n. 57/03, 5 luglio 2005). Quanto al rapporto del Dipartimento di Stato americano, il Governo osserva che esso cita in particolare una causa (Moncef Louhici o Ouahichi) per la quale l’esame della denuncia dei famigliari della persona che sarebbe stata uccisa dalla polizia è in corso.
37. Il Governo osserva anche che la Tunisia ha ratificato vari strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di associazione con l’Unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume offra una tutela dei diritti fondamentali «equivalente» a quella assicurata dalla Convenzione. Esso sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le carceri. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si sottrarrà agli obblighi che le derivano in virtù dei trattati internazionali.
38. Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, nelle quali vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Tali assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del ricorrente contro il rischio di subire, in Tunisia, dei trattamenti vietati dalla Convenzione.
39. Esso sottolinea che le autorità tunisine hanno accompagnato tali assicurazioni con una «spiegazione lunga e rassicurante, in fatto e in diritto, delle ragioni per cui bisogna crederci», e ritiene che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in discussione. Aggiunge che il rispetto effettivo di tali assicurazioni potrà essere verificato in occasione dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, nonché delle visite degli avvocati e dei parenti del ricorrente.
40. Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del ricorrente dinanzi alla Corte di visitare il suo cliente se questi fosse incarcerato in Tunisia si spiega con il fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Pertanto sarebbe ragionevole non permettere le visite di avvocati stranieri che operano fuori dall’ambito nazionale e internazionale nel quale rientra la Tunisia. A tale riguardo, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato ad avvocati tunisini di sua scelta affinché procedano, in collaborazione con i loro omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinanzi alla Corte.
41. Secondo il parere del Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono tranquillizzanti per quanto riguarda la sicurezza e il benessere del ricorrente e il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che nella causa Saadi precitata la Corte stessa ha chiesto se tali assicurazioni fossero state chieste e ottenute, il Governo ritiene che, senza bisogno di rimetterli in discussione, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze fattuali del caso di specie.

2. Valutazione della Corte

42. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da tenere in considerazione al fine di valutare il rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione e alla nozione di «tortura» e di «trattamenti inumani e degradanti» sono riassunti nella sentenza Saadi (già cit., §§ 124-136), in cui la Corte ha anche riaffermato l’impossibilità di bilanciare il rischio di maltrattamenti e i motivi invocati per l’espulsione allo scopo di determinare se la responsabilità di uno Stato debba essere chiamata in causa sotto il profilo dell’articolo 3 (§§ 137-141).
43. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi sopra citata (§§ 143-146), che erano le seguenti:
- i testi internazionali pertinenti riportano casi numerosi e regolari di torture e maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
- tali testi descrivono una situazione preoccupante;
- le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono allontanare il rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
44. La Corte non vede nella fattispecie alcun motivo per ritornare su tali conclusioni, che sono del resto confermate dal rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia (v. il paragrafo 20 supra). Per di più, essa osserva che in Italia il ricorrente è stato accusato di terrorismo internazionale e che il suo nome è stato inserito in liste di persone pericolose a causa della loro appartenenza all’organizzazione terroristica «Al Qaida» o dei loro legami con tale organizzazione.
45. In queste condizioni, la Corte ritiene che, nella fattispecie, fatti seri e accertati giustifichino il fatto di concludere per l’esistenza di un rischio reale di vedere il ricorrente subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se fosse espulso verso la Tunisia (v., mutatis mutandis, Saadi, già cit., § 146). Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine siano sufficienti per escludere tale rischio.
46. Al riguardo la Corte ricorda, in primo luogo, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscano, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non bastano, da sole, ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nella fattispecie, delle fonti affidabili riportano delle pratiche da parte delle autorità – o tollerate da queste ultime – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, già cit., § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo Stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente per quanto riguarda la protezione del ricorrente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Recueil des arrêts et décisions 1996 V, § 105, 15 novembre 1996). L’importanza da attribuire alle assicurazioni provenienti dallo Stato di destinazione dipende, in effetti, in ogni singolo caso, dalle circostanze prevalenti nel momento considerato (Saadi, già cit., § 148 in fine).
47. Nel presente caso di specie, l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che la dignità umana del ricorrente sarebbe rispettata in Tunisia, che egli non sarebbe sottoposto alla tortura, a trattamenti inumani o degradanti o a una detenzione arbitraria, che beneficerebbe di cure mediche adeguate e potrebbe ricevere visite da parte del suo avvocato e dei suoi famigliari. Oltre alle leggi tunisine pertinenti e ai trattati internazionali firmati dalla Tunisia, tali assicurazioni si basano sui seguenti elementi:
- i controlli praticati dal giudice dell’esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell’ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’Uomo;
- due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
- la giurisprudenza interna, ai sensi della quale una confessione estorta sotto costrizione si considera nulla e non avvenuta (v. il paragrafo 17 supra).
48. La Corte osserva, tuttavia, che non è accertato che l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente per dare tali assicurazioni in nome dello Stato (v., mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, n. 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008).Inoltre, tenuto conto del fatto che delle fonti internazionali serie e affidabili hanno indicato che le accuse di maltrattamenti non venivano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, già cit., § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni personali su alcuni detenuti non può bastare per escludere il rischio di trattamenti di questo tipo né per convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in assenza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. Al riguardo, la Corte ricorda che nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, benché numerosi detenuti si siano lamentati per essere stati torturati durante il fermo, «le autorità non hanno praticamente mai condotto alcuna inchiesta né adottato una qualsiasi misura per citare in giudizio i presunti torturatori» (v. paragrafo 20 supra).
49. Inoltre, nella sentenza Saadi sopra citata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 sopra citato, Amnesty International ha peraltro osservato che, benché il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo sia stato aumentato, quest’ultimo «non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali». L’impossibilità per il rappresentante del ricorrente dinanzi alla Corte di fare visita al suo cliente se egli venisse incarcerato in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei detenuti tunisini ad avvocati stranieri indipendenti anche quando essi sono parte a procedimenti giudiziari dinanzi a giurisdizioni internazionali. Queste ultime rischiano dunque, una volta che un ricorrente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere eventuali doglianze che potrebbe sollevare per quanto riguarda i trattamenti ai quali è sottoposto (Ben Khemais, già cit., § 63).
50. In queste circostanze, la Corte non può sottoscrivere alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nella fattispecie offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (v., mutatis mutandis, Soldatenko già cit., §§ 73-74). Essa ricorda, invece, il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando l’assenza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita (v. il paragrafo 21 supra).
51. Pertanto, se fosse eseguita, la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione.

II. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 7
52. Il ricorrente afferma che l’esecuzione della decisione di espellerlo violerebbe l’articolo 1 del Protocollo n. 7. Egli ricorda di essere uno «straniero regolarmente residente» in Italia, e ritiene di non avere beneficiato della possibilità di far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione.
L’articolo 1 del Protocollo n. 7 recita:
«1. Uno straniero regolarmente residente sul territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter:
a) far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione;
b) far esaminare il suo caso; e
c) farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o ad una o più persone designate da tale autorità.
2. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enunciati al paragrafo 1 a), b) e c) del presente articolo, qualora tale espulsione sia necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale».

53. La Corte osserva che l’espulsione del ricorrente è stata disposta all’esito di un procedimento giudiziario tenuto in contraddittorio, nel corso del quale l’interessato ha beneficiato di garanzie processuali sufficienti ed ha avuto la possibilità di presentare gli argomenti che si oppongono alla sua espulsione.
54. In queste circostanze, non si rilevano elementi che rivelano un’apparente violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 7.
55. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
57. Il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di equa soddisfazione. Pertanto, la Corte ritiene che non sia opportuno accordargli somme a questo titolo.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo relativo all’articolo 3 della Convenzione e irricevibile per il resto;

2. Dichiara che, qualora la decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia fosse eseguita, vi sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 Sally Dollé                    Françoise Tulkens
 Cancelliere                  Presidente

Per traduzione conforme
L’esperto linguistico C1
Martina Scantamburlo