Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 marzo 2009 - Ricorso n. 11549/05 - Darraji c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Carnevali

L’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione.
Fatto. In tutte le cause in titolo i ricorrenti, di nazionalità tunisina, erano stati colpiti da provvedimenti di espulsione basati sulla loro pretesa appartenenza ad organizzazioni di stampo terroristico.
Dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, i ricorrenti adivano la Corte europea dei diritti dell’uomo chiedendo preliminarmente, ex art. 39 Regolamento CEDU, la sospensione degli effetti dei rispettivi provvedimenti di espulsione e lamentando che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei suddetti provvedimenti li avrebbe esposti al rischio di essere sottoposti, una volta giunti nel paese di destinazione (la Tunisia), a trattamenti inumani e degradanti contrari all’art. 3 CEDU.
Alcuni ricorrenti invocavano altresì gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto ad un processo equo) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU. In particolare nei ricorsi Abdelhed e Soltana, i ricorrenti lamentavano anche la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7, affermando che la misura dell’espulsione era stata adottata in violazione delle garanzie procedurali prescritte in caso di espulsioni di stranieri.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte di Strasburgo, le autorità italiane ricevevano rassicurazioni da parte delle corrispondenti autorità tunisine circa le garanzie inerenti al rispetto della dignità, dell’equo processo, del diritto di ricevere visite nonché del diritto di beneficiare di cure mediche.
Nelle more del procedimento, la Corte, in accoglimento delle istanze dei ricorrenti, ha richiesto al Governo italiano di sospendere la procedura di espulsione fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del buon esito del procedimento pendente davanti ad essa.
Diritto. Le sentenze in titolo seguono il filone giurisprudenziale in materia di espulsione di stranieri, inaugurato dalla Corte EDU con la sentenza della Grande Camera pronunciata nella causa Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 .
La Corte, richiamando le considerazioni esposte nel caso Saadi, ha affermato che il recepimento da parte di uno Stato di trattati internazionali volti a garantire il rispetto dei diritti fondamentali non è di per sé sufficiente ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di torture quando, come nei casi de quibus, fonti affidabili confermino l’esistenza di pratiche delle autorità - o da queste tollerate - contrarie ai principi della Convenzione.
Relativamente alle rassicurazioni a tal fine offerte dallo Stato di destinazione, la Corte ha precisato che è suo compito accertare se le stesse rappresentino, nella loro applicazione concreta, una sufficiente garanzia per i ricorrenti contro il rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione. Il peso da attribuire alle suddette rassicurazioni varia a seconda delle circostanze che si presentano all’epoca considerata.
A tal riguardo, la Corte richiamando il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 1433 del 2005, ha affermato che le rassicurazioni diplomatiche non rappresentano un sufficiente strumento di garanzia quando l’assenza di pericolo di subire torture non è dalle stesse fermamente escluso.
Per ritenere reali e comprovati, nelle fattispecie sottoposte al suo esame, i rischi connessi all’esposizione dei ricorrenti a trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione, la Corte ha fatto riferimento ai rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch concernenti la Tunisia. In tali rapporti si denunciano ripetute pratiche di violazioni di diritti fondamentali, casi di tortura nei confronti di persone anche solo sospettate di terrorismo, mentre le autorità tunisine non sono solite punire i responsabili dei trattamenti disumani verso i detenuti e sono poco inclini a cooperare con le organizzazioni internazionali che operano in difesa dei diritti umani.
Tanto premesso, la Corte ha quindi constatato che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei provvedimenti di espulsione nei confronti dei ricorrenti verso la Tunisia comporterebbe violazione dell’art. 3 CEDU. Per quanto riguarda le altre norme della Convenzione invocate da alcuni ricorrenti, la Corte non ha ritenuto di affrontarne l’esame.
Infine, nei casi in cui i ricorrenti avevano chiesto il ristoro dei danni morali subiti ex art. 41 della Convenzione, la Corte ha respinto tali richieste di riparazione, considerando la mera constatazione della eventuale violazione dell’art. 3 della Convenzione un’equa soddisfazione.

CONSIGLIO D’EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA DARRAJI c. ITALIA  (Ricorso no 11549/05)

SENTENZA

STRASBURGO 24 marzo 2009

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche di formali.

Nella causa Darraji  c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
 Françoise Tulkens, presidente,
 Ireneu Cabral Barreto,
 Vladimiro Zagrebelsky,
 Danutė Jočienė,
 Dragoljub Popović,
 András Sajó,
 Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 marzo 2009,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All'origine della causa vi è un ricorso (no 11549/05) diretto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino tunisino, il signor Kamel Darraji (« il ricorrente »), il 22 marzo 2005 ha adito la Corte in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
2.  Il ricorrente è rappresentato dagli avvocati S. Clementi e B. Manara, del foro di Milano. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente aggiunto, N. Lettieri.
3.  In particolare il ricorrente sostiene che dare esecuzione alla decisione di espellerlo verso la Tunisia configurerebbe una violazione degli articoli 2, 3 e 6 della Convenzione e che la procedura di convalida di questa decisione non sia stata equa.
4.  Il 9 novembre 2006, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile ed ha deciso di comunicare al Governo i motivi relativi agli articoli 2, 3 e 6. Come previsto dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, essa ha inoltre deciso di esaminare congiuntamente la ricevibilità ed il merito della causa.

IN FATTO


I.  LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

5.  Il ricorrente è nato nel 1967 e risiede a Milano.

A.  La condanna del ricorrente in Italia

6.  Il ricorrente risiede in Italia. La data del suo ingresso sul territorio italiano non è stabilita. Egli aveva ottenuto un permesso di soggiorno e di lavoro regolare, ma quest’ultimo permesso è scaduto l’8 settembre 2003.
7.  In una data non precisata, il ricorrente fu accusato di appartenere ad un’associazione per delinquere legata a gruppi islamici integralisti e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Con una sentenza del 3 dicembre 2004, il tribunale di Milano lo condannò a cinque anni e dieci mesi di reclusione. Nella sentenza veniva precisato che dopo aver finito di scontare la sua pena, il ricorrente sarebbe stato espulso dal territorio italiano. In effetti, ai sensi dell’articolo 235 del codice penale (« le CP »),  quando uno strnaiero viene condannato ad una pena superiore a due anni di reclusione, il giudice dispone la sua espulsione.
8.  Il ricorrente propose appello. Egli argomentò che gli elementi sui quali si basava la sua condanna, ossia parecchie intercettazioni telefoniche, il fatto che avesse fondato una società, la sua presenza in un appartamento durante una perquisizione e alcuni documenti che gli erano stati sequestrati, non costituissero indizi sufficientemente gravi e precisi. Sottolineò che la difesa aveva tentato di spiegare la sua presenza nell’appartamento in questione domandando che venissero convocati alcuni testimoni i quali avrebbero attestato che era appena stato sfrattato dal suo alloggio, ma che il tribunale aveva rifiutato queste prove. Fece anche valere che la conclusione secondo cui l’associazione alla quale era sospettato di appartenere avesse dei legami con terroristi islamici era stata dedotta da una sentenza pronunciata da un tribunale tunisino a carico di un coimputato. Secondo lui questo documento non avrebbe dovuto essere utilizzato e la sua traduzione in lingua italiana era dubbia. Domandò quindi alla corte d’appello di non considerarlo.
 9.  Il ricorrente rilevò anche che i giudici di primo grado avevano interpretato alcuni passaggi delle sue conversazioni come indicazioni del fatto che lui stesso avesse avuto guai con la giustizia del suo paese. Egli contestò questa interpretazione e, citando alcuni estratti del rapporto di Amnesty International del 2002, richiamò l’attenzione delle autorità giudiziarie italiane sullo « stato della giustizia in Tunisia », allegando alcune violazioni dei diritti fondamentali e la sommarietà dei processi penali.
10.  Egli contestò inoltre il rifiuto di convocare ed esaminare M.M., un giornalista inviato spesso in zone di guerra, il quale avrebbe potuto testimoniare che i documenti audiovisivi sequestrati presso gli accusati erano molto diffusi e facilmente accessibili nei paesi musulmani. Infine, domandò la revoca della sua espulsione, sostenendo che egli non rappresentava un pericolo per la società e che la sua integrità fisica, se non addirittura la sua vita, sarebbero state minacciate se fosse tornato in Tunisia.
11.  Con una sentenza del 29 settembre 2005, il cui testo fu depositato in cancelleria il 21 dicembre 2005, la corte d’appello di Milano ridusse la pena inflitta al ricorrente a tre anni e sette mesi di reclusione. Essa confermò la sentenza di primo grado per il resto.
12.  In particolare, la corte d’appello ritenne che mancasse la prova che l’associazione per delinquere alla quale il ricorrente apparteneva fosse legata a gruppi terroristici o perseguisse lo scopo di mettere in pericolo il regime democratico. Essa ritenne che la presenza dell’interessato nell’appartamento perquisito dalla polizia non costituisse una prova in tal senso, in quanto questo fatto da solo poteva avere una spiegazione diversa dall’adesione alle ideologie integraliste. Quanto al materiale audiovisivo trovato presso gli accusati, la corte considerò che non era possibile stabilire se si trattasse di strumenti di propaganda sovversiva o di una semplice evocazione di eventi di interesse per la cultura islamica. Infine, essa giudicò che la condanna inflitta in Tunisia a carico di un coimputato del ricorrente non dimostrava che l’associazione alla quale quest’ultimo apparteneva fosse legata ad altri gruppi criminali.
13. Il 2 febbraio 2006, il ricorrente propose ricorso per cassazione. Egli contestò la partecipazione all’associazione in questione, di cui ritenne che non ne fosse stata provata l’esistenza. Non reiterò le sue dichiarazioni sui rischi di maltrattamenti in Tunisia.
14.  In una data non precisata, la Corte di cassazione confermò la sentenza della corte d’appello. Il testo di questa decisione non è stato prodotto innanzi alla Corte.

B.  La condanna in contumacia del ricorrente in Tunisia ed il tentativo di espellerlo

15.  Il ricorrente ha prodotto la traduzione in italiano di un documento tunisino intitolato « avviso di sentenza pronunciata in contumacia ». Nelle sue parti pertinenti, la traduzione in questione è la seguente :
 « Informo il signor Kamel Darraji, figlio di Habiba El Maissaoui, nato il 22 luglio 1967, residente a Menzel Bouzelfa, che all’udienza del 20 febbraio 1999 è stato condannato in contumacia a dieci anni [di reclusione] per  appartenenza ad una organizzazione terrorista che agisce in tempo di pace. A questa pena sono collegate la privazione dei diritti civili ed una misura cautelare della durata di cinque anni ».
16.  Il ricorrente introdusse parecchie domande per ottenere provvedimenti interinali (articolo 39 del regolamento della Corte), pregando la Corte di sospendere o di annullare qualsiasi eventuale procedura di espulsione verso la Tunisia. Il 9 ed il 27 novembre 2006 rispettivamente la terza sezione ed il suo presidente decisero, tenuto conto delle circostanze, di non indicare al governo italiano il provvedimento in questione.
17. Il 12 gennaio 2007, verso le ore 22:15, il ricorrente fu condotto alla prefettura di Varese. Secondo gli avvocati del ricorrente, le autorità desideravano mettere in esecuzione l’ordine di espulsione che figurava nella sentenza del 3 dicembre 2004. Tuttavia, risulta da una lettera di un « collettivo della comunità tunisina in Europa » che al suo arrivo nella prefettura di Varese il ricorrente si sarebbe visto notificare una decisione di espulsione immediata (probabilmente un decreto ministeriale adottato ai sensi del decreto legge n° 144 del 27 luglio 2005 recante « misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale »). L’avvocato del ricorrente fu informato che il suo cliente era stato posto in un centro di permanenza temporanea in attesa di essere rimpatriato.
18.  Il 15 gennaio 2007, il presidente della terza sezione decise di indicare al governo italiano, in applicazione dell’articolo 39 succitato, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura innazi alla Corte, di non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Egli richiamò l’attenzione del Governo sul fatto che, quando uno Stato contraente non si conforma ad una misura indicata ai sensi dell'articolo 39 del regolamento ciò può comportare violazione dell'articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
19.  Lo stesso giorno, davanti al giudice di pace di Milano si svolse un’udienza alla presenza del ricorrente e del suo avvocato. Il giudice di pace convalidò il decreto di espulsione.
20.  Dal verbale dell’udienza del 15 gennaio 2007 risulta che poco prima di prendere la sua decisione, il giudice si sarebbe intrattenuto a colloquio con un rappresentante della prefettura senza che l’avvocato del ricorrente abbia potuto ascoltare la loro conversazione e nonostante quest’ultimo vi si fosse opposto.

C.  L’audizione del ricorrente da parte della commissione per ottenere lo status di rifugiato
21.  Nel frattempo, il 10 novembre 2006, il ricorrente aveva domandato la concessione dello status di rifugiato. Il Governo afferma che negli archivi dell’amministrazione non è stata trovata nessuna traccia della domanda del ricorrente.
22.  Il 1° febbraio 2007, la commissione per il riconoscimento dello satus di rifugiato ascoltò il ricorrente. Risulta dal verbale che questa audizione iniziò alle ore 9:25 e terminò alle ore 13:05.
23.  L’interessato dichiarò, fra l’altro, di essere entrato in Italia l’8 agosto 1990 e di avervi risieduto senza titolo di soggiorno per circa cinque anni. Dichiarò di essere ritornato in Tunisia nel 1995 al fine di espletare le formalità per ottenere un permesso di soggiorno e di lavoro; che in questa circostanza aveva rinnovato il suo passaporto; e che gli erano stati concessi dei permessi dapprima fino al 1999, poi fino al 2003.
24.  Davanti alla commissione il ricorrente produsse una copia della sua condanna pronunciata in contumacia in Tunisia perché ritenuto di aver preso parte, a partire dal 1994, ad attività terroristiche. Precisò che conosceva personalmente soltanto tre dei suoi coimputati, che abitavano a Busto Arsizio e frequentavano la moschea.
25.   Il ricorrente dichiarò che tra il 1995 ed il 1997 si era recato più volte in Tunisia dove si era sposato nell’agosto 1996; che in Tunisia ogni persona « che faceva la sua preghiera » era incarcerata; che aveva cominciato a praticare la religione musulmana in Italia a partire dal 1996; che aveva frequentato la moschea di Gallarate prima della sua chiusura; e che in occasione del suo matrimonio, aveva deciso di non commettere più peccati quali frequentare « altre donne » o ascoltare un certo tipo di musica.
26.  Dichiarò che nel 1997, durante la sua ultima visita in Tunisia, era stato convocato dal servizio « politico » della polizia che era legato al tribunale militare; e che aveva appreso che tre dei suoi amici erano stati arrestati.
27.  Egli affermò di essere stato informato che un suo cugino, che aveva un nome simile al suo, era stato arrestato a posto suo e torturato; che poiché la polizia aveva capito che vi era stato un errore di persona, lui aveva deciso di lasciare la Tunisia; e che le persone (due cognati) che l’avevano ospitato e accompagnato all’aeroporto erano stati condannati.
28. Aggiunse che, non riuscendo ad avere copia della sentenza di condanna in contumacia, il suo avvocato aveva proposto appello e che, essendo stata minacciata, aveva quindi rinunciato al suo mandato.
29.  Spiegò poi che nel 2000, essendo stato sfrattato dal suo alloggio, era stato ospitato da un compatriota e che, essendo quest’ultimo controllato dalla polizia, fu eseguita una perquisizione a casa sua il 18 luglio 2000. Infine, egli espose le sue vicissitudini giudiziarie in Italia.
30.  La commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato domandò al ricorrente di indicare i motivi per i quali non desiderava ritornare in Tunisia. Produsse quindi alcuni documenti relativi al caso del signor  Fayçal Barakat, un compatriota torturato a morte nel 1991, e affermò che in Tunisia non era permesso manifesatre liberamente la propria religione, allegando che soltanto le persone anziane erano libere di recarsi alla moschea. Aggiunse che il signor Barakat faceva parte di un gruppo politico denominato « Annahda » i cui membri erano stati arbitrariamente imprigionati dal Presidente tunisino. Dichiarò che questo era solo uno degli esempi della repressione esistente in Tunisia.
31.  Secondo la versione del ricorrente, le autorità tunisine si procuravano i nomi delle persone che andavano a pregare nelle moschee in Italia.
32.  Il ricorrente riferì che uno dei suoi amici, il signor Ruigui Hamadi, che era ritornato in Tunisia nel dicembre 2006 in occasione della « festa del montone », era stato contattato dalla polizia ed invitato, con minacce, a non frequentarla più.
33.  Infine, il ricorrente precisò che i membri della sua famiglia non erano stati molestati in Tunisia perchè sua sorella era un funzionario della polizia.
D.  Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
34. Il 29 agosto 2008, l’Ambasciata d’Italia a Tunisi inviò al ministero tunisino degli Affari Esteri la seguente nota verbale (no 3124):
« L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali N° 2738 del 21 luglio e n° 2911 dello scorso 6 agosto ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24  luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi decreti di espulsione.
L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri per la nota verbale DGAC n° 011998 del 26 agosto scorso e per suo tramite il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione mostrata nel caso del signor Essid Sami Ben Khemais.
Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio, le autorità italiane si pregiano sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici che risultano necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia e i cittadini tunisini qui di seguito citati
(…) (…)
A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia domandare al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti in relazione ai seguenti argomenti :
- che la persona le cui generalità verranno specificate, in caso di espulsione verso la Tunisia non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti ;
- che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
- che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati compreso quello italiano che la rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari e di un medico.
Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per i suddetti casi è fissata al prossimo 19 settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse  farle pervenire al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano e suggerisce che l'avvocato Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
L’Ambasciata d’Italia sarebbe inoltre grata al ministero degli Affari Esteri se volesse verificare se le autorità tunisine competenti ritengano opportuno che il governo tunisino partecipi, per i citati ricorsi, alle procedure innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e ciò conformemente agli articoli 36 della Convenzione, 44 del regolamento della Corte ed al paragrafo 2 dell’allegato al regolamento.
L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovarle i sensi della sua alta considerazione. »         
35.  Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle sue parti pertinenti questa risposta è così formulata :
 « Nella sua nota verbale del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale del 4 settembre 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto, alle autorità tunisine, le assicurazioni qui di seguito riportate, riguardanti i cittadini tunisini (…) qualora essi dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
 (...)
III. Per quanto riguarda Kamel DARRAJI (...), è opportuno, prima di tutto, precisare che nei loro confronti è stata emessa una sentenza contumaciale per reati terroristici.
Se gli interessati venissero espulsi verso la Tunisia, non appena giunti in Tunisia saranno portati innanzi ad un giudice. Potranno quindi esercitare il loro diritto all’opposizione; naturalmente, ai sensi dell’articolo 182 del codice di procedura penale, l’ammissibilità formale dell’opposizione produce l’annullamento delle sentenze impugnate e permette agli interessati di essere giudicati nuovamente e di presentare i mezzi difensivi che riterranno utili.
Al momento della loro comparizione innanzi al giudice, gli interessati beneficeranno obbligatoriamente dell'assistenza di avvocati di fiducia. Se dovesse risultare che non hanno i mezzi, verranno nomitati avvocati d’ufficio e le spese saranno a carico dello Stato. In seguito il giudice disporrà la liberazione degli imputati oppure il loro arresto. Essi fruiranno, durante tutto il processo, delle seguenti garanzie:

1.  La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:

Il rispetto della dignità degli interessati è garantito, esso trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone e più particolarmente ai detenuti il cui status è minuziosamente disciplinato.
È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che « ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità ».
La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini che sono sottoposti alla sua giurisdizione e che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione (ratificata dalla legge 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n° 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035).
Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come «  un atto con il quale, sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o far pressioni su lei o di intimidire o far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione. »
Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che « è punito con otto anni di reclusione  il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto fra cui in particolare:
- Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i membri della sua famiglia.
- Il diritto di domandare durante il fermo di polizia o alla scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai membri della famiglia.
- La durata della detenzione preventiva è disciplinata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle «condizioni detentive nelle carceri al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento. »
Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli eseguiti da diversi organi e istituzioni:
- Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario sito nel distretto di sua competenza,  per conoscere le condizioni dei detenuti, dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
- Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato delle condizioni dei detenuti.
 Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dell'ispettorato generale che dipende dalla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori di detto ministero sono magistrati di carriera fatto che costituisce una garanzia supplementare ai fini di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
 Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle prigioni e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi maltrattamenti. Si citano due esempi:
- il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, l'inchiesta aperta a tale proposito ha portato alla condannna dei tre agenti carcerari alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno (sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002).
- Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato condannato a 15 anni di reclusione per lesioni volontarie che hanno preterintezionalmente provocato la morte (sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002).
Questi due esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.
I pochi casi di condanna per maltrattamenti segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo ed al Comitato dei diritti dell'uomo denotano così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi tortura o  maltrattamento, e questo permette di respingere qualsiasi allegazione di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.
In conclusione, è evidente che:
- Se Kamel DARRAJI e le altre persone interessate verranno espulse verso la Tunisia, saranno presentate ad un giudice e beneficeranno dell'assistenza di un avvocato.
- Le persone interessate potranno esercitare il loro diritto di opposizione avverso le sentenze emesse nei loro confronti. Se l'opposizione è ammissibile gli effetti delle sentenze vengono annullati e le cause sono giudicate nuovamente.
- L'autorità giudiziaria competente deciderà sulla scarcerazione o sull’arresto delle persone interessate.
- Ad ogni modo, le persone interessate beneficeranno di tutte le garanzie offerte dalla legislazione tunisina in modo da conferire loro tutta la protezione necessaria contro qualsiasi forma di abuso.

2. La garanzia di un processo equo alle persone interessate:
Se verranno espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno di procedimenti, azioni penali, istruzioni e giudizi che offrano tutte le garanzie necessarie ad un processo equo, e in particolare:
- Il rispetto del principio della separazione tra le autorità dell'accusa, dell'istruzione e del giudizio.
- L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria),
- Le udienze sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
- Ogni persona sospettata di crimine ha diritto all'assistenza di uno o più avvocati. Se necessario le viene nominato un avvocato di ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue per tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
- L'esame dei crimini è di competenza delle corti criminali che sono formate da cinque magistrati, questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
- Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
- La condanna può essere resa soltanto sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi alla autorità giudiziaria competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata prova determinante. Questa posizione sarà confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n° 12150 del 26 gennaio 2005 con la quale la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla ed è considerata come non avvenuta e questo, in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: « la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli sono presentare al fine di decidere la forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.

3. La Garanzia del diritto di ricevere visite:

Se l'arresto delle persone interessate viene deciso dall'autorità giudiziaria competente, esse beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti previsti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria. Questa legge sancisce il diritto di ogni imputato di ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente carcerario, nonché la visita dei familiari. Se viene deciso il loro arresto, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla legislazione vigente e senza alcuna restrizione.
Per quanto riguarda la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di quadro legale interno che l'autorizzi.
In effetti la legge sull’ordinamento carcerario determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta soprattutto dei familiari del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità per gli avvocati italiani di visitare i detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare avvocati di fiducia tunisini di rendere loro visita e di coordinare, con i loro omologhi italiani, le loro azioni nella preparazione degli elementi difensivi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

4. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:
La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle prigioni e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a esame medico.
Se viene deciso l'arresto delle persone interessate, esse saranno sottoposte a esame medico non appena entrate nell’istituto penitenziario. Potranno, peraltro, fruire successivamente di un controllo medico nell'ambito di esami periodici. In conclusione gli interessati fruiranno di un regolare controllo medico come ogni detenuto e di conseguenza non occorre autorizzare un altro medico a visitarli.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura pendente dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

36.  I ricorsi che in Italia è possibile proporre avverso un un decreto di espulsione e le regole che in Tunisia disciplinano la riapertura di un processo in contumacia sono descritte nella sentenza Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

III.  TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI

37.  Nella sentenza Saadi già citata si trova la descrizione dei seguenti testi, documenti, internazionali e fonti di informazioni: l'accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall'Italia e dalla Tunisia e l'accordo di collaborazione tra la Tunisia, l’Unione europea ed i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status di rifugiato (§ 63) ; le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (§ 64); i rapporti di Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79) riguardanti la Tunisia; le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano sui diritti umani in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti umani in Tunisia (§ 94).
38.  Dopo l'adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto consacrato alla Tunisia sono riferite nella sentenza Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34, ... 2009).
39.  Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, l’Assembela parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, « di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi sulle « assicurazioni diplomatiche » di paesi che notoriamente ricorrono con sistematicità alla tortura e in tutti i casi in cui la mancanza del rischio di maltrattamenti non sia fermamente provata ».

IN DIRITTO


I.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 2 E 3 DELLA CONVENZIONE

40.  Il ricorrente ritiene che l’esecuzione della sua espulsione lo esporrebbe al rischio di trattamenti contrari agli articoli 2 e 3 della Convenzione. Queste norme recitano :
Articolo 2
« 1.  Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.
2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forsa resosi assolutamente necessario :
a  per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale ;
b per eseguire un arresto regolare o er impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta ;
c per repirmere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione. »
Articolo 3
« Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti. »
41.  Il Governo si oppone a questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità
1.  L’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo

41.  Il Governo eccepisce innanzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, argomentando che la procedura in cassazione è ancora pendente e che ad ogni modo il ricorrente non ha sollevato innanzi all’alta giurisdizione italiana alcuna doglianza in materia di espulsione.
42.  Il ricorrente sostiene al contrario di essersi opposto alla sua espulsione nei suoi mezzi di appello e di ricorso per cassazione, dove ha domandato l’annullamento della condanna pronunciata a suo carico e quindi la misura che ne conseguiva.
43.  La Corte nota innanzitutto che la procedura per cassazione è terminata con la conferma della condanna pronunciata in appello (vedere il precedente paragrafo 14). Inoltre essa osserva che la misura di sicurezza che consiste nell’espulsione dal territorio italiano, applicata dal tribunale e dalla corte d’appello di Milano, era, ai sensi dell’articolo 235 CP, una conseguenza automatica della condanna del ricorrente. Per evitare tale misura di sicurezza, l’interessato avrebbe dovuto sottoporre argomentazioni tese a convincere i giudici interni che la sua pena doveva essere ridotta a meno di due anni di reclusione. Ora, tali argomentazioni non vertevano su una violazione dei principi della Convenzione. Peraltro, il Governo non ha prodotto alcun esempio che mostrasse che le allegazioni del rischio di essere sottoposti a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione nel paese di destinazione potessero indurre le giurisdizioni italiane a rifiutarsi di applicare l’articolo 235 CP.e l
45.  Ne consegue che l’eccezione preliminare del Governo non può essere accolta.
2.  Altri motivi di irricevibilità
44.  La Corte constata che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Nel merito

1.  Argomentazioni delle parti
a)  Il ricorrente

45.  Il ricorrente rinvia alle indagini condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America, che dimostrerebbero che in caso di espulsione verso la Tunisia sarebbe esposto ad un rischio concreto e serio di violazione dei diritti garantiti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione. Riferisce anche che l’Associazione internazionale di sostegno ai prigionieri politici ha riferito il caso di un giovane uomo, il signor Hichem Ben Said Ben Frej, che, il 10 ottobre 2006, si sarebbe gettato dalla finestra di un commissariato poco prima di un interrogatorio. L'avvocato del signor Ben Frej avrebbe spiegato che il suo cliente era stato detenuto per venticinque giorni nelle celle del ministero degli Affari interni a Tunisi, dove era stato selvaggiamente torturato. Infine il ricorrente sottolinea che numerosi articoli di stampa denunciano la condizione dei detenuti politici e delle loro famiglie. Egli afferma che tutti i tunisini accusati in Italia di attività terroristiche hanno subito violenze e torture dopo il loro rimpatrio.
46.  Il ricorrente ritiene che di fronte ai rischi seri ai quali sarebbe esposto in caso di espulsione, il semplice richiamo dei trattati sottoscritti dalla Tunisia non può essere sufficiente. Dichiara che la sua famiglia ha ricevuto parecchie visite da parte della polizia e che è stata oggetto di minacce e di provocazioni continue.
b)  Il Governo
47.   Il Governo sottolinea che la Tunisia ha ratificato più strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo, ossia il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, il Patto internazionale relativo ai diritti economici sociali culturali, e la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; e che l'Italia e la Tunisia hanno firmato intese bilaterali in materia di immigrazione e di contrasto alla criminalità. Ritiene che l'efficacia di queste intese sarebbe messa in pericolo se la Corte dovesse affermare un principio secondo il quale i cittadini tunisini non possono essere espulsi.
50.  Il Governo ricorda anche che la Tunisia ha firmato con l’Unione europea un accordo di collaborazione in virtù del quale la questione del rispetto delle libertà fondamentali e dei principi democratici è un elemento del dialogo politico tra i firmatari; e che l’Unione europea è un'organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume possa offrire una protezione dei diritti fondamentali « equivalente » a quella assicurata dalla Convenzione. Sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni.
51.  Secondo il parere del Governo, si può presumere che la Tunisia non si tirerà indietro dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali.
52.  Inoltre, il sistema giuridico italiano prevederebbe delle garanzie per la persona - ivi compresa la possibilità di ottenere lo status di rifugiato - che renderebbero « praticamente impossibile » un rimpatrio contrario alle esigenze della Convenzione.
53.  Il Governo argomenta ancora che le allegazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere esposto alla tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere sostenute da adeguati elementi di prova; e, che nella fattispecie, il ricorrente non ha né prodotto elementi precisi a tale proposito né ha fornito spiegazioni dettagliate, ma si è limitato a descrivere una situazione pretesamente generalizzata in Tunisia. Le « fonti internazionali » citate dal ricorrente sarebbero vaghe e non pertinenti, come pure gli articoli di stampa prodotti dall'interessato. Il caso del signor Hichem Ben Said Ben Frej, citato dal ricorrente, non sarebbe pertinente nella fattispecie, trattandosi di un caso di suicidio.
48.  Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine nelle quali vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Queste assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del ricorrente contro il rischio di subire, in Tunisia, trattamenti vietati dalla Convenzione.
49. Esso sottolinea che le autorità tunisine hanno accompagnato dette assicurazioni con una « lunga e rassicurante spiegazione, in fatto ed in diritto, delle ragioni per le quali occorre credervi », e ritiene che la loro nuona fede non dovrebbe essere messa in dubbio. Esso aggiunge che l’effettivo rispetto di queste assicurazioni potrà essere verificato al momento dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, nonché durante le visite degli avvocati e dei parenti del ricorrente.
50.  Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte di visitare il suo cliente se detenuto in Tunisia si spiega con il fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe quindi ragionevole non permettere le visite di avvocati stranieri che operano al di fuori del quadro nazionale e internazionale nel quale si iscrive la Tunisia. A tale proposito, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato ad avvocati tunisini da lui scelti affinché procedano, in collaborazione con i loro omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa innanzi alla Corte.
51.  Secondo il Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono tranquillizzanti per quanto riguarda la sicurezza ed il benessere del ricorrente come pure per quanto riguarda il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che la Corte stessa, nella causa Saadi prima citata, ha domandato se assicurazioni di questo tipo fossero state richieste ed ottenute, il Governo ritiene che, senza che vengano rimesse in discussione, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze fattuali del caso di specie.

2.  Valutazione della Corte

52.  I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da considerare per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione e alla nozione di « tortura » e di « trattamenti inumani e degradanti » sono riassunti nella sentenza Saadi (succitata, §§ 124-136), nella quale la Corte ha anche riaffermato l’impossibilità di valutare il rischio di maltrattamenti ed i motivi invocati per l’espulsione al fine di determinare se la responsabilità di uno Stato è coinvolta sul terreno dell’articolo 3 (§§ 137-146).
53.  La Corte ricorda le conclusioni alle quali essa è pervenuta nella causa Saadi succitata (§§ 143-146), che erano le seguenti :
- i testi internazionali pertinenti documentano casi numerosi e regolari di tortura e di maltrattamenti inflitti in tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo ;
- questi testi descrivono una situazione preoccupante ;
- le visite del Comitato internazionale della Corte Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono eliminare il rischio di sottomissione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
60. La Corte non scorge nella fattispecie alcuna ragione per ritornare su queste conclusioni che sono peraltro confermate dal rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia (vedere il precedente paragrafo 38). Essa nota inoltre che in Italia, il ricorrente è stato accusato di far parte di un’associazione per delinquere legata a gruppi islamici integralisti. Anche se la corte d’appello di Milano ha ritenuto che mancasse la prova che l’associazione per delinquere alla quale apparteneva il ricorrente fosse legata a gruppi terroristici o si prefiggesse di mettere in pericolo il regime democratico, l’interessato è stato in seguito condannato in Tunisia a dieci anni di reclusione per appartenenza, in tempo di pace, ad una organizzazione terroristica. L’esistenza di questa condanna è stata ocnfermata dalle autorità tunisine (vedere il precedente paragrafo 35).
61. In queste condizioni, la Corte ritiene che nel caso di specie, fatti seri e accertati portano a concludere che esista un rischio reale di vedere l’interessato subire trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se venisse espulso verso la Tunisia. (vedere, mutatis mutandis, Saadi, succitata, § 146). Rimane da verificare che se le assicurazioni diplomatiche fornite della autorità tunisine siano sufficiente per eliminare questo rischio.
62.  A tale proposito la Corte ricorda, in primo luogo, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non sono da sole sufficienti ad assicurare una adeguata protezione dal rischio di maltrattamenti quando, come nella fattispecie, fonti affidabili documentano pratiche delle autorità – o tollerate da queste ultime – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, succitata, § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni fornite dallo Stato di destinazione forniscano, nella loro effettiva applicazione, una sufficiente garanzia per la protezione del ricorrente dal rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Recueil des arrêts et décisions 1996 V, § 105, 15 novembre 1996). L’importanza da attribuire alle assicurazioni provenienti dallo Stato di destinazione dipende in effetti, in ogni caso, dalle circostanze prevalenti all’epoca considerata. (Saadi, succitata, § 148 in fine).
63.  Nel presente caso di specie, l’avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che la dignità umana del ricorrente verrebbe rispettata in Tunisia, che non sarebbe sottoposto a tortura, a trattamenti inumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che benficierebbe di cure sanitarie appropriate e che potrebbe ricevere le visite del suo avvocato e dei membri della sua famiglia. Oltre alle leggi tunisine pertinenti ed ai trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazione si basano sui seguenti elementi :
- i controlli praticati dal giudice dell’esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dal servizio dell’ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’uomo ;
- due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti ;
- la giurisprudenza interna ai sensi della quale una confessione estorta con costrizione è nulla e considerata come non avvenuta  (vedere il precedente paragarafo 35).
54.  La Corte nota, tuttavia, che non è certo che l'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente per fornire queste assicurazioni in nome dello Stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008). Inoltre, tenuto conto del fatto che fonti internazionali serie e affidabili hanno indicato che le allegazioni di maltrattamenti non venivano esaminate dall'autorità tunisine competenti (Saadi, succitata, § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni su detenuti non sarebbe sufficiente a eliminare il rischio di simili trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un effettivo sistema di protezione contro la tortura, in mancanza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. A tale proposito, la Corte ricorda che nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato soprattutto che, benché numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati mentre si trovavano sottoposti a fermo di polizia, « le autorità non hanno praticamente mai condotto inchieste né preso misure per portare innanzi alla giustizia i presunti torturatori » » (vedere il precedente paragrafo 38).
55.  Inoltre, nella sentenza Saadi succitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti che difendono i diritti dell’uomo, quali Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 prima citato, Amnesty International ha peraltro notato che benché sia stato aumentato il numero dei membri del comitato superiore dei diritti umani, quest’ultimo « non includerebbe organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali ». L’impossibilità  per il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente se detenuto in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini a legali stranieri indipendenti anche quando essi sono parti nei procedimenti giudiziari pendenti innanzi alle giurisdizioni internazionali. Queste ultime rischiano dunque, una volta che un ricorrente è espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere eventuali doglianze che potrebbe sollevare in merito ai trattamenti ai quali viene sottoposto (Ben Khemais, succitata, § 63).
56.  In queste circostanze la Corte non può sottoscrivere la tesi del Governo secondo la quale le assicurazioni fornite nel presente caso di specie offrono una efficace protezione contro il serio rischio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko, succitata, §§ 73-74). Essa ricorda invece il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono essere sufficienti quando la mancanza di pericolo di maltrattamenti non sia seriamente documentata (vedere il precedente paragrafo 39).
57.  Pertanto la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione se venisse messa in esecuzione.
58.  Questa conclusione dispensa la Corte dall’esaminare se l’espulsione violerebbe anche l’articolo 2 della Convenzione.

II.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DI UNA MANCANZA DI EQUITA’ DELLA PROCEDURA PENALE CHE SI E’ SVOLTA IN TUNISIA

59.  Nella sua decisione parziale sulla ricevibilità del ricorso, la Corte ha osservato che il ricorrente aveva prodotto la traduzione di un parere che lo informava su una condanna pronunciata a suo carico in contumacia da un tribunale militare (vedere il precedente paragrafo 15). Essa ha quindi ritenuto che il ricorso poneva anche la questione se l’interessato rischierebbe di subire un diniego flagrante di giustizia in Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Einhorn c. France (déc.), no 71555/01, § 32, CEDH 2001-XI). Questa causa solleva quindi questioni dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione.
70.  Il Governo ritiene che questo motivo di ricorso non possa essere considerato.
71.  La Corte considera ricevibile questo motivo di (Saadi, summenzionata, § 152). Tuttavia, avendo constatato che l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (vedere il precedente paragrafo 67) e non avendo alcun motivo di dubitare che il governo convenuto si conformerà alla presente decisione, essa non ritiene necessario esaminare la questione ipotetica di sapere se, in caso di espulsione verso la Tunisia, si configurerebbe anche la violazione dell’articolo 6 della Convenzione (Saadi, summenzionata, § 160).
III.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DI UNA MANCANZA DI EQUITA’ DELLA PROCEDURA PENALE CHE SI E’ SVOLTA INNANZI AL GIUDICE DI PACE DI MILANO
602.  Nella sua lettera del 18 gennaio 2007, il ricorrente si è lamentatnto della mancanza di equità del suo processo svoltosi innanzi al giudice di pace di Milano il 15 gennaio 2007. Egli sostiene che il giudice, prima di prendere la sua decisione, si sia intrattenuto a colloquio con un rappresentante della prefettura senza che il suo avvocato potesse ascoltare la loro conversazione e nonostante quest’ultimo si sia opposto.
73.  Il ricorrente invoca l’articolo 6 della Convenzione.
74.  La Corte osserva che la procedura controveresa verteva sulla convalida del decreto ministeriale che disponeva l’espulsione del ricorrente. Ora, secondo la giurisprudenza consolidata degli organi della Convenzione, le decisioni relative all’ingresso, al soggiorno ed all’allontanamento degli stranieri non comportano contestazione sui diritti o obblighi di natura civile di un ricorrente, né attengono alla fondatezza di un’accusa in materia penale a lui diretta, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Mamatkoulov et Askarov, succitata, § 82 ; Sardinas Albo c. Italia (dec.), no 56271/00, CEDH 2004-I ; Penafiel Salgado c. Spagna (dec.), no 65964/01, 16 aprile 2002 ; Maaouia c. Francia [GC], no 39652/98, § 40, CEDH 2000-X).
75.  Pertanto l’articolo 6 § 1 della Convenzione non trova applicazione nella fattispecie.
61.  Di conseguenza, questo motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve esere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4.
.
IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

77.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Pro-tocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata non permette che una parziale riparazione della violazione, la Corte, se necessario, accorda alla parte lesa un’equa soddisfazione.”

A.  Danno
62.  Il ricorrente domanda 50.000 euro per il danno morale che ritiene di aver subito.
63.  Il Governo ricorda che l’espulsione del ricorrente non è stata eseguita e ritiene che sarebbe singolare che uno straniero che ha infranto le regole del paese di accoglienza possa ottenere un risarcimento in ragione di un provvedimento legittimo che disponeva il suo rimpatrio.
80.  La Corte ritiene che la constatazione che l’espulsione, qualora venisse messa in esecuzione, costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione rappresenti un’equa soddisfazione sufficiente (Saadi summenzionata, § 188).

B.  Spese legali

81.  Il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di rimborso delle spese legali. Pertanto la Corte ritiene che non si debbano concedere somme a questo titolo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’

1.  Dichiara ricevibile il ricorso per quanto riguarda i motivi basati sugli articoli 2 e 3 della Convenzione e per il rischio di un flagrante diniego di giustizia in Tunisia e irricevibile per il resto ;

2.  Dichiara che, nell’eventualità che la decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia venga eseguita, ci sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione

3.  Dichiara che non debba esaminarsi se l’esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia violi anche gli articoli 2 e 6 della Convenzione ;

4.  Dichiara che la constatazione di una violazione costituisce un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dal ricorrente ;

5.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 Sally Dollé                Françoise Tulkens
 Cancelliere              Presidente


P.T.C.
Il traduttore
Rita Carnevali