Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 marzo 2009 - Ricorso n. 37336/06 - Soltana c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Carnevali

Argomento : proibizione alla tortura (Violazione art.3 CEDU);  diritto al rispetto della vita privata e familiare (Violazione art.8 CEDU)

L’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione.
Fatto. In tutte le cause in titolo i ricorrenti, di nazionalità tunisina, erano stati colpiti da provvedimenti di espulsione basati sulla loro pretesa appartenenza ad organizzazioni di stampo terroristico.
Dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, i ricorrenti adivano la Corte europea dei diritti dell’uomo chiedendo preliminarmente, ex art. 39 Regolamento CEDU, la sospensione degli effetti dei rispettivi provvedimenti di espulsione e lamentando che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei suddetti provvedimenti li avrebbe esposti al rischio di essere sottoposti, una volta giunti nel paese di destinazione (la Tunisia), a trattamenti inumani e degradanti contrari all’art. 3 CEDU.
Alcuni ricorrenti invocavano altresì gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto ad un processo equo) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU. In particolare nei ricorsi Abdelhed e Soltana, i ricorrenti lamentavano anche la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7, affermando che la misura dell’espulsione era stata adottata in violazione delle garanzie procedurali prescritte in caso di espulsioni di stranieri.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte di Strasburgo, le autorità italiane ricevevano rassicurazioni da parte delle corrispondenti autorità tunisine circa le garanzie inerenti al rispetto della dignità, dell’equo processo, del diritto di ricevere visite nonché del diritto di beneficiare di cure mediche.
Nelle more del procedimento, la Corte, in accoglimento delle istanze dei ricorrenti, ha richiesto al Governo italiano di sospendere la procedura di espulsione fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del buon esito del procedimento pendente davanti ad essa.
Diritto. Le sentenze in titolo seguono il filone giurisprudenziale in materia di espulsione di stranieri, inaugurato dalla Corte EDU con la sentenza della Grande Camera pronunciata nella causa Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 .
La Corte, richiamando le considerazioni esposte nel caso Saadi, ha affermato che il recepimento da parte di uno Stato di trattati internazionali volti a garantire il rispetto dei diritti fondamentali non è di per sé sufficiente ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di torture quando, come nei casi de quibus, fonti affidabili confermino l’esistenza di pratiche delle autorità - o da queste tollerate - contrarie ai principi della Convenzione.
Relativamente alle rassicurazioni a tal fine offerte dallo Stato di destinazione, la Corte ha precisato che è suo compito accertare se le stesse rappresentino, nella loro applicazione concreta, una sufficiente garanzia per i ricorrenti contro il rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione. Il peso da attribuire alle suddette rassicurazioni varia a seconda delle circostanze che si presentano all’epoca considerata.
A tal riguardo, la Corte richiamando il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 1433 del 2005, ha affermato che le rassicurazioni diplomatiche non rappresentano un sufficiente strumento di garanzia quando l’assenza di pericolo di subire torture non è dalle stesse fermamente escluso.
Per ritenere reali e comprovati, nelle fattispecie sottoposte al suo esame, i rischi connessi all’esposizione dei ricorrenti a trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione, la Corte ha fatto riferimento ai rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch concernenti la Tunisia. In tali rapporti si denunciano ripetute pratiche di violazioni di diritti fondamentali, casi di tortura nei confronti di persone anche solo sospettate di terrorismo, mentre le autorità tunisine non sono solite punire i responsabili dei trattamenti disumani verso i detenuti e sono poco inclini a cooperare con le organizzazioni internazionali che operano in difesa dei diritti umani.
Tanto premesso, la Corte ha quindi constatato che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei provvedimenti di espulsione nei confronti dei ricorrenti verso la Tunisia comporterebbe violazione dell’art. 3 CEDU. Per quanto riguarda le altre norme della Convenzione invocate da alcuni ricorrenti, la Corte non ha ritenuto di affrontarne l’esame.
Infine, nei casi in cui i ricorrenti avevano chiesto il ristoro dei danni morali subiti ex art. 41 della Convenzione, la Corte ha respinto tali richieste di riparazione, considerando la mera constatazione della eventuale violazione dell’art. 3 della Convenzione un’equa soddisfazione.

CONSIGLIO D’EUROPA

CORTE EUROEPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA SOLTANA c. ITALIA (Ricorso no 37336/06)

SENTENZA

STRASBURGO 24 marzo 2009

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche formali.
 
Nella causa Soltana c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da :
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 marzo 2009,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All'origine della causa vi è un ricorso (no 37336/06) diretto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino tunisino, il signor Mohamed Ben Salah Soltana, (« il ricorrente »), il 19 settembre 2006 ha adito la Corte in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
2.  Il ricorrente è rappresentato dagli avvocati S. Clementi e B. Manara, del foro di Milano. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente aggiunto, N. Lettieri.
3.  Il ricorrente sostiene che dare esecuzione alla decisione di espellerlo verso la Tunisia configurerebbe una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione e che questa decisione non si fondava su motivi di sicurezza nazionale.
4.  L’8 novembre 2006, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come previsto dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, egli ha inoltre deciso di esaminare congiuntamente la ricevibilità ed il merito della causa.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5.  Il ricorrente è nato nel 1973 e risiede a Milano.
A. Le azioni giudiziarie ed il decreto di espulsione contro il ricorrente
6.  Dal 1989 il ricorrente risiede con sua moglie in Italia dove dirige una società che ha quindici dipendenti. Il ricorrente e sua moglie sono titolari di titoli di soggiorno regolari. I quattro figli della coppia sono nati in Italia.
7.  Il 1° settembre 2006, il ministro dell’Interno dispose l’espulsione del ricorrente osservando che dal fascicolo dell’interessato emergeva che quest’ultimo era impegnato in una « intensa attività di proselitismo » nell’ambito di organizzazioni che avevano lo scopo di sostenere i membri di « cellule integraliste islamiche presenti in Italia ed all’estero ». Il decreto di espulsione fu emesso in base al decreto-legge n° 144 del 27 luglio 2005.
8.  Il 12 settembre 2006, la polizia fermò il ricorrente a casa sua a Budrio (Bologna) e lo condusse nel centro di detenzione provvisoria di Milano in vista dell’esecuzione del decreto di espulsione.
9.  Il 14 settembre 2006, il giudice di pace di Milano convalidò il citato decreto.
10.  Il giorno stesso il ricorrente presentò domanda per ottenere lo status di rifugiato. Da una parte fece valere che aveva un permesso di soggiorno in Italia e che non era mai stato condannato, e dall’altra parte che era pendente un procedimento penale a suo carico, che non era stato sottoposto a custodia cautelare e che desiderava difendersi in dibattimento. Egli allegò peraltro che in Tunisia rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti inumani perché tale era la sorte di tutti coloro che erano sospettati di terrorismo.
11.  Con una decisione del 15 settembre 2006, il questore di Milano dichiarò inammissibile la domanda di concessione dello status di rifugiato, ossevando che ai sensi degli articoli 2 § 2 del decreto presidenziale n° 303 del 2004 e 1 § 4 d) della legge n° 39 del 1990, ogni domanda presentata da uno straniero pericoloso per la sicurezza dello Stato doveva essere respinta.
12.  Dal fascicolo risulta che il ricorrente era stato accusato di appartenere ad una organizzazione integralista. Nell’ambito della procedura, la procura aveva domandato l’applicazione della custodia cautelare. Con una ordinanza dell’11 aprile 2006, il giudice delle indagini preliminari (« il GIP ») di Bologna aveva rigettato questa richiesta vista la mancanza dei « gravi indizi di colpevolezza » del ricorrente.
13.  La procura aveva proposto impugnazione.
14.  Con una ordinanza del 27 giugno 2006, la sezione del tribunale di Bologna cui era stato affidato il riesame della misura cautelare confermò la decisione del GIP. Essa osservò che non era provato che i profitti provenienti dai furti e dalle violazioni delle leggi sull’immigrazione commessi dagli accusati fossero stati utilizzati per finanziare o sostenere la propaganda di idee integraliste radicali, e che non neppure provato che gli accusati avessero creato un’associazione finalizzata a sostenere la commissione di atti terorristici. Essa ammise che dalle intercettazioni telefoniche risultava che gli accusati erano islamici radicali; ma rilevò che solo alcuni di loro avevano manifestato l’opione che era venuto il momento di immolarsi per la guerra santa e che non vi era alcuna prova dell’esistenza di contatti tra gli accusati e le organizzazioni che alimentavano progetti concreti di Jihad contro l’Occidente.
15.  Secondo la sezione del riesame, anche se a carico del ricorrente sussistevano gravi indizi di colpevolezza in merito all’istigazione a commettere reati, si trattava comunque di fatti risalenti al 2002, per i quali non era necessario applicare una misura cautelare.
16.  Il ricorrente ha informato la Corte che il consolato della Tunisia in Italia ha rifiutato di rinnovargli il suo passaporto.
17.  Secondo le informazioni fornite dal ricorrente il 18 settembre 2006, la data della sua espulsione non è stata ancora fissata, ma nel diritto italiano, il decreto del ministro dell’Interno può essere eseguito in qualsiasi momento.
18.  Il 6 novembre 2006, su richiesta del ricorrente e in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, il presidente della terza sezione ha deciso di indicare al governo italiano che, nell’interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura innanzi alla Corte, era auspicabile non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Egli ha richiamato l’attenzione del Governo sul fatto che, quando uno Stato contraente non si conforma ad una misura indicata a titolo dell’articolo 39 del regolamento, questo può comportare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn 46827/99 et 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
B.  Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
19.  Il 29 agosto 2008, l’Ambasciata d’Italia a Tunisi inviò al ministero tunisino degli Affari Esteri la seguente nota verbale (no 3124):
« L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali N° 2738 del 21 luglio e n° 2911 dello scorso 6 agosto ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24  luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi decreti di espulsione.
L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri per la nota verbale DGAC n° 011998 del 26 agosto scorso e per suo tramite il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione mostrata nel caso del signor Essid Sami Ben Khemais.
Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio, le autorità italiane si pregiano sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici che risultano necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia e i cittadini tunisini qui di seguito citati (…) (…)
A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia domandare al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti in relazione ai seguenti argomenti :
- che la persona le cui generalità verranno specificate, in caso di espulsione verso la Tunisia non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti ;
- che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
- che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati compreso quello italiano che la rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari e di un medico.
Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per i suddetti casi è fissata al prossimo 19 settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse  farle pervenire al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano e suggerisce che l'avvocato Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
L’Ambasciata d’Italia sarebbe inoltre grata al ministero degli Affari Esteri se volesse verificare se le autorità tunisine competenti ritengano opportuno che il governo tunisino partecipi, per i citati ricorsi, alle procedure innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e ciò conformemente agli articoli 36 della Convenzione, 44 del regolamento della Corte ed al paragrafo 2 dell’allegato al regolamento.
L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovarle i sensi della sua alta considerazione. »         
20.  Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle sue parti pertinenti questa risposta è così formulata :
 « Nella sua nota verbale del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale del 4 settembre 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto, alle autorità tunisine, le assicurazioni qui di seguito riportate, riguardanti i cittadini tunisini Mohamed SOLTANA [ed altri] qualora essi dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
I. Le autorità tunisine sottolineano innanzitutto che attualmente in Tunisia non sono pendenti procedimenti giudiziari a carico di Mohamed SOLTANA [ed altri]. Poiché la giustizia tunisina non ha alcuna conoscenza di una loro eventuale implicazione in fatti delittuosi, non ha aperto a loro carico nessun procedimento penale.
Poiché gli interessati non corrono il rischio di essere condannati o processati, come tutti i cittadini tunisini e sullo stesso piano di uguaglianza, fruiscono di tutti i idiritti che vengono loro riconosciuti dalla costituzione tunisina il cui articolo 6 dispone che « tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Essi sono uguali innanzi alla legge ». L’articolo 7 della Costituzione aggiunge che essi « esercitano pienamente i loro diritti nelle forme e nelle condizioni previste dalla legge ». (…)
1.  La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito, esso trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone e più particolarmente ai detenuti il cui status è minuziosamente disciplinato.
È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che « ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità ».
La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini che sono sottoposti alla sua giurisdizione e che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione (ratificata dalla legge 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n° 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035).
Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come «  un atto con il quale, sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o far pressioni su lei o di intimidire o far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione. »
Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che « è punito con otto anni di reclusione  il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto fra cui in particolare:
- Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i membri della sua famiglia.
- Il diritto di domandare durante il fermo di polizia o alla scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai membri della famiglia.
- La durata della detenzione preventiva è disciplinata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle «condizioni detentive nelle carceri al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento. »
Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli eseguiti da diversi organi e istituzioni:
- Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario sito nel distretto di sua competenza,  per conoscere le condizioni dei detenuti, dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
- Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato delle condizioni dei detenuti.
 Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dell'ispettorato generale che dipende dalla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori di detto ministero sono magistrati di carriera fatto che costituisce una garanzia supplementare ai fini di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
 Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle prigioni e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi maltrattamenti. Si citano due esempi:
- Il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, l'inchiesta aperta a tale proposito ha portato alla condannna dei tre agenti carcerari alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno (sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002).
- Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato condannato a 15 anni di reclusione per lesioni volontarie che hanno preterintezionalmente provocato la morte (sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002).
Questi due esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.
I pochi casi di condanna per maltrattamenti segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo ed al Comitato dei diritti dell'uomo denotano così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi tortura o  maltrattamento, e questo permette di respingere qualsiasi allegazione di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.(...)
 2. La garanzia di un processo equo alle persone interessate:
Se verranno espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno di procedimenti, azioni penali, istruzioni e giudizi che offrano tutte le garanzie necessarie ad un processo equo, e in particolare:
- Il rispetto del principio della separazione tra le autorità dell'accusa, dell'istruzione e del giudizio.
- L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria),
- Le udienze sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
- Ogni persona sospettata di crimine ha diritto all'assistenza di uno o più avvocati. Se necessario le viene nominato un avvocato di ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue per tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
- L'esame dei crimini è di competenza delle corti criminali che sono formate da cinque magistrati, questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
- Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
- La condanna può essere resa soltanto sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi alla autorità giudiziaria competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata prova determinante. Questa posizione sarà confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n° 12150 del 26 gennaio 2005 con la quale la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla ed è considerata come non avvenuta e questo, in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: « la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli sono presentare al fine di decidere la forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
3. La Garanzia del diritto di ricevere visite:
Se l'arresto delle persone interessate viene deciso dall'autorità giudiziaria competente, esse beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti previsti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria. Questa legge sancisce il diritto di ogni imputato di ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente carcerario, nonché la visita dei familiari. Se viene deciso il loro arresto, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla legislazione vigente e senza alcuna restrizione.
Per quanto riguarda la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di quadro legale interno che l'autorizzi.
In effetti la legge sull’ordinamento carcerario determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta soprattutto dei familiari del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità per gli avvocati italiani di visitare i detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare avvocati di fiducia tunisini di rendere loro visita e di coordinare, con i loro omologhi italiani, le loro azioni nella preparazione degli elementi difensivi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:
La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle prigioni e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a esame medico.
Se viene deciso l'arresto delle persone interessate, esse saranno sottoposte a esame medico non appena entrate nell’istituto penitenziario. Potranno, peraltro, fruire successivamente di un controllo medico nell'ambito di esami periodici. In conclusione gli interessati fruiranno di un regolare controllo medico come ogni detenuto e di conseguenza non occorre autorizzare un altro medico a visitarli.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura pendente dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

21.  I ricorsi che è possibile proporre in Italia avverso un un decreto di espulsione e le regole che disciplinano in Tunisia la riapertura di un processo in contumacia sono descritte nella sentenza Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

III.  TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI

22.  Nella sentenza Saadi già citata si trova la descrizione dei seguenti testi, documenti, internazionali e fonti di informazioni: l'accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall'Italia e dalla Tunisia e l'accordo di collaborazione tra la Tunisia, l’Unione europea ed i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status di rifugiato (§ 63) ; le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (§ 64); i rapporti di Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79) riguardanti la Tunisia; le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano sui diritti umani in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti umani in Tunisia (§ 94).
23.  Dopo l'adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto dedicato alla Tunisia sono riportate nella sentenza Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34, ... 2009).
24.  Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, « di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi sulle « assicurazioni diplomatiche » di paesi che notoriamente ricorrono con sistematicità alla tortura e in tutti i casi in cui la mancanza del rischio di maltrattamenti non sia fermamente provata ».

IN DIRITTO

I.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

25.  Il ricorrente ritiene che l’esecuzione della sua espulsione lo esporrebbe al rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione. Queste norma recita:
« Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti. »
26.  Il Governo si oppone a questa tesi.
A.  Sulla ricevibilità
27.  La Corte constata che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.
B.  Nel merito
1.  Argomentazioni delle parti
a)  Il ricorrente
28.  Il ricorrente rimanda alle inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, le quali dimostrerebbero che in Tunisia è praticata la tortura e che certe persone sospettate di terrorismo ed espulse verso questo Stato sono puramente e semplicemente scomparse. Egli cita l’esempio di un compatriota espulso dall’Italia verso la Tunisia, il signor Loubiri, che avrebbe visto aumentare la sua pena da dieci a trenta anni senza essere ascoltato in udienza e che non avrebbe alcuna possibilità di comunicare con la sua famiglia. Riferisce inoltre il caso di un giovane, il signor Hichem Ben Said Ben Frej, che il 10 ottobre 2006 si sarebbe gettato dalla finestra di un commissariato poco prima del suo interrogatorio. L'avvocato del signor Ben Frej avrebbe spiegato che il suo cliente era rimasto detenuto per venticinque giorni nelle celle del ministero degli Affari interni a Tunisi, dove era stato selvaggiamente torturato. Il ricorrente sottolinea che numerosi articoli di stampa denunciano la condizione dei detenuti politici e delle loro famiglie.
29.  Secondo il ricorrente, il semplice richiamo dei trattati internazionali firmati dalla Tunisia non può essere sufficiente a eliminare qualsiasi rischio di violazione di diritti convenzionali. La sua famiglia sarebbe stata minacciata e continuamente provocata dalle forze di polizia che si sarebbero recate più volte nella casa di famiglia, applicando in questo modo una pratica corrente nei confronti degli oppositori politici. Gli amici del ricorrente sarebbero stati autorizzati a recarsi in Italia soltanto in cambio della promessa che avrebbero fornito informazioni su di lui, e le autorità tunisine si rifiuterebbero dal 2004 di rinnovargli il suo passaporto.
30.  Il ricorrente afferma di non aver alcun legame con le organizzazioni politiche. Tutti i suoi problemi deriverebbero dalla pubblicazione del libro scritto da Magdi Allam, vicedirettore del quotidiano Il Corriere della Sera, intitolato « Ben Laden in Italia: viaggio nell’Islam radicale » dove veniva riportato il suo nome. Egli spiega che a seguito della pubblicazione di questo libro, la polizia italiana ha perquisito la sua abitazione ed il console tunisino a Bologna lo ha accusato di essere un « membro eminente » del partito Ennahdha, di cui alcuni affiliati scontano pesanti pene detentive in Tunisia. Secondo il ricorrente, le persone sospettate di terrorismo in Europa sono sistematicamente nuovamente giudicate per questo stesso crimine da un tribunale militare non appena vengono espulse verso la Tunisia.
b)  Il Governo
31.  Il Governo sottolinea che le allegazioni relative da un pericolo di morte o al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere sostenute con adeguati elementi di prova e ritiene che così non sia stato nel caso di specie in quanto il ricorrente si è limitato a descrivere una situazione falsamente generalizzata in Tunisia. Il Governo ritiene che i casi citati dal ricorrente non sono pertinenti e argomenta che gli articoli di stampa non hanno valore di prova in una controversia giudiziaria e che la possibilità di richiedere lo status di rifugiato non significa la certezza di ottenerlo.
32.  Il Governo nota anche che la Tunisia ha ratificato più strumenti internazionali in materia di protezione dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di collaborazione con l’Unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume possa offrire una tutela dei diritti fondamentali « equivalente » a quella assicurata dalla Convenzione. Esso sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni.
33.  Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si discosterà dagli obblighi che ad essa incombono in virtù dei trattati internazionali. Inoltre, il sistema giuridico italiano prevederebbe delle garanzie per la persona – ivi compresa la possibilità di ottenere lo status di rifugiato – che renderebbero « praticamente impossibile » un respingimento contrario alle esigenze della Convenzione.
34.  Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine nelle quali vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Queste assicurazioni garantirebbero una adeguata protezione del ricorrente contro il rischio di subire, in Tunisia, trattamenti vietati dalla Convenzione..
35. Esso sottolinea che le autorità tunisine hanno accompagnato dette assicurazioni con una « lunga e rassicurante spiegazione, in fatto ed in diritto, delle ragioni per le quali occorre credervi », e ritiene che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in dubbio. Esso aggiunge che l’effettivo rispetto di queste assicurazioni potrà essere verificato durante i controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, nonché durante le visite degli avvocati e dei parenti del ricorrente.
36.  Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte di visitare il suo cliente se detenuto in Tunisia si spiega con il fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe quindi ragionevole non permettere le visite di avvocati stranieri che operano al di fuori del quadro nazionale e internazionale nel quale si iscrive la Tunisia. A tale proposito, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato ad avvocati tunisini da lui scelti affinché procedano, in collaborazione con i loro omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa innanzi alla Corte.
37.  Secondo il Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono tranquillizzanti per quanto riguarda la sicurezza ed il benessere del ricorrente come pure per quanto riguarda il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che la Corte stessa, nella causa Saadi prima citata, ha domandato se assicurazioni di questo tipo fossero state richieste ed ottenute, il Governo ritiene che, senza che esse vengano rimesse in discussione, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze fattuali del caso di specie.
2.  Valutazione della Corte
38.  I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da considerare per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione ed alla nozione di « tortura » e di « trattamenti inumani e degradanti » sono riassunti nella sentenza Saadi (succitata, §§ 124-136), nella quale la Corte ha anche riaffermato l’impossibilità di valutare il rischio di maltrattamenti ed i motivi invocati per l’espulsione al fine di determinare se la responsabilità di uno Stato sia coinvolta ai sensi dell’articolo 3 (§§ 137-146).
39.  La Corte ricorda le conclusioni alle quali essa è pervenuta nella causa Saadi succitata (§§ 143-146), che erano le seguenti:
- i testi internazionali pertinenti documentano numerosi e regolari casi di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
- questi testi descrivono una situazione preoccupante;
- le visite del Comitato internazionale della Corte Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono eliminare il rischio di essere sottoposti a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
40.  La Corte non scorge nella fattispecie alcuna ragione per ritornare su queste conclusioni che sono peraltro confermate dal rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia (vedere il precedente paragrafo 38). Essa nota inoltre che, in Italia, il ricorrente è stato accusato di appartenere ad una organizzazione terrorista integralista (vedere il precedente paragrafo 12).
41.  In queste condizioni, la Corte ritiene che nel caso di specie, fatti seri ed accertati inducono a concludere che esista un rischio reale di vedere l’interessato subire trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se venisse espulso verso la Tunisia. (vedere, mutatis mutandis, Saadi, succitata, § 146). Rimane da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite della autorità tunisine siano sufficiente per eliminare questo rischio.
42.  A tale proposito la Corte ricorda, in primo luogo, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non sono da sole sufficienti ad assicurare un’adeguata protezione dal rischio di subire maltrattamenti quando, come nella fattispecie, fonti affidabili documentano pratiche delle autorità – o tollerate da queste ultime – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, succitata, § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni fornite dallo Stato di destinazione forniscano, nella loro effettiva applicazione, una sufficiente garanzia per la protezione del ricorrente dal rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Recueil des arrêts et décisions 1996 V, § 105, 15 novembre 1996). L’importanza da attribuire alle assicurazioni provenienti dallo Stato di destinazione dipende in effetti, in ogni caso, dalle circostanze prevalenti all’epoca considerata. (Saadi, succitata, § 148 in fine).
43.  Nel presente caso di specie, l’avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che la dignità umana del ricorrente verrebbe rispettata in Tunisia, che non sarebbe sottoposto a tortura, a trattamenti inumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che benficierebbe di cure sanitarie appropriate e che potrebbe ricevere le visite del suo avvocato e dei membri della sua famiglia. Oltre alle leggi tunisine pertinenti ed ai trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazione si basano sui seguenti elementi:
- i controlli praticati dal giudice dell’esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dal servizio dell’ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’uomo;
- due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
- la giurisprudenza interna ai sensi della quale una confessione estorta con costrizione è nulla e considerata come non avvenuta (vedere il precedente paragarafo 35).
44.  La Corte nota, tuttavia, che non è certo che l'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente per fornire queste assicurazioni in nome dello Stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008). Inoltre, tenuto conto del fatto che fonti internazionali serie ed affidabili hanno indicato che le allegazioni di maltrattamenti non venivano esaminate dall'autorità tunisine competenti (Saadi, succitata, § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni su detenuti non sarebbe sufficiente ad eliminare il rischio di simili trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un effettivo sistema di protezione contro la tortura, in mancanza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. A tale proposito, la Corte ricorda che nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato soprattutto che, benché numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati mentre si trovavano sottoposti a fermo di polizia, « le autorità non hanno praticamente mai condotto inchieste, né preso misure per portare innanzi alla giustizia i presunti torturatori » » (vedere il precedente paragrafo 23).
45.  Inoltre, nella sentenza Saadi succitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti che difendono i diritti dell’uomo, quali Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 prima citato, Amnesty International ha peraltro notato che benché sia stato aumentato il numero dei membri del comitato superiore dei diritti umani, quest’ultimo « non includerebbe organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali ». L’impossibilità  per il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente se detenuto in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini a legali stranieri indipendenti anche quando essi sono parti nei procedimenti giudiziari pendenti innanzi alle giurisdizioni internazionali. Queste ultime rischiano dunque, una volta che un ricorrente è espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere eventuali doglianze che potrebbe sollevare in merito ai trattamenti ai quali viene sottoposto (Ben Khemais, succitata, § 63).
46.  In queste circostanze la Corte non può sottoscrivere la tesi del Governo secondo la quale le assicurazioni fornite nel presente caso di specie offrono una efficace protezione contro il serio rischio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko, succitata, §§ 73-74). Essa ricorda invece il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono essere sufficienti quando la mancanza di pericolo di maltrattamenti non sia seriamente documentata (vedere il precedente paragrafo 24).
47.  Pertanto la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione se venisse messa in esecuzione.

II.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
48.  Il ricorrente allega che la sua espulsione verso la Tunisia priverebbe sua moglie ed i suoi quattro figli della sua presenza e del suo aiuto. A tale proposito fa valere che è l’unico sostegno economico della sua famiglia ed invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente:
 « 1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, (…)
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, (…) alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati, (…)
»
49.  Il Governo ritiene che questo motivo di ricorso non possa essere ritenuto.
50.  La Corte ritiene che questo motivo sia ricevibile (Saadi, succitata, § 163). Tuttavia avendo constatato che l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia configurerebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (vedere il precedente paragrafo 47) e non avendo alcun motivo di dubitare che il governo convenuto si conformerà alla presente decisione, essa non ritiene necessario esaminare anche la questione ipotetica di sapere se in caso di espulsione verso la Tunisia, vi sarebbe anche violazione dell’articolo 8 della Convenzione (Saadi, succitata, § 170).

III.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 7
51.  Il ricorrente sostiene che le esigenze di protezione della sicurezza nazionale sulle quali il ministro dell’Interno ha fondato la sua espulsione sono smentite dalle ordinanze del GIP e della sezione del riesame del Tribunale di Bologna. Egli ricorda che al momento della sua espulsione era titolare di un regolare permesso di soggiorno. Egli invoca l’articolo 1 del Protocollo n° 7 che recita:
« 1. Uno straniero regolarmente residente nel territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter:
a. far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione,
b. far esaminare il suo caso e
c. farsi rappresentare a tali fini davanti all'autorità competente o ad una o più persone designate da tale autorità.
2. Uno straniero può essere espulso prima dell'esercizio dei diritti enunciati al paragrafo 1 a), b) e c) di questo articolo, qualora tale espulsione sia necessaria nell'interesse dell'ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale.
»
52.  Il Governo contesta questa tesi. Esso sostiene che il ricorrente ha fruito delle garanzie procedurali richieste dal Protocollo n° 7 dal momento che è stato rappresentato da un legale di fiducia che ha potuto far valere davanti al giudice di pace le ragioni che militavano contro l’espulsione. Aggiunge che l’espulsione in questione si basava su motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico.
53.  La Corte osserva che l’espulsione del ricorrente, disposta dal ministro dell’Interno, è stata esaminata dal giudice di pace di Milano che poteva annullarla o convalidarla (vedere il precedente paragrafo 9). Innanzi a questa giurisdizione, l’interessato ha fruito di sufficienti garanzie procedurali ed ha avuto l’opportunità di presentare tutti gli argomenti che militavano contro la sua espulsione.
54.  In queste circostanze, non può essere rilevata aluna parvenza di violazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Pro-tocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata non permette che una parziale riparazione della violazione, la Corte, se necessario, accorda alla parte lesa un’equa soddisfazione.”
A.  Danno
55.  Il ricorrente domanda 80.000 euro per il pregiudizio materiale che ritiene di aver subito. Egli sostiene che questa somma copre il mancato guadagno dovuto alla privazione della sua libertà nel centro di detenzione provvisoria di Milano. Egli domanda inoltre 50.000 euro per il danno morale.
56.  Il Governo ricorda che l’espulsione del ricorrente non è stata esguita e ritiene che sarebbe singolare che uno straniero che ha violato le regole del paese di accoglienza possa ottenere un risarcimento in ragione di un decreto legittimo di allontanamento. Peraltro il ricorrente sarebbe stato detenuto conformemente alla legislazione nazionale e non vi sarebbe alcun nesso di causalità tra il pregiudizio allegato ed il comportamento dello Stato.
57.  La Corte ricorda che essa è in grado di concedere somme a titolo di equa soddisfazione previste dall’articolo 41 quando la perdita o i danni relcamati sono stati causati dalla violazione constatata, in quanto non si ritiene che lo Stato versi somme per danni che non sono a lui imputabili (Perote Pellon c. Spagna, no 45238/99, § 57, 25 luglio 2002).
58.  Nella fattispecie, la Corte ha constatato che la messa in esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione. Tuttavia, essa non ha rilevato violazioni della Convenzione in ragione della privazione di libertà dell’interessato. Quindi essa non scorge alcun nesso di causalità tra la violazione constatata nella presente sentenza ed il pregiudizio materiale allegato dal ricorrente (Saadi summenzionata, § 187).
59.  Per quanto riguarda il pregiudizio morale subìto dal ricorrente, la Corte ritiene che la constatazione che l’espulsione, se fosse messa in esecuzione, configurerebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, rappresenti un’equa soddisfazione sufficiente (Saadi summenzionata, § 188).
B.  Spese legali
60.  Il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di rimborso a titolo di spese legali. Pertanto la Corte ritiene che non debba essergli assegnata alcuna somma a tale titolo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’
1.  Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi basati sugli articoli 3 e 8 della Convenzione e irricevibile per il resto;

2.  Dichiara che, nell’eventualità venisse messa in esecuzione la decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia, vi sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione

3.  Dichiara non doversi esaminare se la messa in esecuzione della decisione di espellerlo verso la Tunisia violerebbe anche l’articolo 8 della Convenzione ;

4.  Dichiara che la constatazione di una violazione costituisce un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subìto dal ricorrente ;

5.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
 
Sally Dollé                          Françoise Tulkens
 Cancelliere                       Presidente

P.T.C.
Il traduttore
Rita Carnevali