Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 marzo 2009 - Ricorso n. 44006/06 - C.B.Z. c.Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Anna Aragona

Argomento : proibizione alla tortura (Violazione art.3  CEDU) ;   diritto al rispetto della vita privata e familiare (violazione art.8 CEDU).


L’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione.
Fatto. In tutte le cause in titolo i ricorrenti, di nazionalità tunisina, erano stati colpiti da provvedimenti di espulsione basati sulla loro pretesa appartenenza ad organizzazioni di stampo terroristico.
Dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, i ricorrenti adivano la Corte europea dei diritti dell’uomo chiedendo preliminarmente, ex art. 39 Regolamento CEDU, la sospensione degli effetti dei rispettivi provvedimenti di espulsione e lamentando che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei suddetti provvedimenti li avrebbe esposti al rischio di essere sottoposti, una volta giunti nel paese di destinazione (la Tunisia), a trattamenti inumani e degradanti contrari all’art. 3 CEDU.
Alcuni ricorrenti invocavano altresì gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto ad un processo equo) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU. In particolare nei ricorsi Abdelhed e Soltana, i ricorrenti lamentavano anche la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7, affermando che la misura dell’espulsione era stata adottata in violazione delle garanzie procedurali prescritte in caso di espulsioni di stranieri.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte di Strasburgo, le autorità italiane ricevevano rassicurazioni da parte delle corrispondenti autorità tunisine circa le garanzie inerenti al rispetto della dignità, dell’equo processo, del diritto di ricevere visite nonché del diritto di beneficiare di cure mediche.
 
Nelle more del procedimento, la Corte, in accoglimento delle istanze dei ricorrenti, ha richiesto al Governo italiano di sospendere la procedura di espulsione fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del buon esito del procedimento pendente davanti ad essa.
Diritto. Le sentenze in titolo seguono il filone giurisprudenziale in materia di espulsione di stranieri, inaugurato dalla Corte EDU con la sentenza della Grande Camera pronunciata nella causa Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 .
La Corte, richiamando le considerazioni esposte nel caso Saadi, ha affermato che il recepimento da parte di uno Stato di trattati internazionali volti a garantire il rispetto dei diritti fondamentali non è di per sé sufficiente ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di torture quando, come nei casi de quibus, fonti affidabili confermino l’esistenza di pratiche delle autorità - o da queste tollerate - contrarie ai principi della Convenzione.
Relativamente alle rassicurazioni a tal fine offerte dallo Stato di destinazione, la Corte ha precisato che è suo compito accertare se le stesse rappresentino, nella loro applicazione concreta, una sufficiente garanzia per i ricorrenti contro il rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione. Il peso da attribuire alle suddette rassicurazioni varia a seconda delle circostanze che si presentano all’epoca considerata.
A tal riguardo, la Corte richiamando il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 1433 del 2005, ha affermato che le rassicurazioni diplomatiche non rappresentano un sufficiente strumento di garanzia quando l’assenza di pericolo di subire torture non è dalle stesse fermamente escluso.
Per ritenere reali e comprovati, nelle fattispecie sottoposte al suo esame, i rischi connessi all’esposizione dei ricorrenti a trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione, la Corte ha fatto riferimento ai rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch concernenti la Tunisia. In tali rapporti si denunciano ripetute pratiche di violazioni di diritti fondamentali, casi di tortura nei confronti di persone anche solo sospettate di terrorismo, mentre le autorità tunisine non sono solite punire i responsabili dei trattamenti disumani verso i detenuti e sono poco inclini a cooperare con le organizzazioni internazionali che operano in difesa dei diritti umani.
Tanto premesso, la Corte ha quindi constatato che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei provvedimenti di espulsione nei confronti dei ricorrenti verso la Tunisia comporterebbe violazione dell’art. 3 CEDU. Per quanto riguarda le altre norme della Convenzione invocate da alcuni ricorrenti, la Corte non ha ritenuto di affrontarne l’esame.
Infine, nei casi in cui i ricorrenti avevano chiesto il ristoro dei danni morali subiti ex art. 41 della Convenzione, la Corte ha respinto tali richieste di riparazione, considerando la mera constatazione della eventuale violazione dell’art. 3 della Convenzione un’equa soddisfazione.

 
CONSIGLIO  D’EUROPA

CORTE  EUROPEA  DEI  DIRITTI  DELL’UOMO
SECONDA  SEZIONE

CAUSA  C.B.Z.   c.   ITALIA (Ricorso no 44006/06)

SENTENZA
STRASBURGO 24 marzo 2009

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall’art. 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche nella forma.
 
Nella causa C.B.Z. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 marzo 2009,
Emette la presente sentenza, pronunciata nella medesima data:

PROCEDURA

1.  La causa è stata promossa con ricorso (no 44006/06) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte il 2 novembre 2006 da un cittadino tunisino, il sig. C.B.Z. (« il ricorrente »), in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »). Il presidente della sezione ha accolto la richiesta formulata dal ricorrente, affinché non fosse divulgata la sua identità (articolo 47 § 3 del regolamento).
2.  Il ricorrente, che è stato ammesso al gratuito patrocinio, è rappresentato dagli avvocati S. Clementi e B. Manara, del foro di Milano. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente  aggiunto, sig. N. Lettieri.
3.  Il ricorrente afferma che l’esecuzione del provvedimento di espulsione verso la Tunisia violerebbe gli articoli 3 e 8 della Convenzione e che tale decisione non sarebbe dovuta a motivi di sicurezza nazionale.
4.  In data 8 dicembre 2006, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come previsto dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, egli ha altresì deciso che la Camera si sarebbe pronunciata al contempo sull’ammissibilità e sul merito.

IN FATTO

I.  LE  CIRCOSTANZE  DEL  CASO  DI  SPECIE
5.  Il ricorrente è nato nel 1965 e risiede a Milano.
A. I procedimenti ed il decreto di espulsione contro il ricorrente
6.  Il ricorrente risiede regolarmente in Italia dal 1994.
7.  Il 1o settembre 2006, il Ministro dell’Interno ordinava l’espulsione del ricorrente. Egli osservava che dal fascicolo dell’interessato si evinceva l’appartenenza del medesimo ad una complessa rete di integralisti islamici, volta all’ideazione di piani terroristici. Il decreto di espulsione veniva adottato ai sensi del decreto legge 144 del 27 luglio 2005 (si veda il successivo paragrafo 18).
8.  Il 12 settembre 2006, il Questore di Bologna, prendendo atto che a carico del ricorrente era stato emesso un decreto di espulsione per ragioni di sicurezza nazionale e di tutela dell’ordine pubblico, ne revocava il permesso di soggiorno.
9.  Il medesimo giorno, la polizia fermava il ricorrente al suo domicilio e lo conduceva al centro di permanenza temporanea di Milano, ai fini dell’esecuzione del decreto di espulsione.
10.  Il 14 settembre 2006, il giudice di pace di Milano convalidava il decreto.
11.  Dal fascicolo si evince che il ricorrente era stato accusato di appartenere ad un’organizzazione terrorista integralista. Nell’ambito del procedimento, la Procura aveva chiesto di disporre a carico del ricorrente la custodia cautelare in carcere.  Con ordinanza dell’11 aprile 2006, il giudice per le indagini preliminari (« il GIP ») di Bologna aveva respinto la richiesta, a causa dell’assenza di « gravi indizi di colpevolezza » a carico del ricorrente. La Procura aveva proposto appello.
12.  Con ordinanza del 27 giugno 2006, la sezione del tribunale di Bologna incaricata di riesaminare le misure cautelari (« la sezione specializzata ») confermava la decisione del GIP. Essa osservava che non era stato dimostrato che i proventi derivanti dai furti e dalle violazioni delle leggi sull’immigrazione perpetrati dagli indagati fossero stati utilizzati per finanziare o sostenere la diffusione di idee integraliste radicali e che non era stato altresì provato che gli indagati avessero costituito una associazione volta a favorire la commissione di atti di terrorismo. 
13.  Su richiesta del ricorrente, il presidente della terza sezione, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, ha deciso in data 3 novembre 2006  di invitare il governo italiano a non espellere il ricorrente verso la Tunisia sino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento della procedura dinanzi alla Corte. Egli ha richiamato l’attenzione del Governo sulla circostanza che, nel caso in cui uno Stato contraente non si conformi ad una misura indicata a norma dell’articolo 39 del regolamento, si può configurare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (si veda Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDU 2005-I).
14.  Il 14 novembre 2006, il ricorrente ha depositato un ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione del decreto di espulsione disposto a suo carico, nonché l’annullamento del citato decreto.
15.  Detto ricorso è ancora pendente. Tuttavia, ai sensi del diritto italiano, il decreto del Ministro dell’Interno può essere eseguito in qualsiasi momento.
B.  Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
16. Il 29 agosto 2008, l’Ambasciata d’Italia a Tunisi inviava al ministero tunisino degli Affari Esteri la seguente nota verbale (no 3124):
« L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali N° 2738 del 21 luglio e n° 2911 dello scorso 6 agosto ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24  luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi decreti di espulsione.
L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri per la nota verbale DGAC n° 011998 del 26 agosto scorso e, per il suo tramite, il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione mostrata per il caso del signor Essid Sami Ben Khemais.
Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio, le autorità italiane si pregiano sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi integrativi specifici che risultano necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia e i cittadini tunisini qui di seguito citati (…) (…)
A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia di chiedere al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le assicurazioni specifiche per ciascuno dei ricorrenti, in relazione ai seguenti argomenti :
- che la persona, le cui generalità verranno specificate, in caso di espulsione verso la Tunisia non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti ;
- che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo  procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
- che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati compreso quello italiano che lo rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari e di un medico.
Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per i suddetti casi è fissata al prossimo 19 settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse  farle pervenire al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano, e suggerisce che la sig.ra Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
L’Ambasciata d’Italia sarebbe inoltre grata al ministero degli Affari Esteri se volesse verificare se le autorità tunisine competenti ritengano opportuno che il governo tunisino partecipi, per i citati ricorsi, alle procedure innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e ciò conformemente agli articoli 36 della Convenzione, 44 del regolamento della Corte ed al paragrafo 2 dell’allegato al regolamento.
L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovare i sensi della sua alta considerazione. »         
17.  Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine facevano pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale presso la direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle sue parti pertinenti questa risposta è così formulata :
 « Nella sua nota verbale del 29 agosto 2008, come integrata dalla sua nota verbale del 4 settembre 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto, alle autorità tunisine, le assicurazioni qui di seguito riportate, riguardanti i cittadini tunisini C.B.S. [ed altri], qualora essi dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
 (...)
I. Le autorità tunisine sottolineano, innanzi tutto, che i summenzionati C.B.S. [ed altri] non sono attualmente sottoposti a procedimenti penali in Tunisia. La giustizia tunisina non è a conoscenza di un loro eventuale coinvolgimento in fatti delittuosi e dunque non ha promosso alcun procedimento penale a loro carico.
Non risultando alcuna condanna, né alcun procedimento penale in corso, gli interessati godono, alla stregua di qualsiasi altro cittadino tunisino, di tutti i diritti riconosciuti  dalla costituzione tunisina, il cui articolo 6 dispone che « tutti i cittadini hanno i medesimi diritti ed i medesimi doveri. Essi sono uguali davanti alla legge ». L'articolo 7 della Costituzione sancisce inoltre che essi « esercitano pienamente i loro diritti nelle forme e nelle condizioni previste dalla legge ». (...)
1.  La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito e trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato essa si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone e più particolarmente ai detenuti il cui status è minuziosamente disciplinato.
È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che « ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità ».
La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini sottoposti alla sua giurisdizione, che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione (ratificata dalla legge 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n° 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035).
Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno; l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come «  un atto con il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o di far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione. »
Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che « è punito con otto anni di reclusione  il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto fra cui in particolare:
- Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i membri della sua famiglia.
- Il diritto di chiedere, nel corso o alla scadenza del fermo di polizia, di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai membri della famiglia.
- La durata della detenzione preventiva è disciplinata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle « condizioni detentive nelle carceri, al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento. »
Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controllo eseguiti da diversi organi e istituzioni:
- Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione penale che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario sito nel distretto di sua competenza, per conoscere le condizioni dei detenuti; dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
- Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali; il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato e sulle condizioni dei detenuti.
 Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dall'ispettorato generale presso la direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare, in questo contesto, che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori del citato ministero sono magistrati di carriera, fatto che costituisce una garanzia supplementare ai fini di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
 Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle prigioni e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le accuse di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi maltrattamenti. In proposito si citano due esempi:
- il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto; l'inchiesta aperta a tale proposito ha portato alla condanna dei tre agenti carcerari alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno (sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002).
- Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato condannato a 15 anni di reclusione per lesioni personali volontarie che hanno preterintenzionalmente provocato la morte (sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002).
Questi due esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.
I pochi casi di condanna per maltrattamenti segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo ed al Comitato dei diritti dell'uomo denotano così la volontà politica dello Stato di perseguire e reprimere qualsiasi tortura o  maltrattamento, e questo permette di respingere ogni accusa di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.
 2. La garanzia di un processo equo alle persone interessate:
In caso di espulsione verso la Tunisia, gli interessati beneficeranno di procedimenti, azioni penali, istruzioni e giudizi che offrano tutte le garanzie necessarie ad un processo equo, e in particolare:
- Il rispetto del principio della separazione tra le autorità dell'accusa, dell'istruzione e del giudizio.
- L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria),
- Le udienze sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
- Ogni persona sospettata di crimine ha diritto all'assistenza di uno o più avvocati. Se necessario, le viene nominato un avvocato di ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue per tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
- L'esame dei crimini è di competenza delle corti penali che sono formate da cinque magistrati; questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
- Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia penale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
- La condanna può essere resa soltanto sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi alla autorità giudiziaria competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n° 12150 del 26 gennaio 2005, con la quale la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla ed è considerata come non avvenuta, in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale, il quale dispone che: « la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove addotte al fine di decidere, secondo il suo personale convincimento, quale sia la loro forza probatoria.
3. La garanzia del diritto di ricevere visite:
Se l'arresto delle persone interessate viene deciso dall'autorità giudiziaria competente, esse beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti previsti dalla legge del 14 maggio 2001 sull'organizzazione carceraria. Questa legge sancisce il diritto di ogni imputato di ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente carcerario, nonché la visita dei familiari. Se viene deciso il loro arresto, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla legislazione vigente e senza alcuna restrizione.
Per quanto riguarda la richiesta di visita agli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di quadro legale interno che l'autorizzi.
In effetti la legge sull’ordinamento carcerario determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta soprattutto dei familiari del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità per gli avvocati italiani di visitare i detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare avvocati di fiducia tunisini di rendere loro visita e di coordinare, con i loro omologhi italiani, le azioni di preparazione degli elementi difensivi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:
La summenzionata legge sull'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle prigioni e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione penale a sottoporre il condannato a esame medico.
Se viene deciso l'arresto delle persone interessate, esse saranno sottoposte a esame medico non appena entrate nell’istituto penitenziario. Esse potranno, peraltro,  fruire successivamente di un controllo medico nel quadro di esami periodici. In conclusione gli interessati fruiranno di un regolare controllo medico come ogni detenuto e di conseguenza non occorre autorizzare un altro medico a visitarli.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura in corso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo ».

II.  IL  DIRITTO  INTERNO  PERTINENTE
18.  I ricorsi che è possibile proporre in Italia avverso un decreto di espulsione e le norme che disciplinano la riapertura di un processo contumaciale in Tunisia sono descritti nella sentenza Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

III.  TESTI  E  DOCUMENTI  INTERNATIONALI

16.  La citata sentenza Saadi contiene una descrizione dei testi, dei documenti internazionali e delle fonti di informazione di cui segue l’elenco: l'accordo di cooperazione in materia di lotta alla criminalità sottoscritto dall’Italia e dalla Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’Unione europea ed i suoi Stati membri (§§ 61-62) ; gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni unite del 1951 relativa allo status dei rifugiati (§ 63) ; le linee direttrici del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (§ 64) ; i rapporti relativi alla Tunisia redatti da Amnesty International (§§ 65-72) e da Human Rights Watch (§§ 73-79) ; le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81) ; il rapporto del Dipartimento di Stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93) ; le altre fonti di informazione relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).
20.  Dopo la pronuncia della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione del citato rapporto dedicata alla Tunisia sono contenute nella sentenza Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34, ... 2009).17.  Nella risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, fra l’altro, « di non rinviare o trasferire detenuti, basandosi su « assicurazioni diplomatiche » di paesi noti per il loro ricorso sistematico alla tortura e comunque in tutti i casi in cui non sia stata assolutamente accertata l’assenza del rischio di maltrattamenti ».

IN DIRITTO

I.  SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

22.  Il ricorrente ritiene che l’esecuzione della misura di espulsione lo esporrebbe al rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione, di cui segue il testo :
« Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti »
23.  Il Governo si  oppone a questa tesi.

A.  Sull’ammissibilità

18.  La Corte constata che il motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non ravvisa nessun altro motivo di inammissibilità. Il motivo di ricorso viene dunque dichiarato ammissibile.

B.  Nel merito

1.  Argomenti  delle  parti
a)  Il ricorrente

25.  Il ricorrente rimanda alle inchieste di Amnesty International e del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, le quali dimostrerebbero che la tortura è praticata in Tunisia e che alcune persone sospettate di terrorismo ed espulse verso il suddetto Stato sono semplicemente scomparse.  Egli cita l’esempio di un compatriota espulso dall’Italia verso la Tunisia, il sig. Loubiri, la cui pena sarebbe stata aumentata da dieci a trenta anni, senza che il medesimo avesse la possibilità di essere ascoltato in udienza, né di comunicare con la famiglia. Egli riferisce altresì il caso di un giovane uomo, il sig. Hichem Ben Said Ben Frej, il quale, il 10 ottobre 2006, si sarebbe gettato dalla finestra di un commissariato poco prima di un interrogatorio. L'avvocato del sig. Ben Frej avrebbe spiegato che il suo cliente era rimasto detenuto per venticinque giorni nelle celle del Ministero degli Interni a Tunisi, dove era stato sottoposto a torture selvagge. Il ricorrente sottolinea che numerosi articoli di stampa denunciano la condizione dei detenuti politici e delle loro famiglie.
26.  Secondo il ricorrente, la semplice citazione dei trattati internazionali firmati dalla Tunisia non sarebbe sufficiente a garantire l’assenza di rischi di violazione del diritto convenzionale. La famiglia del ricorrente avrebbe subito minacce e provocazioni continue da parte delle forze di polizia, le quali si sarebbero spesso presentate al domicilio familiare, come è prassi costante nel caso degli oppositori politici. Gli amici del ricorrente avrebbero ottenuto l’autorizzazione a recarsi in Italia, solo a fronte della promessa di fornire informazioni su di lui ; le autorità tunisine negherebbero dal 2004 il rinnovo del passaporto del ricorrente.  
27.  Il ricorrente afferma di non avere alcun rapporto con organizzazioni politiche. A suo parere, le persone sospettate di terrorismo in Europa, dopo l’espulsione verso la Tunisia, sono sistematicamente sottoposte a nuovo giudizio dinanzi ad un tribunale militare per il medesimo reato. 
b)  Il Governo
28.  Il Governo sottolinea che le denunce relative ad un pericolo di morte o al rischio di tortura o di trattamenti inumani e degradanti devono basarsi su adeguati elementi di prova e ritiene che ciò non sia avvenuto nel caso di specie, dal momento che il ricorrente si è limitato a descrivere una presunta situazione generalizzata in Tunisia. Esso ritiene che i casi citati dal ricorrente non siano pertinenti ed afferma che gli articoli di stampa non hanno valore probatorio in una controversia giudiziaria e che la possibilità di richiedere lo status di rifugiato non implica la certezza di ottenerlo.
29.  Il Governo rileva altresì che la Tunisia ha ratificato diversi strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo, incluso un accordo di associazione con l’Unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume offra una tutela dei diritti fondamentali « equivalente » a quella assicurata dalla Convenzione. Esso sottolinea peraltro che le autorità tunisine consentono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni. 
30.  Secondo il Governo, è presumibile che la Tunisia non si sottrarrà agli obblighi derivanti dai trattati internazionali sottoscritti. Inoltre, le garanzie per l’individuo previste dal  sistema giuridico italiano – inclusa la possibilità di ottenere lo status di rifugiato -  renderebbero «praticamente impossibile» un respingimento contrario alle esigenze della Convenzione.  
31.  Il Governo rimanda alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, che costituirebbero il risultato di un dialogo intergovernativo estremamente fruttuoso. Tali assicurazioni tutelerebbero adeguatamente il ricorrente dal rischio di subire in Tunisia trattamenti vietati dalla Convenzione.
192. Esso sottolinea che le autorità tunisine hanno inviato, unitamente alle citate assicurazioni, una « lunga e rassicurante spiegazione, in fatto e in diritto, dei motivi per i quali vi si può prestar fede », e ritiene che la loro buona fede non può essere messa in dubbio. Il Governo aggiunge che il rispetto effettivo di tali assicurazioni potrà essere verificato nel corso dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, nonché nel corso delle visite degli avvocati e dei familiari del ricorrente.
33.  Secondo il Governo, l'impossibilità per il rappresentante del ricorrente nella procedura dinanzi alla Corte di vedere il suo cliente, in caso di carcerazione in Tunisia, si spiega con il fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe dunque ragionevole impedire le visite di avvocati stranieri, operanti al di fuori dell’ambito nazionale ed internazionale nel quale è inserita la Tunisia. In proposito, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, conferire un mandato ad avvocati tunisini di sua scelta, affinché questi procedano, in collaborazione con omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinanzi alla Corte.
34.  A parere del Governo, le assicurazioni  fornite dalla Tunisia sono tranquillizzanti in riferimento alla sicurezza ed al benessere del ricorrente, nonché al rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che, nella citata causa Saadi, la Corte stessa ha chiesto se tali assicurazioni fossero state chieste ed ottenute, il Governo ritiene che i principi affermati dalla Grande Camera debbano essere adattati  alle particolari circostanze di fatto del presente caso, senza essere rimessi in discussione.

2.  Valutazione della Corte

20.  I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi di valutazione del rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione ed alla nozione di « tortura » e di « trattamenti inumani e degradanti » sono riassunti nella sentenza Saadi (cit., §§ 124-136), nella quale la Corte ha affermato ancora una volta l’impossibilità di una comparazione tra il rischio di maltrattamenti e le motivazioni addotte per l’espulsione, al fine di stabilire la responsabilità di uno Stato ai sensi dell’articolo 3 (§§ 137-141).
36.  La Corte ricorda le conclusioni alle quali è pervenuta nella summenzionata causa  Saadi (§§ 143-146), di seguito esposte :
- i testi internazionali pertinenti riportano numerosi e costanti casi di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo ;
- detti testi descrivono una situazione preoccupante ;
- le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa negli istituti di detenzione tunisini non possono eliminare il rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
37.  La Corte non ravvisa nel caso di specie alcuna ragione per rimettere in discussione tali conclusioni, che peraltro trovano conferma nel rapporto 2008 di Amnesty International sulla Tunisia (si veda il precedente paragrafo 18). Essa rileva inoltre che in Italia il ricorrente è stato accusato di appartenere ad una organizzazione terrorista integralista (si veda il precedente paragrafo 11).
38.  In queste circostanze, la Corte ritiene sussistente nel caso di specie, sulla base di fatti seri ed accertati, il rischio che il ricorrente subisca trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione, qualora il medesimo venga espulso verso la Tunisia (si veda, mutatis mutandis, Saadi, cit., § 146). Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine possano scongiurare tale rischio.
39.  Al riguardo, la Corte ricorda in primo luogo che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali, i quali in linea di principio garantiscano il rispetto dei diritti fondamentali, non sono di per sé sufficienti ad assicurare una adeguata protezione dal rischio di maltrattamenti, qualora, come nel caso di specie, delle fonti affidabili riferiscano di pratiche, poste in essere o tollerate dalle autorità, manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, cit., § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni fornite dallo Stato di destinazione costituiscano, nella loro effettiva applicazione, una garanzia sufficiente di protezione del ricorrente dal rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno-Unito, Raccolta di sentenze e decisioni 1996 V, § 105, 15 novembre 1996). L’importanza da attribuire alle assicurazioni fornite dallo Stato di destinazione dipende in effetti, in ciascun caso, dalle circostanze prevalenti nell’epoca in questione (Saadi, cit., § 148 in fine).
40.  Nel caso di specie, l'avvocato generale presso la direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che in Tunisia la dignità umana del ricorrente sarebbe rispettata, che egli non sarebbe sottoposto a tortura, né a trattamenti inumani o degradanti, né a detenzione arbitraria, che  disporrebbe di cure mediche appropriate e che potrebbe ricevere le visite del suo avvocato e dei suoi familiari. Oltre alle leggi tunisine pertinenti ed ai trattati internazionali sottoscritti dalla Tunisia, dette assicurazioni si basano sui seguenti elementi :
- i controlli effettuati dal giudice dell’esecuzione penale, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai funzionari dell’ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell'uomo ;
- due casi di condanne inflitte ad agenti dell’amministrazione penitenziaria e ad un agente di polizia per maltrattamenti ;
- la giurisprudenza interna, secondo la quale una confessione estorta con la forza è nulla.
41.  La Corte rileva, tuttavia, che non è certo che l’avvocato generale presso la direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente a fornire assicurazioni a nome dello Stato (si veda, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008). Inoltre, tenuto conto del fatto che fonti internazionali serie ed affidabili hanno riferito che le denunce di maltrattamenti non erano state oggetto di esame da parte delle competenti autorità tunisine (Saadi, cit., § 143), la semplice menzione dei due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni personali ai danni di detenuti non appare sufficiente a scongiurare il rischio di tali trattamenti, né a convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione dalla tortura, in mancanza del quale è difficile verificare se le assicurazioni fornite possano essere rispettate. Al riguardo, la Corte ricorda il rapporto 2008 relativo alla Tunisia di Amnesty International, nel quale si precisava in particolare che, nonostante molti detenuti abbiano denunciato di essere stati torturati durante il periodo di fermo,  « le autorità non hanno mai condotto delle inchieste, né adottato qualsiasi tipo di misura per sottoporre a giudizio i presunti torturatori ».
42.  Inoltre, nella summenzionata sentenza Saadi (§ 146), la Corte ha constatato una riluttanza da parte delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel citato rapporto del 2008, Amnesty International ha d’altronde rilevato che, sebbene sia stato incrementato il numero dei membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo,  quest’ultimo « non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali ». L'impossibilità per il rappresentante del ricorrente nella procedura dinanzi alla Corte di incontrare il suo cliente in caso di carcerazione in Tunisia conferma la difficoltà di contatto fra i prigionieri tunisini e gli avvocati stranieri indipendenti, anche qualora i primi siano parti di un procedimento dinanzi ad autorità giudiziarie internazionali. I tunisini rischiano dunque, una volta espulsi verso la Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la loro situazione e di essere informati su eventuali motivi di ricorso che potrebbero essere addotti in relazione ai trattamenti subiti (Ben Khemais, cit., § 63).
43.  In queste circostanze, la Corte non condivide la tesi del Governo secondo la quale le assicurazioni fornite nel caso di specie offrono una protezione efficace dal serio rischio che il ricorrente possa essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Soldatenko cit., §§ 73-74). Essa rimanda invece al principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nella risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono essere sufficienti, nel caso in cui non sia dimostrata con certezza l’assenza di pericolo di maltrattamenti (si veda il precedente paragrafo 24).
44.  Pertanto, il provvedimento di espulsione dell’interessato verso la Tunisia, qualora venisse eseguito, costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

II.  SULL’ADDOTTA  VIOLAZIONE  DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

45.  Il ricorrente afferma che la sua espulsione verso la Tunisia lo priverebbe dei legami affettivi instaurati nel corso dei numerosi anni trascorsi in Italia. Egli invoca l'articolo 8 della Convenzione, che nella parte pertinente sancisce quanto segue :
« 1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…)
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, (…) alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati
(…) »
46.  Il Governo ritiene che tale motivo di ricorso non debba essere accolto.
47.  La Corte ritiene che il motivo di ricorso sia ammissibile (Saadi, cit., § 163). Tuttavia, avendo constatato che l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (si veda il precedente paragrafo 43) e non avendo motivo di dubitare che il governo convenuto si conformerà alla presente sentenza, essa non reputa necessario chiarire l’eventuale sussistenza di una violazione dell’articolo 8 della Convenzione in caso di espulsione verso la Tunisia (Saadi, cit., § 170).

III.  SULL’ADDOTTA  VIOLAZIONE  DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO  No 7

48.  Il ricorrente ricorda di essere uno « straniero con regolare residenza » in Italia ed afferma che l’esecuzione del provvedimento di espulsione violerebbe l’articolo 1 del Protocollo no 7, di cui segue il testo :
« 1.  Uno straniero regolarmente residente sul territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter :
a)  far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione,
b)  far esaminare il suo caso, e
c)  farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o ad una o più persone designate da tale autorità.
2.  Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enunciati al paragrafo 1. a), b) c) del presente articolo, qualora tale espulsione sia necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale. »
49.  Il Governo contesta questa tesi. Esso sostiene che il ricorrente ha beneficiato delle garanzie procedurali previste dal Protocollo no 7, in quanto il medesimo era rappresentato da un avvocato di sua scelta, il quale ha potuto far valere dinanzi al giudice di pace le ragioni contrarie all’espulsione. Il Governo aggiunge che la presente espulsione si basa su motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. 
50.  La Corte osserva che l'espulsione del ricorrente, disposta dal ministro degli Interni, è stata esaminata dal giudice di pace di Milano, che poteva annullarla o confermarla (si veda il precedente paragrafo 10). Dinanzi al summenzionato giudice, l’interessato ha usufruito di garanzie procedurali sufficienti ed ha avuto la possibilità di esporre gli argomenti contrari alla sua espulsione.
51.  In queste circostanze, non si ravvisa alcuna violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 7.
52.  Ne consegue che tale motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
53.  Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette, se non in modo imperfetto, di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »
A.  Danni
54.  Il ricorrente chiede 10 000 euro a titolo di risarcimento del danno materiale che egli ritiene di aver subito. Il  medesimo dichiara che tale somma corrisponde al mancato guadagno conseguente al periodo di detenzione nel centro di permanenza temporanea di Milano. Egli chiede inoltre 50 000 euro a titolo di risarcimento del danno morale.
55.  Il Governo ricorda che l’espulsione del ricorrente non è stata eseguita e ritiene singolare che uno straniero, il quale abbia infranto le regole del Paese di accoglienza, possa ottenere un risarcimento a seguito di un legittimo decreto di respingimento. La detenzione del ricorrente sarebbe del resto conforme alla legislazione nazionale e non sussisterebbe alcun nesso di causalità tra il danno contestato e la condotta dello Stato. 
56.  La Corte ricorda di poter riconoscere la corresponsione di una somma a titolo di equa soddisfazione, di cui all’articolo 41, qualora la perdita o i danni addotti siano la conseguenza della violazione constatata, mentre lo Stato non è tenuto a versare delle somme per danni che non possono essergli imputati (Perote Pellon c. Spagna, no 45238/99, § 57, 25 luglio 2002).
57.  Nel caso di specie, la Corte ha constatato che l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Tuttavia, essa non ravvisa violazioni della Convenzione dovute alla privazione della libertà subita dall’interessato. Di conseguenza, essa non ravvisa alcun nesso di causalità tra la violazione constatata nella presente sentenza ed il danno materiale addotto dal ricorrente  (Saadi, cit., § 187).
58.  Per quanto concerne il danno morale subito dal ricorrente, la Corte ritiene che l’aver constatato che l’espulsione, in caso di sua esecuzione, costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione rappresenta un’equa soddisfazione sufficiente (Saadi, cit., § 188).
B.  Spese procedurali
59.  Il ricorrente chiede altresì 15 266,13 euro a titolo di rimborso delle spese sostenute nella procedura dinanzi alla Corte.
60.  Il Governo reputa eccessiva tale somma.
61.  Secondo la giurisprudenza costante della Corte, le spese procedurali sostenute dal ricorrente possono essere rimborsate solo qualora esse siano certe, risultino necessarie ed il loro importo sia ragionevole (Belziuk c. Polonia, Raccolta 1998-II, § 49, 25 marzo 1998).
62.  Deliberando in via equitativa, la Corte concede al ricorrente la somma di 5 000 euro a titolo di rimborso delle spese procedurali, dalla quale va detratto l’importo di 850 euro, che il medesimo ha percepito dal Consiglio d’Europa a seguito dell’ammissione al gratuito patrocinio, giungendo così ad una somma di 4 150 euro, unitamente ad ogni altra somma eventualmente dovuta a titolo di imposta.
C.  Interessi di  mora
63.  In relazione agli interessi di mora, la Corte ritiene opportuno applicare un tasso pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali.

PER QUESTI  MOTIVI, LA  CORTE,  ALL’UNANIMITA’,

1.  Dichiara ammissibile il ricorso per quanto concerne le doglianze basate sugli articoli 3 e 8 della Convenzione ed inammissibile per le restanti parti;

2. Dichiara che, nell’eventualità dell’esecuzione del provvedimento di espulsione del ricorrente verso la Tunisia, si produrrebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione ;

3.  Dichiara che non vi è necessità di verificare se l’esecuzione del provvedimento di espulsione del ricorrente verso la Tunisia comporterebbe altresì una violazione dell’articolo 8 della Convenzione ;

4.  Dichiara che la constatazione di una violazione costituisce una equa soddisfazione sufficiente per il risarcimento del danno morale subito dal ricorrente ;

5.  Dichiara
a)  che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la presente sentenza diverrà definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 150 euro (quattromilacentocinquanta euro), a titolo di rimborso delle spese procedurali, unitamente ad ogni altra somma eventualmente dovuta a titolo di imposta ;
b)  che a partire dalla scadenza del suddetto termine e fino al versamento, la predetta somma sarà maggiorata da un interesse semplice, il cui tasso sarà pari a quello  delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, applicato nel periodo in questione, aumentato di tre punti percentuali ;

6.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione per le restanti parti.

Fatto in francese, comunicato per iscritto in data 24 marzo 2009, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
 
Sally Dollé                                Françoise Tulkens
 Cancelliere                              Presidente

Roma, 11 maggio 2009

Per traduzione conforme
La traduttrice