Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 aprile 2009 - Ricorso n.19537/03 - Clemeno ed altri c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Carnevali

Diritto al rispetto della vita privata e familiare  - adozione.

 Nel 1997 il Tribunale per i Minorenni di Milano aveva dichiarato lo stato di adottabilità di una minore,   a seguito dell’iniziativa del P.M. che aveva ritenuto  procedere  alla tutela della stessa,  dal momento che il padre era stato rinviato a giudizio per abusi commessi nei confronti di altra familiare minore. I genitori  venivano sospesi dall’esercizio della potestà,  interrompendo così i rapporti tra il nucleo familiare e la  bambina,   ordinandone   il  collocamento in famiglia.
Intervenuta la sentenza assolutoria in appello nei confronti del padre,  da parte dei giudici non  si ritenne  che  la conclusione del procedimento penale potesse esplicare effetti ripristinatori dei rapporti tra la minore e i genitori.
La Corte di Cassazione. escludendo la violazione dell’art. 8 della Cedu aveva rigettato il ricorso dei genitori.
Adita  la Corte Europea i genitori e gli altri loro figli hanno ottenuto la condanna dell’Italia in relazione all’art. 8, avendo la Corte ritenuto che se la decisione di interrompere i rapporti con la famiglia di origine poteva dirsi corretta nella prima fase del procedimento,  nell’intento di tutelare la minore,  dopo l’assoluzione del padre la decisione di interrompere i rapporti con la famiglia naturale,  in particolare la madre ed i fratelli,  intervenuta con il provvedimento di  adottabilità  della minore,  non poteva  trovare  condivisione.

 La sentenza è divenuta definitiva il giorno 6  aprile 2009 ( ex art. 44 § 2  della Convenzione).  

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CAUSA CLEMENO E ALTRI c. ITALIA (Ricorso no 19537/03)

SENTENZA

STRASBURGO 21 ottobre 2008

DEFINITIVA 06 aprile 2009

Questa sentenza può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Clemeno e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione) riunita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Antonella Mularoni,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 29 settembre 2008,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (no 19537/03) diretto contro la Repubblica italiana da parte di dodici cittadini di questo Stato, la signora Raffaella Clemeno (la «prima ricorrente») e il signor Salvatore Lucanto (il «secondo ricorrente»), genitori di Francesco (il « terzo ricorrente») e di Y, che agivano anche in nome di Y (la «quarta ricorrente»). Gli «altri otto ricorrenti» sono i signori Maurizio ed Eugenio Clemeno, Vincenzo Piccolo e Alfredo Castagna, zii materni di Y, nonché le signore Carmela Spina, nonna materna di Y, Laura Lorrai, Giuseppina e Vincenza Clemeno, zie materne di Y. I ricorrenti hanno adito la Corte il 19 giugno 2003 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.   L’11 gennaio 2007  Y, che  nel frattempo è diventata maggiorenne, ha dichiarato di voler aderire al ricorso facendo proprie tutte le considerazioni di fatto e di diritto che erano già state esposte.
3.  I ricorrenti sono rappresentati dall’avvocato R. Scudieri del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, I.M. Braguglia, R. Adam, E. Spatafora, dai suoi coagenti, V. Esposito e F. Crisafulli, e dal suo coagente aggiunto, N. Lettieri.
4.  I ricorrenti sostenevano che alcune decisioni giudiziarie ingiuste avevano portato all’allontanamento, all’affidamento ed alla dichiarazione di adottabilità di Y. Essi denunciano anche la mancanza di equità e la durata delle procedure.
5.  Il 23 maggio 2006, la Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso di esaminare congiuntamente la ricevibilità ed il merito della causa.

IN FATTO

I.  LE CIRCONSTANZE DELLA FATTISPECIE
6.   I primi due ricorrenti sono nati nel 1961, il terzo ricorrente è nato nel 1983 e la quarta ricorrente è nata nel 1988. Risiedono a Milano. Gli altri otto ricorrenti sono nati tra il 1939 ed il 1971. 
7.  Il 28 maggio 1993, X, una bambina di circa di 13 anni e cugina di Y, dichiarò al procuratore della Repubblica di Milano che dall’età di 5 anni aveva subìto abusi sessuali da parte di sei membri della sua famiglia, in particolare i suoi genitori, i suoi due fratelli e i suoi due zii paterni, A.C. e Salvatore Lucanto, padre di Y.
8.  Il 29 maggio 1993, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Milano dispose l’allontanamento di X dalla sua famiglia e la affidò ad un centro d’accoglienza. Con una decisione dell’11 giugno 1993, il tribunale per i minorenni di Milano confermò questa decisione. 
9.  Con una lettera indirizzata al tribunale per i minorenni di Milano il 1° gennaio 1995, X dichiarò di temere che anche sua cugina Y fosse rimasta vittima di abusi e violenze sessuali da parte delle stesse persone. Il 7 luglio 1995, il tribunale per i minorenni dispose l’esecuzione di una perizia psicologica su Y e su suo fratello Francesco. Il perito nominato d’ufficio incontrò i due ragazzi più volte, alcune delle quali in presenza del perito nominato dai sei sospettati. Nel suo rapporto preliminare depositato il 24 novembre 1995, il primo perito ritenne che Y soffrisse di turbe emotive e che avesse un comportamento compatibile con quello di una ragazza che aveva subìto abusi sessuali. Per quanto riguarda Francesco, il perito dichiarò di non aver riscontrato alcun comportamento che rivelasse abusi subìti.
10.  Il 24 novembre 1995 il tribunale per i minorenni dispose la presa in carico di Y da parte dei servizi sociali direttamente da scuola e il suo collocamento in un centro di accoglienza per bambini (vedere successivo paragrafo 17).

1.  Il procedimento penale a carico del secondo ricorrente 
11.  In una data non precisata, in ragione delle accuse di abusi e violenze sessuali, fu avviato un procedimento penale innanzi al tribunale di Milano contro le sei persone indicate da X. 
12.  Con una decisione del 21 marzo 1995, il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Milano rinviò a giudizio i sei imputati.
13.  Il 26 gennaio 1996, tenuto conto della gravità delle accuse e del potenziale rischio di reiterazione di abusi sessuali su sua figlia Y, il secondo ricorrente fu sottoposto a custodia cautelare in carcere. 


14.  Con una sentenza del 20 marzo 1997, il cui testo fu depositato in cancelleria il 10 ottobre 1997, il tribunale di Milano dichiarò i sei imputati colpevoli di abusi e violenze sessuali. Quanto al secondo ricorrente, il tribunale lo dichiarò colpevole di abusi sessuali su sua figlia Y e su X, lo condannò a 13 anni di reclusione e al pagamento di 100.000.000 di lire italiane (ossia 51.645,69 euro) e lo dichiarò decaduto dalla potestà genitoriale su Y. In una data non precisata, in ragione della condanna di suo marito, la prima ricorrente manifestò incatenandosi davanti al centro di accoglienza al quale sua figlia era stata affidata. 
In seguito, le sei persone adirono la corte d’appello di Milano contestando la credibilità delle dichiarazioni di X. In particolare, esse affermarono che le anomalie del comportamento della giovane ragazza e le sue condizioni mentali instabili richiedevano un’analisi psicologica approfondita per accertare la sua capacità a testimoniare. Esse dichiararono che le accuse di X erano il prodotto della fantasia della giovane ragazza, con le quali aveva voluto punire alcuni membri della sua famiglia per averla trascurata. Inoltre, sostennero che sia il perito d’ufficio che la polizia avevano raccolto le dichiarazioni di X in modo non corretto, non critico e non professionale. Per cui domandarono una nuova perizia. Il 28 maggio 1998, il secondo ricorrente fu rimesso in libertà.
15. Con una sentenza emessa il 9 dicembre 1999, la corte d’appello di Milano prosciolse cinque delle sei persone, fra le quali il secondo ricorrente, perché il fatto non sussisteva. Secondo la giurisdizione, tenuto conto della giovane età, della conflittualità e del comportamento di X dopo le sue dichiarazioni, queste ultime non potevano essere considerate credibili. In particolare, l’incongruità e la mancanza di logica delle dichiarazioni di X erano sufficienti per dimostrare la mancanza di credibilità. Per quanto riguarda le dichiarazioni di Y, la corte d’appello rilevò che quest’ultima non aveva mai accusato suo padre prima del suo affidamento del 24 novembre 1995 e che le sue dichiarazioni non erano state confermate da suo fratello. 
In una data non precisata, la procura propose ricorso per cassazione rilevando soprattutto la mancanza di logica e di coerenza nella motivazione della sentenza del 9 dicembre 1999. Secondo la procura, da una parte, le dichiarazioni di X erano credibili e, dall’altra, quelle di Y erano state valutate parzialmente e in modo sbagliato. A tale proposito essa rilevava che il rapporto depositato il 16 maggio 2001 dai periti di ufficio nell’ambito della procedura di adottabilità di Y aveva confermato le dichiarazioni di quest’ultima.
16.  La Corte di cassazione rigettò il ricorso con sentenza del 26 giugno 2001, depositata in cancelleria il 19 settembre 2001.
2.  La procedura innanzi al tribunale per i minorenni di Milano
17.  Decidendo sull’affidamento di Y il 24 novembre 1995, il tribunale per i minorenni di Milano aveva anche deciso di interrompere i contatti di quest’ultima con i suoi genitori e suo fratello (vedere precedente paragrafo 10). L’opposizione introdotta dai genitori fu respinta il 6 dicembre 1995.
18. Nella perizia conclusiva, depositata nel febbraio 1996, il perito d’ufficio attestò il “profondo malessere” di Y: la bambina aveva dichiarato di aver subìto abusi da parte di suo padre e aveva avuto comportamenti “compatibili“ con fatti traumatizzanti. I test ai quali Y era stata sottoposta  avevano mostrato che i genitori non erano ritenuti in grado di poterla proteggere e rassicurare.
19.  Nell’ambito della procedura tesa a dichiarare l’adottabilità di Y, il tribunale per i minorenni nominò un nuovo perito incaricato di definire la “struttura della personalità della madre” di Y e di stabilire se questa avrebbe potuto recuperare il suo “ruolo di genitore”.
Nel maggio 1997, lo stesso tribunale rigettò la domanda con la quale il secondo ricorrente chiedeva che la perizia venisse estesa anche a lui, a suo figlio ed agli altri otto ricorrenti.
20.  Il 24 aprile 1997, il tribunale, tenuto conto del rapporto del perito e del comportamento dei due genitori conseguente all’allontanamento della loro figlia, convinto della necessità di fornire ad Y una situazione familiare stabile dopo un anno e mezzo passato in un centro di accoglienza, dichiarò la bambina adottabile. 
Nella decisione, il tribunale considerò la manifestazione messa in atto dalla prima ricorrente davanti al centro di accoglienza dove si trovava sua figlia contraria ai doveri di una madre responsabile e pregiudizievole per la minore. Secondo il tribunale questo comportamento aveva dimostrato da una parte, il sostegno ingiustificato per suo marito e, dall’altra, la sua incapacità a comprende i bisogni più profondi di Y.
21.  Il 14 novembre 1997, i genitori di Y domandarono a titolo principale la sospensione della procedura in attesa dell’esito definitivo del procedimento penale o, almeno, della fine della fase di appello. Il 17 dicembre 1997, il tribunale rigettò questa domanda. Confermando lo stato di adottabilità di Y, il tribunale dichiarò i due genitori decaduti dall’autorità genitoriale e ordinò l’affidamento della bambina ad una famiglia di accoglienza.
22.  Il 13 ed il 14 febbraio 1998, i ricorrenti impugnarono questa decisione. Essi contestarono soprattutto la mancanza di equità, la carenza di motivazione della decisione di allontanamento di Y e denunciarono il fatto che quest’ultima fosse stata affidata a terzi nonostante il procedimento penale fosse a carico soltanto del secondo ricorrente.
Il tribunale per i minorenni affidò ad un collegio di tre periti l’incarico di svolgere una nuova perizia per conoscere la situazione attuale di Y, il suo vissuto, il livello di equilibrio e lo sviluppo psichico ed affettivo raggiunto. Y venne anche ascoltata dal tribunale. 
23.  Con una decisione depositata il 10 ottobre 2001, il tribunale per i minorenni rigettò la domanda dei genitori e del fratello di Y. Dichiarò inoltre inammissibile la domanda degli altri otto ricorrenti da una parte per mancanza di legittimità ad agire e, dall’altra, perché era evidente che a partire dall’allontanamento della bambina e fino all’opposizione proposta avverso la decisione del 17 dicembre 1997 non avevano mai mostrato alcun interesse per la sorte della loro nipote Y. 
24.  Nel frattempo, il 17 novembre 1998, il tribunale per i minorenni di Milano aveva disposto l’allontanamento e l’affidamento di Francesco ai servizi sociali. Il 19 aprile 2000, tenuto conto della sua età e del sostegno mostrato in favore di suo padre, la corte d’appello di Milano ritenne ingiustificate queste misure e annullò la decisione del tribunale. 
25.  Con ricorsi presentati il 9, 17 e 22 novembre 2001, i ricorrenti si rivolsero alla corte d’appello di Milano. I genitori di Y domandarono l’annullamento della decisione che dichiarava adottabile la loro figlia, ritenendo che non rispettasse i loro diritti di genitori, tanto più che la sentenza del 26 giugno 2001 della Corte di cassazione aveva definitivamente confermato il proscioglimento del secondo ricorrente. Essi contestarono, da una parte, la validità delle perizie d’ufficio perché né loro stessi, né il perito che avevano nominato avevano potuto partecipare alle audizioni di Y e, dall’altra parte, l’imparzialità dei periti. Infine, essi domandarono di ottenere l’affidamento di Y. I due tutori di Y vi si opposero. 
Il 7 febbraio 2002, la corte d’appello rigettò le domande dei ricorrenti. In merito all’imparzialità dei periti d’ufficio, essa ritenne che la loro nomina era stata legittima e che nelle perizie da loro consegnate non vi era nulla che potesse giustificare una qualche omissione ai loro doveri di imparzialità e di probità. Tenuto conto delle relazioni familiari difficili descritte nelle perizie, dell’evidente malessere provato da Y di fronte ai suoi genitori e tenuto conto dell’incapacità di quest’ultimi di instaurare con la propria figlia un normale rapporto familiare, la corte d’appello rifiutò di concedere la custodia di Y ai suoi genitori. Per quanto riguarda il contrasto tra l’esito del procedimento penale e le decisioni del tribunale per i minorenni, la corte d’appello, sottolineando la totale indipendenza degli oggetti dei due procedimenti e nell’interesse superiore della bambina, ritenne sufficientemente motivata e corretta la decisione che dichiarava Y adottabile. Infine, rigettò i ricorsi presentati dagli altri otto membri della famiglia di Y che considerò incapaci di prendersi cura della minore. 
26.  Il 27 marzo 2002, i ricorrenti proposero ricorso per cassazione. Denunciando la mancanza di equità della decisione della corte d’appello, domandarono infine che Y venisse loro affidata.
Con una sentenza del 25 novembre 2002, il cui testo fu depositato in cancelleria il 19 dicembre 2002, la Suprema Corte rigettò la domanda dei genitori e del fratello di Y e dichiarò inammissibile il ricorso degli altri otto ricorrenti. 
27.  Divenuta maggiorenne nel dicembre 2006, Y è ritornata spontaneamente presso la sua famiglia naturale ed ha comunicato alla cancelleria della Corte la sua volontà di aderire al ricorso, facendo proprie tutte le ragioni di fatto e di diritto che erano state esposte. 
3.  La procedura « Pinto »
28.  Il 19 giugno 2003, i ricorrenti adirono la corte d’appello di Brescia ai sensi della legge n° 89 del 24 marzo 2001 detta “legge Pinto” per lamentare la durata dei procedimenti civili. Essi domandarono alla corte d’appello di dichiarare che vi era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato italiano al risarcimento dei danni morali e materiali che sostenevano aver subìto.
Con una decisione del 5 novembre 2003, la corte d’appello respinse le domande dei ricorrenti. Essa rilevò che, tenuto conto delle numerose domande introdotte innanzi alle diverse autorità giudiziarie, della complessità dell’oggetto delle cause e del numero delle autorità giudiziarie adite, la durata non poteva essere considerata eccessiva.
Il 25 gennaio 2005, i ricorrenti proposero ricorso per cassazione. Alla data del 21 gennaio 2007 il procedimento era ancora pendente innanzi alla Suprema Corte.
II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
29.  Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti l’adozione figurano nelle sentenze Bronda c. Italia (Rec. 1998-IV, fasc. 77, 9 giugno 1998, §§ 36-43) e Roda e Bonfatti c. Italia (no 10427/02, del 21 novembre 2006, §§ 77-78), mentre quelle che vertono sulla decadenza dalla potestà genitoriale figurano nella sentenza Covezzi e Morselli c. Italia (no 52763/99, 9 maggio 2003, §§ 71-76).

IN DIRITTO

I.  SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO
30. Per quanto riguarda i primi tre ricorrenti, nelle sue osservazioni del 23 ottobre 2006, il Governo sostiene che, nelle cause che hanno ad oggetto l’allontanamento del minore dalla sua famiglia di origine, i genitori di quest’ultimo non possono introdurre un ricorso a suo nome, dal momento che in tali situazioni gli interessi degli uni e degli altri sono distinti, addirittura contraddittori. Se tutte le persone interessate hanno lo stesso diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, questo diritto per i genitori si concretizzerebbe nell’interesse a riavere con sé il minore, mentre per quest’ultimo potrebbe sicuramente consistere nel mantenere la situazione di allontanamento dalla sua famiglia. 
In tale contesto non si può accettare l’idea che una sola di queste due posizioni sia posta all’attenzione di un organo giudiziario e che all’altra posizione venga impedito di esprimersi. 
Per quanto riguarda gli altri otto ricorrenti, allegando la mancanza di un legame familiare effettivo con la minore ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, il Governo non vede a quale titolo queste persone potrebbero essere autorizzate a rappresentare gli interessi della minore innanzi alla Corte, tanto più che le loro domande di partecipare alle procedure interne sono state regolarmente respinte dalle autorità giudiziarie adite. In conclusione, il ricorso presentato a nome di Y dai ricorrenti, che difendono il loro interesse e non quello della ragazza, sarebbe per questa parte irricevibile. 
31.  La Corte nota innanzitutto che il Governo non contesta l’esistenza di legami familiari tra i primi tre ricorrenti e Y, legami che rientrano nella nozione di vita familiare ai sensi dell’articolo 8. 
32. Inoltre, nella fattispecie, Y è diventata maggiorenne il 24 dicembre 2006 e, con una lettera inviata l’11 febbraio 2007 alla cancelleria della Corte, ha dichiarato di voler aderire al presente ricorso, facendo sue tutte le considerazioni di fatto e di diritto che sono state esposte. Di conseguenza l’eccezione del Governo sollevata a tale proposito non può essere tenuta in considerazione. 
33.  Per quanto riguarda gli altri otto ricorrenti, la Corte d’appello ricorda innanzitutto di aver riconosciuto che la nozione di vita familiare “include almeno i rapporti tra parenti stretti, i quali possono svolgere un ruolo considerevole”, per esempio, quelli tra nonni e nipoti (Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1974, serie A no 31, § 45, e Bronda c. Italia, succitata, § 51). Inoltre, nella causa Ticli e Mancuso c. Italia (no 38301/97 del 23 marzo 1999), riguardante i rapporti tra un minore e sua nonna e sua zia  da parte di padre, la Corte ha dichiarato che “per un genitore e suo figlio, essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare (...).  Essa ritiene che lo stesso vale anche per i rapporti tra un bambino e i membri della famiglia di suo padre”.
Comunque sia, nella fattispecie questi otto ricorrenti si sono limitati a denunciare una violazione del loro diritto ad una vita familiare. La Corte non scorge ragioni convincenti che possano rimettere in discussione le conclusioni delle autorità nazionali le quali hanno ritenuto che essi non avrebbero mostrato interesse per la sorte di Y (precedente paragrafo 23) a partire dal suo allontanamento fino all’opposizione proposta avverso la decisione del 17 dicembre 1997.
Ne consegue che la parte del ricorso concernente questi altri otto ricorrenti deve essere respinta perché manifestamente infondata conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

II.   SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 1, 3, 6, 8, 10 E 13 DELLA CONVENZIONE
34.  Invocando gli articoli 1, 3, 6 e 8 della Convenzione, i primi quattro ricorrenti contestano in primo luogo la decisione di separarli in mancanza di qualsiasi elemento concreto a loro carico e senza che siano stati ascoltati. Essi si lamentano inoltre, sotto diversi aspetti, dell’attuazione della decisione di allontanamento e delle modalità della presa in carico di Y da parte dei servizi sociali. In particolare, invocando l’articolo 3 della Convenzione, essi contestano la brutalità dell’esecuzione dell’allontanamento, l’interruzione protratta dei loro rapporti e la decisione di dichiarare Y adottabile. La decisione delle autorità giudiziarie italiane di privarli dell’autorità genitoriale sulla propria figlia avrebbe quindi leso il loro diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione. A tale proposito essi sostengono che le autorità nazionali non hanno agito in maniera adeguata per prevenire o ridurre le conseguenze di questa mancanza.
35. I ricorrenti contestano la necessità dell’ingerenza e denunciano alcuni aspetti dei rapporti peritali richiesti dalle autorità giudiziarie interne. Contestano poi che i periti non hanno esaminato in maniera approfondita l’esistenza di altre soluzioni che avrebbero permesso di evitare una revoca totale della loro autorità genitoriale. In effetti si lamentano soprattutto del fatto che, nonostante mancassero sospetti credibili di abusi sessuali e una condanna definitiva del padre di Y, la figlia minore sia stata allontanata dalla famiglia naturale. Essi sostengono la carenza di motivazione delle decisioni delle autorità giudiziarie civili, che avrebbero anche trascurato di valutare adeguatamente la capacità della madre e degli altri parenti, che non avevano procedimenti penali a loro carico, di prendersi cura di Y.
36.  I ricorrenti lamentano anche di non aver beneficiato di un processo equo, in quanto le decisioni dei giudici interni sono state fondate esclusivamente sulle constatazioni dei periti di ufficio, senza tener conto delle controperizie di parte. In particolare, essi accusano di parzialità i periti di ufficio ed il tribunale per i minorenni di Milano, denunciano la modalità di acquisizione e valutazione delle prove, allegano l’impossibilità di comunicare con Y e la totale mancanza di informazioni necessarie ed adeguate in un procedimento così delicato. Essi sostengono che la decisione che dichiarava Y adottabile come pure le decisioni emesse in seguito dai tribunali civili non hanno affatto tenuto conto dell’esito del procedimento penale e lamentano che il diritto interno non abbia fornito loro alcun rimedio efficace per poter risolvere la situazione controversa. A tale proposito invocano gli articoli 6 e 13 della Convenzione.
37.  Invocando l’articolo 10 della Convenzione, la prima ricorrente lamenta di non aver potuto manifestare liberamente le proprie opinioni davanti al centro di accoglienza ove era sistemata sua figlia in quanto i giudici competenti hanno considerato questo gesto contrario alla capacità di esercitare in maniera responsabile i propri doveri di madre.
38.  La Corte, libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa, ritiene appropriato esaminare i motivi sollevati dai ricorrenti unicamente dal punto di vista dell’articolo 8 il quale richiede che il processo decisionale che porta all’adozione di misure di ingerenza sia equo e rispetti come si deve gli interessi tutelati da questa disposizione (Havelka e altri c. Repubblica Ceca, no 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007, Kutzner c. Germania, no 46544/99, § 56, CEDH 2002-I ; Wallová e Walla c. Repubblica Ceca, no 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).
L'articolo 8 della Convenzione dispone nelle sue parti pertinenti :
 « 1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita (...) familiare (...).
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (...) alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A.  Esistenza di una ingerenza
39.  Non vi è dubbio – e il Governo non lo nega – che la presa in carico e l’affidamento di Y ad un centro di accoglienza così come la dichiarazione di adottabilità costituiscano una «ingerenza» nell’esercizio del diritto al rispetto della vita familiare dei primi quattro ricorrenti.

B.  Giustificazione dell’ingerenza
40.  Tale ingerenza viola l’articolo 8 a meno che, “prevista dalla legge”, essa persegua uno o alcuni scopi legittimi riguardo al secondo paragrafo di questa disposizione e sia “necessaria in una società democratica” per raggiungerli. La nozione di “necessità” implica una ingerenza fondata su un bisogno sociale imperativo, e soprattutto proporzionata allo scopo legittimo ricercato (vedere, ad esempio, Gnahoré c. Francia, no 40031/98, § 50 in fine, CEDH 2000-IX).
41.  Se l’articolo 8 tende essenzialmente a difendere l’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, pone inoltre a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti all’effettivo «rispetto» della vita familiare. Così, laddove è provata l’esistenza di un legame familiare, lo Stato in linea di principio deve agire in modo tale da permettere che questo legame possa svilupparsi e adottare le misure adeguate per ricongiungere genitore e figlio (vedere, per esempio, sentenze Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, serie A no 156, pp. 26-27, § 71 ; Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, serie A no 226-A, p. 30, § 91 ; Olsson c. Svezia (no 2), 27 novembre 1992, serie A no 250, pp. 35-36, § 90 ; Ignaccolo-Zenide c. Romania, no 31679/96, § 94, CEDH 2000-I ; Gnahoré succitata, § 51).
42.  Il confine tra obblighi positivi e negativi dello Stato a titolo dell’articolo 8 non permette una precisa definizione, è possibile tuttavia confrontare i principi applicabili. In particolare, in entrambi i casi, bisogna tener conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concorrenti; allo stesso modo, in entrambe le ipotesi, lo Stato gode di un certo margine di valutazione (vedere, per esempio, W., B. et R. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, serie A no 121, rispettivamente p. 27, § 60, p. 72, § 61, et p. 117, § 65, e Gnahoré succitata, § 52).
1.  « Prevista dalla legge »
43.  Non viene contestato il fatto che le ingerenze incriminate fossero previste dalla legge ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. La controversia deriva dall’applicazione degli articoli 330, 333 e 336 del codice civile, nonché dalla legge n° 184 del 1983, come modificati dalla legge n° 149 del 28 marzo 2001. 
2.  Scopi legittimi
44.  La Corte osserva che le misure contestate perseguivano uno scopo legittimo ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 8, ossia la “tutela della salute o della morale” e “la tutela dei diritti e delle libertà altrui”, dal momento che si proponevano di salvaguardare il benessere di Y. 
3.  « Necessaria in una società democratica »
45.  Il Governo distingue le misure provvisorie, adottate dal tribunale per i minorenni nella situazione d’urgenza, da quelle definitive, che hanno portato alla dichiarazione di adottabilità di Y. 
46.  Secondo il Governo, la necessità delle prime non può essere messa in dubbio. L’affidamento della minore rientrerebbe nell’ambito del secondo paragrafo dell’articolo 8 e sarebbe conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte in materia.
Il Governo ricorda che le autorità giudiziarie italiane si occuparono della causa controversa in un contesto nel quale sul padre della bambina pesavano gravi sospetti. Per questo i servizi sociali furono incaricati di eseguire una inchiesta socio-psicologica sulla personalità di Y e dei suoi genitori. Y fu allontanata dalla sua famiglia soltanto nel novembre 1995, dopo parecchi incontri tra la bambina e un perito nominato d’ufficio e a seguito del rapporto presentato da quest’ultimo. Vista la gravità della situazione, era possibile un’unica conclusione: l’allontanamento e l’affidamento di Y. Le autorità giudiziarie avrebbero quindi dato prova di una discrezione e di una prudenza esemplari, addirittura eccessive e pericolose per la minore, rinviando il suo affidamento fino al rapporto interinale del perito nel novembre 1995.
47.  I ricorrenti contestano le tesi del Governo. La mancanza di contatto tra i primi quattro ricorrenti per un lungo periodo e la mancanza di incontri tra loro avrebbero prodotto soltanto l’effetto di rendere difficile qualsiasi tentativo di ricostruire rapporti familiari sereni. Le autorità italiane non avrebbero dovuto allontanare Y, perlomeno da sua madre che era in grado di proteggerla e di sostenerla nell’attesa dell’esito del procedimento penale in corso a carico del padre. 
Sarebbero infine da rilevare alcuni notevoli ritardi nella conduzione della causa da parte dei giudici nazionali.
48.  La Corte ha più volte dichiarato che l’articolo 8 include il diritto di un genitore ad ottenere misure adeguate per il ricongiungimento con il proprio figlio e l’obbligo delle autorità nazionali di adottarle (vedere, ad esempio, Ignaccolo Zenide c. Romania, succitata, § 94, e Nuutinen c. Finlandia, no 32842/96, § 127, CEDH 2000-VIII). Tuttavia questo obbligo non è assoluto. La sua natura e la sua portata dipendono dalle circostanze di ogni caso di specie, ma la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Nell’ipotesi in cui i contatti con i genitori rischiano di minacciare gli interessi superiori del minore o di ledere i suoi diritti, spetta alle autorità nazionali mantenere un giusto equilibrio tra essi (Ignaccolo Zenide, succitata, § 94).
49.  La Corte rileva che nella fattispecie il punto decisivo consiste nel sapere se le autorità nazionali hanno adottato tutte le misure che ragionevolmente era possibile esigere da loro. 
50.  Per quanto riguarda l’allontanamento di Y ed il suo affidamento, la Corte rileva che il tribunale per i minorenni giustificò la sua decisione del 24 novembre 1995 (precedente paragrafo 10) facendo riferimento alle forti presunzioni che la minore avesse subìto abusi sessuali da parte di suo padre, confermate dal rinvio a giudizio di quest’ultimo, e basandosi sulla perizia psicologica disposta d’ufficio su entrambi i fratelli. In seguito, allo scopo di assicurare una situazione familiare stabile, dopo avere valutato da un lato una seconda perizia su Y e, dall’altro, il comportamento dei genitori per un periodo di un anno e mezzo, il tribunale decise di dichiarare adottabile la minore. 
51.  Il ricorso ad una procedura d’urgenza per allontanare Y rientra  perfettamente nelle iniziative che le autorità nazionali hanno il diritto di  mettere in atto nelle cause aventi ad oggetto sevizie sessuali che incontestabilmente costituiscono un crimine esecrabile che rende fragili le vittime. I minori e le altre persone vulnerabili hanno diritto alla protezione dello Stato, sotto forma di una prevenzione efficace che li metta al riparo anche da gravi forme di ingerenza in alcuni aspetti essenziali della loro vita privata. (vedere le sentenze Stubbings e altri c. Regno Unito del 24 settembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV, § 64 ; mutatis mutandis, Z. e altri c. Regno Unito [GC], no 29392/95, § 73 ; A.  c. Regno Unito del 23 settembre 1998, Recueil 1998 VI, § 22 ; Covezzi e Morselli c. Italia, succitata, § 103, 9 mai 2003)
52.  In queste condizioni, la Corte ritiene che l’affidamento e l’allontanamento di Y possano essere considerate misure proporzionate e “necessarie in una società democratica” per la protezione della salute e dei diritti della minore. Il contesto delittuoso, che vedeva come protagonista il padre della minore poteva ragionevolmente indurre le autorità nazionali a ritenere che il mantenimento di Y nella casa familiare potesse arrecarle pregiudizio (vedere mutatis mutandis, Roda e Bonfatti c. Italia, succitata, §§ 113-114).
Pertanto la Corte ritiene che su questo punto non vi è stata alcuna violazione dell’articolo 8. 
53.  Per quanto riguarda la mancanza di contatti tra i quattro primi ricorrenti durante il periodo dell’affidamento, la Corte ricorda innanzitutto che l’affidamento deve per principio essere considerato una misura temporanea, da sospendere non appena le circostanze lo consentano, e che ogni atto di esecuzione deve concordare con lo scopo ultimo: riunire nuovamente il genitore di sangue ed il figlio (vedere, fra altre, le sentenze Olsson c. Svezia (no 1) del 24 marzo 1988, serie A no 130, § 81, e Covezzi et Morselli c. Italia succitata, § 118). Una interruzione prolungata dei contatti tra figli e genitori o incontri troppo intervallati nel tempo rischierebbero di compromettere qualsiasi seria possibilità di aiutare gli interessati a superare le difficoltà sopraggiunte nella vita familiare (voir, mutatis mutandis, la sentenza Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, Recueil 2000-VIII, § 177). Pertanto anche se la misura dell’allontanamento era giustificata, spetta alla Corte esaminare se le ulteriori restrizioni erano conformi all’articolo 8 in virtù del quale gli interessi dei ricorrenti dovevano essere protetti. 
54.  La Corte nota che nel novembre 1995, il tribunale per i minorenni dispose l’interruzione dei rapporti tra i genitori e la loro figlia considerando l’ambiente familiare non adatto ad offrire una sufficiente protezione alla bambina. Era evidente la necessità di mettere quest’ultima al riparo sistemandola in un luogo protetto. In seguito, in base alle perizie dell’inizio del 1996 che riferivano un “profondo malessere” provato da Y e in base ai comportamenti “compatibili” con fatti traumatizzanti, fu de facto prorogata l’interruzione di qualsiasi contatto di Y con i suoi genitori. Infine, il 24 aprile 1997, tenuto conto dei risultati delle perizie d’ufficio e visto il comportamento dei genitori di Y, in particolare la protesta messa in atto dalla madre che si era incatenata davanti al centro che accoglieva sua figlia, il tribunale per i minorenni ritenne necessario dichiarare Y adottabile. Poiché la sua famiglia non era in grado di fornirle la protezione di cui aveva bisogno, non era più possibile pensare ad un suo ritorno nella casa familiare.
55.  Quanto al fatto che Y fu dichiarata adottabile, i ricorrenti avanzano numerose critiche in merito alle procedure, sottolineando così la loro convinzione secondo cui l’autorità locale non avrebbe fatto alcuno sforzo per valutare l’eventualità di un ritorno di Y presso di loro; questa, convinta della colpevolezza del padre e dell’incapacità di sua madre, era determinata fin dall’inizio a dare in affidamento la bambina in vista della sua adozione. Inoltre, dopo l’ordinanza di affidamento, non è stata adeguatamente prevista la possibilità di mantenere una forma di contatto con la bambina. 
Il Governo si basa soprattutto sulla constatazione del giudice di merito secondo il quale veniva esclusa la possibilità di far ritornare Y nella sua famiglia. Esso afferma che l’adozione – potendo assicurare ad Y un posto sicuro all’interno di una famiglia - era nell’interesse superiore della bambina che aveva appena trascorso un anno e mezzo in un centro di accoglienza. 
56. La Corte rileva che inizialmente la relazione tra la famiglia naturale e Y fu interrotta a causa delle indagini e del rinvio a giudizio di suo padre. A seguito dell’allontanamento d’urgenza, la custodia della bambina fu quindi affidata alla pubblica amministrazione. Durante lo svolgimento del procedimento penale, i due genitori domandarono più volte alle autorità interne di essere riuniti con la loro figlia e di sospendere la procedura di adozione dell’attesa della decisione definitiva delle autorità giudiziarie penali. Pertanto, preoccupato di assicurare alla bambina una situazione familiare stabile e al fine di farle lasciare il centro di accoglienza, il 24 aprile 1997 il tribunale per i minorenni dichiarò Y adottabile. 
57.  La Corte osserva che a seguito di questa decisione, durante le tre fasi procedurali che hanno portato alla adottabilità definitiva (a seguito della sentenza della Corte di cassazione del 25 novembre 2002), non fu organizzato alcun incontro tra Y e la sua famiglia naturale. Di conseguenza, la Corte ritiene che le autorità nazionali non si siano sufficientemente adoperate per facilitare i contatti tra Y e la sua famiglia naturale e, in particolare, con sua madre e suo fratello. 
58.  La Corte ricorda che in casi così delicati e complessi, il margine di valutazione lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura della materia del contendere e della gravità degli interessi in gioco. Se le autorità godono di ampia libertà per valutare la necessità di prendere in carico un minore, in particolare quando vi è urgenza, la Corte deve tuttavia avere acquisito la convinzione che nella causa in questione sussistevano le circostanze che giustificavano il prelievo del minore. Spetta allo Stato convenuto stabilire che le autorità hanno accuratamente valutato l’incidenza che avrebbe avuto sui genitori e il bambino la prevista misura di affidamento, così come altre soluzioni diverse dall’affidamento del minore prima di mettere in esecuzione tale misura (K. e T. c. Finlandia [GC], succitata, § 166 ; Kutzner c. Germania, succitata, § 67, CEDH 2002-I).
59.  La Corte constata che nel caso specifico, essendo pendente il procedimento penale a carico del padre, le autorità giudiziarie civili hanno dichiarato adottabile la bambina. In seguito, dopo il proscioglimento del padre, queste stesse autorità giudiziarie investite di ricorsi in opposizione alla dichiarazione di adottabilità, non hanno inteso ritornare sulla loro decisione. Certamente le decisioni che rigettano le domande dei genitori furono ampiamente motivate e si fondarono su numerose perizie che descrivevano una situazione familiare difficile. Tuttavia, la Corte ritiene che, nonostante la loro portata, i motivi indicati dalle autorità giudiziarie interne per giustificare la decisione di adottabilità non erano sufficienti riguardo all’interesse della minore. 
60.  Questo interesse presenta un duplice aspetto. Da una parte è certo che garantire al minore un’evoluzione in un ambiente sano fa parte di questo interesse e che l’articolo 8 non può in alcun modo autorizzare un genitore a prendere delle misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo di suo figlio (Johansen c. Norvegia, succitata, p. 1008, § 78, e E.P. c. Italia, no 31127/96, § 62, 16 novembre 1999). Dall’altra parte, è chiaro che è nell’interesse del bambino mantenere i legami tra lui e la sua famiglia, a meno che quest’ultima si sia mostrata particolarmente indegna: rompere questi legami significa tagliare il bambino dalle sue radici. Ne risulta che l’interesse del bambino richiede che soltanto circostanze del tutto eccezionali possano portare ad una rottura del legame familiare, e che venga fatto del tutto per mantenere le relazioni personali ed eventualmente, giunto il momento, “ricostituire” la famiglia (voir Pisano c. Italia, (dec.), no 10504/02, 29 settembre 2005).
61.  Nella fattispecie dal fascicolo risulta che il tribunale per i minorenni e servizi sociali non misero in atto alcun programma di riavvicinamento tra Y e la sua famiglia naturale benché nei confronti della madre non fosse mai stato avviato alcun procedimento penale. Inoltre, le principali ragioni che giustificarono la decisione di dichiarare Y adottabile furono il sostegno della prima ricorrente al secondo ricorrente e l’incapacità di quest’ultima a comprendere i bisogni più profondi di Y. 
Ora, per quanto riguarda il primo motivo, la Corte osserva che quando il tribunale per i minorenni di Milano ha deciso di dichiarare Y adottabile, il processo penale a carico del padre era ancora pendente. Quest’ultimo alla fine è stato prosciolto. Il secondo motivo non sembra invece sufficiente per giustificare una rottura totale delle relazioni madre-figlia e la dichiarazione di adottabilità di Y. 
La Corte sottolinea che, dal momento del suo affidamento, Y non ha mai potuto incontrare alcun membro della sua famiglia naturale, né suo fratello, né suo padre neanche dopo il suo proscioglimento nel 2001. La rottura di qualsiasi legame con la sua famiglia naturale è stata totale e definitiva. Le autorità nazionali non hanno mai tentato di adottare misure idonee a mantenere le relazioni di Y, che al momento dell’affidamento aveva sette anni, con la sua famiglia, in particolare con sua madre e suo fratello, o ad aiutare la famiglia naturale a superare le eventuali difficoltà nei suoi rapporti con Y e a ricostituire la famiglia. 
Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda la mancanza di qualsiasi contatto tra la quarta ricorrente e la sua famiglia naturale durante il periodo dell’affidamento e per quanto riguarda la decisione di dichiarare adottabile la quarta ricorrente. 
62.  Infine, la Corte ritiene che non si pone nessuna altra questione per quanto riguarda gli altri motivi sollevati dei ricorrenti. 

III. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
63.  I ricorrenti sostengono che la durata dei procedimenti abbia violato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Questo articolo è così formulato : 

« Ogni persona ha diritto che la sua causa venga esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), che deciderà (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di natura civile (...) »

64.  Il Governo si oppone a tale tesi.
Sulla ricevibilità
65.  I ricorrenti hanno presentato un ricorso ai sensi della legge Pinto. Al 21 gennaio 2007, questo procedimento era ancora pendente innanzi alla Corte di cassazione.
La cancelleria della Corte ha inviato una lettera ai legali dei ricorrenti chiedendo informazioni sull’esito di questo procedimento. Non è pervenuta alcuna risposta entro il termine stabilito del 28 marzo 2008.
In queste condizioni la Corte ritiene che qualsiasi questione relativa alla durata delle procedure controverse debba essere considerata, a tale stadio, prematura.
Ne consegue che questo motivo è da respingere per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

IV.  SULL’APPLICAIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
66.  Ai sensi dell’articolo 41 della convenzione,

 « Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare se non in nodo imperfetto le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A.  Danni
67.  I ricorrenti sostengono di aver subito un grave pregiudizio morale a causa della separazione dalla loro figlia e della sua dichiarazione di adottabilità. Essi lasciano alla Corte il compito di stabilire l’ammontare del risarcimento da accordare.
68.  Per il fatto che i ricorrenti non hanno indicato l’ammontare delle loro pretese, il Governo ne domanda il rigetto.
69.  La Corte ritiene che il dolore e l’ansia provati dai ricorrenti hanno certamente provocato un danno morale ai quattro membri della famiglia. Così, la Corte conclude che questi ricorrenti hanno sofferto un danno morale certo che la constatazione di violazione non è sufficiente a compensare (vedere, per esempio, Elsholz c. Germania [GC], no 25735/94, §§ 70-71, CEDH 2000-VIII, e P., C. e S. c. Regno Unito, no 56547/00, § 150, CEDH 2002-VI)
70.  Decidendo secondo equità, la Corte assegna, a questo titolo, 20.000 euro a ciascuno dei primi quattro ricorrenti.
B.  Spese legali
71.  I ricorrenti non domandano il rimborso delle spese legali affrontate innanzi agli organi della Convenzione e / o alle autorità giudiziarie interne e tale questione non richiede un esame d’ufficio (Gündüz c. Turchia, no 35071/97, § 55, CEDH 2003-XI).
C.  Interessi moratori
72.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità del prestito marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

1.  Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo basato sull’articolo 8 della Convenzione dai primi quattro ricorrenti e irricevibile per il resto;
2.  Dichiara, all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’articolo 8 per quanto riguarda l’allontanamento e l’affidamento della quarta ricorrente;
3.  Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 8 per quanto riguarda la mancanza di contatti tra la quarta ricorrente e la sua famiglia naturale durante il periodo di affidamento della quarta ricorrente;
4.  Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda la decisione di dichiarare adottabile la quarta ricorrente;
5.  Dichiara, con 5 voti su 2,
a)  che lo Stato convenuto deve versare a ciascuno dei quattro primi ricorrenti, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 20.000 euro, più qualsiasi altra somma dovuta a titolo di imposta, per danno morale ;
b)  che a decorrere dalla scadenza di tale termine e fino al versamento, questa somma dovrà essere maggiorata di un interesse semplice ad un tasso pari a quello della facilità del prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 21 ottobre 2008 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 Sally Dollé 
 Cancelliere 

Françoise Tulkens 
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 del regolamento, l’esposizione dell’opinione parzialmente dissenziente dei giudici Jočienė e Sajó.
F.T.
S.D.

 OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEI GIUDICI JOČIENĖ E SAJÓ

In merito al punto n° 3 del dispositivo della presente sentenza, noi abbiamo votato per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione come i nostri colleghi. Tuttavia, la sola ragione che ha motivato i nostri due voti è la mancanza di contatti tra la quarta ricorrente, sua madre e suo fratello durante il periodo in cui era in affidamento. Abbiamo votato anche per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda la decisione di dichiarare adottabile la quarta ricorrente.
Al contrario, abbiamo votato contro la decisione della Camera di concedere la somma di 20.000 euro a ciascuno dei primi quattro ricorrenti. Pensiamo che al fine di assicurare la protezione della quarta ricorrente, non avrebbe dovuto essere permesso alcun contatto tra il secondo ricorrente e quest’ultima in considerazione del procedimento penale derivante dalle accuse di abusi e violenze sessuali a carico del secondo ricorrente e le altre sei persone, e ciò fino alla conclusione di questo procedimento (sentenza del 26 giugno 2001 della Corte di Cassazione). Soltanto dopo il suo proscioglimento definitivo il secondo ricorrente avrebbe potuto essere autorizzato a vedere la quarta ricorrente. Per questa ragione, riteniamo che la somma concessa al secondo ricorrente avrebbe dovuto essere diminuita di conseguenza.

 P.T.C.
Il traduttore
Rita Carnevali