Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 7 aprile 2009 - Ricorso n. 1860/07 - Cherif ed altri c.Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Pucci

Argomento : proibizione della tortura (violazione art.3 CEDU)

In materia di espulsione di stranieri. L’espulsione dello straniero ordinata dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato può in astratto comportare la violazione dell’art. 3 CEDU e dell’art. 1 del Protocollo addizionale n. 7 solo se lamentata dalla persona direttamente colpita dall’espulsione. Se il ricorso di quest’ultima è irricevibile per difetti formali, esso deve essere radiato dal ruolo e non può essere coltivato da altri ricorrenti. L’espulsione dello straniero ordinata dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato non viola l’art. 8 CEDU, in materia di diritto alla vita privata e familiare - la cui ingiustificata compressione può essere in astratto lamentata anche dal coniuge e dal fratello dell’espulso - se quest’ultimo ha precedenti penali tali da motivare la valutazione per cui la sua permanenza sul suolo dello stato ospitante rappresenti una minaccia per la sicurezza pubblica.

CONSIGLIO D’EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE

CASO CHERIF ED ALTRI c/ITALIE (Ricorso n. 1860/07)

SENTENZA
STRASBURGO 7 aprile 2009

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

 Nel caso Cherif ed altri c/Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Nona Tsotsoria, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 10 marzo 2009,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in questa data:

PROCEDIMENTO

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 1860/07) nei confronti della Repubblica italiana con cui due cittadini tunisini, i sigg. Foued Ben Fitouri Cherif e Kais Cherif, e una cittadina italiana, la sig.ra Sonia Brusadelli (« i ricorrenti »), hanno adito la Corte il 10 gennaio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
2.  I ricorrenti sono rappresentati dall’Avv. A. Ballerini, del foro di Genova. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, sig. N. Lettieri.
3.  I ricorrenti invocano una violazione del loro diritto di ricorso individuale e adducono che la messa in esecuzione della decisone di espellere il primo ricorrente ha violato gli articoli 3, 6, 8, 13 e 34 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo n. 7.
4.  Il 13 marzo 2007, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la Camera si sarebbe pronunciata contestualmente sull’ammissibilità e sul merito della causa.

IN FATTO


I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO
5.  Il primo ricorrente è un cittadino tunisino nato nel 1970 e attualmente residente in Tunisia. La ricorrente è la moglie del primo ricorrente. Cittadina italiana, essa è nata nel 1964 e risiede a Dazio (Sondrio). Il secondo ricorrente è il fratello del primo ricorrente. E’ un cittadino tunisino. La sua data di nascita e il suo luogo di residenza non sono noti.
A.  L'espulsione del primo ricorrente
6.  Nel gennaio 1993, il primo ricorrente si stabilì in Italia. Andò a vivere con la ricorrente, con la quale si sposò il 24 maggio 1996 ed ebbe tre figli, nati rispettivamente l’11 dicembre 1996, il 28 agosto 2001 e il 21 giugno 2004. Ottenne un regolare permesso di soggiorno.
7.  I ricorrenti affermano che il primo ricorrente non è mai stato accusato di alcun reato in Italia. Egli sarebbe stato invece condannato in contumacia ad otto anni di reclusione dal tribunale militare di Tunisi. I ricorrenti non hanno prodotto copia della sentenza.
8.  Il 13 luglio 2005, agenti della Questura di Sondrio perquisirono l’abitazione del primo ricorrente. Dal verbale della perquisizione risulta che informazioni provenienti da una « fonte confidenziale attendibile » inducevano a ritenere che l’interessato detenesse illegalmente armi, munizioni o materie esplosive. Tuttavia, nessuno di questi oggetti fu rinvenuto nella sua abitazione.
9.  Con decreto del 4 gennaio 2007, il ministro dell’interno ordinò l’espulsione del primo ricorrente verso la Tunisia, in applicazione delle disposizioni del decreto-legge del 27 luglio 2005 n. 144 (decreto recante  «misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale », e convertito nella legge del 31 luglio 2005 n. 155). Osservando che « dagli atti risultava » che il primo ricorrente aveva contatti continui con elementi di spicco dell’integralismo islamico in Italia che avevano preso parte a progetti terroristici, il ministro spiegò che, tenuto conto dell’« attuale contesto del terrorismo di tipo islamico », aveva motivi di ritenere che il primo ricorrente potesse, con la sua presenza in Italia, prestare assistenza ad organizzazioni o ad attività terroristiche.
10. Il ministro precisò che il primo ricorrente sarebbe potuto tornare in Italia solo in virtù di un’autorizzazione ministeriale ad hoc e che la Questura di Sondrio era incaricata dell’esecuzione del decreto di espulsione. Inoltre, egli comunicò che il decreto poteva essere impugnato dinanzi al tribunale amministrativo (« TAR ») del Lazio entro sessanta giorni.  
11.  Il 4 gennaio 2007, verso le ore 16.00, il primo ricorrente fu fermato dalla polizia e condotto in Questura a Milano, dove si vide notificare il decreto di espulsione e un’ordinanza con la quale il questore di Sondrio revocava il permesso di soggiorno a tempo indeterminato concesso al ricorrente il 19 gennaio 2000. La decisione poteva essere impugnata dinanzi al TAR del Lazio entro sessanta giorni.
12.  Prima di essere condotto in Questura, il primo ricorrente avrebbe telefonato alla ricorrente, informandola di essere stato fermato dalla polizia. Questa avrebbe cercato poi più volte di contattarlo, ma invano. Sarebbe riuscita a parlare con lui solo la sera, quando egli era sulla strada per l’aeroporto, dove sarebbe stato imbarcato per essere rimpatriato.
13.  Stando a quanto riferito dalla ricorrente in merito a quella telefonata, il primo ricorrente avrebbe supplicato di non essere rimpatriato, spiegando di temere per la sua vita, e avrebbe chiesto di contattare un avvocato. Qualcuno gli avrebbe risposto che non si poteva fare niente, poi la comunicazione sarebbe stata interrotta.
14.  Questa versione dei fatti è contestata dal Governo, il quale ha prodotto una nota della Questura di Sondrio risalente al 3 luglio 2007. Secondo tale nota, dopo avere notificato al primo ricorrente il decreto di espulsione, il personale della questura gli avrebbe chiesto se desiderava contattare qualcuno prima che fosse eseguita l’espulsione. L’interessato avrebbe telefonato due volte alla ricorrente. A quel punto, gli avrebbero chiesto se avesse bisogno di altro. Egli avrebbe risposto di no, aggiungendo soltanto che alcuni dei suoi effetti personali ed una certa somma di denaro dovevano essere consegnati alla moglie. Infine, una volta giunti all’aeroporto di Milano, egli avrebbe telefonato una terza volta alla ricorrente.
15.  Verso le ore 21.10, la ricorrente avrebbe presentato una domanda di asilo politico a nome del marito. La domanda non fu esaminata in quanto il primo ricorrente era già imbarcato su un volo con destinazione Tunisi, che decollava alla ore 21.20. Tuttavia, il suo nome non figurava nell’elenco dei passeggeri di quel volo e nessun lasciapassare era stato rilasciato a suo nome. Al riguardo, i ricorrenti fanno notare che il passaporto del primo ricorrente non era più valido, in quanto le autorità tunisine si rifiutavano da tempo di rinnovarlo.
16.  Stando ai ricorrenti, la polizia di Milano avrebbe esercitato pressioni sul primo ricorrente, invitandolo a « collaborare ».
17.  Il 5 gennaio 2007, un agente della Questura di Sondrio avrebbe detto alla ricorrente: « per noi, Signora, Suo marito è libero; la Digos di Milano gli ha chiesto di collaborare e lui non ha dato la risposta che ci si aspettava».
18.  Il primo ricorrente giunse a Tunisi in compagnia di un altro cittadino tunisino, di cui si ignora il nome. Questi non fu privato della libertà. Secondo i ricorrenti, il sig. Cherif, invece, fu incarcerato e torturato fino al 15 gennaio 2007 nei locali del ministero degli Affari interni di Tunisi.
19.  Il 22 gennaio 2007, i ricorrenti hanno comunicato che il primo ricorrente era detenuto nel penitenziario civile di Tunisi, dove era stato posto « sotto la responsabilità » delle autorità militari, e che i suoi familiari non avevano alcun contatto con lui.
20.  La famiglia del primo ricorrente avrebbe nominato un avvocato per rappresentarlo in Tunisia. Tuttavia, l’avvocato non sarebbe riuscito ad ottenere copia degli atti del procedimento né a conoscere esattamente le accuse elevate contro il suo cliente.
21.  Nel frattempo, l’11 gennaio 2007, la ricorrente e il secondo ricorrente avevano presentato alla Corte un’istanza di misura cautelare in virtù dell’articolo 39 del regolamento. Essi chiedevano che l’Italia fosse invitata a produrre garanzie in merito al rispetto della vita e dell’integrità fisica del primo ricorrente ed a fare ogni sforzo per ottenere la sua immediata scarcerazione, il suo ritorno in Italia, nonché la possibilità per lui di nominare un avvocato di fiducia in Tunisia e di comunicare con la famiglia. Il 12 gennaio 2007, gli avvocati dei ricorrenti furono informati che la loro istanza era stata rigettata. Altre istanze volte ad ottenere la misura d’urgenza della sospensione del decreto di espulsione, presentate il 23 maggio e il 2 luglio 2007, non furono ritenute rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 39 e quindi non furono portate all’attenzione del presidente della camera per la decisione.
22.  In data imprecisata, la ricorrente adì il tribunale amministrativo regionale (« TAR ») del Lazio al fine di ottenere l’annullamento del decreto di espulsione e della revoca del permesso di soggiorno del marito. Essa chiese inoltre la sospensione dell’esecuzione delle decisioni controverse. Con ordinanza del 26 aprile 2007, il TAR del Lazio rigettò la domanda di sospensione. Esso osservò in primo luogo che la ricorrente non sembrava avere il locus standi per impugnare atti riguardanti il marito e che quest’ultimo non aveva nominato un avvocato per rappresentarlo; in secondo luogo, che il primo ricorrente era detenuto a Tunisi, il che rendeva impossibile, allo stato, il suo ritorno in Italia; infine, che l’interesse dello Stato a tutelare la sicurezza nazionale sembrava destinato a prevalere sull’interesse particolare dei ricorrenti. L’esito del ricorso per annullamento dinanzi al TAR non è noto.
23.  In una nota del 2 luglio 2007, il ministero dell’interno precisò che, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti (si veda il precedente paragrafo 7), il primo ricorrente aveva numerosi precedenti giudiziari in Italia. In particolare, con sentenza dell’11 aprile 1996, in seguito passata in giudicato, il tribunale di Milano lo aveva condannato a dieci mesi di reclusione per detenzione di stupefacenti; il 22 marzo 1999, lo stesso tribunale aveva pronunciato una condanna ad un anno e un mese di reclusione per detenzione e spaccio di stupefacenti. Quest’ultima condanna era divenuta definitiva il 17 gennaio 2004, e la sospensione condizionale della pena, concessa in occasione della prima condanna, era stata revocata. Inoltre, nel giugno 1999 e nel luglio 2001, il ricorrente era stato arrestato e perseguito per oltraggio e resistenza a un pubblico ufficiale; nel 1997 e nel 2002, nei suoi confronti erano stati avviati dei procedimenti per rissa, lesioni personali, danneggiamento di cose altrui e porto abusivo di un oggetto suscettibile di essere usato come arma.
24.  In una nota del 4 luglio 2007, lo stesso ministero comunicò che la pericolosità del primo ricorrente era stata dedotta dal fatto che, dal 2002, egli frequentava numerosi cittadini stranieri coinvolti in vicende oggetto di inchieste giudiziarie.
B.  Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
25.  Il 29 agosto 2008, l'Ambasciata d'Italia a Tunisi inviò al ministero degli Affari esteri tunisino una nota verbale (n. 3124) nella quale chiese assicurazioni diplomatiche. Il contenuto di detta nota è riportato nella sentenza Soltana c/Italia, n. 37336/06, § 19, 24 marzo 2009.
 26.  Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale presso la direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle parti pertinenti, la risposta recita come segue:
 « Nella nota verbale del 29 agosto 2008, come integrata dalla nota verbale del 4 settembre 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto, dalle autorità tunisine, le assicurazioni, di seguito elencate, relative ai cittadini tunisini (…) Foued CHERIF [ed altri], espulsi verso la Tunisia. (…)
II.  Per quanto riguarda Foued CHERIF, le autorità tunisine fanno notare che, in seguito alla sua espulsione verso la Tunisia, egli è stato tradotto in giustizia per reati di terrorismo consistiti nell’adesione, fuori del territorio della repubblica tunisina, ad un’intesa finalizzata alla perpetrazione di reati di terrorismo e alla raccolta di fondi che egli [sa] essere destinati a finanziare persone, organizzazioni e attività terroristiche.
L'interessato ha formato oggetto di un processo equo durante il quale ha potuto far valere tutti i suoi mezzi difensivi. E’ stato riconosciuto colpevole di concessione di contributi in denaro ai membri di un’associazione per delinquere e condannato, per questa imputazione, ad un anno di reclusione. Nei suoi confronti è stato pronunciato un non luogo a procedere per il reato di adesione ad un’organizzazione terroristica.
Foued CHERIF è stato scarcerato nel gennaio del 2008, dopo [avere scontato la pena inflittagli]. E’ da notare che egli ha beneficiato, nell’istituto penitenziario, di un programma di sostegno psicologico e di un programma di riabilitazione che gli ha consentito di imparare un mestiere favorendo così il suo reinserimento nella società.
(...)
La garanzia del diritto di ricevere visite:
Se l’arresto degli interessati [è] deciso dall’autorità giudiziaria competente, essi beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle carceri. Questa legge sancisce il diritto di ogni detenuto di ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente penitenziario, nonché la visita dei familiari. Se il loro arresto [è] deciso, gli interessati beneficeranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione in vigore e senza alcuna restrizione.
Per quanto riguarda la domanda di visita agli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità tunisine osservano che una tale visita non può essere autorizzata in assenza di una convenzione o di un quadro legale interno che la autorizzi.
Infatti la legge relativa alle carceri determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta segnatamente dei familiari del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità, per gli avvocati italiani, di fare visita a detenuti tunisini. Tuttavia, gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare avvocati tunisini di fiducia [di] fare loro visita e di procedere, con gli omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della difesa dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
(...) ».
C.  La rappresentanza dei ricorrenti dinanzi alla Corte
27.  Al momento della presentazione del ricorso (10 gennaio 2007), la ricorrente e il secondo ricorrente avevano firmato una procura a favore di due avvocati del foro di Milano, Avv. S. Clementi e B. Manara. Nessuna procura era stata firmata dal primo ricorrente, il quale, all’epoca, era appena stato espulso verso la Tunisia. Il modulo di ricorso era firmato dagli Avv. Clementi e Manara.
28.  Con fax del 2 aprile 2007, l’Avv. A. Ballerini informò la Corte di essere la nuova rappresentante dei ricorrenti e che tutta la corrispondenza relativa al presente ricorso doveva essere inviata al suo studio a Genova. Con missiva del 13 aprile 2007, la cancelleria della Corte trasmise all’Avv. Ballerini un modulo di procura, invitandola a farlo pervenire alla Corte, debitamente compilato, al più presto. Contestualmente, la cancelleria informò gli Avv. Clementi e Manara del fax dell’Avv. Ballerini e precisò che, salvo loro diversa indicazione, si sarebbe ritenuto che solo quest’ultima rappresentasse i ricorrenti. Gli Avv. Clementi e Manara non fecero pervenire alcuna risposta. 
29.  Con fax del 27 aprile 2007, l’Avv. Ballerini fece pervenire alla cancelleria della Corte una procura a suo favore firmata dalla ricorrente. Il primo e il secondo ricorrente non firmarono alcuna procura simile.
30.  In seguito, l’Avv. Ballerini produsse il seguente documento, datato 9 febbraio 2007, in calce al quale appare una firma illeggibile:
 « Io sottoscritto Foued Ben Fitouri Cherif, nato a Tunisi il 31 maggio 1970, nomino come avvocato di fiducia l’Avv. Alessandra Ballerini del foro di Genova affinché mi rappresenti e mi difenda dinanzi al TAR [del] Lazio relativamente alla revoca del [mio] permesso di soggiorno e [alla mia] espulsione dall'Italia. Eleggo domicilio presso il suo studio sito a Genova, Salita Viale n. 5-2. »

IN DIRITTO

I.  SUL RICORSO PRESENTATO A NOME DEL PRIMO RICORRENTE

31.  La Corte osserva innanzitutto che il modulo di ricorso è stato compilato anche a nome del primo ricorrente, il quale sosterrebbe che la messa in esecuzione della decisione di espellerlo ha violato gli articoli 3, 6, 8, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 7.
32.  Il Governo contesta le summenzionate doglianze.
33.  Esso argomenta in primo luogo che il primo ricorrente non ha mai incaricato un avvocato di rappresentarlo dinanzi alla Corte. Infatti, il presente ricorso è stato presentato unicamente dalla moglie e dal fratello (la ricorrente e il secondo ricorrente), i quali non avevano il potere di rappresentarlo. Il Governo informa in secondo luogo che il giorno dell’espulsione, la notifica del decreto ministeriale è stata effettuata alle ore 16.00, mentre il volo per Tunisi sul quale è stato imbarcato il primo ricorrente decollava solo alle ore 21.20. L’interessato avrebbe quindi avuto oltre cinque ore di tempo per richiedere i servizi di un avvocato.
34.  I ricorrenti affermano che il primo ricorrente è stato condotto con la forza in questura a Milano, dove non ha avuto la possibilità di contattare un avvocato di fiducia. Sarebbe poi stato portato all’aeroporto per essere espulso. Una persona presentatasi come un ispettore di polizia avrebbe del resto telefonato alla ricorrente e le avrebbe detto che era inutile chiamare un avvocato, in quanto il primo ricorrente era stato espulso. La rappresentante dei ricorrenti dinanzi alla Corte avrebbe chiesto alle autorità tunisine l’autorizzazione a fare visita al primo ricorrente nel penitenziario di Tunisi, ma l’autorizzazione le sarebbe stata rifiutata, così come ai funzionari dell’ambasciata d’Italia a Tunisi. Solo la ricorrente avrebbe potuto vedere suo marito in Tunisia, e sarebbe così che essa avrebbe ottenuto una procura firmata dall’interessato in sua presenza. Il tenore di tale procura figura al precedente paragrafo 30.
35.  La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 36 § 1 del suo regolamento, « [l]e persone fisiche (...) possono inizialmente presentare ricorsi sia personalmente sia tramite un rappresentante ». Inoltre, dopo la notifica del ricorso alla Parte contraente convenuta, il ricorrente deve essere rappresentato da un legale abilitato all’esercizio della professione in una qualsiasi delle Parti contraenti e residente nel territorio di una di esse, salvo diversa decisione del presidente della Camera (si vedano i paragrafi 2 e 4 a) dell’articolo 36 succitato). Infine, ogni ricorso formulato in virtù dell’articolo 34 della Convenzione deve essere presentato per iscritto e firmato dal ricorrente o dal suo rappresentante; qualora il ricorrente sia rappresentato, il suo o i suoi rappresentanti devono produrre una procura scritta (articolo 45 §§ 1 e 3 del regolamento della Corte).
36.  Nel caso di specie, nessuno dei ricorrenti ha presentato il suo ricorso personalmente ; gli interessati sono infatti passati tramite uno o più rappresentanti: in un primo momento, gli Avv. Clementi e Manara, poi, a partire dall’aprile 2007, l’Avv. Ballerini. Pertanto, questi rappresentanti erano tenuti a produrre una procura scritta firmata dai loro clienti.
37.  Ora, le sole procure scritte relative al procedimento dinanzi alla Corte pervenute in cancelleria sono state firmate dalla ricorrente e dal secondo ricorrente (in realtà, quest’ultimo si è limitato a nominare gli Avv. Clementi e Manara). Nessuna procura analoga è stata presentata a nome del primo ricorrente (si vedano i precedenti paragrafi 27 e 29).
38.  La Corte non può condividere la tesi del Governo secondo la quale l’interessato disponeva del tempo e delle opportunità necessarie per cercare e nominare un rappresentante nelle poche ore successive al suo fermo per accertamenti e precedenti la messa in esecuzione della decisione di espellerlo. Al riguardo, essa rammenta che, il 4 gennaio 2007, il primo ricorrente è stato condotto in Questura a Milano verso le ore 16.00 (si veda il precedente paragrafo 11) ed è stato imbarcato su un volo con destinazione Tunisi, decollato alle ore 21.20 (si veda il precedente paragrafo 15). Egli si è quindi trovato in una situazione che deve avere percepito come drammatica e senza essere introdotto agli arcani delle procedure giudiziarie. Pertanto, non gli si può rimproverare di non avere pensato, in così poco tempo, ad intraprendere i passi giuridici che gli avrebbero consentito di essere rappresentato da un legale dinanzi alla Corte.
39.  Lo stesso dicasi, tuttavia, per il periodo successivo alla messa in esecuzione dell’espulsione. Dalle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine risulta infatti che in prigione il sig. Foued Cherif avrebbe avuto la possibilità di ricevere visite dal suo avvocato e dai suoi familiari  (si veda il precedente paragrafo 26). Infatti, la stessa ricorrente ammette di avere potuto incontrare il marito nel penitenziario di Tunisi. Essa avrebbe anche ottenuto, il 9 febbraio 2007, una procura firmata dall’interessato. Tuttavia, detta procura riguarda soltanto il procedimento dinanzi al TAR e non menziona il procedimento dinanzi alla Corte (si veda il precedente paragrafo 30).
40.  Inoltre, come indicato dalle autorità tunisine senza che i ricorrenti lo contestino, il primo ricorrente è stato scarcerato nel gennaio 2008 (si veda il precedente paragrafo 26). A partire da quel momento, niente gli impediva di contattare la moglie o l’avvocatessa italiana che lo rappresentava e di far loro pervenire, per posta o via fax, una procura scritta.
 41.  La Corte attribuisce importanza anche al fatto che, dall’aprile 2007, la cancelleria di Strasburgo aveva invitato l’Avv. Ballerini a produrre una procura debitamente compilata e firmata dai suoi clienti (si veda il precedente paragrafo 28). Inoltre, l’Avv. Ballerini ha ricevuto una copia delle osservazioni del Governo, il quale eccepiva l’assenza di una procura riguardante il primo ricorrente. Essa non ha tuttavia prodotto una tale procura, ma si è limitata a fare pervenire in cancelleria il documento del 9 febbraio 2007, non valido ai fini della rappresentanza dinanzi alla Corte (si vedano i precedenti paragrafi 30 e 39).
42.  Pertanto, la Corte ritiene che il primo ricorrente non intenda più mantenere il suo ricorso e/o che non sia più necessario proseguirne l’esame ai sensi dell’articolo 37 § 1 a) e/o c) della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Fitzmartin ed altri (dec.), n. 34953/97 ed altre, 21 gennaio 2003). Del resto, il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non richiede il proseguimento dell’esame di detto ricorso. Al riguardo, è opportuno notare che le questioni da esso sollevate sono già state affrontate dalla Grande Camera nel caso Saadi c/Italia (n. 37201/06, 28 febbraio 2008) e da sentenze di camera in diversi casi simili (si veda, ad esempio, Ben Khemais c/Italia, n. 246/07, 24 febbraio 2009).
43.  Ne consegue che, ai sensi dell’articolo 37 § 1 a) e/o c) della Convenzione, è opportuno cancellare il caso dal ruolo nella misura in cui è stato presentato dal primo ricorrente.

II. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 3, 6, 13 E 34 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 7
44.  La ricorrente e il secondo ricorrente adducono che l’espulsione del primo ricorrente è stata eseguita nonostante che questi rischiasse di essere sottoposto a trattamenti inumani in Tunisia. Inoltre, essi adducono che il primo ricorrente è stato vittima in Tunisia di un diniego di giustizia; essi contestano la motivazione del decreto di espulsione del 4 gennaio 2007 e sostengono che era impossibile per il primo ricorrente impugnare dinanzi agli organi giudiziari interni la decisione di espellerlo. Infine, ritengono che le modalità di esecuzione dell’espulsione abbiano leso il loro diritto di ricorso individuale.
45.  Invocano gli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 7.
46.  Il Governo contesta queste doglianze.
47.  La Corte rammenta che per poter presentare ricorso in virtù dell’articolo 34, una persona fisica, un’organizzazione non governativa o gruppo di privati deve sostenere di essere « vittima di una violazione (...) dei diritti riconosciuti nella Convenzione (...) ». L'articolo 34 richiede che un individuo ricorrente sostenga di essere effettivamente leso dalla violazione che adduce (Irlanda c/Regno Unito, 18 gennaio1978, §§ 239-240, serie A n. 25, e Klass ed altri c/Germania, 6 settembre 1978, § 33, serie A n. 28) ; questo articolo non istituisce a beneficio dei privati una specie di actio popularis per l’interpretazione della Convenzione e non li autorizza nemmeno a lamentarsi di una legge per il solo motivo che a loro essa sembra violare la Convenzione (Norris c/Irlanda, serie A n. 142, § 31, 26 ottobre 1988, e Sanles Sanles c/Spagna (dec.), n. 48335/99, CEDU 2000-XI). Questo principio si applica anche agli eventi o alle decisioni contrari alla Convenzione (Fairfield c/Regno Unito, (dec.) n. 24790/04, CEDU 2005-VI, e Ada Rossi ed altri c/Italia (dec.), nn. 55185/08 ed altri, 16 dicembre 2008).
48.  La Corte ribadisce anche che l’esistenza di una vittima, vale a dire di un individuo interessato personalmente dall’addotta violazione di un diritto sancito dalla Convenzione, è necessaria perché scatti il meccanismo di tutela previsto da quest’ultima. Tuttavia, questo criterio non è applicabile in modo rigido, meccanico ed inflessibile per tutto il procedimento (Karner c/Austria, n. 40016/98, § 25, CEDU 2003-IX).
49.  Nel caso di specie, i maltrattamenti e il diniego di giustizia che possono essersi verificati in Tunisia riguardano personalmente solo il primo ricorrente. Lo stesso dicasi della procedura che ha condotto all’adozione e all’esecuzione del decreto di espulsione. E’ infatti opportuno rammentare che soltanto il primo ricorrente ha formato oggetto di una tale procedura.
50.  Pertanto, la ricorrente e il secondo ricorrente non possono sostenere di essere « vittime » delle violazioni degli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 7 che adducono.
51.  Ne consegue che questa parte del ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III.  SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

52.  La ricorrente e il secondo ricorrente adducono che l’espulsione del primo ricorrente verso la Tunisia ha violato il loro diritto al rispetto della vita familiare. Essi invocano l’articolo 8 della Convenzione, così redatto nella parte pertinente:
 « 1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita  (...) familiare, (...).
2. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (...), alla sicurezza pubblica, (...) alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, (...).
»
53.  Il Governo contesta questa tesi.

A.  Sull’ammissibilità

54.  La Corte osserva innanzitutto che, quando lamentano le ripercussioni negative dell’espulsione del primo ricorrente sulla loro vita familiare, la ricorrente e il secondo ricorrente possono affermare di essere stati toccati personalmente dai fatti che denunciano. Essi hanno quindi locus standi per sollevare questa doglianza a loro nome. La Corte constata poi che tale doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non si oppone a nessun altro motivo d’inammissibilità. E’ pertanto opportuno dichiararla ammissibile (si veda, mutatis mutandis, Saadi, succitata, § 163).

B.  Sul merito

1.  Argomentazioni delle parti
a)  I ricorrenti

55.  La ricorrente e il secondo ricorrente affermano che la loro vita familiare è stata sconvolta dall’esecuzione dell’espulsione del primo ricorrente, rammentando che quest’ultimo risiedeva con la ricorrente e i tre figli della coppia. Essi aggiungono che la ricorrente soffre di epatite e di broncopolmonite e che anche i figli sono affetti da disturbi delle vie respiratorie e devono effettuare regolari esami immunologici.
56.  Il primo ricorrente non avrebbe mai formato oggetto di procedimenti giudiziari in Italia, il che smentirebbe la tesi secondo la quale egli è un elemento pericoloso per la società, e le affermazioni del Governo al riguardo non sarebbero fondate su alcun elemento oggettivo bensì unicamente sul fatto che l’interessato frequentava la moschea e conosceva altri musulmani praticanti.
b)  Il Governo
57. Il Governo sottolinea che l’ingerenza nella vita familiare degli interessati ha una base legale nel diritto interno, vale a dire nella legge n. 155 del 2005. Esso sostiene che occorre tenere conto, in primo luogo, dell’influenza negativa che il primo ricorrente, con la sua personalità e l’ampiezza della minaccia terroristica, rappresentava per la sicurezza dello Stato e, in secondo luogo, della particolare importanza da attribuire alla prevenzione dei reati gravi e al mantenimento dell’ordine pubblico. Così, l’eventuale ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare avrebbe perseguito uno scopo legittimo e sarebbe stata necessaria in una società democratica. Nessun onere sproporzionato ed eccessivo sarebbe stato imposto al nucleo familiare. In particolare, il Governo ritiene ch, anche se i figli del primo ricorrente vanno a scuola in Italia e sono impregnati della cultura italiana, niente vieti loro di proseguire gli studi in Tunisia e che l’unità della vita familiare potrà essere preservata fuori del territorio italiano.

2.  Valutazione della Corte

a)  Principi generali
58.  La Corte ribadisce che la Convenzione non sancisce il diritto per uno straniero di entrare o di risiedere in un particolare paese e che, nell’esercizio del loro compito di mantenimento dell’ordine pubblico, gli Stati contraenti hanno la facoltà di espellere uno straniero che delinque. Tuttavia, le loro decisioni in materia, quando ledano un diritto tutelato dal paragrafo 1 dell’articolo 8, devono rivelarsi necessarie in una società democratica, vale a dire giustificate da un bisogno sociale imperioso e, segnatamente, proporzionate allo scopo legittimo perseguito (Mehemi c/Francia, Recueil des arrêts 1997-VI, § 34, 26 settembre 1997 ; Dalia c/Francia, Recueil des arrêts 1998-I, § 52, 19 febbraio 1998 ; Boultif c/Svizzera, n. 54273/00, § 46, CEDU 2001-IX ; Slivenko c/Lettonia [GC], n. 48321/99, § 113, CEDU 2003-X).
59.  Anche se un cittadino straniero possiede uno status non precario di residente ed ha raggiunto un elevato grado d’integrazione, la sua situazione non può essere assimilata a quella di un cittadino dello Stato, quando si tratti del succitato potere degli Stati contraenti di espellere stranieri (Moustaquim c/Belgio, 18 maggio 1991, § 49, serie A n. 193) per uno o più dei motivi elencati nel paragrafo 2 dell'articolo 8 della Convenzione. Gli Stati contraenti hanno il diritto di adottare nei confronti delle persone condannate penalmente misure atte a tutelare la società. Tali misure amministrative devono essere ritenute di carattere preventivo piuttosto che repressivo (Maaouia c/Francia [GC], n. 39652/98, § 39, CEDU 2000-X).
60.  La Corte ha elencato i criteri da utilizzare per valutare se una misura di espulsione sia stata necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito (Boultif, succitata, § 40, e Üner c/Paesi Bassi [GC], n. 46410/99, §§ 57-58, CEDU 2006-..). I criteri sono i seguenti:
–  la natura e la gravità del reato commesso dal ricorrente;
–  la durata del soggiorno dell’interessato nel paese dal quale deve essere espulso;
–  il lasso di tempo trascorso dalla perpetrazione del reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo;
- la nazionalità delle diverse persone interessate;
- la situazione familiare del ricorrente, e segnatamente, all’occorrenza, la durata del suo matrimonio ed altri fattori che testimonino l’effettività di una vita familiare in seno alla coppia;
–  la circostanza che il coniuge fosse a conoscenza del reato all’epoca della creazione della relazione familiare;
–  la circostanza che dal matrimonio siano nati dei figli e, se sì, la loro età;
–  la gravità delle difficoltà che il coniuge rischia di incontrare nel paese verso il quale il ricorrente deve essere espulso;
–  l'interesse e il benessere dei figli, in particolare la gravità delle difficoltà che i figli del ricorrente possono incontrare nel paese verso il quale l’interessato deve essere espulso; e
–  la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospite e con il paese di destinazione.
b)  Applicazione di questi principi al caso di specie
61.  Nel caso di specie, l’espulsione del primo ricorrente costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare della ricorrente e del secondo ricorrente. Non si contesta che tale ingerenza fosse prevista dalla legge, vale a dire dal decreto-legge n. 144 del 27 luglio 2005 (si veda il precedente paragrafo 9).
62.  La Corte ritiene anche che l’ingerenza controversa perseguisse scopi legittimi, vale a dire la tutela della sicurezza pubblica, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati.
63.  Al riguardo, essa osserva che stando alle informazioni fornite dal ministero dell’interno, il primo ricorrente è stato condannato in Italia ben due volte a pene restrittive della libertà per detenzione e spaccio di stupefacenti; inoltre, nel giugno 1999 e nel luglio 2001, egli è stato arrestato e perseguito per oltraggio e resistenza a un pubblico ufficiale e nei suoi confronti sono stati avviati procedimenti per numerosi altri reati, tra i quali rissa e lesioni personali (si veda il precedente paragrafo 23). Inoltre, il ministro dell’interno ha comunicato di essere autorizzato a ritenere, sulla base degli elementi in suo possesso, che il primo ricorrente avesse avuto contatti continui con elementi di spicco dell’integralismo islamico in Italia, elementi che avevano preso parte a progetti terroristici (si veda il precedente paragrafo 9). Del resto, la Corte osserva che la tesi del coinvolgimento del primo ricorrente in attività suscettibili di turbare l’ordine pubblico è corroborata anche dal fatto che l’interessato è stato accusato, in Tunisia, di adesione ad un’organizzazione terroristica e di raccolta di fondi destinati a finanziare persone, organizzazioni ed attività terroristiche. Anche se nei suoi confronti è stato pronunciato un non luogo a procedere per il reato di adesione ad un’organizzazione terroristica, l’interessato è stato riconosciuto colpevole di avere concesso contributi in denaro ai membri di un’associazione per delinquere e condannato, per tale imputazione, ad un anno di reclusione (si veda il precedente paragrafo 26).
 64.  L'insieme di questi elementi poteva ragionevolmente indurre le autorità italiane a credere che la presenza del primo ricorrente nel territorio dello Stato rappresentasse un pericolo per la sicurezza pubblica.
65.  Per quanto riguarda la vita familiare del primo ricorrente in Italia, la Corte osserva che l’interessato è sposato con la ricorrente e che le tre figlie della coppia sono nate, rispettivamente, nel 1996, nel 2001 e nel 2004 (si veda il precedente paragrafo 6). All’epoca dell’espulsione, esse erano quindi ancora giovani e capaci di adattarsi. Nate da un’italiana, esse possiedono la nazionalità di quello Stato. Potrebbero quindi, se seguissero il padre in Tunisia, tornare in Italia regolarmente per far visita ai familiari in quel paese (si veda, mutatis mutandis, Üner, succitata, § 64).
66.  La Corte non sottovaluta le difficoltà di ordine pratico derivanti per la ricorrente dal fatto di seguire il marito in Tunisia. Essa osserva tuttavia che niente prova che la malattia da cui è affetta la sig.ra Brusadelli non potrebbe essere curata efficacemente in quel paese. Del resto, essa ha potuto incontrare il marito quando era detenuto a Tunisi. Comunque, nelle particolari circostanze del caso di specie, le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale hanno la meglio sugli interessi della famiglia. Quanto al secondo ricorrente, egli è di nazionalità tunisina e non è stato affermato che, per un qualche motivo, non può recarsi in Tunisia.
67.  Non è stato addotto nemmeno che il primo ricorrente non aveva alcun legame sociale o culturale con la società tunisina. Sembrerebbe, al contrario, che egli abbia trascorso la maggior parte della vita in quel paese e che la lingua locale sia la sua lingua madre.
68.  Certo, il primo ricorrente non può, senza un’autorizzazione ministeriale, fare alcuna visita, neanche di breve durata, in Italia. Tuttavia, tenuto conto della natura e della gravità dei reati per i quali è stato condannato, nonché della gravità dei sospetti che pesano su di lui, la Corte non può concludere che lo Stato convenuto abbia fatto prevalere troppo abbondantemente l’interesse pubblico sull’interesse privato, decidendo di imporre tale misura.
69.  Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che l’espulsione del primo ricorrente non abbia rotto il giusto equilibrio che va mantenuto in materia tra le esigenze del rispetto della vita familiare della ricorrente e del secondo ricorrente e gli scopi legittimi perseguiti dalle autorità. La misura sotto accusa era quindi necessaria in una società democratica.
70.  Ne consegue che la messa in esecuzione dell’espulsione del primo ricorrente verso la Tunisia non ha violato l’articolo 8 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

1.  Decide, all’unanimità, di cancellare il ricorso dal ruolo nella misura in cui è stato presentato dal primo ricorrente;

2.  Dichiara, all’unanimità, il ricorso ammissibile quanto alla doglianza della ricorrente e del secondo ricorrente relativa all’articolo 8 della Convenzione e inammissibile nel resto;
3.  Dice, con quattro voti contro tre, che la messa in esecuzione della decisione di espellere il primo ricorrente verso la Tunisia non ha violato l’articolo 8 della Convenzione.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 7 aprile 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 Françoise Elens-Passos                           Françoise Tulkens
 Cancelliere aggiunto                                  Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione concordante del giudice Sajó e dell’opinione parzialmente dissenziente comune dei
giudici Tulkens, Jočiené e Popović.

F.T.
F.E.P.
 
 
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)
Ho votato come la maggioranza, ma desidero aggiungere qualche parola per spiegare alcuni punti del ragionamento della Corte come da me concepiti.

Il primo ricorrente è stato espulso per motivi di sicurezza nazionale, ma conformemente alla legge. La Corte doveva quindi esaminare gli effetti dell’espulsione rispetto all’articolo 8 e alla luce dei criteri enunciati nelle sentenze Boultif e Üner. Nei casi di questo tipo, essa deve trovare il giusto equilibrio tra questi criteri, tenuto conto delle circostanze proprie del caso. I motivi dell’espulsione non sono in questa sede pertinenti. Il caso di specie verte sull’impatto dell’espulsione del ricorrente sui diritti di questi e di sua moglie in virtù dell’articolo 8. I criteri Boultif/Üner riguardano in particolare la natura del reato. Per tale motivo, le passate condanne del primo ricorrente devono essere valutate alla luce di elementi attuali relativi alla sicurezza nazionale: la natura delle passate condanne è tale da avere un peso considerevole visti i fatti recenti che pesano sulla sicurezza nazionale. Basarsi su considerazioni di sicurezza nazionale senza rapporto con la natura giudiziariamente stabilita della condanna significherebbe andare oltre i criteri Boultif/Üner.

Ritengo che anche il comportamento del primo ricorrente dopo le condanne costituisca un problema, anche se non esiste alcuna decisione giudiziaria al riguardo. A mio avviso, una tale decisione non è richiesta dall’attuale giurisprudenza della Corte, anche se un giorno potrebbe avvertirsene il bisogno. Infine, il primo ricorrente e sua moglie hanno diverse possibilità per mantenere la loro vita familiare. Penso che, in questa fase, sarebbe prematuro pronunciarsi sulle condizioni di ritorno (paragrafo 68 della sentenza) applicate al ricorrente.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE COMUNE DEI GIUDICI TULKENS, JOČIENĖ E POPOVIĆ
Contrariamente alla maggioranza, noi pensiamo che la messa in esecuzione della decisione di espellere verso la Tunisia il primo ricorrente, lasciando in Italia la moglie e i tre figli, abbia violato l’articolo 8 della Convenzione, il quale sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. I nostro motivi sono i seguenti.

1.  Gli Stati hanno effettivamente « il diritto, in virtù di un principio di diritto internazionale ben consolidato, di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dei non nazionali » . Tuttavia, nell’esercizio di tale diritto, essi devono tenere in considerazione i diritti tutelati dalla Convenzione. Anche i diritti tutelati dalla Convenzione sono « ben consolidati » e nessuna gerarchia consente di porli ad un livello inferiore .

2.  Per quanto riguarda l’espulsione degli stranieri che delinquono, nelle sentenze Boultif c/Svizzera del 2 agosto 2001 e Üner c/Paesi Bassi del 18 ottobre 2006 [GC], la Corte ha elencato i criteri da applicarsi per valutare se una misura di espulsione sia necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Tali criteri non ci sembrano soddisfatti nel caso di specie.

3.  Per quanto riguarda la durata del soggiorno dell’interessato nel paese dal quale deve essere espulso, è opportuno notare che il ricorrente è arrivato in Italia nel 1993 ed è titolare di un regolare permesso di soggiorno. Quindi, al momento della sua espulsione, nel gennaio 2007, il ricorrente aveva vissuto in Italia quattordici anni, vale a dire un periodo di tempo significativo.

4.  Per quanto riguarda la natura e la gravità dei reati commessi dal ricorrente, non si contesta che egli sia stato condannato nel 1996 a dieci mesi di reclusione con la condizionale per detenzione di stupefacenti e nel 1999 ad un anno e un mese di reclusione per detenzione e spaccio di stupefacenti. Del resto, è stato perseguito nel 1997, nel 1999, nel 2001 e nel 2002 per oltraggio e lesioni, senza tuttavia essere condannato. Rispetto ad altri casi di cui la Corte è stata investita, non si può ragionevolmente sostenere che il percorso delinquenziale del ricorrente sia di gravità tale che « le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale hanno la meglio sugli interessi della famiglia » (paragrafo 66). Inoltre, l’ultima condanna del ricorrente risale al 1999 e la sua espulsione ha avuto luogo solo nel 2007. Infine, l’affermazione del ricorrente, fatta al momento dell’espulsione e manifestamente nell’intento di evitare quest’ultima, secondo la quale egli sarebbe stato condannato in contumacia ad otto anni di reclusione dal tribunale militare di Tunisi, non è confermata nel caso di specie da una copia della sentenza (paragrafo 7) e non è pertinente nel caso di specie.
In realtà, non sono le condanne del ricorrente bensì i sospetti che pesano su di lui a costituire, agli occhi della maggioranza, la vera giustificazione della sua espulsione, consentendole di concludere che lo Stato non ha fatto prevalere troppo abbondantemente l’interesse pubblico sull’interesse privato quando ha deciso d’imporre tale misura (paragrafo 68). Questo costituisce, nella giurisprudenza della Corte, un criterio completamente nuovo che si presta a tutte le interpretazioni, rischiando di aprire la strada all’arbitrio.
Nel caso di specie, questi sospetti si basano su dati fragili e relativi. Si tratta, da un lato, della nota del ministero dell’Interno secondo la quale la pericolosità del ricorrente era dedotta dal fatto che egli frequentava cittadini stranieri coinvolti in casi oggetto di inchieste giudiziarie (paragrafo 24). Dall’altro lato, si tratta del fatto che, espulso in Tunisia, il ricorrente è stato riconosciuto colpevole in quel paese di avere concesso contributi in denaro ai membri di un’associazione per delinquere e condannato, per quella imputazione, ad un anno di reclusione. Nei suoi confronti è stato invece pronunciato un non luogo a procedere per il reato di adesione ad un’organizzazione terroristica (paragrafo 26).

5.  Infine, per quanto riguarda la situazione familiare del ricorrente, sappiamo che questi nel 1996 ha sposato una cittadina italiana e che, da quell’unione, sono nate tre figlie, rispettivamente nel 1996, nel 2001 e nel 2004, che possiedono la cittadinanza italiana. Al momento dell’espulsione del ricorrente nel 2007, le figlie avevano 10, 7 e 3 anni, andavano a scuola in Italia e in quel paese avevano legami familiari e sociali. A titolo di confronto, nella sentenza Üner, i due figli avevano rispettivamente 6 anni e 18 mesi. Pertanto, anche a voler sradicare completamente la famiglia, il trasferimento di questa in Tunisia non ci sembra un’ipotesi realistica né umana.

6.  La sentenza è sensibile alla necessità di assicurare la tutela contro la minaccia terroristica, cosa perfettamente comprensibile. Noi pensiamo tuttavia che la tutela più sicura contro una tale minaccia risieda nel rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali la vita familiare occupa uno dei primissimi posti. Se questo rispetto viene meno, la violenza rischia di generare violenza.

 

Per traduzione conforme
Roma, 27 aprile 2009

L’esperto linguistico C1
Dott.ssa Rita Pucci