Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 luglio 2018 - Ricorso n. 24/11 - Causa Centro Demarzio s.r.l. contro Italia

© Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSACENTRO DEMARZIO S.R.L. c. ITALIA
(Ricorso n. 24/11)

SENTENZA

STRASBURGO
5 luglio 2018

 

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Centro Demarzio S.r.l. c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo, (prima sezione), riunita in un comitato composto da:

Kristina Pardalos, presidente,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 12 giugno 2018,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 24/11) proposto contro la Repubblica italiana con cui una società di diritto italiano, la società Centro Demarzio S.r.l. («la società ricorrente»), ha adito la Corte il 29 ottobre 2010 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. La società ricorrente è stata rappresentata dall'avvocato A. Clarizia, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e da P. Accardo, co-agente.
3. La società ricorrente lamentava, in particolare, una ingerenza nel diritto al rispetto dei suoi beni in ragione di un atto illegittimo dell'amministrazione.
4. Il 10 marzo 2017 la doglianza relativa all'articolo 1 del Protocollo n. 1 è stata comunicata al Governo e il ricorso è stato dichiarato irricevibile per il resto conformemente all'articolo 54 § 3 del regolamento della Corte.
5. Con lettera del 20 marzo 2018, il Governo si è opposto all'esame del ricorso da parte di un comitato. Dopo aver esaminato l'obiezione del Governo, la Corte l'ha respinta.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. La ricorrente è una società a responsabilità limitata di diritto italiano con sede a Gravina di Puglia. Si tratta di un centro di terapia fisica e di radiodiagnostica convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.
7. La società ricorrente fu costituita nel 1991, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 412 del 1991 («la legge n. 412»). In precedenza, la sua attività era gestita a titolo privato dal dottor Demarzio che, in qualità di medico, lavorava anche per il Servizio sanitario nazionale.
8. Poiché l'art. 4 della legge n. 412 aveva introdotto una incompatibilità tra l'impiego presso il Servizio sanitario nazionale e qualsiasi altra attività retribuita, nonché qualsiasi altro rapporto di lavoro, anche convenzionato, con il Servizio sanitario nazionale, il dottor Demarzio fondò, con altre persone, la società ricorrente. Con deliberazione n. 784 del 10 novembre 1992, il Servizio sanitario nazionale trasferì a questa nuova società la convenzione di cui il dottor Demarzio era titolare.
9. Il 1° gennaio 1993 quest'ultimo cedette le sue quote sociali a terzi allo scopo di dedicarsi esclusivamente al suo lavoro subordinato presso il Servizio sanitario nazionale, conformemente all'articolo 4 della legge n. 412.
10. Con deliberazione n. 383 dell'8 aprile 1993, l'amministrazione sanitaria prese atto di tale cessione e, constatando che ormai mancava la condizione di corresponsabilizzazione del dottor Demarzio, revocò la convenzione della società ricorrente. L'amministrazione basò la sua decisione su un parere del Consiglio di Stato (n. 2719/1992) relativo alla natura obbligatoria del requisito di corresponsabilizzazione.
11. La società ricorrente impugnò tale decisione dinanzi al tribunale amministrativo della Puglia («il tribunale amministrativo»).
12. Con sentenza del 21 ottobre 1996, il tribunale amministrativo accolse il ricorso della ricorrente e annullò la decisione impugnata perché illegittima. In particolare, dichiarò che l'amministrazione sanitaria aveva interpretato erroneamente le disposizioni di legge pertinenti in materia. Infatti, a suo parere, se la condizione di corresponsabilizzazione del titolare della convenzione è obbligatoria al momento del trasferimento di una convenzione a una società, l'uscita del suddetto titolare dalla società non costituisce in alcun caso un motivo di revoca della convenzione. Tanto più che, nella fattispecie, il comportamento del dott. Demarzio era conforme alla disposizione contenuta nell'articolo 4 della legge n. 412.
13. Con deliberazione n. 1143 del 28 giugno 1997, l'Amministrazione sanitaria prese atto di tale sentenza e ripristinò la convenzione con la società ricorrente con effetto dal 1° agosto 1997.
14. Il 23 novembre 1998, la società ricorrente citò il Servizio sanitario nazionale dinanzi al tribunale di Bari chiedendo il risarcimento per la perdita economica dovuta alla sospensione della convenzione dal 1993 al 1997. Il tribunale, ritenendo che l'azione legale avrebbe dovuto essere diretta contro la regione, respinse il ricorso
15. Nel 2003 la società ricorrente presentò al tribunale amministrativo una domanda di risarcimento danni contro la regione.
16. Con sentenza del 22 febbraio 2006, il tribunale amministrativo respinse questo ricorso. Esaminando nel merito la domanda di risarcimento, ritenne che quest'ultima non potesse essere accolta in quanto, in assenza dell'elemento soggettivo dell'illecito, non sussistevano i presupposti per la responsabilità dell'amministrazione. In effetti, a suo avviso, poiché l'atto illegittimo era stato adottato a seguito di un «errore scusabile» dell'amministrazione, tenuto conto soprattutto della novità delle disposizioni legislative pertinenti in materia, della loro complessità e della loro mancanza di chiarezza, nonché delle difficoltà di interpretazione e delle divergenze della giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia, non si poteva sostenere che sussistesse un errore dell'amministrazione che desse diritto al risarcimento.
17. La società interpose appello avverso questa sentenza. Il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 ottobre 2010, respinse il suo ricorso.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

18. La società ricorrente lamenta di avere subito quella che considera una ingerenza illegittima nel diritto al rispetto dei suoi beni, garantito dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

A. Sulla ricevibilità

19. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Nel merito

1. Argomenti delle parti

20. La società ricorrente dichiara di avere subito ingenti perdite economiche a causa dell'azione, a suo parere illegittima, dell'amministrazione sanitaria e lamenta l'impossibilità di ottenere un risarcimento a tale riguardo. In particolare, sostiene che la revoca della convenzione da parte del Servizio sanitario nazionale avrebbe comportato una cessazione quasi totale della sua attività per 45 mesi. Inoltre, la ripresa dell'attività nel 1997 sarebbe stata penalizzata dalla creazione di un centro radiodiagnostico concorrente e dalla modifica, da parte del Servizio sanitario nazionale, delle tariffe di rimborso delle prestazioni.
21. La società ricorrente ritiene inaccettabile che lo Stato utilizzi il concetto di «errore scusabile» per sottrarsi alla sua responsabilità.
22. Il Governo sostiene che l'ingerenza nel diritto di proprietà della ricorrente era prevista dalla legge, ma ammette tuttavia un errore nell'applicazione da parte dell'amministrazione.
23. Il Governo sostiene che l'errore era scusabile in quanto era basato su un parere dell'alta giurisdizione amministrativa ed era giustificato dalle oggettive difficoltà connesse all'interpretazione della legge applicabile, soprattutto a causa della novità di quest'ultima. Inoltre, indica che l'amministrazione ha reagito molto rapidamente in favore della ricorrente ripristinando la convenzione in questione non appena la sentenza del tribunale amministrativo era divenuta definitiva. Pertanto, a suo parere, nel caso di specie non sarebbe ipotizzabile alcuna responsabilità dell'amministrazione.
24. Peraltro, il Governo sostiene che il danno subito dalla ricorrente corrisponde ad un mancato guadagno del tutto compatibile con il normale rischio di impresa cui essa era esposta a causa della sua attività commerciale e ritiene che tale mancato guadagno non possa quindi essere considerato come un «onere eccessivo» imposto alla ricorrente.
25. A tale riguardo precisa, inoltre, che l'annullamento della convenzione ha avuto come unico effetto quello di privare il centro medico dei pazienti del Servizio sanitario nazionale. Ora, a suo parere, sebbene la presa in carico di questi pazienti costituisse una parte importante dell'attività della società ricorrente, la loro perdita non comportava per questo la cessazione di ogni attività.
26. Infine, il Governo indica che la stipula di convenzioni tra il Servizio sanitario nazionale e le strutture sanitarie private è un mezzo per servire l'interesse pubblico della comunità, prioritario rispetto agli interessi e alle aspettative di profitto degli enti privati.

2. Valutazione della Corte

27. La Corte rammenta che la nozione di «beni» di cui all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione ha una portata autonoma che non si limita certamente alla proprietà di beni materiali: anche taluni altri diritti e interessi che costituiscono degli attivi possono essere considerati «diritti di proprietà» e quindi «beni» ai sensi di questa disposizione (Gasus Dosier - und Fördertechnik GmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 53 serie A n. 306-B).
28. Peraltro, i «beni» ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione possono essere sia dei «beni esistenti» (Van der Mussele c. Belgio, 23 novembre 1983, § 48 serie A n. 70 e Malhous c. Repubblica Ceca, (dec.) [GC], n. 33071/96, CEDU 2000-XII), sia dei valori patrimoniali, compresi i crediti, per i quali un ricorrente può pretendere di avere almeno una «aspettativa legittima» di vederli concretizzati (si veda, ad esempio, Pressos Compania Naviera S.A. e altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 31, serie A n. 332, e Eleftherios G. Kokkinakis - Dilos Kykloforiaki A.T.E. c. Grecia, n. 45826/11, § 42, 20 ottobre 2016).
29. Inoltre, l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione richiede, anzitutto e soprattutto, che una ingerenza dell'autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legittima. La preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 58, CEDU 1999-II).
30. Nel caso di specie, non viene contestato che vi è stata una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni. Il Governo ritiene che tale ingerenza fosse prevista dalla legge.
31. A tale proposito, la Corte osserva che la decisione del Servizio sanitario nazionale di revocare la convenzione di cui la società ricorrente era beneficiaria è stata dichiarata illegittima con sentenza definitiva del tribunale amministrativo, il quale ha ritenuto che l'amministrazione avesse interpretato erroneamente le disposizioni di legge pertinenti. Essa nota che, nonostante tale decisione, l'interessata non ha potuto ottenere alcun indennizzo.
32. La Corte ritiene che tale constatazione, che nel caso di specie non è stata contestata dalle autorità competenti, sia sufficiente per confutare l'argomento del Governo secondo cui l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni della società ricorrente era prevista dalla legge.
33. Peraltro, il carattere scusabile dell'errore commesso dall'amministrazione sanitaria, addotto dal Governo nelle sue osservazioni, non può di per sé giustificare l'ingerenza in questione. In effetti, la Corte ritiene innanzitutto che non possa spettare alla ricorrente sostenere l'onere di eventuali errori o carenze da parte delle autorità (si veda, mutatis mutandis, Gashi c. Croazia, n. 32457/05, § 40, 13 dicembre 2007). Inoltre, nella misura in cui l'errore amministrativo è stato causato dalla mancanza di chiarezza della legge applicabile, essa rammenta che il principio di legalità presuppone l'esistenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibili, precise e prevedibili (Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, § 64, CEDU 2000-VI).
34. Infine, la Corte incidentalmente osserva che il riconoscimento da parte delle autorità nazionali del carattere illegittimo dell'ingerenza controversa non sarebbe sufficiente, in mancanza di una riparazione del danno subito, a porre rimedio alla dedotta violazione della Convenzione (si vedano, fra molte altre Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 178, CEDU 2006-V, e Vella c. Malta, n. 69122/10, § 47, 11 febbraio 2014).
35. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che l'ingerenza in questione fosse manifestamente illegittima sul piano del diritto interno e, di conseguenza, incompatibile con il diritto al rispetto dei beni della società ricorrente. Tale conclusione la dispensa dal determinare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi di tutela dei diritti individuali.
36. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

37. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

38. La società ricorrente chiede 3.383.787 euro (EUR) per il danno materiale che ritiene di avere subito. A suo parere, tale importo corrisponde, in particolare, al costo del materiale di radiologia che sarebbe rimasto inutilizzato a causa della revoca della convenzione (24.523,05 EUR), alle spese di gestione e di mantenimento del centro medico durante il periodo compreso fra gennaio 1993 e agosto 1997 (68.286,23 EUR), al mancato guadagno del centro durante questo stesso periodo (608.168,30 EUR), nonché alle perdite subite dopo la ripresa dell'attività per il posizionamento sul mercato di un centro medico convenzionato concorrente (2.682.809,80 EUR).
39. La società ricorrente chiede inoltre 80.000 EUR per il danno morale che afferma di avere subito.
40. Il Governo si oppone alle richieste della ricorrente e, in particolare, ritiene che il rimborso di qualsiasi mancato guadagno avrebbe come effetto quello di rompere il giusto equilibrio tra gli interessi superiori della comunità e la salvaguardia del diritto della società ricorrente di trarre profitto dalla sua attività.
41. La Corte rammenta che una sentenza che accerta una violazione comporta per lo Stato convenuto l'obbligo giuridico di porre fine alla violazione e di cancellarne le conseguenze allo scopo di ristabilire, per quanto possibile, la situazione precedente alla violazione (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI, e Katsaros c. Grecia (equa soddisfazione), n. 51473/99, § 17, 13 novembre 2003). Inoltre, la Corte rammenta che solo i danni causati dalle violazioni della Convenzione da essa constatate possono dare luogo al riconoscimento di un'equa soddisfazione (Motais de Narbonne c. Francia (equa soddisfazione), n. 48161/99, § 19, 27 maggio 2003).
42. Nella presente causa, la Corte ha concluso che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione dovuta all'annullamento illegittimo della convenzione da parte del Servizio sanitario nazionale per circa quattro anni, annullamento a cui non è stato in alcun modo posto rimedio a livello nazionale. Essa osserva che senza dubbio ciò può avere comportato una significativa limitazione dell'attività della società ricorrente, anche se non ha provocato la chiusura del centro medico (paragrafi 19 e 24 supra).
43. Ora, la società ricorrente non ha dimostrato in quale misura la sua attività si fosse ridotta durante il periodo in cui la convenzione era stata revocata e quale tipo di terapie aveva potuto continuare a dispensare. Peraltro, non ha neppure dimostrato che i costi di manutenzione e di gestione del centro erano divenuti manifestamente sproporzionati rispetto al volume e al tipo di attività esercitata durante tale periodo. Di conseguenza, la Corte non accoglie le domande della società ricorrente relative al rimborso del prezzo del materiale di radiologia e ai costi di gestione e manutenzione del centro medico, in quanto non è stato dimostrato il nesso di causalità con la violazione constatata.
44. Per quanto riguarda le domande della ricorrente relative al mancato guadagno, la Corte ritiene che la società in causa abbia effettivamente subito un danno a questo titolo in quanto impossibilitata, per quasi quattro anni, ad esercitare la sua attività in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
45. Tuttavia, la Corte ritiene di non poter speculare sull'ammontare degli utili che la società ricorrente avrebbe potuto realizzare se la convenzione non fosse stata sospesa. Inoltre, sottolinea l'impossibilità di quantificare con precisione, sulla base degli argomenti e della documentazione giustificativa prodotta dalla società ricorrente a sostegno della sua domanda di equa soddisfazione, il mancato guadagno così subito. La Corte rammenta a questo riguardo che l'esistenza di un mancato guadagno (lucrum cessans) deve essere stabilita con certezza e non deve basarsi unicamente su supposizioni o probabilità (Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], n. 38433/09, § 219, CEDU 2012).
46. In queste condizioni, la Corte ritiene opportuno fissare una somma forfettaria per compensare il mancato guadagno dovuto all'impossibilità per la società ricorrente di avvalersi della convenzione con il Servizio sanitario nazionale tra il 1993 e il 1997.
47. Inoltre, la Corte ritiene che l'ingerenza manifestamente illegittima nel diritto al rispetto dei beni della società ricorrente abbia inevitabilmente causato a quest'ultima un danno morale a causa della prolungata incertezza nella conduzione degli affari e dei sensi di impotenza e frustrazione, nonché un danno alla reputazione della società (Comingersoll S.A. c. Portogallo [GC], n. 35382/97, § 35, CEDU 2000-IV).
48. Decidendo in via equitativa sulla base di tutte le informazioni di cui dispone, la Corte ritiene ragionevole accordare alla società ricorrente una somma complessiva di 394.000 EUR, comprensiva di tutti i danni, maggiorata dell'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.

B. Spese

49. La società ricorrente chiede 10.000 EUR per le spese di procedura che afferma di aver sostenuto dinanzi alla Corte.
50. Il Governo non ha presentato osservazioni al riguardo.
51. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. La Corte rileva che la ricorrente non ha prodotto documentazione giustificativa a sostegno della sua domanda e decide di non accordare nulla a questo titolo.

C. Interessi moratori

52. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi, 394.000 EUR (trecentonovantaquattromila euro), più gli importi eventualmente dovuti a titolo di imposta, per i danni materiali e morali;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 luglio 2018, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Kristina Pardalos
Presidente