Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 aprile 2017 - Ricorso n. 36974/11 - Causa Fasan e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA FASAN E ALTRI c. ITALIA

(Ricorso n. 36974/11)

SENTENZA

STRASBURGO

13 aprile 2017
 

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Fasan e altri c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Aleš Pejchal,
Robert Spano,
Pauliine Koskelo,
Jovan Ilievski, giudici,
e Abel Campos, cancelliere di Sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio il 21 marzo 2017,
emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 36974/11) presentato contro la Repubblica italiana con il quale, in data 19 aprile 2011, sei cittadini di tale Stato («i ricorrenti», si veda la tabella allegata), hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avvocati S. Gattamelata e R. Cuonzo, del foro di Roma. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, Sig.ra E. Spatafora
3. Il ricorso è stato comunicato al Governo in data 29 gennaio 2013.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Nel mese di luglio 1981, i ricorrenti adirono la Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei deputati («la Commissione») al fine di contestare il loro inquadramento nel primo livello funzionale-retribuivo.

5. Con sei decisioni depositate in cancelleria il 29 settembre 1999, la Commissione respinse le domande dei ricorrenti.

6. In date diverse comprese tra il novembre 1999 e il gennaio 2000, i ricorrenti interposero impugnazione dinanzi alla Sezione giurisdizionale dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati («la Sezione giurisdizionale») che, dopo aver deciso di riunire i ricorsi, li respinse con sentenza del 26 gennaio 2009.

7. Il 16 luglio 2009 i ricorrenti adirono il Collegio d’appello della Camera dei deputati («il Collegio d’appello») al fine di ottenere, sulla base della legge n. 89 del 24 marzo 2001, la cosiddetta «legge Pinto», il risarcimento dei danni morali che ritenevano di aver subìto in ragione della eccessiva durata dei procedimenti principali.

8. Con decreto collegiale depositato in cancelleria l’8 novembre 2010, il Collegio d’appello constatò che il giudizio d’appello aveva ecceduto una «durata ragionevole», e accordò a ciascun ricorrente 4.000 euro (EUR) a titolo di danno morale. Respinse, tuttavia, la domanda di risarcimento relativa alla durata del procedimento di primo grado, in quanto i ricorrenti avrebbero dovuto adire la Corte europea dei diritti dell’uomo al termine del suddetto procedimento.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

9. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla «legge Pinto» sono esposti nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006-V) e quelli relativi alla tutela giurisdizionale del personale della Camera dei deputati nella sentenza Savino e altri c. Italia (nn.17214/05, 20329/05 e 42113/04, §§ 35-38, 28 aprile 2009).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

10. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’eccessiva durata dei procedimenti principali e l’insufficienza degli indennizzi ottenuti nell’ambito della procedura «Pinto».

11. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è così formulato nelle parti pertinenti al caso di specie:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

A. Sulla ricevibilità

12. Il Governo sostiene che i ricorrenti non hanno subìto alcun pregiudizio importante ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera b) della Convenzione in quanto, a suo avviso, le loro domande sono state debitamente esaminate dalle autorità interne ed erano comunque infondate.

13. I ricorrenti contestano tale tesi.

14. La Corte rammenta che, per verificare se la violazione di un diritto raggiunga la soglia minima di gravità occorre tener conto in particolare dei seguenti elementi: la natura del diritto che si presume violato, la gravità dell'incidenza della dedotta violazione nell'esercizio di un diritto e/o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente. Nella valutazione di tali conseguenze, la Corte esaminerà, in particolare, la posta in gioco nel procedimento nazionale o il suo esito (Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011, e El Kaada c. Germania, n. 2130/10, § 41, 12 novembre 2015).

15. Nel caso di specie, la Corte rileva che i ricorrenti lamentavano l’eccessiva durata del procedimento civile. È evidente che un procedimento che si è protratto per circa ventisette anni e quattro mesi, per due gradi di giudizio, non può essere compatibile con il principio del termine ragionevole stabilito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Nel valutare la gravità delle conseguenze di questo tipo di contestazione, la posta in gioco  nella causa dinanzi ai giudici nazionali può essere determinante soltanto nell'ipotesi in cui il suo valore sia modico o irrisorio (Giusti, sopra citata, § 35). La Corte ritiene che ciò non si verifichi nel caso di specie poiché la presente causa riguarda il diritto del lavoro e, in particolare, la contestazione da parte dei ricorrenti del loro inquadramento in una determinata categoria professionale (paragrafo 4 supra).

16. Quanto all’affermazione del Governo secondo cui le domande introdotte dinanzi ai giudici nazionali erano infondate, la Corte rammenta che il riconoscimento del diritto a un giudizio entro un termine ragionevole non dipende dall’esito favorevole del procedimento principale (si vedano, in particolare, Giusti, sopra citata, §§ 8 e 49, e Belperio e Ciarmoli c. Italia, n. 7932/04, §§ 10 e 60, 21 dicembre 2010). Essa ritiene, tutt’al più, che il carattere manifestamente infondato delle domande avrebbe dovuto costituire un indizio della scarsa complessità della causa, fatto che giustifica ancor meno un ritardo così importante nel loro esame. Essa nota infine che i giudici interni non hanno ritenuto che le domande dei ricorrenti potessero essere considerate abusive né nell’ambito del procedimento principale né in quello della procedura Pinto (si vedano, mutatis mutandis, Jovanović c. Serbia (dec.) [comitato], n. 40348/08, 7 marzo 2014, e, a contrario, Cavaliere c. Italia (dec.), nn. 50930/11 e 50893/13, 12 novembre 2013).

17. Per quanto sopra esposto, la Corte ritiene che nel caso di specie non sia soddisfatto il primo criterio dell’articolo 35 § 3, lettera b) della Convenzione, ossia l’assenza di pregiudizio importante per i ricorrenti, e che, pertanto, l’eccezione del Governo relativa a questo punto debba essere respinta.

18. Il Governo argomenta quindi che i ricorrenti non possono più sostenere di essere vittime delle violazioni dedotte dal momento che, a suo avviso, i giudici interni hanno, in primo luogo, riconosciuto la violazione e, in secondo luogo, accordato una somma a titolo di danno morale, fatto che costituisce a suo giudizio un’adeguata riparazione.

19. I ricorrenti contestano tale tesi.

20. La Corte nota innanzitutto che è la prima volta che esamina l’applicazione dell’articolo 6 della Convenzione al contenzioso relativo alla durata di procedimenti svoltisi dinanzi agli organi giurisdizionali della Camera dei deputati.

21. Essa rileva inoltre che, in virtù dell’autonomia normativa del Parlamento prevista dall’articolo 64 della Costituzione e delle norme speciali stabilite dal Regolamento della Camera dei deputati, la competenza in materia di durata dei procedimenti che si svolgono dinanzi agli organi giurisdizionali della Camera dei deputati non spetta alla Corte d’appello, bensì al Collegio d’appello.

22. Essa constata infine che, a seguito della sentenza Savino (sopra citata), le autorità nazionali hanno riconosciuto, in linea con l’approccio adottato nella presente sentenza, l’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione e, di conseguenza, la tutela accordata dalla legge Pinto al contenzioso tra la Camera dei deputati e i suoi funzionari. Osserva inoltre che i giudici interni hanno riconosciuto dinanzi alla Sezione giurisdizionale la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, in ragione della eccessiva durata del procedimento.

23. Ciò detto, la Corte ribadisce che una decisione o un provvedimento favorevole al ricorrente è, in linea di principio, sufficiente a privarlo della qualità di «vittima» solo qualora le autorità nazionali abbiano riconosciuto la violazione della Convenzione, espressamente o sostanzialmente, e vi abbiano successivamente posto rimedio (si vedano, ad esempio, Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, §§ 69 e successivi, Serie A n. 51, Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, Dalban c. Romania [GC], n. 28114/95, § 44, CEDU 1999-VI, e Jensen c. Danimarca (dec.), n. 48470/99, CEDU 2001-X). A suo avviso nel caso di specie tali  due condizioni non sono soddisfatte.

24. In effetti, la Corte nota in primo luogo che il Collegio d’appello ha ritenuto che non si dovesse tener conto del procedimento di primo grado perché, secondo tale Collegio, i ricorrenti avrebbero dovuto adire gli organi di Strasburgo entro il termine di sei mesi decorrente dalla data della decisione della Commissione (paragrafo 8 supra).

25. In ogni caso, la Corte ritiene che la durata del procedimento equivalga a una «situazione continua», che nel  caso di specie è terminata il 26 gennaio 2009, data del deposito in cancelleria della sentenza della Sezione giurisdizionale (paragrafo 6 supra). Essa ritiene inoltre che i ricorrenti avrebbero dovuto avere la possibilità di denunciare dinanzi ai giudici interni la violazione dell’articolo 6 della Convenzione per l’intero procedimento controverso. Essa nota che i giudici interni hanno escluso dal loro esame una parte del procedimento principale. Ne consegue che, per tale parte del procedimento, non vi è stato alcun riconoscimento della violazione dedotta (si veda, a contrario, Gagliano e Giorgi c. Italia, n. 23563/07, § 79, CEDU (estratti), in cui la Corte ha ritenuto che il fatto che la legge Pinto non permettesse di risarcire il ricorrente per la durata complessiva del procedimento, ma prendesse in considerazione soltanto il pregiudizio che si riferiva al periodo eccedente il termine ragionevole, non rimetteva per il momento in discussione l’effettività di tale via di ricorso).

26. In secondo luogo, la Corte ritiene che la somma accordata dal Collegio d’appello non sia sufficiente per porre rimedio alla violazione.

27. Essa nota in effetti che, in considerazione della specificità della controversia, della posta in gioco e degli eventuali ritardi imputabili ai ricorrenti, la somma ottenuta dai ricorrenti, vale a dire EUR 4.000 ciascuno, corrisponda soltanto a circa il 21% di quella che essa avrebbe potuto accordare loro in assenza di vie di ricorso interne accessibili ed effettive.

28. I ricorrenti possono pertanto ritenersi sempre «vittime», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si veda, a contrario, Garino c. Italia (dec.), nn. 16605/03, 16641/03 e 16644/03).

29. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e che non incorre inoltre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

30. La Corte constata che il procedimento principale è iniziato nel luglio del 1981 e si è concluso nel gennaio del 2009. Il procedimento in questione è quindi durato circa ventotto anni per due gradi di giudizio.

31. La Corte ha trattato più volte cause che sollevavano questioni analoghe a quella del caso di specie, nelle quali ha constatato la violazione del requisito del «termine ragionevole» alla luce dei criteri individuati dalla sua giurisprudenza consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella, sopra citata). Non rilevando nella presente causa alcun elemento che possa condurre a una conclusione differente, la Corte ritiene di dover concludere che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per lo stesso motivo.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

32. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

33. I ricorrenti chiedono EUR 86.000 ciascuno per il danno morale.

34. Il Governo sostiene che tali pretese sono eccessive e ingiustificate.

35. La Corte rammenta che, quando un ricorrente può continuare ad affermare di essere una «vittima» dopo aver esaurito il «ricorso Pinto», gli dovrebbe essere accordata la differenza tra la somma ottenuta e quella non manifestamente irragionevole rispetto all’importo che sarebbe stato concesso dalla Corte in assenza di vie di ricorso interne accessibili ed effettive (si veda Cocchiarella, sopra citata, § 140). Nel caso di specie, la Corte rileva che i giudici interni hanno accordato EUR 4.000 a ciascun ricorrente, somma che rappresenta circa il 21% di quanto avrebbe accordato la Corte in assenza di vie di ricorso interne. Tale circostanza conduce a un risultato manifestamente irragionevole rispetto ai criteri elaborati nella sua giurisprudenza.

36. Di conseguenza, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella (sopra citata, §§ 139-142 e 146; si veda altresì, a contrario, Garino, decisione sopra citata) e deliberando in via equitativa, la Corte concede a ciascun ricorrente EUR 4.500 per il danno morale.

B. Spese

37. All’atto della presentazione del ricorso, i ricorrenti avevano chiesto EUR 15.000 per le spese sostenute nella procedura dinanzi alla Corte. Tuttavia, nelle loro osservazioni, non sollecitano alcuna somma a tale titolo.

38. Secondo la sua giurisprudenza costante (si vedano, in particolare, Andrea Corsi c. Italia, n. 42210/98, 4 luglio 2002, Andrea Corsi c. Italia (revisione), n. 42210/98, 2 ottobre 2003, Willekens c. Belgio, n. 50859/99, 24 aprile 2003, e Mancini c. Italia, n. 44955/98, CEDU 2001-IX), la Corte non concede alcuna somma a titolo di equa soddisfazione, ivi compreso il rimborso delle spese, in assenza della presentazione delle pretese quantificate e dei documenti giustificativi necessari, in conformità all’articolo 60 § 1 del Regolamento, nelle osservazioni scritte sul merito, e ciò anche nel caso in cui la parte ricorrente abbia indicato le sue pretese in una precedente fase del procedimento (Fadıl Yılmaz c. Turchia, n. 28171/02, § 26, 21 luglio 2005, e Kravchenko e altri (alloggi militari) c. Russia, nn. 11609/05, 12516/05, 17393/05, 20214/05, 25724/05, 32953/05, 1953/06, 10908/06, 16101/06, 26696/06, 40417/06, 44437/06, 44977/06, 46544/06, 50835/06, 22635/07, 36662/07, 36951/07, 38501/07, 54307/07, 22723/08, 36406/08 e 55990/08, § 51, 16 settembre 2010).

39. Atteso che i ricorrenti non hanno soddisfatto gli obblighi imposti loro ai sensi dell’articolo 60 del Regolamento, la Corte ritiene opportuno non concedere loro alcuna somma per le spese.

C. Interessi moratori

40. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in conformità all’articolo 44 § 2 della Convenzione, EUR 4.500 (quattromilacinquecento euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 13 aprile 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Linos Alexandre Sicilianos
Presidente

Abel Campos
Cancelliere
 

Allegato
N. Nome e Cognome Data di nascita Luogo di residenza
1. Fabrizio FASAN 29/05/1946 Roma
2. Carmine ALBERELLI 30/06/1954 Roma
3. Luciano CACCIARI 14/12/1944 Roma
4. Antonio FERRETTI 22/06/1950 Roma
5. Francesco PETRUCCI 13/09/1953 Roma
6. Alberino SPINELLI 24/04/1954 Roma