Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 aprile 2017 - Ricorso n. 32143/10 - Causa Di Sante c. Italia


CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA DI SANTE c. ITALIA

(Ricorso n. 32143/10)

SENTENZA

STRASBURGO

27 aprile 2017

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma

Nella causa Di Sante c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Robert Spano,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 28 marzo 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 32143/10) presentato contro la Repubblica italiana con cui un cittadino di tale Stato, sig. Paolo di Sante («il ricorrente»), ha adito la Corte il 21 aprile 2010 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. A. Palestini, del foro di San Benedetto del Tronto. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente G.M. Pellegrini.

3. Il 22 marzo 2013 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente è nato nel 1958 e risiede a Bisenti.

5. È parte in un procedimento avviato il 13 maggio 1993.

6. Il 16 settembre 2008 il ricorrente adì la corte d’appello di Campobasso ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», per lamentare la eccessiva durata del procedimento sopra citato.

7. Con decisione del 14 aprile 2009, depositata in cancelleria il 22 aprile 2009, la corte d’appello constatò che il procedimento aveva superato una durata ragionevole ma soltanto per quanto riguardava il periodo 1998-2008, considerando che il diritto a un’equa riparazione per la violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole era sottoposto, ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile, alla prescrizione decennale. La corte d’appello dichiarò che il ricorrente avrebbe dovuto proporre un ricorso fondato sulla legge Pinto prima dello scadere di questo termine di prescrizione. Decidendo in via equitativa, accordò al ricorrente 6.000 euro (EUR) per danno morale e 1.000 EUR per le spese.

8. Questa decisione fu notificata al Ministero della Giustizia il 24 settembre 2009 e, in mancanza di ricorso per cassazione, divenne definitiva il 23 novembre 2009.

9. La somma accordata dalla corte d’appello nell’ambito della procedura Pinto è stata versata il 19 agosto 2013.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

10. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla «legge Pinto», in vigore all’epoca dei fatti, sono esposti nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

11. L’articolo 2946 del codice civile stabilisce che, salvo i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.

12. Per quanto riguarda l’applicazione di tale disposizione in materia di diritto a un’equa riparazione per la violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole, la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (si vedano la sentenza delle Sezioni Unite n. 16783 del 27 marzo 2012, depositata il 9 ottobre 2012 e le sentenze della Corte di Cassazione n. 27719 del 30 dicembre 2009, n. 3325 del 2010, n. 4091 del 2010, n. 4526 del 2010, n. 4760 del 2010, n. 20564 del 2010 e n. 478 del 2011) esclude l’applicazione della prescrizione decennale e afferma la possibilità per i ricorrenti di adire le corti d’appello nell’ambito di un ricorso fondato sulla legge Pinto per lamentare la durata complessiva del procedimento principale entro sei mesi dal momento in cui la decisione conclusiva di tale procedimento diviene definitiva. Nella sentenza n. 4524 del 24 febbraio 2010 la Corte di cassazione ha adottato l’approccio opposto.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA DURATA DEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE

13. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta che la corte d’appello, alla quale aveva presentato un ricorso fondato sulla legge Pinto, abbia applicato la prescrizione decennale al suo diritto ad un’equa riparazione per la dedotta violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole.

14. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è così formulato nelle sue parti pertinenti al caso di specie:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

A. Sulla qualità di vittima

15. La Corte osserva che la corte d’appello di Campobasso ha concluso che vi era stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione in ragione della durata del procedimento principale e ha accordato al ricorrente una somma per danno morale. Tuttavia, essa rileva che, data l’applicazione della prescrizione decennale, il periodo iniziale del procedimento (dal 1993 al 1998) non è stato preso in considerazione e che, di conseguenza, la doglianza concernente la violazione dell’articolo 6 della Convenzione a tale riguardo non è stata esaminata a livello nazionale.

16. La Corte rammenta che la violazione del diritto di essere giudicati entro un termine ragionevole implica una situazione continuativa. Di conseguenza, qualora ritenga che la durata del procedimento sia stata eccessiva, un ricorrente deve avere la possibilità di chiedere riparazione dinanzi alle giurisdizioni nazionali in qualsiasi momento del procedimento principale ed entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data della decisione interna definitiva (si veda, mutatis mutandis, Robert Lesjak c. Slovenia, n. 33946/03, §§ 52, 53 e 55, 21 luglio 2009).

17. La Corte precisa che la natura continuativa della situazione oggetto della presente causa comporta anche il diritto del ricorrente di dedurre dinanzi ai giudici nazionali una violazione dell’articolo 6 della Convenzione per l’intera procedura controversa. A questo riguardo, occorre, in effetti, distinguere i casi in cui i giudici non hanno esaminato la compatibilità con l’articolo 6 § 1 di una parte del procedimento principale, come nel caso di specie, da quello in cui i giudici hanno preso in considerazione una parte del procedimento, ma hanno calcolato il risarcimento solo in funzione degli anni che hanno superato il termine considerato ragionevole. Solo la prima ipotesi pone problemi ai sensi della Convenzione perché per quanto riguarda la seconda, la Corte ha più volte rammentato che, sebbene i criteri per calcolare il danno morale causato dalla violazione dell’articolo 6 § 1 previsti nel diritto interno non corrispondano esattamente a quelli enunciati dalla Corte, questo non rimette in discussione l’effettività del ricorso fondato sulla legge Pinto, nella misura in cui le somme riconosciute non sono irragionevoli rispetto a quelle concesse in casi analoghi (Cocchiarella, sopra citata, § 105).

18. In conclusione, tenuto conto del fatto che la corte d’appello non ha esaminato la compatibilità con l’articolo 6 § 1 della Convenzione della parte del procedimento principale che si è svolto dal 1993 al 1998, la Corte ritiene che il ricorrente possa ancora sostenere di essere vittima della dedotta violazione a questo riguardo.

B. Sull’esaurimento delle vie di ricorso interne

19. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, ritenendo che il ricorrente avrebbe potuto proporre ricorso per cassazione. Infatti, secondo il Governo, la giurisprudenza della Corte di cassazione è ben consolidata per quanto riguarda l’inapplicabilità del regime della prescrizione al diritto a un processo entro un termine ragionevole (paragrafo 12 supra).

20. Il ricorrente sostiene di non aver proposto ricorso per cassazione perché la corte d’appello ha applicato una giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione per quanto riguarda la prescrizione del diritto a un’equa riparazione per la violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole. A tale riguardo, fa riferimento alla sentenza n. 4524 del 24 febbraio 2010 (paragrafo 12 supra). Il Governo replica che tale sentenza costituisce l’unico esempio in cui questo principio è stato applicato.

21. La Corte rammenta che, in base alla regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, il ricorrente, prima di adire la Corte, deve aver dato allo Stato convenuto l’occasione di correggere nel proprio ordinamento giuridico interno le violazioni denunciate utilizzando a tal fine le vie di ricorso interne adeguate (si veda, tra altre, Fressoz e Roire c. Francia [GC], n. 29183/95, § 37, CEDU 1999 –I).

22. Le disposizioni dell’articolo 35 § 1 prescrivono tuttavia soltanto l’esaurimento dei ricorsi che si riferiscono alle violazioni contestate, e al tempo stesso siano disponibili e adeguati. Questi ricorsi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, in pratica come in teoria, altrimenti mancherebbero loro l’effettività e l’accessibilità volute; spetta allo Stato convenuto dimostrare che questi requisiti sono soddisfatti (si veda, tra altre, McFarlane c. Irlanda [GC], n. 31333/06, § 107, 10 settembre 2010). Il semplice fatto di nutrire dubbi in merito alle prospettive di successo di un dato ricorso che non è manifestamente destinato a fallire non costituisce un motivo valido per giustificare il mancato utilizzo di ricorsi interni (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 71, Recueil des arrêts et décisions 1996‑IV).

23. Nel caso di specie, la Corte sottolinea che il ricorso fondato sulla legge Pinto è considerato, in linea di principio, accessibile ed effettivo (si veda, tra altre, Giuseppe Romano c. Italia, n. 35659/02, § 21, 5 marzo 2013).

24. Per quanto riguarda specificamente l’applicazione della prescrizione decennale al diritto di essere giudicati entro un termine ragionevole, la Corte non è rimasta convinta dagli argomenti del ricorrente. Essa nota, anzitutto, che le parti non sostengono che tale questione sia stata affrontata dalle autorità interne prima della sentenza n. 27719 del 30 dicembre 2009 nella quale la Corte di cassazione ha dichiarato che la prescrizione non si applica. L’unica restrizione all’accesso al rimedio Pinto in vigore all’epoca dei fatti riguardava la possibilità di adire la corte d’appello unicamente entro il termine di sei mesi a decorrere dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento principale diventa definitiva. Per quanto riguarda la sentenza della Corte di cassazione n. 4524 del 24 febbraio 2010, citata dal ricorrente, il cui ragionamento corrisponde a quello seguito nel caso di specie dalla corte d’appello di Campobasso, la Corte rileva che si tratta dell’unico esempio fornito in favore dell’applicazione della prescrizione decennale e, in ogni caso, è stata depositata nella cancelleria della Corte di cassazione dopo il 23 novembre 2009, data in cui la decisione della corte d’appello di Campobasso è divenuta definitiva. Per contro, rileva che il Governo ha citato numerose sentenze nelle quali la Corte di cassazione aveva respinto l’applicazione del regime della prescrizione.

25. Di conseguenza, tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, la Corte ritiene che gli elementi forniti dal ricorrente non siano sufficienti per considerare che, nel caso di specie, il ricorso per cassazione sarebbe stato ineffettivo.

26. Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE IN RAGIONE DEL RITARDO NEL PAGAMENTO DELL’INDENNIZZO ACCORDATO NELL’AMBITO DELLA PROCEDURA PINTO

27. Il ricorrente denuncia il ritardo impiegato dalle autorità nazionali per conformarsi alla sentenza emessa nell’ambito della procedura Pinto e lamenta di essere stato costretto ad avviare una procedura esecutiva. Invoca gli articoli 6 § 1 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

28. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è citato al paragrafo 14 supra e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 è così formulato nelle sue parti pertinenti al caso di specie:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale (...).»

A. Sulla ricevibilità

29. Constatando che questi motivi di ricorso non incorrono in alcun motivo di irricevibilità, la Corte li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

30. La Corte constata che la somma riconosciuta è stata versata più di sei mesi dopo il deposito della decisione emessa nel quadro della procedura Pinto nella cancelleria della corte d’appello di Campobasso (paragrafi 8 e 11 supra). Alla luce dei criteri stabiliti nelle sentenze Simaldone c. Italia (n. 22644/03, 31 marzo 2009), e Gaglione e altri c. Italia (nn. 45867/07 e altri, 21 dicembre 2010), essa ritiene che tale ritardo costituisca una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

31. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte ritiene non doversi esaminare separatamente il motivo di ricorso formulato dal ricorrente dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Follo e altri c. Italia, nn. 28433/03, 28434/03, 28442/03, 28445/03 e 28451/03, § 30, 31 gennaio 2012).

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

32. Il ricorrente lamenta infine il carattere ineffettivo del ricorso fondato sulla legge Pinto. In particolare, contesta l’applicazione della prescrizione decennale al suo diritto di ottenere una riparazione per la violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole e critica la durata della procedura Pinto. Invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

33. Il Governo contesta questa tesi.

34. Per quanto riguarda l’applicazione della prescrizione decennale al diritto a un processo entro un termine ragionevole, la Corte ritiene, alla luce delle conclusioni cui è giunta in precedenza (paragrafi 20-24 supra), che il ricorrente disponesse di un ricorso effettivo per far valere le sue richieste dinanzi alle autorità nazionali.

35. Infine, la Corte non può escludere che l’eccessiva lentezza del ricorso risarcitorio pregiudichi il suo carattere adeguato (Cocchiarella, sopra citata, § 86). Tuttavia, essa sottolinea che la durata della procedura constatata nel caso in esame, benché comportasse la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, non è sufficientemente importante per rimettere in discussione l’effettività del ricorso fondato sulla legge Pinto (si vedano, tra altre, Gaglione e altri, sopra citata, §§ 46-47 e Pedicini e altri c. Italia [comitato], n. 50951/99, § 50, 24 aprile 2012).

36. Pertanto, la Corte ritiene che, nel caso di specie, non vi sia stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

37. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

38. Il ricorrente chiede 6.332,56 EUR per il danno materiale e morale che avrebbe subito.

39. Il Governo ritiene che, se dovesse concludere che vi è stata violazione, sarebbe opportuno che la Corte accordasse la somma di 200 EUR per danno morale.

40. La Corte ritiene che, alla luce dei criteri stabiliti nella sentenza Gaglione e altri (sopra citata), si debbano riconoscere al ricorrente 200 EUR per il solo danno morale.

B. Spese

41. Il ricorrente chiede anche 3.332,56 EUR per le spese che dice di aver sostenuto dinanzi alle giurisdizioni interne e alla Corte.

42. Il Governo contesta queste richieste.

43. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 200 EUR e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

44. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi relativi al ritardo nel pagamento della somma accordata nell’ambito della procedura Pinto e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  4. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
  5. Dichiara:
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventa definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 200 EUR (duecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 200 EUR (duecento euro), più l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 aprile 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

 

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto