Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 9 febbraio 2017 - Ricorso n. 76171/13 - Causa Solarino c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

 

CAUSA SOLARINO c. ITALIA

(Ricorso n. 76171/13)

SENTENZA

STRASBURGO

9 febbraio 2017


Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Solarino c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
  • Ledi Bianku,
  • Guido Raimondi,
  • Kristina Pardalos,
  • Linos-Alexandre Sicilianos,
  • Robert Spano,
  • Armen Harutyunyan, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 gennaio 2017,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 76171/13) presentato contro la Repubblica italiana, con cui un cittadino italiano, il sig. Giorgio Solarino («il ricorrente»), ha adito la Corte il 19 novembre 2013 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.  Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. L. D’Urso, del foro di Catania. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3.  Il 23 marzo 2016 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4.  Il ricorrente è nato nel 1972 ed è residente a Catania.
5.  Il 5 settembre 2004 nacque A., figlia del ricorrente e della moglie, C.C. In data non precisata nel 2006 la coppia si separò. Da quando il ricorrente se ne andò, C.C. manifestò una forte opposizione a qualsiasi tipo di relazione tra lui e A., che all’epoca aveva due anni.
6.  Il 13 giugno 2006 il tribunale di Catania (di seguito «il tribunale per i minorenni») dispose l’affidamento congiunto della minore ai due genitori, fissò la residenza presso C.C. e attribuì al ricorrente un diritto di visita e di alloggio.
7.  Il 26 settembre 2007 C.C. chiese che fosse disposta la decadenza del ricorrente dalla potestà genitoriale in quanto lo sospettava di avere commesso molestie sessuali sulla figlia.
8.  Il 3 ottobre 2007 C.C. presentò una denuncia contro il ricorrente per molestie sessuali nei confronti della figlia.
9.  Il 14 dicembre 2007 il tribunale per i minorenni sospese gli incontri tra il ricorrente e la minore in attesa della perizia che doveva essere condotta su quest’ultima e sul padre, e della conclusione dell’inchiesta penale relativa alle presunte molestie sessuali.
10.  Il 5 dicembre 2008 il procuratore chiese al giudice per le indagini preliminari («il GIP») di archiviare la denuncia, sottolineando in particolare che non poteva essere mossa alcuna accusa a carico del ricorrente e che la minore era stata sentita due volte con l’assistenza di una neuropsichiatra.
11.  Con un provvedimento emesso il 26 marzo 2009 il tribunale per i minorenni, basandosi sulla perizia condotta sulla minore e sul ricorrente, dispose che quest’ultimo poteva nuovamente incontrare la minore e telefonarle, dopo aver osservato che la bambina era molto contenta di vedere il padre.
12.  Il 23 aprile 2009 C.C. presentò un ricorso dinanzi alla sezione per i minorenni della corte d’appello avverso il provvedimento del tribunale per i minorenni del 26 marzo 2009, chiedendo che gli incontri avessero luogo in ambiente protetto. La stessa ribadiva le accuse di molestie sessuali sulla minore e chiedeva una nuova perizia.
13.  Il 7 maggio 2009 il GIP archiviò la denuncia di C.C.
14.  Nel settembre 2009 la corte d’appello accolse la domanda di C.C. e ordinò che gli incontri avessero luogo in ambiente protetto, chiedendo anche che fosse eseguita una nuova perizia tecnica sul ricorrente e sulla minore. La corte chiese altresì che fosse eseguita una nuova perizia tecnica sul ricorrente e sulla minore, e incaricò infine i servizi sociali di osservare il legame esistente tra il padre e la bambina, di depositare un rapporto al riguardo e di accertare se la minore avesse atteggiamenti o comportamenti derivanti da possibili abusi sessuali.
15.  Secondo il rapporto peritale depositato nel 2011, non vi erano elementi che facessero pensare ad abusi sessuali. Secondo il perito, i sospetti di molestie sessuali erano attribuibili ad angosce e timori di C.C., che si sarebbe sentita ferita dopo essere stata abbandonata dal ricorrente. Il perito concludeva nel senso di un riavvicinamento tra quest’ultimo e la minore.
16.  Con una decisione resa il 29 luglio 2011, la corte d’appello, senza prendere in considerazione la perizia sopra menzionata, il cui contenuto era favorevole al ricorrente, decise di vietare qualsiasi contatto tra la minore e i nonni paterni e di limitare il diritto di visita del ricorrente, portando il numero di incontri a uno a settimana, in ambiente protetto, fino a quando la minore avesse raggiunto l’età di dieci anni. La decisione era principalmente motivata da sospetti, espressi dalla madre della minore, che il ricorrente e i nonni paterni avessero compiuto molestie sessuali nei confronti della minore.
17.  Il 12 dicembre 2011 il ricorrente chiese al tribunale per i minorenni di riformare la decisione della corte d’appello.
18.  Con una decisione resa il 10 luglio 2012 il tribunale respinse la richiesta del ricorrente e si dichiarò incompetente.
19.  Il 6 settembre 2012 il ricorrente chiese alla corte d’appello di autorizzarlo a incontrare la minore in un ambiente più vicino al suo domicilio. Tale domanda fu respinta il 27 novembre 2012.
20.  L’11 novembre 2013, nuovamente adito dal ricorrente, il tribunale di Catania si dichiarò anzitutto competente per tutte le questioni riguardanti la custodia della minore e il diritto di visita; poi, dopo aver esaminato tutte le perizie depositate dal 2007 e aver osservato che lo stato psichico della minore non risultava alterato, dispose che riprendessero gli incontri liberi, in ambiente non protetto, tra il ricorrente e la bambina.
21.  Il 18 novembre 2013 C.C. interpose appello avverso la decisione del tribunale.
22.  Il 17 dicembre 2013 la corte d’appello respinse il ricorso e stabilì che il tribunale di Catania era il solo giudice competente.
23.  Con una decisione del 12 giugno 2015 il tribunale di Catania pronunciò la separazione legale tra il ricorrente e C.C.
24.  Basandosi sul rapporto peritale depositato nel 2011, il tribunale dichiarò che la minore, che ormai aveva più di dieci anni, aveva subito un pregiudizio molto grave a causa dell’alterazione della relazione con il padre, i nonni paterni e il fratellastro, nato nel frattempo. A suo parere, la decisione della corte d’appello del 29 luglio 2011 era dovuta a una valutazione erronea della perizia ed era fondata su argomenti non pertinenti. Di conseguenza, il tribunale dispose l’affidamento congiunto della minore ai due genitori, e accordò al ricorrente un diritto di visita e di alloggio. Infine, il tribunale indicò che, in caso di inosservanza di queste prescrizioni da parte della madre, avrebbe modificato la decisione relativa all’affidamento della minore fissando la residenza principale di quest’ultima presso il ricorrente.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

25.  Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Strumia c. Italia (n. 53377/13, §§ 73-78, 23 giugno 2016).

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

26.  Il ricorrente lamenta di non aver potuto allacciare una relazione con la minore per lunghi anni. Indica inoltre che, nella sua ultima decisione, il tribunale di Catania ha riconosciuto che la minore aveva subito un pregiudizio molto grave a causa di una alterazione della sua relazione con i nonni paterni, il fratellastro e lui stesso, in seguito alla decisione della corte d’appello del 29 luglio 2011. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente denuncia anche la mancanza di equità della procedura dinanzi ai giudici nazionali.
27.  Essendo libera di qualificare giuridicamente i fatti di causa, la Corte non si considera vincolata dalla qualificazione data a tali fatti dai ricorrenti o dai governi convenuti. In virtù del principio jura novit curia, ad esempio, la Corte ha esaminato d’ufficio alcuni motivi di ricorso dal punto di vista di una disposizione della Convenzione, di un articolo o di un paragrafo che le parti non avevano invocato. Un motivo di ricorso si caratterizza in effetti per i fatti che denuncia e non semplicemente per i mezzi di ricorso o gli argomenti di diritto proposti (si veda, mutatis mutandis, Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil des arrêts et décisions 1998 I). Alla luce di questi principi, la Corte ritiene che la presente doglianza si presti ad essere analizzata dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Fourkiotis c. Grecia, n. 74758/11, § 44, 16 giugno 2016), che recita:
«1.  1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
28.  Il Governo contesta la tesi del ricorrente.

A.  Sulla ricevibilità

29.  Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

30.  Il ricorrente afferma di essersi trovato nell’impossibilità di allacciare una relazione con la figlia tra il 2007 e il 2013 a causa di una divergenza tra le decisioni pronunciate dai giudici italiani. Egli riferisce che i suoi contatti con la minore sono stati inizialmente limitati in seguito alla denuncia presentata da C.C. e afferma che, una volta archiviata la denuncia, sulla base di una perizia che ha concluso che non vi erano stati abusi sessuali, il tribunale per i minorenni ha dichiarato che egli poteva liberamente incontrare la bambina.
31.  Il ricorrente riferisce inoltre che, nel settembre 2009, su richiesta di C.C., la corte d’appello ha limitato il suo diritto di visita e ha deciso che egli poteva incontrare la minore esclusivamente in presenza degli operatori dei servizi sociali. Aggiunge che, il 19 luglio 2011, la corte d’appello ha confermato la decisione e ha vietato qualsiasi contatto tra i nonni paterni e la minore fino a che quest’ultima avesse compiuto dieci anni.
32.  Il ricorrente indica anche che, successivamente, il 12 giugno 2015, il tribunale per i minorenni ha disposto l’affidamento congiunto della bambina ai due genitori e gli ha concesso un diritto di visita e di alloggio. A suo parere, i giudici nazionali hanno adottato decisioni divergenti per parecchi anni, permettendogli inizialmente di esercitare il suo diritto di visita per poi limitarlo successivamente.
33.  Il ricorrente fa notare infine che, nella decisione resa nel 2015, il tribunale di Catania ha riconosciuto che la minore aveva subito un pregiudizio a causa di una restrizione dei contatti con lui. Di conseguenza, chiede alla Corte di concludere che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
34.  Dopo aver esposto i principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte, il Governo afferma che i giudici nazionali hanno sempre agito nell’interesse superiore della minore e precisa che non vi sono mai state interruzioni nei contatti tra il ricorrente e la minore a partire dal 2006, né rottura del legame famigliare. Il Governo indica che le autorità giudiziarie hanno dovuto procedere ad una valutazione della situazione della minore, situazione che definisce delicata e complessa.
35.  Il Governo afferma anche che nel 2015, basandosi su una perizia che aveva messo in luce l’esistenza di stretti legami tra la minore e il padre, il tribunale per i minorenni ha disposto l’affidamento congiunto della minore ai due genitori e ha concesso al ricorrente un diritto di visita e di alloggio.
36.  Di conseguenza, il Governo ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

2.  Valutazione della Corte

37.  La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita famigliare (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 58, CEDU 2002) e che delle misure interne che lo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001 VII).
38.  La Corte rammenta che l’articolo 8 della Convenzione tende sostanzialmente a premunire l’individuo dalle ingerenze arbitrarie delle pubbliche autorità e può anche generare obblighi positivi inerenti a un «rispetto» effettivo della vita famigliare. Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato da questa disposizione non si presta a una definizione precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concomitanti dell’individuo e della società nel suo insieme, tenendo conto in ogni caso che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 59 CEDU 2000 IX) e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003 VIII).
39.  La Corte rammenta anche che l’obbligo delle autorità nazionali di adottare misure per agevolare degli incontri tra un genitore e un figlio non è assoluto. La questione decisiva è stabilire se le autorità nazionali, per agevolare le visite, abbiano adottato tutte le misure necessarie che si potevano esigere dalle stesse nella fattispecie (idem, § 58). In questo genere di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il figlio e il genitore non convivente (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05 § 83, 6 dicembre 2007; Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 48, 21 gennaio 2014; Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 102, 15 gennaio 2015). Il fattore tempo assume dunque un’importanza particolare, in quanto ogni ritardo procedurale rischia di fatto di mettere fine alla questione in contestazione (H. c. Regno Unito, sentenza dell’8 luglio 1987, serie A n. 120, pp. 63-64, §§ 89-90; P.F. c. Polonia, n. 2210/12, § 56, 16 settembre 2014).
40.  Peraltro, poiché le autorità nazionali beneficiano di rapporti diretti con tutti gli interessati, la Corte ripete che non ha il compito di regolamentare le questioni in materia di affidamento e di diritto di visita. Tuttavia, ha il compito di valutare dal punto di vista della Convenzione i provvedimenti emessi da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale. Il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni in contestazione e dell’importanza degli interessi in gioco.
41.  La Corte riconosce che le autorità godono di un’ampia libertà in particolare in materia di diritto di affidamento. Occorre invece esercitare un controllo più rigoroso sulle restrizioni supplementari, come quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare. Tali restrizioni supplementari comportano il rischio di troncare le relazioni famigliari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi (Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, §§ 62-63, CEDU 2003-VIII).
42.  Nel caso di specie, la Corte osserva che le decisioni con cui le autorità nazionali hanno deciso di limitare il diritto di visita del ricorrente hanno costituito effettivamente una ingerenza nel diritto di quest’ultimo al rispetto della sua vita famigliare e che da ciò risultava un obbligo positivo per lo Stato di mantenere le relazioni personali tra gli interessati (T. c. Repubblica ceca, n. 19315/11, § 105, 17 luglio 2014).
43.  La Corte osserva che i provvedimenti adottati, fondati sulle disposizioni del codice civile pertinenti in materia, erano previste dalla legge. Dai motivi considerati dai giudici nazionali risulta che la loro applicazione mirava alla salvaguardia degli interessi del minore. Pertanto, i provvedimenti in contestazione perseguivano uno scopo legittimo rispetto al secondo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione, ossia la protezione dei diritti e delle libertà altrui. È inoltre opportuno esaminare, alla luce della causa nel suo complesso, se i motivi addotti per giustificare le misure controverse fossero pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 in fine dell’articolo 8 della Convenzione.
44.  A questo proposito, la Corte constata anzitutto che, nel 2006, il ricorrente beneficiava di un diritto di visita riconosciuto in virtù della decisione pronunciata dal tribunale di Catania il 13 giugno 2006 e che, in seguito alla denuncia per abusi sessuali presentata dalla madre della minore, tale tribunale ha sospeso l’esercizio di questo diritto in attesa della conclusione dell’inchiesta penale. Perciò, la Corte ritiene che, in attesa dell’esito dell’inchiesta, l’interesse del minore giustificasse la sospensione e la restrizione del diritto genitoriale e del diritto di visita del ricorrente e legittimasse l’ingerenza nel diritto di quest’ultimo al rispetto della vita famigliare. L’ingerenza era dunque, fino all’esito dell’indagine preliminare, «necessaria alla protezione dei diritti altrui», nella fattispecie i diritti della minore.
45.  La Corte rammenta tuttavia che questo stesso interesse della minore richiedeva anche che si permettesse al legame famigliare di svilupparsi nuovamente non appena i provvedimenti adottati fossero sembrati non più necessari (Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250).
46.  Nella fattispecie, la Corte constata che, in seguito all’archiviazione della denuncia penale, il tribunale per i minorenni ha deciso, con un provvedimento emesso il 26 marzo 2009, basandosi sulla perizia condotta sulla minore e sul ricorrente, che questi poteva incontrare nuovamente la figlia, dopo aver osservato che quest’ultima era molto contenta di vedere suo padre.
47.  La Corte osserva tuttavia che, su richiesta della madre, a partire da settembre 2009, il diritto di visita è stato nuovamente limitato e che, il 29 luglio 2011, la corte d’appello, senza prendere in considerazione la perizia che si esprimeva in un senso favorevole al ricorrente, e nonostante la denuncia penale fosse stata archiviata, ha deciso di vietare qualsiasi contatto tra la minore e i nonni paterni e di limitare il diritto di visita del ricorrente, portando il numero di incontri a uno per settimana, in ambiente protetto, finché la minore avesse raggiunto l’età di dieci anni. Essa osserva che la decisione della corte d’appello era principalmente motivata da sospetti, espressi dalla madre della minore, che il ricorrente e i nonni paterni avessero commesso molestie sessuali sulla bambina.
48.  La Corte osserva inoltre che solo nel novembre 2013 il ricorrente ha potuto ricominciare a incontrare liberamente la minore, in ambiente non protetto, due volte per settimana, in seguito alla decisione del tribunale di Catania che aveva sottolineato che non era stata riscontrata alcuna offesa all’integrità della minore.
49.  La Corte constata anche che, basandosi sul rapporto peritale depositato nel 2011, il tribunale di Catania ha dichiarato, nel giugno 2015, che la minore, che allora aveva più di dieci anni, aveva subito un pregiudizio molto grave a causa dell’alterazione della relazione con il padre, i nonni paterni e il fratellastro, nato nel frattempo. Secondo il tribunale, la decisione presa dalla corte d’appello il 29 luglio 2011 era la conseguenza di una valutazione erronea della perizia ed era basata su argomenti non pertinenti.
50.  La Corte osserva al riguardo che la corte d’appello non ha preso in considerazione la perizia effettuata sulla minore e sul ricorrente e che, inoltre, i sospetti che pesano su quest’ultimo e sui nonni patrerni di avere commesso molestie sessuali sulla minore erano il motivo principale per il quale il diritto di visita dell’interessato era stato limitato.
51.  La Corte è del parere, sulla scia del tribunale di Catania, che i motivi della decisione contestata mostrino che il giudice nazionale in causa, che non ha tenuto conto né della perizia che ha escluso che vi fossero stati abusi sessuali né dell’archiviazione della denuncia, non ha esaminato con cura la situazione della minore. Essa osserva che la corte d’appello ha invece ritenuto, sulla base di semplici sospetti, che il mantenimento di contatti con il ricorrente e i nonni paterni avrebbe potuto essere pregiudizievole per lo sviluppo della minore.
52.  La Corte ritiene che, considerata l’importanza della questione in gioco – ossia la relazione tra un genitore e suo figlio –, questo giudice non avrebbe dovuto basarsi su semplici sospetti per limitare il diritto di visita del ricorrente e considerare, malgrado le conclusioni della perizia sopra menzionata e l’archiviazione della denuncia penale, che il mantenimento di contatti con il padre e i nonni paterni potesse nuocere allo sviluppo della minore.
53.  Alla luce di quanto sopra, la Corte considera che la corte d’appello non abbia invocato motivi sufficienti e pertinenti per giustificare la sua decisione, successivamente riformata da due decisioni del tribunale di Catania, di limitare il diritto di visita del ricorrente per il periodo compreso tra settembre 2009 e novembre 2013.
54.  Pertanto, la Corte conclude che le autorità nazionali hanno oltrepassato il loro margine di apprezzamento violando dunque, in danno del ricorrente, i diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

55.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno

56.  Il ricorrente chiede la somma di 50.000 euro (EUR) per il danno materiale che sostiene di aver subito. Chiede anche una riparazione del danno morale asseritamente subito, senza tuttavia quantificare la sua domanda.
57.  Il Governo contesta le pretese del ricorrente.
58.  La Corte non vede alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, e rigetta la relativa richiesta. Ritiene invece doversi accordare al ricorrente la somma di 7.000 EUR per il danno morale.

B.  Spese

59.  Il ricorrente chiede anche la somma di 14.474,47 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte, per le quali fornisce dei documenti giustificativi.
60.  Il Governo contesta questa pretesa.
61.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 6.000 EUR per il procedimento dinanzi ad essa e la accorda al ricorrente.

C.  Interessi moratori

62.  La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 7.000 EUR (settemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      2. 6.000 EUR (seimila euro), più l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 9 febbraio 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Presidente
Mirjana Lazarova Trajkovska