Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 gennaio 2017 - Ricorso n. 25358/12 - Causa Paradiso e Campanelli c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, con la collaborazione della dott.ssa Daniela Riga, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

GRANDE CAMERA

PARADISO E CAMPANELLI c. ITALIA

(Ricorso n. 25358/12)

SENTENZA

STRASBURGO

24 gennaio 2017


Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Paradiso e Campanelli c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunita in una Grande Camera composta da:

  • Luis López Guerra, presidente,
  • Guido Raimondi,
  • Mirjana Lazarova Trajkovska,
  • Angelika Nußberger,
  • Vincent A. De Gaetano,
  • Khanlar Hajiyev,
  • Ledi Bianku,
  • Julia Laffranque,
  • Paulo Pinto de Albuquerque,
  • André Potocki,
  • Paul Lemmens,
  • Helena Jäderblom,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Valeriu Griţco,
  • Dmitry Dedov,
  • Yonko Grozev,
  • Síofra O’Leary, giudici,
  • e da Roderick Liddell, cancelliere,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 9 dicembre 2015 e il 2 novembre 2016,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale ultima data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25358/12) proposto contro la Repubblica italiana con cui due cittadini di questo Stato, sig.ra Donatina Paradiso e sig. Giovanni Campanelli («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 27 aprile 2012 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.  I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avvocato P. Spinosi, del foro di Parigi. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo co-agente, P. Accardo.
3.  In particolare i ricorrenti sostenevano che le misure adottate dalle autorità nazionali nei confronti del minore T.C. erano incompatibili con il loro diritto alla vita privata e familiare tutelato dall’articolo 8 della Convenzione.
4.  Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). Il 27 gennaio 2015, una camera della suddetta sezione composta da Işıl Karakaş, presidente, Guido Raimondi, András Sajó, Nebojša Vučinić, Helen Keller, Egidijus Kūris, Robert Spano, giudici, e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione, ha dichiarato il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo sollevato dai ricorrenti in loro nome sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione concernente le misure adottate nei confronti del minore T.C. e irricevibile quanto al resto, e ha concluso, con cinque voti contro due, che vi era stata violazione dell’articolo 8. Alla sentenza era allegato il testo dell’opinione parzialmente dissenziente comune ai giudici Raimondi e Spano. Il 27 aprile 2015, il Governo ha chiesto il rinvio della causa dinanzi alla Grande Camera ai sensi dell’articolo 43 della Convenzione. Il 1º giugno 2015, il collegio della Grande Camera ha accolto tale richiesta.
5.  La composizione della Grande Camera è stata decretata conformemente agli articoli 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e 24 del regolamento.
6.  I ricorrenti e il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 del regolamento).
7.  Il 9 dicembre 2015 si è svolta un’udienza pubblica nel Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo (articolo 59 § 3 del regolamento).

Sono comparsi:

  • per il Governo

Sigg.re    P. ACCARDO, co-agente,
M.L. AVERSANO, ufficio dell’agente del Governo,
A. MORRESI, Ministero della Salute,
G. PALMIERI, avvocato,
Sig.G. D’AGOSTINO, Ministero della giustizia, consiglieri;

  • per i ricorrenti

Sigg.P. SPINOSI, avvocato, legale,
Y. PELOSI, avvocato,
N. HERVIEU, avvocato, consiglieri.

La Corte ha sentito le dichiarazioni e le risposte che l’avvocato Spinosi e le signore Aversano, Morresi e Palmieri hanno dato alle domande poste loro dai giudici.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

8.  I ricorrenti –moglie e marito – sono nati rispettivamente nel 1967 e 1955 e risiedono a Colletorto.

A.  L’arrivo del minore in Italia

9.  Dopo aver cercato di avere un figlio e dopo avere invano fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, i ricorrenti si proposero di diventare genitori adottivi.
10.  Il 7 dicembre 2006, essi ottennero l’autorizzazione del tribunale per i minorenni di Campobasso per adottare un bambino straniero ai sensi della legge n. 184 del 1983, intitolata «Diritto del minore ad una famiglia» (di seguito: la «legge sull’adozione»), a condizione che l’età del minore fosse compatibile con i limiti previsti dalla legge (paragrafo 63 infra). I ricorrenti dichiarano di essere rimasti invano in attesa di un bambino da adottare.
11.  Successivamente decisero di ricorrere nuovamente a tecniche di procreazione assistita e di rivolgersi ad una madre surrogata in Russia. A tale scopo presero contatti con una clinica situata a Mosca. La ricorrente sostiene di essersi recata a Mosca e di aver trasportato dall’Italia e depositato presso la clinica il liquido seminale del ricorrente debitamente conservato.
Fu trovata una madre surrogata e i ricorrenti conclusero un accordo di maternità surrogata con la società Rosjurconsulting. Dopo una fecondazione in vitro riuscita il 19 maggio 2010, due embrioni furono impiantati nell’utero della madre surrogata il 19 giugno 2010.
12.  Il 16 febbraio 2011 la clinica russa attestò che il liquido seminale del ricorrente era stato utilizzato per gli embrioni da inserire nell’utero della madre surrogata.
13.  La ricorrente si recò a Mosca il 26 febbraio 2011, poiché la clinica aveva annunciato la nascita del bambino per la fine del mese.
14.  Il bambino nacque a Mosca il 27 febbraio 2011. Alla stessa data la madre surrogata diede il suo consenso scritto affinché il minore fosse registrato come figlio dei ricorrenti. La sua dichiarazione scritta e datata lo stesso giorno, letta ad alta voce in ospedale in presenza del suo medico, del direttore sanitario e del capo reparto dell'ospedale è così formulata (traduzione francese dalla versione originale russa):
«Io sottoscritta (...) ho messo al mondo un bambino presso la clinica ostetrica (...) di Mosca. I genitori del bambino sono una coppia sposata di italiani, Giovanni Campanelli, nato il (...) e Donatina Paradiso nata il (...), che hanno dichiarato per iscritto di voler impiantare i loro embrioni nel mio utero.
Sulla base di quanto espresso sopra e conformemente al comma 5 del paragrafo 16 della legge federale sullo stato civile e al comma 4 del paragrafo 51 del codice della famiglia acconsento a che nell’atto e nel certificato di nascita i coniugi di cui sopra siano iscritti come genitori del bambino da me partorito. (…)»
15.  Nei giorni successivi alla nascita del figlio, la ricorrente restò con lui in un appartamento a Mosca che aveva precedentemente preso in affitto. Il ricorrente, rimasto in Italia, poté comunicare regolarmente con lei tramite internet.
16.  Il 10 marzo 2011, i ricorrenti furono registrati come genitori del neonato dall’ufficiale dello stato civile di Mosca. Sul certificato di nascita russo, che indicava che i ricorrenti erano i genitori del bambino, venne apposta l’apostille conformemente alle disposizioni della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 che abolisce la necessità della legalizzazione degli atti pubblici stranieri.
17.  Il 29 aprile 2011, la ricorrente, munita di certificato di nascita, andò al consolato italiano di Mosca per ottenere i documenti che le permettevano di tornare in Italia con il bambino. Il Consolato d'Italia rilasciò i documenti che permettevano a quest'ultimo di partire per l'Italia con la ricorrente.
18.  Il 30 aprile 2011 la ricorrente e il bambino arrivarono in Italia.
19.  Con una nota del 2 maggio 2011 - che non è stata inserita nel fascicolo - il Consolato d'Italia a Mosca comunicò al tribunale per i minorenni di Campobasso, al Ministero degli Affari esteri, alla prefettura e al comune di Colletorto, che il fascicolo relativo alla nascita del bambino conteneva dei dati falsi.
20.   Qualche giorno dopo, il ricorrente chiese al comune di Colletorto la registrazione del certificato di nascita.

B.  La reazione delle autorità italiane

21.  Il 5 maggio 2011, il procuratore della Repubblica avviò un procedimento penale a carico dei ricorrenti, indagati per «alterazione dello stato civile» ai sensi dell’articolo 567 del codice penale, per «uso di atto falso» ai sensi dell’articolo 489 del codice penale e per violazione dell’articolo 72 della legge sull’adozione perché avevano portato il bambino in Italia senza rispettare la procedura prevista delle norme sull’adozione internazionale contenute in questa legge (paragrafo 67 supra).
22.  Parallelamente, il 5 maggio 2011, il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni di Campobasso chiese l’apertura di un procedimento di adottabilità affinché il minore potesse essere dato in adozione ritenendo che ai sensi di legge il bambino doveva essere considerato in stato di abbandono. Lo stesso giorno il tribunale per i minorenni nominò un curatore speciale e aprì un procedimento di adottabilità.
23.  Il 16 maggio 2011 il tribunale per i minorenni, su richiesta del procuratore della Repubblica, mise il minore sotto curatela. Il curatore del bambino chiese al tribunale di sospendere la potestà genitoriale dei ricorrenti, in applicazione dell’articolo 10, comma 3, della legge sull’adozione
24.  I ricorrenti si opposero alle misure concernenti il minore.
25.  Su richiesta del tribunale per i minorenni del 10 maggio 2011, i ricorrenti ricevettero, il 12 maggio 2011, la visita di una equipe di assistenti sociali. Risulta dalla relazione redatta da costoro e datata 18 maggio 2011 che i ricorrenti erano stimati e rispettati dai loro concittadini, che disponevano di un buon livello di reddito e vivevano in una bella casa. Secondo la relazione, il bambino era in perfetta salute e il suo benessere era evidente perché i ricorrenti si occupavano di lui in maniera ottimale.
26.  Il 25 maggio 2011 la ricorrente, assistita dal suo avvocato, fu interrogata dai carabinieri di Larino. L’interessata dichiarò di essersi recata in Russia da sola, nel settembre 2008, con il liquido seminale di suo marito. Dichiarò che aveva sottoscritto un contratto con la società Rosjurconsulting, che si era impegnata a trovare una madre surrogata disposta ad accogliere nel proprio utero il materiale genetico della ricorrente e di suo marito, tramite la clinica Vitanova di Mosca. La ricorrente spiegò che questa pratica era perfettamente legale in Russia e le aveva permesso di ottenere un certificato di nascita che alla voce genitori riportava le generalità dei ricorrenti. Nel giugno/luglio 2010 la ricorrente era stata contattata dalla società russa perché era stata trovata una madre surrogata che aveva dato il suo consenso all’intervento.
27.  Il 27 giugno 2011 i ricorrenti furono sentiti dal tribunale per i minorenni. La ricorrente dichiarò che dopo aver tentato invano per otto volte la fecondazione in vitro, mettendo in pericolo la sua salute, era ricorsa alla clinica russa perché, in questo paese, era possibile utilizzare gli ovuli di una donatrice, che venivano poi impiantati nel ventre della madre surrogata.
28.  Il 7 luglio 2011 il tribunale ordinò di eseguire un test del DNA per stabilire se il ricorrente era il padre biologico del bambino.
29.  L’11 luglio 2011 il Ministro dell’Interno chiese all’ufficio dello stato civile di rifiutare la registrazione dell’atto di nascita.
30.  Il 1° agosto 2011 il ricorrente e il bambino si sottoposero al test del DNA. Il risultato del test mostrò che non vi erano legami genetici tra loro.
31.  A seguito del risultato di questo test, i ricorrenti chiesero spiegazioni alla clinica russa. Alcuni mesi più tardi, con lettera del 20 marzo 2012, la direzione della clinica manifestò loro la propria sorpresa quanto ai risultati del test del DNA. A suo parere, vi era stata una indagine interna dal momento che vi era stato chiaramente un errore, ma non era stato possibile individuarne il responsabile perché nel frattempo si erano verificati licenziamenti e nuove assunzioni.
32.  Il 4 agosto 2011 l’ufficio dello stato civile del comune di Colletorto rifiutò di registrare il certificato di nascita. Avverso tale rifiuto i ricorrenti presentarono ricorso al tribunale di Larino. Il seguito della procedura è esposto ai paragrafi 46-48 infra.
33.  Il pubblico ministero chiese al tribunale di Larino di dare una nuova identità al minore e di rilasciare un nuovo certificato di nascita.

C.  Il seguito del procedimento dinanzi alle autorità giudiziarie per i minorenni

1.  Il provvedimento del tribunale per i minorenni del 20 ottobre 2011

34.  Nell’ambito della procedura di adottabilità pendente dinanzi al tribunale per i minorenni (paragrafo 22 supra), i ricorrenti chiesero a uno psicologo, sig.ra I., di condurre una perizia sul benessere del minore. Risulta dalla nota redatta il 22 settembre 2011 da I., dopo quattro incontri tra quest’ultima e il bambino, che i ricorrenti − attenti alle esigenze di quest’ultimo − avevano sviluppato con lui una intensa relazione affettiva. Il rapporto di perizia indicava che anche i nonni e il resto della famiglia circondavano il minore di affetto, e che quest’ultimo era sano, vivo, reattivo. I. concludeva che i ricorrenti erano dei genitori idonei per il bambino, sia dal punto di vista psicologico che per quanto riguardava la loro capacità di educazione e formazione. Aggiungeva che eventuali misure di allontanamento avrebbero avuto conseguenze devastanti per il bambino, spiegando che quest’ultimo avrebbe attraversato una fase depressiva dovuta all’abbandono e alla perdita di persone fondamentali nella sua vita. Secondo lei, ciò poteva comportare delle somatizzazioni e compromettere lo sviluppo psicofisico del bambino e, a lungo termine, potevano presentarsi i sintomi di una patologia psicotica.
35.  I ricorrenti chiesero che il bambino fosse sistemato presso di loro per poterlo eventualmente adottare.
36.  Con un provvedimento immediatamente esecutivo del 20 ottobre 2011 il tribunale per i minorenni di Campobasso dispose l’allontanamento del bambino dai ricorrenti, la presa in carico da parte dei servizi sociali e la sua collocazione in una casa famiglia.
37.  I passaggi pertinenti del provvedimento del tribunale per i minorenni recitano:
«(...)
Risulta dalle dichiarazioni dei coniugi Campanelli che la sig.ra Paradiso si è recata in Russia con il liquido seminale di suo marito in un contenitore apposito e lì ha sottoscritto un accordo con la società Rosjurconsulting. La sig.ra Paradiso ha successivamente consegnato il liquido seminale del marito alla clinica indicata in detto accordo. Uno o più ovuli di una donatrice sconosciuta sono stati fecondati in vitro con questo liquido seminale, poi impiantati in un’altra donna, la cui identità è conosciuta, che ha partorito il minore in questione il 27 febbraio 2011. Come contropartita, i sigg. Campanelli e Paradiso hanno versato una importante somma di denaro. La sig.ra Paradiso ha precisato che la donna che ha partorito il minore ha rinunciato ai suoi diritti su quest’ultimo e ha dato il proprio assenso a che l’atto di nascita, redatto in Russia, menzionasse che il bambino era figlio dei sigg. Campanelli e Paradiso (una copia del consenso informato concesso il 27 febbraio 2011 dalla donna che ha dato alla luce il minore è stata depositata nell’ambito del presente giudizio).
È stata disposta una perizia per stabilire se il minore fosse il figlio biologico di Giovanni Campanelli. Nella sua relazione, depositata nell’ambito del presente giudizio, il perito, [L.S.], ha concluso che i risultati ottenuti dalla tipizzazione del DNA di Giovanni Campanelli e di quello del minore [T.C.] portano ad escludere la paternità biologica di Giovanni Campanelli nei confronti del minore.
All’udienza svoltasi in data odierna, i sigg. Campanelli e Paradiso si sono riportati alle dichiarazioni già rese e la sig.ra Paradiso ha ribadito di aver portato in Russia il liquido seminale di suo marito affinché fosse utilizzato per la fecondazione prevista.
Tuttavia, le conclusioni della perizia non sono state contestate.
Al termine dell’udienza, il pubblico ministero ha chiesto che le domande dei coniugi Campanelli fossero respinte, che il minore fosse collocato presso terzi e che per quest’ultimo venisse nominato un tutore provvisorio. Il curatore speciale del minore ha chiesto che quest’ultimo fosse dato in affidamento in conformità all’articolo 2 della legge n. 184/1983 e che gli fosse nominato un tutore. I sigg. Campanelli e Paradiso hanno chiesto, a titolo principale, al tribunale di ordinare che il minore fosse temporaneamente affidato a loro in vista di un’adozione successiva; in subordine, hanno chiesto la sospensione del presente procedimento in attesa della qualificazione penale dei fatti, nonché la sospensione del procedimento penale summenzionato aperto contro di loro e della procedura avviata per contestare il rifiuto di registrare l’atto di nascita del minore dinanzi alla corte d’appello di Campobasso; in ulteriore subordine, hanno chiesto la sospensione del presente procedimento ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 184/1983 in vista di un eventuale rimpatrio del minore in Russia o, in caso di rifiuto, di un affidamento del minore a loro a titolo dell’articolo 2 della legge sopra citata.
Ciò premesso, il tribunale rileva che le dichiarazioni dei sigg. Campanelli e Paradiso quanto alla consegna in Russia del materiale genetico di Giovanni Campanelli non sono confermate da alcun elemento di prova. È invece dimostrato che il minore [T.C.] non è figlio biologico né di Donatina Paradiso né, alla luce dei risultati della perizia, di Giovanni Campanelli. Allo stato, la sola certezza riguarda l’identità della donna che ha partorito il bambino. Non ci è dato conoscere i genitori biologici di quest’ultimo, vale a dire l’uomo e la donna che hanno fornito i gameti.
Alla luce di tali elementi, il presente caso di specie non può essere qualificato come maternità surrogata di tipo gestazionale, in cui la madre surrogata che ha partorito il bambino non ha alcun legame genetico con quest’ultimo poiché la fecondazione è stata fatta con ovuli di una terza donna. In realtà, per poter parlare di maternità surrogata di tipo gestazionale o tradizionale (la madre surrogata mette a disposizione i propri ovuli), è necessario che sussista un legame biologico del bambino con almeno uno degli aspiranti genitori (nel caso di specie i sigg. Campanelli e Paradiso), legame biologico che, come abbiamo visto, non esiste.»
Per il tribunale, i ricorrenti si erano quindi messi in una situazione illegale:
«Ne deriva che i sigg. Campanelli e Paradiso si sono messi in una situazione illegale poiché hanno fatto entrare un minore in Italia facendo credere che si trattasse del figlio, fatto che costituisce una evidente violazione delle disposizioni del nostro ordinamento giuridico (legge n. 184 del 4 maggio 1983) che disciplinano l’adozione internazionale dei minori. Al di là degli aspetti penali da prendere eventualmente in considerazione nella fattispecie (violazione dell’articolo 72, comma 2, della legge n. 184/1983), la cui valutazione non compete a questo tribunale, è opportuno rilevare che l’accordo concluso dalla sig.ra Paradiso con la società Rosjurconsulting presenta elementi di illegalità in quanto, tenuto conto dei termini dell’accordo (consegna del materiale genetico del sig. Campanelli per la fecondazione degli ovuli di un’altra donna), viola il divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita (P.M.A.) di tipo eterologo, previsto dall’articolo 4 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004.
In ogni caso, occorre rilevare che, pur in possesso di un’autorizzazione all’adozione internazionale accordata con ordinanza emessa il 7 dicembre 2006 dal presente tribunale i sigg. Campanelli e Paradiso hanno intenzionalmente aggirato, come detto, le disposizioni della legge n. 184/1983 in quanto prevedono non solo l’obbligo per le persone che desiderano adottare di rivolgersi ad un ente riconosciuto (articolo 31), ma anche l’intervento della commissione per le adozioni internazionali (articolo 38), che è l’unico ente competente per autorizzare l’ingresso e la residenza permanente del minore straniero in Italia (articolo 32).»
Il tribunale ritenne che quindi occorresse innanzitutto porre fine a questa situazione di illegalità:
«Occorre pertanto porre fine a tale situazione illegale il cui mantenimento avrebbe valore di ratifica di una condotta illegale messa in atto con una palese violazione delle disposizioni del nostro ordinamento giuridico.
Pertanto, è necessario allontanare il minore dai coniugi Campanelli e collocarlo in una struttura adeguata in attesa di trovare, nel più breve tempo possibile, una coppia appropriata cui affidarlo. Tale compito sarà assegnato ai servizi sociali del comune di Colletorto affinché indichino la struttura adeguata ove collocare il minore, al quale è applicabile la normativa italiana in materia di adozione ai sensi dell’articolo 37 bis della legge n. 184/1983: non vi è dubbio infatti che il bambino si trovi in stato di abbandono, essendo privo di genitori biologici o di famiglia e che la donna che lo ha messo al mondo abbia rinunciato ai suoi diritti su di lui.
È vero che il minore subirà probabilmente un pregiudizio in conseguenza della separazione dai sigg. Campanelli e Paradiso. Ma tenuto conto della sua tenera età e del breve periodo trascorso con questi ultimi, non si può condividere il parere della psicologa, [sig.ra I.] (a cui si sono rivolti i sigg. Campanelli e Paradiso), secondo cui è certo che la separazione del minore da questi ultimi comporterebbe conseguenze devastanti per il minore. Secondo la letteratura in materia, il semplice fatto di essere separato da persone che si prendono cura di lui non costituisce un agente causale determinante di uno stato psicopatologico per il minore, in assenza di altri fattori causali. Il trauma della separazione dai sigg. Campanelli e Paradiso non sarà irreparabile, poiché verranno immediatamente attivate delle ricerche per trovare una coppia in grado di attenuare le conseguenze del trauma attraverso un processo compensativo idoneo a favorire un nuovo adattamento.
Occorre, inoltre, osservare che, il fatto che i sigg. Campanelli e Paradiso (in particolare la sig.ra Paradiso) hanno affrontato le sofferenze e le difficoltà delle tecniche della P.M.A. (la sig.ra Paradiso ha anche affermato di essersi trovata in pericolo di vita durante uno di questi interventi) e hanno preferito aggirare la legislazione italiana in materia, sebbene fossero in possesso di un’autorizzazione all’adozione internazionale, fa pensare e temere che il minore sia uno strumento per realizzare un desiderio narcisistico della coppia o esorcizzare un problema individuale o di coppia. Tutto ciò, alla luce della condotta dei sigg. Campanelli e Paradiso nel caso di specie, getta un’ombra importante sull’esistenza di reali capacità affettive ed educative e di un istinto di solidarietà umana, che devono essere presenti in coloro che desiderano integrare i figli di altre persone nella loro vita come se fossero propri figli.
L’allontanamento del minore dai coniugi Campanelli risponde pertanto all’interesse superiore del minore.»
38.  Secondo i ricorrenti, al provvedimento del tribunale è stata data esecuzione il giorno stesso, senza che essi ne fossero stati informati prima.

2.  Il ricorso contro il provvedimento del tribunale per i minorenni

39.  I ricorrenti presentarono un reclamo alla corte d'appello di Campobasso sostenendo, tra l'altro, che i giudici italiani non potevano rimettere in discussione il certificato di nascita russo. Chiedevano, peraltro, di non adottare misure riguardanti il bambino mentre erano ancora pendenti il procedimento penale a loro carico e la procedura avviata per contestare il rifiuto di trascrivere il certificato di nascita.

3.  La decisione della corte d’appello di Campobasso del 28 febbraio 2012

40.  Con decisione del 28 febbraio 2012 la corte d'appello di Campobasso rigettò il ricorso.
La corte d’appello ritenne che il minore T.C. si trovasse «in stato di abbandono» ai sensi dell’articolo 8 della legge sull’adozione, dato che i ricorrenti non erano i suoi genitori. In queste condizioni, la questione di sapere se i ricorrenti avessero o meno una responsabilità penale e se vi fosse stato o meno un errore nell’uso del liquido seminale di origine ignota sarebbe stata a suo parere irrilevante. Per la corte d’appello, non era opportuno attendere l’esito del processo penale né quello della procedura intentata dai ricorrenti a fronte del rifiuto di registrare il certificato di nascita. La corte d’appello ritenne che l’articolo 33 della legge n. 218/1995 (legge sul diritto internazionale privato) non impediva all’autorità giudiziaria italiana di non dare seguito alle indicazioni certificate provenienti da uno Stato estero, e che la sua competenza per esaminare la causa non poneva alcun problema, dato che, ai sensi dell’articolo 37bis della legge sull’adozione, «(...) al minore straniero che si trova [in Italia] in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza» (si veda anche Corte di Cassazione 1128/92).
41.  Non era possibile proporre ricorso per cassazione avverso tale decisione (paragrafo 68 infra).

D.  Il sequestro conservativo del certificato di nascita

42.  Nel frattempo, il 30 ottobre 2011, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Larino aveva disposto il sequestro conservativo del certificato di nascita russo, in quanto si trattava di una prova essenziale. In effetti, dal fascicolo risultava che i ricorrenti non soltanto avevano verosimilmente commesso i fatti ascritti, ma avevano anche tentato di nasconderli. Tra l'altro, secondo il procuratore, avevano dichiarato di essere i genitori biologici, poi avevano corretto la loro versione dei fatti man mano che venivano smentiti.
43.  I ricorrenti impugnarono il provvedimento di sequestro conservativo.
44.  Con decisione del 20 novembre 2012, il tribunale di Campobasso respinse il ricorso dei ricorrenti per i gravi sospetti che pesavano su di loro quanto alla commissione dei reati ascritti. In particolare, il tribunale rilevò i seguenti fatti: la ricorrente aveva fatto circolare la voce sulla sua gravidanza; si era presentata al Consolato italiano a Mosca lasciando sottintendere di essere la madre naturale; in seguito, aveva ammesso che il bambino era stato messo al mondo da una madre surrogata; il 25 maggio 2011 aveva dichiarato ai carabinieri che il ricorrente era il padre biologico fatto che il test del DNA aveva smentito e quindi aveva reso false dichiarazioni; era stata molto vaga sull'identità della madre genetica; i documenti relativi alla maternità surrogata rivelavano che i due ricorrenti erano stati visti dai medici russi, cosa che non concordava con il fatto che il ricorrente non si era recato in Russia; i documenti che riguardavano il parto non avevano alcuna data precisa. Il tribunale ritenne che l'unica cosa certa era che il bambino era nato ed era stato consegnato alla ricorrente dietro pagamento di quasi 50.000 euro (EUR). Per il tribunale, l'ipotesi secondo la quale i ricorrenti avrebbero tenuto una condotta illegale al fine di ottenere la trascrizione della nascita e di aggirare le leggi italiane sembrava dunque fondata.
45.  Nel novembre 2012 il pubblico ministero trasmise al tribunale per i minorenni il provvedimento riguardante il sequestro conservativo e indicò che una condanna per il reato previsto dall'articolo 72 della legge sull’adozione avrebbe privato gli interessati della possibilità di avere il bambino in affido e di adottare quest'ultimo o altri minori. Per il pubblico ministero non vi erano dunque altre soluzioni salvo quella di continuare la procedura di adozione per il minore e l’affidamento temporaneo ad una famiglia era pertanto stato richiesto in virtù degli articoli 8 e 10 della legge sull’adozione. Il pubblico ministero reiterò la sua domanda e sottolineò che il minore era stato allontanato più di un anno prima e che da allora viveva in una casa famiglia dove aveva stabilito delle relazioni significative con le persone che si occupavano di lui. Spiegò che quindi il bambino non aveva ancora trovato un ambiente familiare che potesse sostituire quello che era stato illegalmente offerto dalla coppia che lo aveva portato in Italia. Secondo il pubblico ministero, questo bambino sembrava destinato a una nuova separazione molto più olorosa di quella dalla madre che lo aveva messo al mondo e poi da quella che aspirava ad essere sua madre.

E.  La procedura intentata dai ricorrenti per contestare il rifiuto di registrare l’atto di nascita

46.  In seguito alla presentazione di un ricorso per contestare il rifiuto dell’ufficio di stato civile di registrare il certificato di nascita russo, il tribunale di Larino si dichiarò incompetente il 29 settembre 2011. Successivamente, la procedura riprese dinanzi alla corte d’appello di Campobasso. I ricorrenti domandarono con insistenza la trascrizione del certificato di nascita russo.
47.  Con decisione immediatamente esecutiva del 3 aprile 2013, la corte d'appello di Campobasso si pronunciò in merito alla registrazione del certificato di nascita.
In via preliminare rigettò l'eccezione sollevata dal tutore secondo la quale i ricorrenti non avevano la qualità per agire dinanzi alla corte; riconobbe, in effetti, ai ricorrenti la capacità di stare in giudizio dal momento che erano indicati come i «genitori» nell'atto di nascita che desideravano far registrare.
Tuttavia, la corte d’appello giudicò evidente che i ricorrenti non fossero i genitori biologici concludendo che quindi non vi era stata alcuna gestazione surrogata. Rilevò che le parti erano concordi nel dire che la legge russa presupponeva un legame biologico tra il bambino e almeno uno degli aspiranti genitori per poter parlare di maternità surrogata. Ne dedusse che l’atto di nascita era ideologicamente falso e contrario alla legge russa. Per la corte d’appello, visto che non era dimostrato che il bambino avesse la cittadinanza russa, l'argomento dei ricorrenti relativo alla inapplicabilità della legge italiana contrastava con l'articolo 33 della legge sul diritto internazionale privato, secondo il quale la filiazione era determinata dalla legge nazionale del minore al momento della nascita.
La corte d’appello aggiunse che era contrario all’ordine pubblico trascrivere il certificato contestato poiché era falso. A suo avviso, anche se i ricorrenti opponevano la loro buona fede e sostenevano che non arrivavano a spiegarsi perché, nella clinica russa, il liquido seminale del ricorrente non era stato utilizzato, ciò non cambiava nulla alla situazione e non ovviava al fatto che il ricorrente non era il padre biologico.
48.  In conclusione, la corte d’appello ritenne legittimo rifiutare la trascrizione del certificato di nascita russo e accogliere la richiesta del pubblico ministero di emettere un nuovo atto di nascita. Di conseguenza ordinò di rilasciare un nuovo atto di nascita recante l’indicazione che il bambino era nato a Mosca il 27 febbraio 2011 da genitori ignoti, e con un nuovo nome (determinato ai sensi del D.P.R. n. 396/00).

F.  La sorte del minore

49.  A seguito dell’esecuzione del provvedimento emesso il 20 ottobre 2011 dal tribunale per i minorenni, il bambino rimase in una casa famiglia per circa quindici mesi, in un luogo sconosciuto ai ricorrenti. I contatti tra i questi ultimi e il minore furono vietati. I ricorrenti non poterono avere alcuna notizia di lui.
50.  Nel gennaio 2013, il minore fu dato in affidamento famigliare in vista della sua adozione.
51.  All’inizio di aprile 2013, il tutore chiese al tribunale per i minorenni di attribuire un’identità convenzionale al minore, affinché potesse essere iscritto senza difficoltà a scuola. Spiegò che il bambino era stato affidato ad una famiglia il 26 gennaio 2013, ma che era privo di identità. Per il tutore, questa «inesistenza» aveva forti ripercussioni sulle questioni amministrative: in particolare non si sapeva sotto quale identità iscrivere il bambino a scuola, nel suo libretto delle vaccinazioni e al suo domicilio. È vero che questa situazione rispondeva allo scopo di non permettere ai ricorrenti di capire ove si trovasse il minore al fine di proteggerlo meglio, tuttavia, il tutore spiegò che una identità convenzionale temporanea avrebbe permesso di mantenere il segreto sulla reale identità del minore e, al tempo stesso, avrebbe permesso a quest'ultimo di accedere ai servizi pubblici mentre fino ad ora gli era possibile utilizzare soltanto i servizi medici di emergenza.
52.  Risulta dal fascicolo che tale richiesta fu accolta dal tribunale per i minorenni, e che il minore ricevette un’identità convenzionale.
53.  Il Governo ha fatto sapere che l’adozione del minore è ormai effettiva.

G.  L’esito del procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni

54.  La procedura di adottabilità (paragrafo 22 supra) riprese dinanzi al tribunale per i minorenni. I ricorrenti confermarono la loro opposizione all’affidamento del minore a terze persone. Il tutore chiese di dichiarare che i ricorrenti non avevano più locus standi.
Il pubblico ministero chiese al tribunale di non dichiarare adottabile il minore con il nome che costui aveva all'origine in quanto nel frattempo aveva aperto una seconda procedura per chiedere la dichiarazione di adottabilità del bambino sotto la sua nuova identità (figlio di genitori ignoti).
55.  Il 5 giugno 2013, il tribunale per i minorenni dichiarò che i ricorrenti non avevano più la qualità per agire nel procedimento di adozione, dal momento che non erano né genitori né familiari del bambino, ai sensi dell'articolo 10 della legge sull’adozione. Il tribunale dichiarò che avrebbe regolato la questione dell'adozione del bambino nell'ambito dell'altra procedura di adozione, alla quale il pubblico ministero aveva fatto riferimento.

H.  L’esito del procedimento penale a carico dei ricorrenti

56.  Le parti non hanno fornito alcun dettaglio sul seguito del procedimento penale avviato contro i ricorrenti. Sembra che questo procedimento sia ancora pendente.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A.  Il diritto italiano

1.  La legge sul diritto internazionale privato

57.  Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 218 del 1995 sul sistema italiano di diritto internazionale privato, la filiazione è determinata dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita.

2.  La legge per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile

58.  Il decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000 n. 396 (legge per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) prevede che le dichiarazioni di nascita relative a cittadini italiani rese all'estero devono essere trasmesse alle autorità consolari (articolo 15). Le autorità consolari trasmettono copia degli atti ai fini della trascrizione all’ufficiale dello stato civile del comune in cui l'interessato intende stabilire la propria residenza (articolo 17). Gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico (articolo 18). Affinché essi producano i loro effetti in Italia, i provvedimenti emessi all’estero pronunciati in materia di capacità delle persone o di esistenza di rapporti familiari (…) non devono essere contrari all'ordine pubblico (articolo 65).

3    La legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita

59.  L’articolo 4 di questa legge prevedeva il divieto di ricorrere alla tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Il mancato rispetto di questa norma comportava una sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 EUR a 600.000 EUR.
60.  La Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di queste disposizioni nella misura in cui il divieto riguardava una coppia eterosessuale cui sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità assolute ed irreversibili.
61.  In questa stessa sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato che il divieto della surrogazione di maternità, prevista dall’articolo 12, comma 6, della legge, è invece legittimo. Tale disposizione punisce chiunque realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità. Le sanzioni previste sono la reclusione (da tre mesi a due anni) e una multa da 600.000 EUR a 1.000.000 EUR.
62.  Con la sentenza n. 96 del 5 giugno 2015, la Corte costituzionale si è nuovamente pronunciata sul divieto di ricorrere alle tecniche di procreazione eterologa e ha dichiarato tali disposizioni incostituzionali nei confronti delle coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili.

4.  Le disposizioni pertinenti in materia di adozione

63.  Le disposizioni relative alla procedura di adozione sono contenute nella legge n. 184/1983, dal titolo «Diritto del minore a una famiglia», come modificata dalla legge n. 149 del 2001.
Secondo l'articolo 2, il minore che è rimasto temporaneamente senza un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia che abbia, se possibile, altri figli minori, o a una persona singola, o a una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Nel caso in cui non fosse possibile un affidamento familiare idoneo, è consentito l’inserimento del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, preferibilmente nel luogo di residenza del minore.
L'articolo 5 prevede che la famiglia o la persona alla quale il minore è affidato debbano provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione tenendo conto delle indicazioni del tutore ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autorità giudiziaria. In ogni caso, la famiglia di accoglienza esercita la responsabilità genitoriale in relazione agli ordinari rapporti con la scuola e il servizio sanitario nazionale. La famiglia di accoglienza deve essere sentita nel procedimento di affidamento e in quello che riguarda la dichiarazione di adottabilità.
L’articolo 6 della legge prevede dei limiti di età per adottare. La differenza fra l’età del minore e quella degli adottanti deve essere di almeno diciotto anni e al massimo di quarantacinque anni, tale limite può essere portato a cinquantacinque anni per il secondo adottante. Il tribunale per i minorenni può derogare a tali limiti di età se ritiene che la mancata adozione del minore sarebbe pregiudizievole per quest’ultimo.
Peraltro, l'articolo 7 prevede che l'adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità.
L'articolo 8 prevede che «possono essere dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni, anche d'ufficio, (…) i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio». «La situazione di abbandono sussiste», prosegue l'articolo 8, «(…) anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza (…) o siano in affidamento familiare». Infine, questa disposizione prevede che la causa di forza maggiore non sussista se i genitori o gli altri parenti tenuti a provvedere al minore rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali e se tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice. La situazione di abbandono può essere segnalata all’autorità pubblica da ogni cittadino e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. D'altra parte, ogni funzionario pubblico, nonché la famiglia del minore, che siano a conoscenza dello stato di abbandono di quest'ultimo, sono obbligati a farne denuncia. Peraltro, gli istituti di assistenza devono informare regolarmente l'autorità giudiziaria della situazione dei minori collocati presso di loro (articolo 9).
L'articolo 10 prevede poi che il tribunale possa disporre, fino all’affidamento preadottivo del minore alla famiglia di accoglienza, ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, compresa eventualmente la sospensione della potestà genitoriale.
Gli articoli da 11 a 14 prevedono una indagine volta chiarire la situazione del minore e a stabilire se quest'ultimo si trovi in uno stato di abbandono. In particolare, l'articolo 11 dispone che quando dalle indagini risulta che il minore non ha rapporti con alcun parente entro il quarto grado, il tribunale provvede a dichiarare lo stato di adottabilità salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44.
Al termine del procedimento previsto da questi ultimi articoli, se lo stato di abbandono ai sensi dell'articolo 8 persiste, il tribunale per i minorenni dichiara lo stato di adottabilità del minore se: a) i genitori o gli altri parenti non si sono presentati nel corso del procedimento b) la loro audizione ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale nonché la non disponibilità degli interessati ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori (articolo 15). L'articolo 15 prevede anche che la dichiarazione dello stato di adottabilità sia disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con decreto motivato, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto presso cui il minore è stato ricoverato o la sua eventuale famiglia di accoglienza, il tutore e il minore stesso se abbia compiuto i dodici anni o, se è più giovane, se sia necessaria la sua audizione.
L'articolo 17 prevede che l’opposizione al provvedimento sullo stato di adottabilità del minore debba essere depositata entro trenta giorni a partire dalla data della comunicazione alla parte ricorrente.
L'articolo 19 prevede che durante lo stato di adottabilità sia sospeso l’esercizio della potestà genitoriale.
L'articolo 20 prevede infine che lo stato di adottabilità cessi nel momento in cui il minore è adottato o se quest'ultimo diventa maggiorenne. Peraltro, lo stato di adottabilità può essere revocato, d'ufficio o su richiesta dei genitori o del pubblico ministero, se le condizioni previste dall'articolo 8 sono state nel frattempo revocate. Tuttavia, se il minore è stato dato in affidamento preadottivo ai sensi degli articoli da 22 a 24, lo stato di adottabilità non può essere revocato.
64.  L'articolo 44 prevede alcuni casi di adozione speciale: l'adozione è possibile per i minori che non sono stati ancora dichiarati adottabili. In particolare, l'articolo 44 d) prevede l'adozione quando è impossibile procedere a un affidamento preadottivo.
65.  L'articolo 37bis di questa legge prevede che ai minori stranieri che si trovano in Italia in situazione di abbandono si applichi la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza.
66.  Le persone che desiderano adottare un bambino straniero devono rivolgersi a enti autorizzati per la ricerca di un minore (articolo 31) e alla Commissione per le adozioni internazionali (articolo 38). Quest’ultima è l’unico organo competente per autorizzare l’ingresso e la residenza permanente del minore straniero in Italia (articolo 32). Una volta che il minore è arrivato in Italia, il tribunale per i minorenni ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nel registro dello stato civile.
67.  Ai sensi dell’articolo 72 della legge, chiunque − in violazione delle disposizioni di cui al paragrafo 66 supra − introduce nel territorio dello Stato uno straniero minore di età per procurarsi denaro o altra utilità, e perché il minore sia definitivamente affidato a cittadini italiani, commette un reato punibile con la reclusione da uno a tre anni. Tale pena si applica anche a coloro che, in cambio di denaro o altra utilità, accolgono stranieri minori di età in «affidamento» con carattere di definitività. La condanna per tale violazione comporta l’inidoneità a ottenere affidamenti e l’incapacità all’ufficio tutelare.

5.  Il ricorso per cassazione previsto dall’articolo 111 della Costituzione

68.  Ai sensi dell'articolo 111, comma 7, della Costituzione italiana, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge contro i provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto le restrizioni della libertà personale. La Corte di cassazione ha esteso il campo di applicazione di questo rimedio ai procedimenti civili quando la decisione da contestare ha un impatto sostanziale su alcune situazioni (decisoria) e non può essere modificata o revocata dallo stesso giudice che l'ha pronunciata (definitiva).
I provvedimenti con i quali il tribunale per i minorenni dispone misure urgenti nei confronti di un minore in stato di abbandono adottati in base all’articolo 10 della legge sull’adozione (articoli 330 e seguenti del codice civile, 742 del codice di procedura civile) sono modificabili e revocabili e possono essere oggetto di reclamo dinanzi alla corte d’appello. Trattandosi di provvedimenti che possono essere modificati e revocati in qualsiasi momento, non è ammesso il ricorso per cassazione (Cassazione civile, Sez. I, sentenza del 18.10.2012, n. 17916).

6.  La legge che ha istituito i tribunali per i minorenni

69.  Il regio decreto n. 1404 del 1934, convertito nella legge n. 835 del 1935, ha istituito i tribunali per i minorenni. Tale legge ha subito ulteriori modifiche in seguito.
Ai sensi del suo articolo 2, il tribunale per i minorenni è composto da un magistrato di corte d'appello, che lo presiede, da un magistrato di tribunale e da due cittadini, un uomo ed una donna, benemeriti, dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia.

B.  La giurisprudenza della Corte di cassazione

1.  Giurisprudenza antecedente all’udienza dinanzi alla Grande Camera

70.  La Corte di cassazione (Sezione I, sentenza n. 24001 del 26 settembre 2014) si è pronunciata in una causa civile relativa a due cittadini italiani che si erano recati in Ucraina per avere un figlio mediante una surrogazione di maternità. La Corte di cassazione ha ritenuto che la decisione di disporre l’affidamento del minore fosse conforme alla legge. Avendo constatato l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, ne ha dedotto che la situazione controversa era illegale rispetto al diritto ucraino, in quanto quest’ultimo esigeva che vi fosse un legame biologico con uno degli aspiranti genitori. Dopo avere rammentato che il divieto di surrogazione di maternità era sempre vigente in Italia, l’alta giurisdizione ha spiegato che il divieto di tale pratica nel diritto italiano era di natura penale e aveva lo scopo di proteggere la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione. Essa ha aggiunto che solo un’adozione regolare, riconosciuta dalla legge, rendeva possibile una genitorialità non fondata sul legame biologico, e ha dichiarato che la valutazione dell’interesse del minore veniva operata a monte dalla legge, e che il giudice non dispone in questa materia di alcuna discrezionalità. Ne ha concluso che non poteva esserci conflitto con l’interesse del minore quando il giudice applicava la legge nazionale e non teneva conto della filiazione stabilita all’estero in seguito a una surrogazione di maternità.

2.  Giurisprudenza posteriore all’udienza dinanzi alla Grande Camera

71.  La Corte di cassazione (Sezione V, sentenza n. 13525 del 5 aprile 2016) si è pronunciata nell’ambito di un procedimento penale avviato nei confronti di due cittadini italiani che si erano recati in Ucraina per concepire un figlio ricorrendo a una donatrice di ovuli e a una madre surrogata. La legge ucraina esige che uno dei due genitori sia il genitore biologico. La sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado era stata impugnata in cassazione dal pubblico ministero. L’alta giurisdizione ha rigettato il ricorso del pubblico ministero, confermando così l’assoluzione, fondata sulla constatazione che i ricorrenti non avevano violato l’articolo 12 c. 6 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita in quanto avevano fatto ricorso a una tecnica di procreazione assistita che era legale nel paese in cui era stata praticata. Inoltre, la Corte di cassazione ha ritenuto che il fatto che gli imputati avessero presentato alle autorità italiane un certificato di nascita straniero non fosse costitutivo del reato di «falsa dichiarazione sull’identità» (articolo 495 del codice penale) o di «alterazione di stato» (articolo 567 del codice penale), dal momento che il certificato in questione era legittimo rispetto al diritto del paese che lo aveva rilasciato.
72.  La Corte di cassazione (Sezione I, sentenza n. 12962/14 del 22 giugno 2016) si è pronunciata in una causa civile in cui la ricorrente aveva chiesto di poter adottare il figlio della sua compagna. Le due donne si erano recate in Spagna allo scopo di ricorrere a tecniche di procreazione assistita vietate in Italia. Una di loro era la «madre» ai sensi del diritto italiano, il liquido seminale proveniva da un donatore ignoto. La ricorrente aveva vinto la causa in primo e secondo grado. Adita dal pubblico ministero, l’alta giurisdizione ha rigettato il ricorso di quest’ultimo ed ha così accettato che un figlio nato grazie a tecniche di procreazione assistita all’interno di una coppia di donne fosse adottato da quella che non l’aveva partorito. Per giungere a tale conclusione la Corte di cassazione ha tenuto conto del legame affettivo stabile esistente tra la ricorrente e il figlio, nonché dell’interesse del minore. La Corte ha utilizzato l’articolo 44 della legge sull’adozione, che prevede casi particolari di adozione.

C.  Il diritto russo

73.  All’epoca dei fatti, ossia fino a febbraio 2011, quando è nato il figlio, l’unica legge pertinente in vigore era il codice della famiglia del 29 dicembre 1995. Quest’ultimo disponeva che una coppia sposata era riconosciuta come coppia di genitori di un figlio nato da una madre surrogata, quando quest’ultima dava il suo consenso scritto (articolo 51 comma 4 del codice della famiglia). Il codice della famiglia non si pronunciava sulla questione di stabilire se, in caso di gestazione per conto terzi, gli aspiranti genitori debbano o meno avere un legame biologico con il minore. Neanche il decreto di applicazione n. 67 adottato nel 2003 e rimasto in vigore fino al 2012 si pronunciava a questo proposito.
74.  Successivamente alla nascita del figlio, la legge fondamentale sulla protezione della salute dei cittadini, adottata il 21 novembre 2011 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2012, ha introdotto delle disposizioni per regolamentare le attività mediche, comprese le procreazioni assistite. Nel suo articolo 55, tale legge definisce la maternità surrogata come la gestazione e consegna del figlio sulla base di contratto concluso dalla madre surrogata e dagli aspiranti genitori che hanno fornito il materiale genetico loro appartenente.
Il decreto n. 107 adottato il 30 agosto 2012 dal Ministro della Sanità definisce la gestazione per conto terzi come un contratto stipulato tra la madre surrogata e gli aspiranti genitori che hanno utilizzato il loro materiale genetico per il concepimento.

III.  DIRITTO E STRUMENTI INTERNAZIONALI PERTINENTI

A.  La Convenzione dell’Aja riguardante l’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri

75.  La Convenzione dell'Aja riguardante l’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri è stata conclusa il 5 ottobre 1961. Essa si applica agli atti pubblici – così come definiti dall'articolo 1 – che sono stati redatti sul territorio di uno Stato contraente e che devono essere prodotti sul territorio di un altro Stato contraente.
Articolo 2
«Ciascuno Stato contraente dispensa dalla legalizzazione gli atti cui si applica la presente Convenzione e che devono essere prodotti sul suo territorio. La legalizzazione ai sensi della presente Convenzione concerne solo la formalità mediante la quale gli agenti diplomatici o consolari del paese, sul cui territorio l’atto deve essere prodotto, attestano l’autenticità della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto l’atto e, ove occorra, l’autenticità del sigillo o del bollo apposto a questo atto.»
Articolo 3
«L’unica formalità che possa essere richiesta per attestare l’autenticità della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto l’atto e, ove occorra, l’autenticità del sigillo o del bollo apposto a questo atto, è l’apposizione dell’apostille di cui all’articolo 4, rilasciata dall’autorità competente dello Stato dal quale emana il documento.»
Articolo 5
«L’apostille è apposta su richiesta del firmatario o del portatore dell’atto. Debitamente compilata, essa attesta l’autenticità della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto l’atto e, ove occorra, l’autenticità del sigillo o del bollo apposto a questo atto. La firma, il sigillo o il bollo che figurano sull’apostille sono dispensati da qualsiasi attestazione».
Dal rapporto esplicativo della suddetta Convenzione risulta che l’apostille non attesta la veridicità del contenuto dell’atto sottostante. Tale limitazione degli effetti giuridici derivanti dalla Convenzione dell’Aja ha lo scopo di preservare il diritto degli Stati firmatari di applicare le proprie regole in materia di conflitti di leggi quando devono decidere sul peso da attribuire al contenuto del documento apostillato.

B.  La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo

76.  Le disposizioni pertinenti della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 novembre 1989, recitano:
Preambolo
«Gli Stati parte alla presente Convenzione,
(...)
Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l'assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività,
Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione,
(...)
Hanno convenuto quanto segue:
(...)
Articolo 3
1.  In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
(...)
Articolo 7
1.  Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto (…) a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi.
(...)
Articolo 9
1.  Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà (...).
Articolo 20
1.  Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato.
2.  Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.
3.  Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo dell'affidamento familiare, della Kafalah di diritto islamico, dell'adozione o in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.
Articolo 21
Gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l'adozione, si accertano che l'interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia, e:
a) Vigilano affinché l'adozione di un fanciullo sia autorizzata solo dalle Autorità competenti le quali verificano, in conformità con la legge e con le procedure applicabili e in base a tutte le informazioni affidabili relative al caso in esame, che l'adozione può essere effettuata in considerazione della situazione del bambino in rapporto al padre e alla madre, genitori e tutori legali e che, ove fosse necessario, le persone interessate hanno dato il loro consenso all'adozione in cognizione di causa, dopo aver acquisito i pareri necessari;
b) Riconoscono che l'adozione all'estero può essere presa in considerazione come un altro mezzo per garantire le cure necessarie al fanciullo, qualora quest'ultimo non possa essere affidato a una famiglia affidataria o adottiva oppure essere allevato in maniera adeguata nel paese d'origine;
c) Vigilano, in caso di adozione all'estero, affinché il fanciullo abbia il beneficio di garanzie e norme equivalenti a quelle esistenti per le adozioni nazionali;
d) Adottano ogni adeguata misura per vigilare affinché, in caso di adozione all'estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili;
e) perseguono le finalità del presente articolo stipulando accordi o intese bilaterali o multilaterali a seconda dei casi, e si sforzano in questo contesto di vigilare affinché le sistemazioni di fanciulli all'estero siano effettuate dalle autorità o dagli organi competenti.
(...)»
77.  Nel suo Commento generale n. 7 (2005) sull’attuazione dei diritti del fanciullo nella primissima infanzia, il Comitato sui diritti dell’infanzia ha inteso incoraggiare gli Stati parti a riconoscere che i bambini in tenera età godono di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo e che la prima infanzia è un periodo determinante per la realizzazione di tali diritti. Il Comitato evoca in particolare l’interesse superiore del minore:
«13. L’articolo 3 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale l’interesse superiore del minore è una considerazione fondamentale in tutte le decisioni riguardanti i minori. A causa della loro relativa mancanza di maturità, i bambini in tenera età dipendono dalle autorità competenti che definiscono i loro diritti e il loro interesse superiore e li rappresentano quando prendono decisioni e adottano provvedimenti che pregiudicano il loro benessere, pur tenendo conto del loro parere e dello sviluppo delle loro capacità. Il principio dell’interesse superiore del minore è menzionato molte volte nella Convenzione (in particolare negli articoli 9, 18, 20 e 21, che sono i più pertinenti per quanto concerne la prima infanzia). Questo principio si applica a tutte le decisioni riguardanti i minori e deve essere accompagnato da misure efficaci volte a tutelarne i diritti e a promuoverne la sopravvivenza, la crescita e il benessere, nonché misure volte a sostenere e aiutare i genitori e le altre persone che hanno la responsabilità di concretizzare giorno dopo giorno i diritti del minore:
a) Interesse superiore del minore in quanto individuo. In qualsiasi decisione che riguarda in particolare la custodia, la salute o l’educazione di un minore, tra cui le decisioni prese dai genitori, dai professionisti che si occupano dei minori e da altre persone che si assumono responsabilità nei confronti di questi ultimi, deve essere preso in considerazione il principio dell’interesse superiore del minore. Gli Stati parti sono vivamente pregati di adottare disposizioni affinché i minori in tenera età siano rappresentati in maniera indipendente, in tutte le procedure previste dalla legge, da una persona che agisca nel loro interesse e affinché i minori siano sentiti in tutti i casi in cui sono capaci di esprimere le loro opinioni o le loro preferenze;
(...)»

C.  La Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale

78.  Le disposizioni pertinenti della Convenzione sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, conclusa all’Aja il 29 maggio 1993, recitano:
Articolo 4
«1.  Le adozioni contemplate dalla Convenzione possono aver luogo soltanto se le autorità competenti dello Stato d'origine:
a) hanno stabilito che il minore è adottabile;
b) hanno constatato, dopo aver debitamente vagliato le possibilità di affidamento del minore nello Stato d'origine, che l'adozione internazionale corrisponde al suo superiore interesse;
c) si sono assicurate
1) che le persone, istituzioni ed autorità, il cui consenso è richiesto per l'adozione, sono state assistite con la necessaria consulenza e sono state debitamente informate sulle conseguenze del loro consenso, in particolare per quanto riguarda il mantenimento o la cessazione, a causa dell'adozione, dei legami giuridici fra il minore e la sua famiglia d'origine,
2) che tali persone, istituzioni ed autorità hanno prestato il consenso liberamente, nelle forme legalmente stabilite e che questo consenso è stato espresso o attestato per iscritto;
3) che i consensi non sono stati ottenuti mediante pagamento o contropartita di alcun genere e non sono stati revocati; e
4) che il consenso della madre, qualora sia richiesto, sia stato prestato solo successivamente alla nascita del minore; e
d - si sono assicurate, tenuto conto dell'età e della maturità del minore,
1) che questi è stato assistito mediante una consulenza e che è stato debitamente informato sulle conseguenze dell'adozione e del suo consenso all'adozione, qualora tale consenso sia richiesto;
2) che i desideri e le opinioni del minore sono stati presi in considerazione;
3) che il consenso del minore all'adozione, quando è richiesto, è stato prestato liberamente, nelle forme legalmente stabilite, ed è stato espresso o constatato per iscritto; e
4) che il consenso non è stato ottenuto mediante pagamento o contropartita di alcun genere.»

D.  I principi adottati dal comitato ad hoc di esperti sul progresso delle scienze biomediche del Consiglio d’Europa

79.  Il comitato ad hoc di esperti sul progresso delle scienze biomediche costituito in seno al Consiglio d’Europa (CAHBI), precursore dell’attuale comitato direttivo di bioetica, ha pubblicato nel 1989 una serie di principi fra cui il quindicesimo, relativo alle «madri surrogate», è così formulato:
«1.  Nessun medico o istituto deve utilizzare le tecniche di procreazione artificiale per il concepimento di un figlio che sarà portato in gestazione da una madre surrogata.
2.  Nessun contratto o accordo tra una madre surrogata e la persona o la coppia per conto delle quali è portato in gestazione un bambino potrà essere invocato in giudizio.
3.  Qualsiasi attività di intermediazione a favore delle persone interessate da una maternità surrogata deve essere vietata, come pure deve essere vietata ogni forma di pubblicità che vi faccia riferimento.
4.  Tuttavia, gli Stati possono, in casi eccezionali stabiliti dal loro diritto nazionale, prevedere, senza fare eccezione al paragrafo 2 del presente Principio, che un medico o un istituto possano procedere alla fecondazione di una madre surrogata utilizzando tecniche di procreazione artificiale, a condizione:
a.  che la madre surrogata non tragga alcun vantaggio materiale dall’operazione; e
b.  che la madre surrogata possa scegliere alla nascita di tenere il bambino.»

E. I lavori della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato

80.  La Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato ha esaminato le questioni di diritto internazionale privato relative allo status dei bambini, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della filiazione. In seguito a un vasto processo di consultazione che si è concluso con uno studio comparativo (documenti preliminari nn. 3B e 3C del 2014), nell’aprile 2014, il Consiglio sugli affari generali e la politica ha convenuto che sarebbe necessario proseguire i lavori al fine di approfondire lo studio di fattibilità per l’istituzione di uno strumento multilaterale. Il documento preliminare n. 3A di febbraio 2015, intitolato «Il progetto Filiazione/Maternità surrogata: nota di aggiornamento» menziona ancora una volta l’importanza delle preoccupazioni in materia di diritti umani che suscita l’attuale situazione relativa alle convenzioni internazionali di maternità surrogata, nonché il fatto che esse sono sempre più frequenti. In tale documento, la Conferenza dell’Aja ritiene perciò che i suoi lavori in questo ambito siano sempre più giustificati dal punto di vista dei diritti umani, e in particolare di quelli dei bambini.

IV.  ELEMENTI DI DIRITTO COMPARATO

81.  Nelle cause Mennesson c. Francia (n. 65192/11, §§ 40-42, CEDU 2014 (estratti) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, §§ 31-33, 26 giugno 2014), la Corte ha fornito una rassegna dei risultati di una analisi di diritto comparato condotta su 35 Stati parti alla Convenzione diversi dalla Francia. Da tale analisi emerge che la gestazione per conto terzi è espressamente vietata in quattordici di tali Stati; che in altri dieci Stati, nei quali non vi è una normativa relativa alla gestazione per conto terzi, o tale pratica è vietata in virtù di disposizioni generali, o non è tollerata, oppure la questione della sua legalità è incerta; e che essa è autorizzata in sette di questi trentacinque Stati (purché sussistano alcune condizioni rigorose).
In tredici di questi trentacinque Stati, è possibile per gli aspiranti genitori ottenere il riconoscimento giuridico del legame di filiazione con un bambino nato da una gestazione per conto terzi legalmente praticata in un altro paese.

IN DIRITTO

I.  SULL’OGGETTO DELLA CONTROVERSIA DINANZI ALLA GRANDE CAMERA

82.  Nel procedimento dinanzi alla Grande Camera le due parti hanno sottoposto delle osservazioni rispetto ai motivi di ricorso che la camera ha dichiarato irricevibili.
83.  Il Governo afferma che i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne, nella misura in cui lamentano il mancato riconoscimento del certificato di nascita formato all’estero. In effetti, gli interessati non hanno presentato ricorso per cassazione avverso la decisione della corte di appello di Campobasso del 3 aprile 2013, con la quale quest’ultima ha confermato il rifiuto di registrare detto certificato.
84.  La Corte osserva che la camera ha accolto l’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla impossibilità di ottenere la registrazione del certificato di nascita russo. Di conseguenza, questa doglianza è stata dichiarata irricevibile (paragrafo 62 della sentenza della camera). Ne consegue che la stessa non è oggetto della controversia sottoposta all’esame della Grande Camera poiché, secondo la giurisprudenza consolidata, «la causa» rinviata dinanzi alla Grande Camera è il ricorso così come dichiarato ricevibile dalla camera (si veda, tra altre, K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 141, CEDU 2001-VII).
85.  I ricorrenti chiedono alla Grande Camera di prendere in considerazione le doglianze da loro formulate in nome del minore, che secondo loro presentano un interesse nella fase dell’esame sul merito (Azinas c. Cipro [GC], n. 56679/00, § 32, CEDU 2004-III, K. e T. c. Finlandia, sopra citata, § 141). Essi affermano che, in effetti, l’interesse superiore del minore è al centro della causa e che le autorità nazionali non ne hanno tenuto conto in alcun modo.
86.  A questo proposito, la Corte osserva che la camera ha ritenuto che i ricorrenti non avessero la qualità per agire dinanzi alla Corte in nome del minore e che ha rigettato le doglianze sollevate in nome di quest’ultimo in quanto incompatibili ratione personae (paragrafi 48-50 della sentenza della camera). Ne consegue che questa parte del ricorso non è oggetto della controversia sottoposta all’esame della Grande Camera (K. e T. c. Finlandia, sopra citata, § 141).
87.  Nondimeno, la questione di stabilire se l’interesse superiore del minore sia da prendere in considerazione nell’esame delle doglianze che i ricorrenti sollevano in loro nome è una questione che fa parte della controversia dinanzi alla Grande Camera.

II.  SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO

A.  Argomenti delle parti

1.  Il Governo

88.  Il Governo solleva due eccezioni preliminari.
89.  In primo luogo, afferma che i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne, in quanto non hanno contestato la decisione del tribunale per i minorenni del 5 giugno 2013 che negava che essi avessero la qualità per agire nell’ambito della procedura di adozione. A suo parere, i ricorsi disponibili nel diritto italiano erano efficaci.
90.  In secondo luogo, il Governo chiede alla Corte di rigettare il ricorso per incompatibilità ratione personae, in quanto i ricorrenti non avrebbero locus standi dinanzi alla Corte.

2.  I ricorrenti

91.  I ricorrenti rammentano che la camera si è già pronunciata in merito a tali eccezioni e le ha respinte. Per quanto riguarda in particolare l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne rispetto alla decisione del 5 giugno 2013 che negava che essi avessero la qualità per agire nell’ambito della procedura di adozione, essi sottolineano che, nel momento in cui il tribunale per i minorenni li ha esclusi dalla procedura, erano trascorsi più di venti mesi dall’allontanamento del minore, e ritengono che il tempo trascorso avesse reso perfettamente illusorio il ritorno del minore dato che quest’ultimo viveva ormai in un’altra famiglia. I ricorrenti osservano che, del resto, il Governo non ha fornito alcun precedente giurisprudenziale a sostegno della sua tesi.

B.  Valutazione della Corte

92.  La Corte osserva che le eccezioni sollevate dal Governo sono state già esaminate dalla camera (paragrafi 55-64 della sentenza della camera).
93.  La Corte rileva che la camera le ha rigettate (paragrafi 64 e 57 rispettivamente della sentenza della camera) e che il Governo ribadisce queste eccezioni basandosi sugli stessi argomenti. La Corte ritiene che, per quanto riguarda queste due eccezioni, nulla porti a discostarsi dalle conclusioni della camera.
94.  In conclusione, le eccezioni del Governo devono essere respinte.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

95.  I ricorrenti affermano che i provvedimenti adottati dalle autorità italiane nei confronti del minore e che hanno portato all’allontanamento definitivo di quest’ultimo hanno pregiudicato il loro diritto alla vita privata e famigliare, sancito dall’articolo 8 della Convenzione.
96.  Il Governo si oppone a questa tesi.
97.  L’articolo 8 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, recita:
«1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...).
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A.  La sentenza della camera

98.  Dopo aver dichiarato irricevibile la doglianza formulata dai ricorrenti in nome del minore nonché la loro doglianza relativa al mancato riconoscimento del certificato di nascita rilasciato in Russia, la camera ha esaminato le misure che hanno comportato l’allontanamento definitivo del minore.
Poiché il certificato di nascita non è stato riconosciuto nel diritto italiano, la camera ha ritenuto che tra i ricorrenti e il minore non esistesse per l’esattezza alcun legame giuridico. La camera ha concluso tuttavia che esisteva una vita famigliare de facto nel senso dell’articolo 8. Per giungere a questa conclusione, essa ha tenuto conto del fatto che i ricorrenti avevano passato con il minore le prime tappe importanti della sua giovane vita, e che si erano comportati nei confronti di quest’ultimo come genitori. Per di più, la camera ha ritenuto che anche la vita privata del ricorrente fosse in gioco, dato che, a livello nazionale, egli aveva cercato di verificare l’esistenza di un legame biologico tra lui e il minore per mezzo di un test del DNA. In conclusione, la camera ha affermato che le misure controverse si traducevano in una ingerenza nella vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore (paragrafi 67-69 della sentenza della camera), e anche nella vita privata del ricorrente (paragrafo 70 della sentenza della camera).
99.  Successivamente, constatando che i tribunali interni avevano applicato il diritto italiano per determinare la filiazione del minore e avevano concluso che quest’ultimo era in «stato di abbandono» in assenza di un legame biologico con i ricorrenti, la camera ha ritenuto che i giudici nazionali non avessero adottato un provvedimento irragionevole. Di conseguenza, la camera ha ammesso che l’ingerenza era «prevista dalla legge» (paragrafo 72 della sentenza della camera).
100.  La camera ha ritenuto, inoltre, che le misure adottate nei confronti del minore mirassero alla «difesa dell’ordine», in quanto la condotta dei ricorrenti si scontrava con la legge italiana in materia di adozione internazionale e di ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Inoltre, le misure in questione erano volte alla protezione dei «diritti e libertà» del minore (paragrafo 73 della sentenza della camera).
101.  Avendo riconosciuto l’esistenza di una vita famigliare, la camera ha valutato congiuntamente gli interessi privati dei ricorrenti e l’interesse superiore del minore, e li ha bilanciati con l’interesse pubblico. Non si è convinta del carattere adeguato degli elementi sui quali le autorità italiane si erano basate per concludere che il minore doveva essere preso in carico dai servizi sociali. Nel suo ragionamento, si è basata sul principio che l’allontanamento del minore dal contesto famigliare era una misura estrema alla quale si dovrebbe ricorrere solo in ultima ratio, per proteggere il minore che affronti un pericolo immediato per lui, (la camera ha rinviato, a questo proposito, alle sentenze seguenti: Scozzari e Giunta c. Italia [GC], n. 39221/98 e 41963/98, § 148, CEDU 2000 VIII, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 136, CEDU 2010, Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, §§ 133-138, 13 marzo 2012, e Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, §§ 74-80, 10 aprile 2012). Considerati gli elementi del fascicolo, la camera ha ritenuto che i giudici nazionali avessero preso decisioni senza valutare concretamente le condizioni di vita del minore con i ricorrenti e l’interesse superiore dello stesso. Di conseguenza, essa ha concluso che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione, in quanto le autorità nazionali non avevano preservato il giusto equilibrio che deve regnare tra l’interesse generale e gli interessi privati in gioco (paragrafi 75-87 della sentenza della camera).

B.  Osservazioni delle parti

1.  I ricorrenti

102.  I ricorrenti dichiarano anzitutto che la Corte non è chiamata a pronunciarsi su nient’altro che le misure adottate dalle autorità italiane nei confronti del minore, e questo dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione, per determinare se vi sia stata violazione del loro diritto alla vita privata e famigliare. Secondo loro, considerata la decisione della camera di dichiarare irricevibile la doglianza relativa al rifiuto di trascrivere in Italia l’atto di nascita russo del minore, la Corte non è chiamata a pronunciarsi sulla convenzionalità della scelta di uno Stato di autorizzare o meno la pratica della gestazione per conto terzi sul suo territorio o sulle condizioni di riconoscimento di un legame di filiazione legittimamente concepito all’estero.
103.  I ricorrenti ritengono che i legami che li univano al minore si traducono in una vita famigliare che rientra nelle previsioni dell’articolo 8 della Convenzione. A tale proposito fanno riferimento alla giurisprudenza della Corte.
104.  Essi sostengono che la vita famigliare costruitasi tra loro e il minore messo al mondo da una madre surrogata è conforme al diritto russo, così come applicabile all’epoca dei fatti, e si baserebbe dunque su un legame giuridico di parentela legale attestato dal certificato di nascita rilasciato dalle autorità competenti. La legittimità di questo legame giuridico non sarebbe dunque pregiudicata dal fatto che è risultato che nessun legame biologico di filiazione univa l’aspirante padre al minore, non essendo all’epoca richiesta dal diritto russo la presenza di un tale legame biologico.
105.  Per i ricorrenti, la potestà genitoriale da loro esercitata sul minore – e dunque il legame giuridico di parentela che hanno stabilito con lo stesso – è stata riconosciuta dalle autorità italiane nella misura in cui queste l’hanno sospesa e revocata.
106.  Il minore sarebbe stato il frutto di un progetto genitoriale serio e ben ponderato. La coppia gli avrebbe manifestato il proprio attaccamento ancor prima della sua nascita (Anayo c. Germania, n. 20578/07, § 61, 21 dicembre 2010) e si sarebbe impegnata per permettere una vita famigliare effettiva. I ricorrenti affermano che, alla nascita del minore, la ricorrente lo ha preso rapidamente in carico sistemandosi con lui in un appartamento a Mosca, stabilendo forti legami affettivi. Una volta arrivato in Italia, il minore avrebbe vissuto con i ricorrenti in un contesto accogliente, rassicurante e favorevole al suo sviluppo armonioso sia sul piano affettivo che materiale. I ricorrenti rammentano che la famiglia ha convissuto per otto mesi, sei dei quali in Italia. Pur essendo relativamente breve, questo periodo coinciderebbe con le prime tappe importanti della giovane vita del minore. I ricorrenti rammentano che, del resto, questa brevità non può essere attribuita alla loro volontà, in quanto la fine brutale della convivenza è dipesa esclusivamente dalle misure adottate dalle autorità italiane.
107.  I ricorrenti aggiungono che l’assenza di legame biologico non può bastare per scartare l’esistenza di una vita famigliare. Nella fattispecie, essi dichiarano che erano, per di più, convinti dell’esistenza di un legame biologico tra il ricorrente e il minore e che non vi sono motivi per dubitare della loro buona fede. In ogni caso, l’errore della clinica non avrebbe alcuna conseguenza giuridica sulla legittimità della filiazione stabilita in Russia, poiché all’epoca dei fatti il diritto russo non esigeva che gli aspiranti genitori fornissero il loro proprio materiale biologico. Pertanto, rispetto alle norme applicabili all’epoca dei fatti, la gestazione per conto terzi praticata dai ricorrenti sarebbe stata perfettamente legittima rispetto al diritto russo. Secondo i ricorrenti, è solo dal 1° gennaio 2012, data dell’entrata in vigore della legge federale n. 323 FZ del 21 novembre 2011, che il ricorso a un donatore di gameti è vietato dagli aspiranti genitori.
108.  I ricorrenti ritengono che i provvedimenti adottati dalle autorità italiane costituiscano una ingerenza nella loro vita famigliare. Secondo loro tale ingerenza aveva formalmente una base giuridica, in quanto i provvedimenti erano stati adottati conformemente alla legge italiana sull’adozione. Tuttavia, tali misure deriverebbero da un’analisi arbitraria da parte dei giudici nazionali nella misura in cui questi hanno ritenuto che il minore si trovasse «in stato di abbandono». I ricorrenti sostengono inoltre che, se la pratica della gestazione per conto terzi è vietata dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita (articoli 6 e 14), non sono comunque mai stati avviati procedimenti penali nei confronti di madri surrogate o di aspiranti genitori. In effetti, in assenza di una clausola di extraterritorialità, una gestazione per conto terzi realizzata legittimamente in un altro Stato non può, secondo loro, essere perseguita da parte dei giudici italiani. Non potendo perseguire la gestazione per conto terzi in quanto tale, altre disposizioni sarebbero utilizzate per fondare i procedimenti penali. Così sarebbe avvenuto nel caso dei ricorrenti, nei cui confronti si procede dal 5 maggio 2011 per alterazione di stato civile (articolo 567 del codice penale), uso di atto falso (articolo 489 del codice penale) e violazione delle disposizioni in materia di adozione.
109.  I ricorrenti contestano la tesi secondo la quale lo scopo legittimo delle misure in questione era quello di proteggere i diritti e le libertà del minore. In effetti, i giudici italiani si sarebbero basati esclusivamente sulla illegalità della situazione creata dai ricorrenti e si sarebbero limitati ad affermare – senza minimamente rispettare la legislazione russa – che la maternità surrogata in Russia era contraria al diritto italiano. Perciò, il tribunale per i minorenni si sarebbe principalmente sforzato di impedire il protrarsi della situazione illegale. I ricorrenti vedono nelle decisioni di questo giudice la volontà esclusiva di sanzionarli per il loro comportamento. L’interesse del minore sarebbe stato evocato solo per affermare che l’impatto dei provvedimenti controversi su quest’ultimo sarebbe stato minimo.
110.  Per quanto riguarda la necessità di tali misure, i ricorrenti osservano che se il ricorso alla gestazione per conto terzi solleva delicate questioni di ordine etico, questa considerazione non può legittimare una «carta bianca che giustifichi qualsiasi provvedimento». In effetti, se gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento per autorizzare o meno la pratica della gestazione per conto terzi sul loro territorio, essi ritengono che questo non sia l’oggetto del presente ricorso. Nel caso di specie, sarebbe la Corte a dover dire se i provvedimenti che hanno comportato l’allontanamento definitivo del minore abbiano mantenuto il giusto equilibrio tra gli interessi in gioco, ossia quelli dei ricorrenti, quelli del minore e quelli dell’ordine pubblico. Da questo punto di vista, i ricorrenti ritengono che si debba tenere presente che, in tutte le decisioni che riguardano un minore, l’interesse superiore di quest’ultimo deve prevalere. Perciò, essi affermano che una rottura immediata e definitiva dei legami famigliari è stata ritenuta conforme all’articolo 8 solo quando i minori interessati erano esposti a rischi gravi e persistenti per la loro salute e il loro benessere. Ora, così non era nel caso di specie secondo i ricorrenti, che ritengono che l’interesse superiore del minore non sia stato minimamente preso in considerazione dalle autorità nazionali.
111.  I ricorrenti affermano che vi era convergenza di interessi tra loro e il minore il giorno in cui sono stati messi in atto i provvedimenti controversi. Tali misure avrebbero spezzato la loro vita famigliare e avrebbero comportato una rottura definitiva dei legami famigliari, con conseguenze irrimediabili, in assenza di condizioni tali da giustificare questa rottura. Il tribunale per i minorenni si sarebbe astenuto dall’esaminare le condizioni reali di vita del minore, e avrebbe presunto che quest’ultimo fosse privo dell’assistenza materiale e morale dei genitori. Per i ricorrenti, i giudici nazionali hanno messo in dubbio la loro capacità effettiva ed educativa soltanto sulla base dell’illegalità del loro comportamento e hanno ritenuto che avessero fatto ricorso alla gestazione per conto terzi per narcisismo. I ricorrenti rammentano che erano comunque stati dichiarati idonei a diventare genitori adottivi dalle stesse autorità, e che, inoltre, le assistenti sociali, incaricate dal tribunale per i minorenni, avevano redatto un rapporto molto favorevole alla continuazione della vita comune con il minore. Vi sarebbero state delle lacune evidenti nel processo decisionale che aveva condotto ai provvedimenti contestati. Perciò, i ricorrenti ritengono di essere stati considerati incapaci di educare e amare il figlio unicamente sulla base di presunzioni e deduzioni, e senza che fosse stata ordinata una perizia dai tribunali.
112.  I ricorrenti osservano inoltre che le autorità non hanno previsto misure diverse dalla presa in carico definitiva del minore.
113.  Essi spiegano che il 20 ottobre 2011 gli agenti dei servizi sociali si sono presentati a casa loro e hanno portato via il minore, nonostante loro non fossero nemmeno stati informati della decisione del tribunale. Questa operazione avrebbe provocato spavento e confusione. Anche nel momento dell’esecuzione dei provvedimenti vi sarebbe stata dunque sproporzione.
114.  Infine, i ricorrenti sottolineano che le autorità italiane non hanno adottato alcun provvedimento per preservare le relazioni tra loro e il minore al fine di mantenere la possibilità di ricostruire la famiglia e, ben al contrario, hanno vietato qualsiasi contatto con il minore mandandolo in un luogo sconosciuto. Per i ricorrenti, l’impatto di questi provvedimenti è stato irrimediabile.
115.  I ricorrenti chiedono alla Corte di concludere che vi è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Pur essendo consapevoli che è trascorso molto tempo da quando il minore è stato preso in carico dai servizi sociali, e che è auspicabile, nell’interesse del minore, che la sua situazione famigliare non cambi nuovamente, essi ritengono che una somma accordata a titolo di equa soddisfazione non sia sufficiente. I ricorrenti desiderano infatti riprendere contatto con il minore.

2.  Il Governo

116.  Il Governo afferma che la camera ha interpretato l’articolo 8 § 1 della Convenzione in maniera troppo estensiva, e l’articolo 8 § 2 in maniera troppo restrittiva.
117.  Facendo riferimento al paragrafo 69 della sentenza della camera, nel quale la camera ha concluso che esisteva una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore, il Governo ritiene che l’affermazione della camera sarebbe stata valida se il legame tra i ricorrenti e il minore fosse stato un legame famigliare realmente biologico (sebbene soltanto dal lato paterno) e formalizzato da un atto di nascita legale e soprattutto, se il tempo vissuto insieme avesse permesso il realizzarsi di una vera vita famigliare e l’esercizio effettivo della potestà genitoriale. Ora, il Governo osserva che nessuno dei ricorrenti ha un legame biologico con il minore. Ne conclude che la vita famigliare, nel caso di specie, non è mai iniziata.
118.  L’atto di nascita controverso sarebbe anche contrario all’ordine pubblico per il fatto che indica che i ricorrenti sono i genitori «biologici» del minore il che, secondo il Governo, è falso. Inoltre, il Governo si oppone all’argomento dei ricorrenti secondo il quale il certificato di nascita rilasciato dalle autorità russe sarebbe conforme alla legge russa. Esso spiega che quest’ultima richiede espressamente l’esistenza di un legame biologico tra il minore e almeno uno degli aspiranti genitori. Del resto, la corte d’appello di Campobasso avrebbe già tenuto conto di questo punto nel momento in cui ha deciso di non autorizzare la registrazione del certificato di nascita (sentenza del 3 aprile 2013).
119.  Peraltro, il Governo afferma che, nel 2011, i ricorrenti non soddisfacevano più i criteri di età necessari per adottare il minore in questione, e aggiunge che la vita famigliare de facto non può basarsi su una situazione illegale come quella creata dai ricorrenti, che avrebbero potuto avere un figlio mediante l’adozione, avendo ottenuto l’autorizzazione nel 2006. A suo parere, i ricorrenti potevano scegliere di non agire contro la legge.
120.  Il Governo rammenta peraltro che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 8 non sancisce né il diritto di formare una famiglia né il diritto di adottare.
121.  Il Governo rimprovera ai ricorrenti di essersi assunti la responsabilità di condurre in Italia un minore che era loro completamente estraneo, e questo in violazione della legislazione applicabile. A suo parere, la scelta degli interessati era deliberata e il fatto che essi abbiano concluso un contratto per comprare un neonato ha viziato la loro situazione fin dall’inizio. Il Governo non vede alcuna misura che possa regolarizzare questa situazione.
122.  Inoltre, lo Stato gode a suo parere di un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda la maternità surrogata e le tecniche di procreazione assistita. Il trasporto del liquido seminale del ricorrente sarebbe contrario alla legge sulla procreazione assistita e al decreto legislativo n. 191/2007, che recepisce la direttiva europea 2004/23/CE sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani. Inoltre, considerato il fatto che il minore non ha alcun legame biologico con i ricorrenti, il Governo dubita della validità del consenso della madre surrogata e della regolarità del protocollo seguito in Russia.
123.  Il Governo dedica una parte delle sue osservazioni alla questione del mancato riconoscimento del certificato di nascita straniero e osserva che, secondo il codice civile italiano, l’unica madre biologica possibile è la madre che ha partorito il figlio, cosa che non si è verificata nella presente causa.
124.  Per quanto riguarda le misure volte ad allontanare definitivamente il minore, il Governo afferma che queste si fondavano su una base giuridica e conviene con la camera che le stesse rispondevano a uno scopo legittimo.
125.  Quanto alla loro necessità, il Governo sottolinea che il diritto italiano riconosce la filiazione soltanto in presenza di un legame biologico o in caso di adozione che rispetti le garanzie previste dalla legge in materia di adozione. A suo parere, non è operando questa scelta – legislativa, politica ed etica – che lo Stato italiano ha deciso di proteggere l’interesse dei minori, e di rispondere alle esigenze dell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo. Tale scelta non lascerebbe ai giudici alcun margine di discrezionalità.
126.  Il Governo ritiene che i provvedimenti adottati dai tribunali interni si basino su una valutazione attenta della situazione, e rammenta che le giurisdizioni per i minorenni – che prendono le loro decisioni collegialmente – si compongono di due giudici togati e due giudici onorari aventi una formazione specifica in psichiatria, biologia, antropologia criminale, pedagogia o psicologia. Nel caso di specie, il tribunale di Campobasso avrebbe tenuto conto degli aspetti psicosociali del minore nella valutazione dell’interesse di quest’ultimo e avrebbe dubitato delle capacità dei ricorrenti di amare e educare il minore.
127.  Il Governo assicura che le misure controverse sono state adottate affinché il minore possa beneficiare di una vita privata e famigliare in un’altra famiglia, in grado di proteggere la sua salute e di assicurare il suo sviluppo sano e sicuro e una identità certa. Le autorità italiane avrebbero ricercato l’equilibrio tra i diversi interessi, e l’interesse superiore del minore sarebbe stato la considerazione principale. Per il Governo, esse hanno rispettato la legislazione nazionale, conformemente al margine di apprezzamento che è stato accordato loro in materia, e hanno reagito di fronte al comportamento dei ricorrenti che avevano violato la legge sulla procreazione assistita.
128.  Il Governo fa osservare che la Corte di cassazione è giunta alla stessa conclusione per quanto riguarda delle misure simili che le autorità avevano adottato in un caso analogo a quello del caso di specie, in cui il minore era nato in Ucraina (paragrafo 70 supra), e chiede alla Corte di rispettare il principio di sussidiarietà e il margine di apprezzamento lasciato agli Stati e di non sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali.
129.  Tenuto conto di questi elementi, il Governo ritiene che il ricorso non ponga alcun problema dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione.
130.  Infine, il Governo dedica l’ultimo capitolo delle sue osservazioni alla gestazione per conto terzi e alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, che vieta tale pratica, sottolineando che i ricorrenti hanno fatto ricorso a una pratica commerciale eticamente condannabile, a proposito della quale non vi è un consenso europeo. Il Governo critica la sentenza della camera in quanto non contiene un capitolo dedicato al diritto comparato europeo in materia di gestazione per conto terzi. In assenza di regole comuni e visto che alcuni Stati ammettono la pratica della maternità surrogata, il Governo denuncia la crescita del «turismo procreativo» e osserva che i problemi giuridici in questo ambito sono spinosi, a causa della mancanza di armonizzazione tra i sistemi giuridici degli Stati. Esso ritiene che, di fronte a questa mancata armonizzazione e all’assenza di regolamentazione internazionale, la Corte debba riconoscere agli Stati un ampio margine di apprezzamento.

C.  Valutazione della Corte

1.  Considerazioni preliminari

131.  La Corte osserva anzitutto che il minore T.C. è nato da un embrione ottenuto da una donazione di ovociti e da una donazione di sperma effettuata da donatori sconosciuti, ed è stato messo al mondo in Russia, da una donna russa che ha rinunciato ai suoi diritti su di lui. Pertanto non esiste alcun legame biologico tra i ricorrenti e il minore. I ricorrenti hanno pagato circa 50.000 EUR per ricevere il minore. Le autorità russe hanno rilasciato un certificato di nascita che attestava che loro erano i genitori ai sensi dell’ordinamento russo. I ricorrenti hanno quindi deciso di portare il minore in Italia e di vivere in questo paese con lui. Le origini genetiche del minore rimangono sconosciute. Il caso di specie, pertanto, riguarda ricorrenti che, agendo al di fuori di ogni regolare procedura di adozione, hanno portato in Italia dall’estero un minore che non aveva alcun legame biologico con nessuno dei due genitori e che è stato concepito – secondo quanto asserito dai giudici nazionali – attraverso tecniche di procreazione assistita illegali ai sensi dell’ordinamento italiano.
132.  La Corte osserva che nelle cause Mennesson c. Francia (n. 65192/11, CEDU 2014 (estratti)) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), due coppie di aspiranti genitori avevano fatto ricorso alla gestazione per conto terzi negli Stati Uniti e si erano stabilite con i loro figli in Francia. In quelle cause era stata dimostrata l’esistenza di un legame biologico tra il padre e i figli e le autorità francesi non avevano mai contemplato l’ipotesi di separare i figli dai genitori. La questione al centro di quelle cause era il rifiuto di registrare i dati di un certificato di nascita redatto all’estero in indiscussa conformità con la legislazione del paese di origine e il diritto dei figli di ottenere il riconoscimento della loro filiazione. Sia i genitori che i figli erano tutti ricorrenti dinanzi alla Corte.
133.  Contrariamente alle cause Mennesson e Labassee sopra citate, la presente causa non riguarda la registrazione di un certificato di nascita rilasciato all’estero e il riconoscimento della filiazione rispetto a un minore nato da un accordo di gestazione per conto terzi (paragrafo 84 supra). Al centro del caso di specie vi sono le misure adottate dalle autorità italiane che hanno determinato la separazione definitiva del minore dai ricorrenti. Infatti, i giudici nazionali hanno affermato che non si trattava di una surrogazione di maternità «tradizionale», visto che non era stato usato il materiale biologico dei ricorrenti. È stato posto l’accento sul mancato rispetto delle procedure previste dalla legislazione sulle adozioni internazionali e sulla violazione del divieto di usare gameti di donatori ai sensi dell’articolo 4 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (si veda il passaggio pertinente del provvedimento del tribunale per i minorenni, paragrafo 37 supra).
134.  Pertanto, la questione giuridica al centro della causa è se, date le circostanze sopra esposte, sia applicabile l’articolo 8; e, in caso affermativo, se le misure urgenti ordinate dal tribunale per i minorenni – che hanno determinato l’allontanamento del minore – costituiscano una ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della vita famigliare e/o della vita privata, ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione e, in questo caso, se le misure impugnate siano state adottate conformemente all’articolo 8 § 2 della Convenzione.
135.  Infine, la Corte rammenta che il minore T.C. non è un ricorrente nel procedimento dinanzi ad essa, visto che la camera ha rigettato le doglianze sollevate dai ricorrenti per suo conto (paragrafo 86 supra). La Corte è chiamata a esaminare unicamente le doglianze sollevate dai ricorrenti in loro nome (si vedano, a contrario, Mennesson, sopra citata, §§ 96-102, e Labassee, sopra citata, §§ 75-81)).

2.  Applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione

136.  La Corte rammenta che la camera è giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore (paragrafo 69 della sentenza della camera). Ha inoltre ritenuto che la situazione lamentata riguardasse anche la vita privata del ricorrente, in quanto la posta in gioco per lui era la determinazione di un legame biologico con il minore (paragrafo 70 della sentenza della camera). Di conseguenza l’articolo 8 della Convenzione era applicabile alla presente causa.
137.  Il Governo contesta l’esistenza di una vita famigliare nel caso di specie, basandosi essenzialmente sull’assenza di un legame biologico tra i ricorrenti e il minore e sull’illegalità della condotta dei ricorrenti ai sensi dell’ordinamento italiano. Esso sostiene che, visto il comportamento contrario alla legge adottato dai ricorrenti, tra loro e il minore non può esistere alcun legame tutelato dall’articolo 8 della Convenzione. Afferma inoltre che i ricorrenti hanno vissuto con il minore per soli otto mesi.
138.  I ricorrenti chiedono alla Corte di riconoscere l’esistenza di una vita famigliare nonostante l’assenza di un legame biologico con il minore e del riconoscimento della filiazione nell’ordinamento italiano. Sostanzialmente, affermano che nel diritto russo è riconosciuto un legame giuridico di filiazione e che essi hanno instaurato dei legami affettivi stretti con il minore durante i suoi primi otto mesi di vita.
139.  La Corte deve quindi pronunciarsi sulla questione della possibilità che i fatti di causa riguardino la vita famigliare e/o privata dei ricorrenti.

a)  Vita famigliare

i.  Principi pertinenti

140.  La questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita famigliare è essenzialmente una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31; e K. e T. c. Finlandia sopra citata, § 150). Il concetto di «famiglia» di cui all’articolo 8 riguarda le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami «famigliari» de facto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, § 30, serie A n. 297-C; Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, § 55, serie A n. 112; Keegan c. Irlanda, 26 maggio 1994, § 44, serie A n. 290; e X, Y e Z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, § 36, Recueil 1997 II).
141.  Le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di costituire una famiglia né il diritto di adottare (E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02, § 41, 22 gennaio 2008). Il diritto al rispetto di una «vita famigliare» non tutela il semplice desiderio di costituire una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx, sopra citata, § 31), o almeno di una relazione potenziale, che si sia potuta costituire, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEDU 1999-VI), o di una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se non era ancora pienamente stabilita una vita famigliare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A n. 94), o ancora della relazione tra un padre e il figlio legittimo, anche quando si sia dimostrato, anni dopo, che non era basata su un legame biologico (Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, § 58, CEDU 2015 (estratti)) o dalla relazione nata da un’adozione legale e non fittizia (Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 148, CEDU 2004-V (estratti)).

ii.  Applicazione al caso di specie

142.  Pur se è indubbio che non vi sia un legame biologico tra i ricorrenti e il minore, le parti hanno proposto argomenti diversi in merito alla legittimità del vincolo genitoriale, riconosciuto dall’ordinamento russo, che legava i ricorrenti al minore (paragrafi 107 e 118 supra).
143.  È vero che, come il Governo indica nelle sue osservazioni (paragrafo 118 supra), la questione della conformità del certificato di nascita all’ordinamento russo è stata effettivamente esaminata dalla corte d’appello di Campobasso, che ha confermato il rifiuto di registrare il certificato in questione, ritenendo che violasse la legislazione russa (paragrafo 47 supra). I ricorrenti non hanno contestato questa tesi dinanzi alla Corte di cassazione (paragrafo 84 supra).
144.  Tuttavia, la formulazione delle disposizioni della legislazione russa applicabili il 27 febbraio 2011, data di nascita del minore, e il 10 marzo 2011, data in cui i ricorrenti sono stati registrati come genitori a Mosca, sembra confermare l’argomento proposto dai ricorrenti dinanzi alla Corte, secondo il quale all’epoca dei fatti l’esistenza di un legame biologico tra il minore e gli aspiranti genitori non era esplicitamente richiesto dalla legislazione russa (paragrafi 73-74 e 107 supra). Inoltre, il certificato in questione riportava semplicemente che i ricorrenti erano i «genitori», senza specificare se fossero i genitori biologici (paragrafo 16 supra).
145.  La Corte osserva che la questione della conformità del certificato di nascita alla legislazione russa non è stata esaminata dal tribunale per i minorenni nell’ambito delle misure urgenti adottate nei confronti del minore.
146.  Dinanzi ai giudici italiani, la potestà genitoriale esercitata dai ricorrenti sul minore è stata riconosciuta implicitamente, nella misura in cui ne era stata richiesta la sospensione (paragrafo 23 supra). Tuttavia, la potestà genitoriale in questione era dubbia per i seguenti motivi.
147.  La situazione dei ricorrenti era in conflitto con l’ordinamento nazionale. Secondo il Tribunale per i minorenni di Campobasso (paragrafo 37 supra), e indipendentemente dagli aspetti di diritto penale, vi era una situazione di illegalità, che consisteva in primo luogo nel fatto di aver portato in Italia un minore straniero che non aveva legami biologici con nessuno dei genitori, in violazione delle norme in materia di adozioni internazionali e, in secondo luogo, nell’avere sottoscritto un accordo che prevedeva la consegna del liquido seminale del ricorrente al fine della fecondazione degli ovociti di un’altra donna in violazione del divieto, operato dalla legislazione italiana, della procreazione assistita eterologa.
148.  La Corte deve accertare se, nelle circostanze di causa, la relazione tra i ricorrenti e il minore rientri nella sfera della vita famigliare ai sensi dell’articolo 8. La Corte accetta, in determinate situazioni, l’esistenza di una vita famigliare de facto tra un adulto o degli adulti e un minore in assenza di legami biologici o di un legame riconosciuto giuridicamente, a condizione che vi siano legami personali effettivi.
149.  Nonostante l’assenza di un legame biologico e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte ha ritenuto che esistesse un vita famigliare tra i genitori affidatari che si erano presi cura di un minore temporaneamente e il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo rivestito dagli adulti nei confronti del minore e del tempo trascorso insieme (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 48, 27 aprile 2010, e Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, § 37, 17 gennaio 2012). Nella causa Moretti e Benedetti, la Corte ha attribuito importanza al fatto che il minore era arrivato nella famiglia all’età di un mese e che, per diciannove mesi, i ricorrenti avevano condiviso con lui le prime importanti tappe della sua giovane vita. Ha anche rilevato che le perizie condotte sulla famiglia per ordine del tribunale avevano evidenziato che il minore era ben integrato nella famiglia e profondamente attaccato ai ricorrenti e ai loro figli. Inoltre, i ricorrenti si erano anche occupati dello sviluppo sociale del minore. Tali elementi sono stati sufficienti perché la Corte ritenesse che esistevano tra i ricorrenti e il minore legami interpersonali stretti e che i ricorrenti si erano comportati sotto tutti i punti di vista come i suoi genitori, e che pertanto esistevano tra loro «legami famigliari» de facto (Moretti e Benedetti, sopra citata, §§ 49-50). La causa Kopf e Liberda riguardava una famiglia affidataria che si era presa cura, per un periodo di circa quarantasei mesi, di un minore che era arrivato nella loro casa all’età di due anni. Anche in questo caso, la Corte è giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare, visto che i ricorrenti avevano sinceramente a cuore il benessere del minore e che un legame affettivo si era stabilito tra le persone interessate (Kopf e Liberda, sopra citata, § 37).
150.  Inoltre, nella causa Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo (n. 76240/01, § 117, 28 giugno 2007) – che riguardava l’impossibilità di ottenere il riconoscimento giuridico in Lussemburgo di una decisione giudiziaria peruviana con cui era stata pronunciata l’adozione piena della seconda ricorrente a vantaggio della prima ricorrente – la Corte ha riconosciuto l’esistenza di una vita famigliare nonostante il mancato riconoscimento giuridico dell’adozione, sulla base del fatto che dei legami famigliari de facto esistevano da più di dieci anni tra le ricorrenti e che la sig.ra Wagner si comportava a tutti gli effetti come la madre della minore.
151.  È pertanto necessario, nel caso di specie, esaminare la qualità dei legami, il ruolo rivestito dai ricorrenti nei confronti del minore e la durata della convivenza tra loro. La Corte ritiene che i ricorrenti abbiano concepito un progetto genitoriale e si siano assunti il loro ruolo di genitori nei confronti del minore (si veda, a contrario, Giusto, Bornacin e V. c. Italia (dec.), n. 38972/06, 15 maggio 2007). Hanno intessuto stretti legami affettivi con lui nelle prime tappe della sua vita, come efficacemente riferito, del resto, nelle perizie redatte dall’equipe di assistenti sociali su incarico del tribunale per i minorenni (paragrafo 25 supra).
152.  Per quanto riguarda la durata della convivenza tra i ricorrenti e il minore nel caso di specie, la Corte osserva che questi ultimi hanno vissuto insieme per sei mesi in Italia, preceduti da un periodo di circa due mesi di convivenza della ricorrente con il minore in Russia.
153.  Sarebbe certamente poco opportuno definire una durata minima della convivenza necessaria per costituire una vita famigliare de facto, visto che la valutazione di ogni situazione deve tenere conto della «qualità» del legame e delle circostanze di ciascun caso. Tuttavia, la durata della relazione con il minore è un fattore chiave affinché la Corte riconosca l’esistenza di una vita famigliare. Nella causa Wagner e J.M.W.L. sopra citata, la convivenza era durata per oltre dieci anni. Analogamente, nella causa Nazarenko (sopra citata, § 58), nella quale un uomo sposato aveva assunto il ruolo genitoriale prima di scoprire di non essere il padre biologico del minore, il periodo trascorso insieme era durato oltre cinque anni.
154.  È vero che, nel caso di specie, la durata della convivenza con il minore è stata maggiore di quella della causa D. e altri c. Belgio, ((dec.), n. 29176/13, § 49, 8 luglio 2014), nella quale la Corte ha ritenuto che vi fosse vita famigliare, tutelata dall’articolo 8, per una convivenza durata solamente due mesi prima della separazione temporanea di una coppia belga e di un minore nato in Ucraina da una madre surrogata. In quel caso, tuttavia, vi era un legame biologico tra il minore e almeno uno dei genitori e la convivenza era ripresa successivamente.
155.  Per quanto riguarda l’argomento proposto dal ricorrente secondo il quale egli era convinto di essere il padre biologico del minore, visto che aveva consegnato il suo liquido seminale alla clinica, la Corte ritiene che tale convinzione – smentita nell’agosto 2011 dall’esito del test del DNA – non possa compensare la breve durata del periodo in cui ha vissuto insieme al minore (si veda, a contrario, Nazarenko, sopra citata, § 58) e non sia pertanto sufficiente per determinare una vita famigliare de facto.
156.  Sebbene la fine della loro relazione con il minore non sia direttamente imputabile ai ricorrenti nel caso di specie, nondimeno essa è la conseguenza dell’incertezza giuridica che essi stessi hanno determinato rispetto ai legami in questione, adottando una condotta contraria all’ordinamento italiano e venendo a stabilirsi in Italia con il minore. Le autorità italiane hanno reagito rapidamente a questa situazione chiedendo la sospensione della potestà genitoriale e avviando la procedura per l’adottabilità (paragrafi 22-23 supra). Il caso di specie differisce dalle cause Kopf, Moretti e Benedetti, e Wagner sopra citate, in cui l’affidamento del minore ai ricorrenti era, rispettivamente, riconosciuto o tollerato dalle autorità.
157.  In considerazione dei fattori sopra esposti, vale a dire l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata della relazione con il minore e l’incertezza dei legami dal punto di vista giuridico e malgrado l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità dei legami affettivi, la Corte ritiene che le condizioni per poter concludere che esiste una vita famigliare de facto non siano soddisfatte.
158.  Pertanto, la Corte conclude che, nel caso di specie, non sussiste una vita famigliare.

b)  Vita privata

i.  Principi pertinenti

159.  La Corte rammenta che il concetto di «vita privata» ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione è un concetto ampio, che non si presta a una definizione esaustiva. Comprende l’integrità fisica e psicologica di una persona (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 22, serie A n. 91) e, entro certi limiti, il diritto di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani (Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, serie A n. 251-B). Può a volte comprendere aspetti dell’identità fisica e sociale di una persona (Mikulić c. Croazia, n. 53176/99, § 53, CEDU 2002-I). Il concetto di vita privata include anche il diritto alla realizzazione personale o il diritto all’autodeterminazione (Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 61, CEDU 2002 III), e il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore (Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 71, CEDU 2007-I, e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212, CEDU 2010).
160.  Nella sentenza pronunciata nella causa Dickson c. Regno Unito ([GC], n. 44362/04, § 66, CEDU 2007-V), relativa al rifiuto di concedere ai ricorrenti – un detenuto e sua moglie – la possibilità di praticare l’inseminazione artificiale, la Corte è giunta alla conclusione che l’articolo 8 fosse applicabile in quanto il rifiuto delle pratiche di inseminazione artificiale in questione riguardava la loro vita privata e famigliare, specificando che tali concetti comprendono il diritto al rispetto della loro decisione di diventare genitori genetici. Nella causa S.H. e altri c. Austria ([GC], n. 57813/00, § 82, CEDU 2011) – che riguardava delle coppie che volevano avere un figlio usando gameti di donatori – la Corte ha ritenuto che anche il diritto di una coppia di concepire un figlio utilizzando a tal fine la procreazione medicalmente assistita è tutelato dall’articolo 8, poiché tale scelta è un’espressione della vita privata e famigliare.

ii.  Applicazione al caso di specie

161.  La Corte osserva che non vi è alcun motivo valido per ritenere che il concetto di «vita privata» escluda i legami affettivi che si instaurano e si sviluppano tra un adulto e un minore in situazioni diverse dalla classica situazione di parentela. Anche questo tipo di legame appartiene alla vita e alla identità sociale delle persone. In alcuni casi, aventi ad oggetto una relazione tra adulti e minore tra i quali non vi sono legami né biologici né giuridici, i fatti possono nondimeno rientrare nella sfera della «vita privata» (X. c. Svizzera, n. 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978, Décisions et rapports 5; si veda anche, mutatis mutandis, Niemietz, sopra citata, § 29).
162.  In particolare, nella causa X. c. Svizzera sopra citata, la Commissione ha esaminato la situazione di una persona a cui degli amici avevano affidato il loro figlio, compito che era stato assolto. Quando, anni dopo, le autorità avevano deciso che il minore non poteva più rimanere con la persona in questione, visto che i genitori avevano chiesto di riprenderlo con loro, la ricorrente aveva presentato un ricorso per poter continuare a tenere con sé il minore, invocando l’articolo 8 della Convenzione. La Commissione aveva ritenuto che fosse coinvolta la vita privata della ricorrente, in quanto la stessa era profondamente legata al minore.
163.  Nel caso di specie, la Corte osserva che i ricorrenti avevano la sincera intenzione di diventare genitori, inizialmente tentando la fecondazione in vitro, quindi richiedendo e ottenendo l’idoneità all’adozione, e, infine, rivolgendosi alla donazione di ovuli e ricorrendo a una madre surrogata. Una gran parte della loro vita è stata concentrata sulla realizzazione del loro progetto di diventare genitori, per amare e crescere un figlio. Di conseguenza, l’argomento in questione è il diritto al rispetto della decisione dei ricorrenti di diventare genitori (S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 82), e la realizzazione personale degli interessati attraverso il ruolo di genitori che era loro desiderio assumere nei confronti del minore. Infine, dato che il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni riguardava la questione dell’esistenza di legami biologici tra il minore e il ricorrente, tale procedimento e l’accertamento dei dati genetici hanno avuto un impatto sull’identità di quest’ultimo e sul rapporto tra i due ricorrenti.
164.  Alla luce delle considerazioni precedenti, la Corte conclude che i fatti di causa rientrano nella sfera della vita privata dei ricorrenti.

c)  Conclusione

165.  In considerazione di quanto sopra, la Corte conclude che non vi è stata vita famigliare tra i ricorrenti e il minore, e ritiene invece che le misure contestate riguardino la vita privata dei ricorrenti. Ne consegue che l’articolo 8 della Convenzione si applica a questo titolo.

3.  Sul rispetto dell’articolo 8 della Convenzione

166.  Nella fattispecie, i ricorrenti sono stati danneggiati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento del minore e alla presa in carico di quest’ultimo da parte dei servizi sociali ai fini della sua adozione. La Corte ritiene che le misure adottate nei confronti del minore – allontanamento, affido famigliare senza contatto con i ricorrenti, nomina di un tutore – si traducano in una ingerenza nella vita privata dei ricorrenti.
167.  Tale ingerenza è contraria all’articolo 8 a meno che non sia giustificabile dal punto di vista del paragrafo 2 di questa disposizione, cioè a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi tra quelli elencati in tale disposizione e non sia «necessaria in una società democratica» per raggiungere tali scopi.

a)  «Prevista dalla legge»

168.  I ricorrenti affermano che l’applicazione del diritto italiano e, in particolare, dell’articolo 8 della legge sull’adozione – che definisce il minore in stato di abbandono come un minore privo di assistenza morale o materiale da parte dei genitori o dei famigliari tenuti a provvedervi – dipende da una scelta arbitraria da parte dei giudici italiani.
169.  La Corte rammenta la sua giurisprudenza costante secondo la quale le parole «prevista dalla legge» impongono non solo che la misura contestata abbia una base giuridica nel diritto interno, ma riguardano anche la qualità della legge in causa: perciò, questa deve essere accessibile alle persone sottoposte alla giustizia, e i suoi effetti devono essere prevedibili (Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, CEDU 2000-V e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], n. 38433/09, § 140, CEDU 2012). Tuttavia, spetta alle autorità nazionali, in particolare ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A n. 176-A, Kopp c. Svizzera, 25 marzo 1998, § 59, Recueil 1998-II, e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, § 140; si veda anche Delfi AS c. Estonia [GC], n. 64569/09, § 127, CEDU 2015).
170.  Come la camera (paragrafo 72 della sentenza della camera), la Grande Camera ritiene che la scelta dei tribunali nazionali di applicare il diritto italiano per quanto riguarda la filiazione e di non basarsi sul certificato di nascita rilasciato dalle autorità russe e apostillato sia compatibile con la Convenzione dell’Aja del 1961 (paragrafo 75 supra). In effetti, ai sensi dell’articolo 5 di tale Convenzione, l’unico effetto dell’apostille è quello di certificare l’autenticità della firma, la qualità nella quale il firmatario dell’atto ha agito e, se del caso, l’identità del timbro apposto nello stesso. Dal rapporto esplicativo di detta Convenzione risulta che l’apostille non attesta la veridicità del contenuto dell’atto sottostante. Tale limitazione degli effetti giuridici derivante dalla Convenzione dell’Aja ha lo scopo di preservare il diritto degli Stati firmatari di applicare le loro norme in materia di conflitti di leggi quando devono decidere quale peso attribuire al contenuto del documento apostillato.
171.  Nella fattispecie, il tribunale per i minorenni ha applicato la norma italiana in materia di conflitti di leggi, che prevede che la filiazione è determinata dalla legge nazionale del minore al momento della nascita (legge sul diritto internazionale privato, paragrafo 57 supra). Tuttavia, poiché il minore è nato da gameti di donatori sconosciuti, secondo i giudici italiani la sua nazionalità non era accertata.
172.  L’articolo 37bis della legge sull’adozione prevede che ai minori stranieri che sono in Italia si applichi la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza (paragrafi 63 e 65 supra). La situazione del minore T.C., la cui nazionalità non è conosciuta e che è nato all’estero da genitori biologici sconosciuti, è stata assimilata a quella di un minore straniero.
173.  In queste circostanze, la Corte ritiene che fosse prevedibile che l’applicazione del diritto italiano da parte dei giudici nazionali portasse alla constatazione che il minore si trovava in stato di abbandono.
174.  Ne consegue che l’ingerenza nella vita privata dei ricorrenti era «prevista dalla legge».

b)  Scopo legittimo

175.  Il Governo si dichiara d’accordo con la sentenza della camera che ha accettato che le misure in questione miravano alla «difesa dell’ordine» e alla protezione dei «diritti e delle libertà» del minore.
176.  Da parte loro, i ricorrenti contestano che tali misure servissero a proteggere i «diritti e le libertà» del minore.
177.  Nella misura in cui la condotta dei ricorrenti contravveniva alla legge sull’adozione e al divieto nel diritto italiano delle tecniche di procreazione assistita eterologa, la Grande Camera ammette il punto di vista della camera secondo il quale le misure adottate nei confronti del minore tendevano alla «difesa dell’ordine». Peraltro, essa ammette che tali misure miravano anche alla protezione dei «diritti e delle libertà» altrui. In effetti, la Corte giudica legittima, rispetto all’articolo 8 § 2, la volontà delle autorità italiane di riaffermare la competenza esclusiva dello Stato per riconoscere un legame di filiazione – e ciò unicamente in caso di legame biologico o di adozione regolare – allo scopo di tutelare i minori.
178.  Pertanto le misure controverse rispondevano a scopi legittimi.

c)  Necessità in una società democratica

i.  Principi pertinenti

179.  La Corte rammenta che, per valutare la «necessità» delle misure controverse «in una società democratica», deve esaminare, alla luce della causa nel suo complesso, se i motivi addotti per giustificarle sono pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 (si vedano, tra molte altre, Parrillo c. Italia [GC], n. 46470/11, § 168, CEDU 2015, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 91, e K. e T. c. Finlandia, sopra citata, § 154).
180.  In una causa derivante da un ricorso individuale, la Corte non ha il compito di controllare in astratto una legislazione o una pratica contestata, ma deve per quanto possibile limitarsi, senza perdere di vista il contesto generale, a trattare le questioni sollevate dal caso concreto di cui è investita (S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 92, e Olsson c. Svezia (n. 1), 24 marzo 1988, § 54, serie A n. 130). Essa non deve, pertanto, sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti quando si tratta di determinare il mezzo migliore per regolare la questione – complessa e delicata – del rapporto tra aspiranti genitori e un minore nato all’estero nell’ambito di un accordo commerciale di gestazione per conto terzi e attraverso un metodo di procreazione medicalmente assistita che siano entrambi vietati nello Stato convenuto.
181.  Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, la nozione di necessità implica che l’ingerenza corrisponda a un bisogno sociale imperioso e, in particolare, che sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito tenuto conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concomitanti in gioco (A, B e C c. Irlanda, sopra citata, § 229). Per determinare se una ingerenza sia «necessaria in una società democratica», si deve tenere conto del fatto che un margine di apprezzamento viene lasciato alle autorità nazionali, la cui decisione rimane soggetta al controllo della Corte, competente per verificarne la conformità alle esigenze della Convenzione (X, Y e Z c. Regno Unito, sopra citata, § 41).
182.  La Corte rammenta che, per pronunciarsi sull’ampiezza del margine di apprezzamento che deve essere riconosciuto allo Stato in una causa che solleva questioni rispetto all’articolo 8, si deve tenere conto di un certo numero di fattori (si vedano, tra molti esempi, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 94, e Hämäläinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, § 67, CEDU 2014). Quando è in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di un individuo, il margine lasciato allo Stato è normalmente ristretto (Evans, sopra citata, § 77). Invece, quando non vi è un consenso tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, che sia sull’importanza relativa dell’interesse in gioco o sui mezzi più appropriati per proteggerlo, in particolare quando la causa solleva questioni morali o etiche delicate, il margine di apprezzamento è più ampio (Evans, sopra citata, § 77, e A, B e C c. Irlanda, sopra citata, § 232). Il margine di apprezzamento, è generalmente ampio anche quando lo Stato deve garantire un equilibrio tra interessi privati e pubblici concomitanti o diritti diversi tutelati dalla Convenzione (Evans, sopra citata, § 77 e Dickson, sopra citata, § 78).
183.  Se le autorità godono di ampia libertà in materia di adozione (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, § 128) o per valutare la necessità di prendere in carico un minore (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 67, CEDU 2002 I), in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque avere acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistevano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare il minore (Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 55, 21 gennaio 2014).
184.  Quanto al riconoscimento da parte della Corte del fatto che agli Stati in linea di principio deve essere riconosciuto un ampio margine di apprezzamento nei casi che sollevano delicate questioni di ordine etico per le quali non esiste un consenso su scala europea, la Corte rinvia all’approccio moderato adottato sulla questione della fecondazione assistita eterologa nella causa S.H. e altri (sopra citata, §§ 95-118), e alla sua analisi riguardante la maternità surrogata e il riconoscimento giuridico del legame di filiazione tra gli aspiranti genitori e i minori legittimamente concepiti all’estero nella sentenza Mennesson (sopra citata, §§ 78-79).

ii.  Applicazione al caso di specie

185.  I ricorrenti affermano che l’allontanamento del minore non era né necessario né fondato su motivi pertinenti e sufficienti, e che i giudici nazionali hanno deciso basandosi unicamente sulla difesa dell’ordine pubblico, senza procedere alla valutazione degli interessi in gioco. A questo proposito, osservano che i rapporti redatti dai servizi sociali e dalla psicologa consulente nominata da questi ultimi – che erano estremamente positivi per quanto riguarda la loro capacità di amare il minore e di prendersene cura – non sono stati in alcun modo presi in considerazione dai tribunali.
186.  Il Governo afferma che i provvedimenti dei tribunali erano necessari per ripristinare la legalità e hanno tenuto conto dell’interesse del minore.
187.  La Corte deve pertanto valutare le misure volte all’allontanamento immediato e definitivo del minore e il loro impatto sulla vita privata dei ricorrenti.
188.  A questo proposito, la Corte osserva che i giudici nazionali hanno fondato i provvedimenti adottati sull’assenza di legame genetico tra i ricorrenti e il minore e sulla violazione della legislazione nazionale relativa all’adozione internazionale e alla procreazione medicalmente assistita. I provvedimenti adottati dalle autorità miravano alla interruzione immediata e definitiva di ogni contatto tra i ricorrenti e il minore, nonché all’affidamento famigliare di quest’ultimo e alla nomina di un tutore.
189.  Nel provvedimento del 20 ottobre 2011, il tribunale per i minorenni di Campobasso ha tenuto conto degli elementi seguenti (paragrafo 37 supra). La ricorrente aveva dichiarato di non essere la madre genetica; gli ovuli provenivano da una donatrice sconosciuta; il test del DNA effettuato sul ricorrente e sul minore aveva dimostrato che non esisteva alcun legame genetico tra loro; i ricorrenti avevano versato una somma di denaro importante; contrariamente a quanto affermava, nulla dimostrava che il materiale genetico del ricorrente fosse stato realmente trasportato in Russia. Ciò premesso, non si trattava di un caso di maternità surrogata tradizionale, in quanto il minore non aveva alcun legame genetico con i ricorrenti. L’unica certezza riguardava l’identità della madre surrogata, che non era la madre genetica e aveva rinunciato ai suoi diritti sul minore dopo averlo messo al mondo. I genitori genetici rimanevano sconosciuti. I ricorrenti si trovavano in situazione illegale in quanto, in primo luogo, avevano condotto un minore in Italia senza rispettare la legge sull’adozione. Ora, ai sensi di quest’ultima, prima di condurre un minore straniero in Italia, i candidati all’adozione internazionale devono in effetti rivolgersi a un organismo autorizzato per cercare un minore, poi chiedere l’intervento della commissione per le adozioni internazionali, unico organo competente per autorizzare l’ingresso e la residenza permanente di un minore straniero in Italia. L’articolo 72 di questa legge sanziona i comportamenti che contravvengono a queste norme, ma la valutazione dell’aspetto penale della situazione non era di competenza del tribunale per i minorenni. In secondo luogo, l’accordo concluso dai ricorrenti con la società Rosjurconsulting era contrario alla legge sulla procreazione medicalmente assistita che, nel suo articolo 4, vietava la fecondazione assistita eterologa. Si doveva mettere fine a questa situazione illegale e l’unico modo di farlo era allontanare il minore dai ricorrenti.
190.  Pur riconoscendo che il minore avrebbe subito un pregiudizio a causa della separazione, il tribunale per i minorenni ha ritenuto che, visto il breve periodo trascorso con i ricorrenti e la sua tenera età, tale trauma non sarebbe stato irreparabile, e questo contrariamente al parere della psicologa nominata dai ricorrenti. Il tribunale ha dichiarato che la ricerca di un’altra coppia che potesse prendere in carico il minore e attutire le conseguenze del trauma avrebbe dovuto essere avviata immediatamente. Ha aggiunto che, considerato che i ricorrenti avevano preferito aggirare la legge sull’adozione malgrado avessero ottenuto l’autorizzazione, si poteva pensare che il minore fosse il risultato di un desiderio narcisistico della coppia o che fosse destinato a risolvere i problemi di quest’ultima. Di conseguenza, il tribunale ha espresso dei dubbi sulla reale capacità affettiva ed educativa dei ricorrenti.
191.  Peraltro, la corte d’appello di Campobasso ha confermato il provvedimento del tribunale per i minorenni, ritenendo anch’essa che il minore fosse in «stato di abbandono» ai sensi della legge sull’adozione. Essa ha sottolineato l’urgenza di adottare dei provvedimenti nei suoi confronti, senza attendere l’esito della procedura relativa alla registrazione del certificato di nascita (paragrafo 40 supra).

α.  Margine di apprezzamento

192.  La Corte deve esaminare se questi motivi siano pertinenti e sufficienti e se i giudici nazionali abbiano trovato un giusto equilibrio tra gli interessi privati e pubblici coesistenti. A tale scopo, essa deve prima determinare l’ampiezza del margine di apprezzamento da accordare allo Stato in materia.
193.  Secondo i ricorrenti, il margine di apprezzamento è ristretto, dato che l’oggetto della presente causa è il provvedimento di allontanamento definitivo del minore e che l’interesse superiore di quest’ultimo deve prevalere (paragrafo 110 supra). Per il Governo, le autorità dispongono di un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda la surrogazione di maternità e le tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 122 supra).
194.  La Corte osserva che i fatti di causa riguardano argomenti eticamente sensibili – adozione, presa in carico di un minore da parte dello Stato, procreazione medicalmente assistita e gestazione per conto terzi – per i quali gli Stati membri godono di un ampio margine di apprezzamento (paragrafo 182 supra).
195.  Contrariamente alla situazione della causa Mennesson (sopra citata §§ 80 e 96 97), la questione dell’identità del minore e del riconoscimento della sua filiazione genetica non si pone nel caso di specie poiché, da una parte, un eventuale rifiuto da parte dello Stato di dare una identità al minore non può essere contestato dai ricorrenti, che non lo rappresentano dinanzi alla Corte e, dall’altra, non esiste alcun legame biologico tra il minore e i ricorrenti. Inoltre, la presente causa non riguarda la scelta di divenire genitori genetici, ambito nel quale il margine di apprezzamento degli Stati è ristretto (Dickson, sopra citata, § 78). Tuttavia, le scelte operate dallo Stato, anche nei casi in cui, come nella fattispecie, esso gode di un ampio margine di apprezzamento, non sfuggono al controllo della Corte. Spetta a quest’ultima esaminare attentamente gli argomenti di cui si è tenuto conto per giungere alla soluzione adottata e cercare di stabilire se sia stato trovato un giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli degli individui direttamente interessati da questa soluzione (si veda, mutatis mutandis, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 97).

β.  Motivi pertinenti e sufficienti

196.  Per quanto riguarda i motivi addotti dalle autorità interne, la Corte osserva che queste ultime si sono fondate in particolare su due serie di argomenti: in primo luogo, hanno avuto riguardo alla illegalità della condotta dei ricorrenti e, in secondo luogo, all’urgenza di adottare provvedimenti riguardanti il minore, che esse consideravano «in stato di abbandono» ai sensi dell’articolo 8 della legge sull’adozione.
197.  La Corte non dubita della pertinenza dei motivi invocati dai giudici interni. Tali motivi sono direttamente legati allo scopo legittimo della difesa dell’ordine e anche della protezione del minore – non solo di quello di cui trattasi nel caso di specie ma dei minori in generale – considerata la prerogativa dello Stato di stabilire la filiazione mediante l’adozione e mediante il divieto di alcune tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 177 supra).
198.  Quanto al punto di stabilire se i motivi addotti dai giudici nazionali fossero anche sufficienti, la Grande Camera rammenta che, contrariamente alla camera, essa ritiene che i fatti di causa non rientrino nella nozione di vita famigliare, ma unicamente in quella di vita privata. Perciò, è opportuno esaminare la causa non dal punto di vista del mantenimento di una unità famigliare, ma piuttosto sotto il profilo del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata, dal momento che ciò che è in gioco nel caso di specie è il loro diritto allo sviluppo personale attraverso la loro relazione con il minore.
199.  Nelle circostanze particolari della causa, la Corte ritiene che i motivi addotti dai giudici nazionali, che erano centrati sulla situazione del minore e sull’illegalità della condotta dei ricorrenti, fossero sufficienti.

γ.  Proporzionalità

200.  Resta da esaminare se le misure controverse fossero proporzionate allo scopo legittimo perseguito, in particolare se i giudici nazionali, agendo nell’ambito dell’ampio margine di apprezzamento che era loro accordato nel caso di specie, abbiano assicurato un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati concomitanti in gioco.
201.  I giudici nazionali hanno attribuito una grande importanza all’inosservanza da parte dei ricorrenti della legge sull’adozione e alla circostanza secondo la quale essi hanno fatto ricorso all’estero a metodi di procreazione medicalmente assistita vietati in Italia. Nell’ambito del procedimento interno, i tribunali, che si sono concentrati sulla necessità di adottare misure urgenti, non si sono dilungati sugli interessi generali in gioco né hanno affrontato espressamente le questioni eticamente sensibili sottese alle disposizioni giuridiche cui i ricorrenti hanno contravvenuto.
202.  Nel procedimento dinanzi alla Corte, il governo convenuto ha spiegato che, nel diritto italiano, la filiazione può essere accertata sia mediante l’esistenza di un legame biologico sia mediante un’adozione che rispetti le norme stabilite dalla legge. A suo parere, il legislatore italiano, con questa scelta, cercava di proteggere l’interesse superiore del minore, come richiede l’articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. La Corte ammette che, vietando l’adozione privata fondata su una relazione contrattuale tra gli individui e limitando il diritto dei genitori adottivi di far entrare dei minori stranieri in Italia nei casi in cui le norme in materia di adozione internazionale siano rispettate, il legislatore nazionale si sforza di proteggere i minori da pratiche illecite, alcune delle quali possono essere definite traffico di esseri umani.
203.  Peraltro, il Governo si è fondato sull’argomento secondo il quale le soluzioni adottate dovevano essere esaminate nel contesto del divieto nel diritto italiano degli accordi di gestazione per conto terzi. Non vi sono dubbi che il ricorso a tali accordi solleva questioni etiche delicate sulle quali non esiste alcun consenso tra gli Stati contraenti (Mennesson, sopra citata, § 79). Vietando la gestazione per conto terzi, lo Stato italiano ritiene di perseguire l’interesse generale della protezione delle donne e dei minori potenzialmente interessati da pratiche che esso percepisce come estremamente problematiche da un punto di vista etico. Come sottolinea il Governo, questa politica diventa tanto più importante quando, come nel caso di specie, sono in gioco contratti commerciali di gestazione per conto terzi. Questo interesse generale entra in gioco anche nel caso di misure adottate dallo Stato per dissuadere i propri cittadini dal fare ricorso all’estero a pratiche vietate nel proprio territorio.
204.  In definitiva, i giudici nazionali avevano come principale preoccupazione quella di porre fine a una situazione illegale. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Corte ammette che le leggi che sono state violate dai ricorrenti e i provvedimenti adottati in risposta alla loro condotta perseguivano lo scopo di proteggere degli interessi generali importanti.
205.  Per quanto riguarda gli interessi privati in gioco, vi sono quelli del minore da una parte e quelli dei ricorrenti dall’altra.
206.  Per quanto riguarda gli interessi del minore, la Corte rammenta che il tribunale per i minorenni di Campobasso ha tenuto conto dell’assenza di legame biologico tra i ricorrenti e il minore, e ha dichiarato che era necessario trovare quanto prima una coppia che potesse prendersi cura di lui. Tenuto conto della tenera età del minore e del breve periodo che aveva trascorso con i ricorrenti, il tribunale non ha aderito alla perizia di una psicologa presentata dai ricorrenti, secondo la quale la separazione avrebbe avuto conseguenze devastanti per il minore. Rinviando alla letteratura in materia, il tribunale ha ritenuto che il semplice fatto di essere separato dalle persone che si prendevano cura di lui non avrebbe comportato una condizione psicopatologica nel minore in assenza di altri fattori di causalità. Ha concluso che il trauma causato dalla separazione non sarebbe stato irreparabile.
207.  Quanto all’interesse dei ricorrenti a proseguire la loro relazione con il minore, il tribunale per i minorenni ha osservato che nessun elemento del fascicolo confermava le dichiarazioni degli interessati secondo le quali essi avevano consegnato alla clinica russa il materiale genetico del ricorrente. Il tribunale ha aggiunto che, dopo aver ottenuto il consenso all’adozione internazionale, avevano aggirato la legge sull’adozione riportando il minore in Italia senza l’approvazione dell’organo competente, ossia la commissione per le adozioni internazionali. Alla luce di questa condotta, il tribunale per i minorenni ha dichiarato di temere che il minore fosse uno strumento per realizzare un desiderio narcisistico della coppia o esorcizzare un problema individuale o di coppia. Inoltre, ha ritenuto che la condotta dei ricorrenti gettasse «un’ombra importante sull’esistenza di reali capacità affettive ed educative e di un istinto di solidarietà umana, che devono essere presenti in coloro che desiderano integrare i figli di altre persone nella loro vita come se fossero propri figli» (paragrafo 37 supra).
208.  Prima di esaminare la questione di stabilire se le autorità italiane abbiano debitamente valutato i diversi interessi in gioco, la Corte rammenta che il minore non è ricorrente nella presente causa e, per di più, non era un membro della famiglia dei ricorrenti nel senso dell’articolo 8 della Convenzione. Ciò premesso, non risulta che l’interesse superiore del minore e il modo in cui tale interesse è stato valutato dai giudici nazionali non rivestano alcuna importanza. A questo proposito, la Corte osserva che l’articolo 3 della Convenzione sui diritti del minore esige che «in tutte le decisioni che riguardano i minori, (...) l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione fondamentale», senza tuttavia precisare la nozione di «interesse superiore del minore».
209.  Il caso di specie si distingue dalle cause che riguardano la scissione di una famiglia mediante la separazione di un minore dai suoi genitori nelle quali, in linea di principio, la separazione è una misura che può essere ordinata soltanto se l’integrità fisica o psichica del minore sia in pericolo (si vedano, tra altre, Scozzari e Giunta, sopra citata, §§ 148-151, Kutzner, sopra citata, §§ 69 82). Nel caso di specie, invece, la Corte ritiene che i giudici interni non fossero tenuti a dare la priorità al mantenimento della relazione tra i ricorrenti e il minore, e si trovassero piuttosto di fronte a una scelta delicata: permettere ai ricorrenti di continuare la loro relazione con il minore, e in tal modo legalizzare la situazione che questi avevano imposto come un fatto compiuto, o adottare misure volte a dare al minore una famiglia conformemente alla legge sull’adozione.
210.  La Corte ha già rilevato l’importanza degli interessi generali in gioco. Inoltre, essa ritiene che il ragionamento dei giudici italiani riguardante l’interesse del minore non rivestisse un carattere automatico o stereotipato (si veda, mutatis mutandis, X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 107, CEDU 2013). I tribunali, nell’ambito della loro valutazione della situazione specifica del minore, hanno ritenuto auspicabile darlo in affidamento ad una coppia idonea ai fini dell’adozione ma hanno anche valutato l’impatto che avrebbe avuto su di lui la separazione dai ricorrenti, concludendo sostanzialmente che la separazione non avrebbe causato al minore un pregiudizio grave o irreparabile.
211.  Al contrario, i giudici italiani non hanno attribuito molta importanza all’interesse dei ricorrenti a continuare a sviluppare delle relazioni con un minore di cui desideravano essere i genitori. Non hanno espressamente esaminato l’impatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore avrebbe avuto sulla loro vita privata. Tuttavia, la causa deve essere esaminata dal punto di vista della illegalità della condotta dei ricorrenti e del fatto che la loro relazione con il minore era precaria dal momento stesso in cui hanno deciso di risiedere con lui in Italia. Il legame è divenuto ancora più tenue quando, una volta conosciuto l’esito del test del DNA, è risultato che non vi era alcun legame biologico tra il secondo ricorrente e il minore.
212.  I ricorrenti affermano che la procedura è stata viziata da varie lacune. Per quanto riguarda l’idea che non sarebbe stato consultato alcun perito, la Corte osserva che il tribunale per i minorenni ha preso in esame il rapporto redatto da una psicologa prodotto dai ricorrenti, senza tuttavia aderire alla conclusione di cui al rapporto in questione, secondo la quale la separazione dai ricorrenti avrebbe avuto conseguenze devastanti per il minore. A questo proposito, la Corte attribuisce una certa importanza all’osservazione del Governo secondo la quale il tribunale per i minorenni è composto da due magistrati togati e da due specialisti (paragrafo 69 supra).
213.  Per quanto riguarda l’argomentazione dei ricorrenti secondo la quale i tribunali non hanno esaminato soluzioni alternative alla separazione immediata e irreversibile dal minore, la Corte osserva che, dinanzi al tribunale per i minorenni gli interessati hanno chiesto anzitutto che il minore fosse affidato a loro in via provvisoria, in attesa di una successiva adozione. Secondo la Corte, si deve tenere in mente che la procedura rivestiva un carattere di urgenza. Qualsiasi misura di natura tale da prolungare il soggiorno del minore presso i ricorrenti, come il suo affidamento provvisorio presso di loro, avrebbe comportato il rischio che il semplice trascorrere del tempo non portasse a una risoluzione della causa.
214.  Peraltro, oltre all’illegalità della condotta dei ricorrenti, il Governo sottolinea che essi hanno superato il limite di età per l’adozione previsto all’articolo 6 della legge sull’adozione, ossia una differenza di età di massimo 45 anni per uno dei genitori adottivi e di 55 anni per il secondo. La Corte rileva che la legge autorizza i tribunali a fare delle eccezioni a questi limiti di età. Nelle circostanze della presente causa, non si può rimproverare ai tribunali nazionali di avere omesso di esaminare questa opzione.

δ.  Conclusione

215.  La Corte non sottovaluta l’impatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore deve aver avuto sulla vita privata dei ricorrenti. Se la Convenzione non sancisce alcun diritto di diventare genitore, la Corte non può comunque ignorare il dolore morale che sentono coloro il cui desiderio di genitorialità non è stato o non può essere soddisfatto. Tuttavia, l’interesse generale in gioco ha un grande peso sul piatto della bilancia mentre, in confronto, si deve accordare una importanza minore all’interesse dei ricorrenti ad assicurare il proprio sviluppo personale proseguendo la loro relazione con il minore. Accettare di lasciare il minore con i ricorrenti, forse nella prospettiva che questi diventassero i suoi genitori adottivi, sarebbe equivalso a legalizzare la situazione da essi creata in violazione di norme importanti del diritto italiano. La Corte ammette dunque che i giudici italiani, avendo concluso che il minore non avrebbe subito un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione, hanno garantito un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, rimanendo nei limiti dell’ampio margine di apprezzamento di cui disponevano nel caso di specie.
216.  Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Rigetta, all’unanimità, le eccezioni preliminari del Governo;
  2. Dichiara, con undici voti contro sei, che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

Fatta in francese e in inglese, poi pronunciata in pubblica udienza al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 24 gennaio 2017.

Roderick Liddell
Cancelliere

Luis López Guerra
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione delle opinioni separate seguenti:

  • opinione concordante del giudice Raimondi;
  • opinione concordante comune dei giudici De Gaetano, Pinto de Albuquerque, Wojtyczek e Dedov;
  • opinione concordante del giudice Dedov;
  • opinione dissenziente comune dei giudici Lazarova Trajkovska, Bianku, Laffranque, Lemmens e Grozev.

L.L.G.
R.L.

 
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE RAIMONDI

  1. Condivido pienamente le conclusioni cui perviene la Grande Camera in questa importante sentenza, conclusioni, peraltro, di cui sostenevo l’opportunità nella mia opinione dissenziente, presentata congiuntamente al giudice Spano e allegata alla sentenza della camera, vale a dire che nel caso di specie non si può ravvisare una violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
  2. Se sento il bisogno di esprimermi tramite un’opinione separata, è solo perché tengo a notare che la scelta della Grande Camera di esaminare questa causa dal punto di vista della protezione della vita privata dei ricorrenti e non dal punto di vista della loro vita familiare è, a mio avviso, particolarmente appropriata.
  3. Il giudice Spano ed io stesso avevamo osservato nella nostra opinione dissenziente comune che «possiamo accettare, ma con una certa esitazione e con riserva delle seguenti osservazioni, le conclusioni della maggioranza secondo le quali nel caso di specie è applicabile l’articolo 8 della Convenzione (…) e vi è stata ingerenza nei diritti dei ricorrenti. (...) In effetti, la vita famigliare (o vita privata) de facto dei ricorrenti con il minore si basava su un legame debole, in particolare se si tiene conto del periodo molto breve durante il quale ne avrebbero avuto la custodia. Riteniamo che la Corte, in situazioni come quella che ha dovuto esaminare nella presente causa, debba tenere conto delle circostanze nelle quali il minore è stato dato in custodia alle persone interessate nel momento in cui deve stabilire se si sia o meno realizzata una vita famigliare de facto. Sottolineiamo che l’articolo 8 § 1 non può, secondo noi, essere interpretato nel senso di sancire una «vita famigliare» tra un minore e delle persone prive di qualsiasi legame biologico con lo stesso quando i fatti, ragionevolmente chiariti, suggeriscono che alla base della custodia vi è un atto illegale con cui si è contravvenuto all’ordine pubblico. In ogni caso, riteniamo che, nell’analisi della proporzionalità che si impone nel contesto dell’articolo 8, si debba tenere conto delle considerazioni legate ad una eventuale illegalità sulle quali è fondato l’accertamento di una vita famigliare de facto.»
  4. Sottoscrivo quindi l’analisi della Grande Camera (paragrafi 142-158) che nel caso di specie esclude qualsiasi riconoscimento di una «vita familiare», in particolare sulla base della mancanza di qualsiasi legame biologico tra il minore e gli aspiranti genitori, della breve durata del rapporto con il bambino e della precarietà dei legami dal punto di vista giuridico, e sottoscrivo la sua conclusione secondo la quale, nonostante l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità dei legami affettivi, non sono soddisfatte le condizioni che consentono di concludere che vi è stata una vita famigliare de facto.
  5. Sono pienamente convinto, per contro, dal ragionamento della Grande Camera, che giunge a configurare le misure controverse come un’ingerenza nella «vita privata» dei ricorrenti (si vedano, in particolare, i paragrafi 161-165 della sentenza), nonostante i dubbi che avevo espresso anche da questo punto di vista.

OPINIONE CONCORDANTE COMUNE AI GIUDICI DE GAETANO, PINTO DE ALBUQUERQUE, WOJTYCZEK E DEDOV
(Traduzione)

  1. Pur condividendo pienamente la conclusione cui perveniamo nel caso di specie, esprimiamo serie riserve per quanto riguarda la motivazione della sentenza, la quale, a nostro avviso, mette in evidenza tutte le carenze e le incoerenze nell’approccio adottato finora dalla Corte nei casi in cui si applica l’articolo 8.
  2. L’attuazione dell’articolo 8 richiede una definizione scrupolosa del suo campo di applicazione. Secondo la sentenza, l’esistenza o l’assenza di una vita familiare è in primo luogo una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti e stabili (si veda, in particolare, il paragrafo 140 della sentenza). A nostro avviso, la formula proposta è troppo vaga e al tempo stesso troppo ampia. Questo approccio sembra fondato sulla premessa implicita che i legami interpersonali esistenti dovrebbero beneficiare di una protezione, almeno prima facie, contro le ingerenze dello Stato. Al riguardo rileviamo che possono esistere dei rapporti interpersonali stretti e stabili anche al di fuori della sfera della vita familiare. Il ragionamento esposto nella sentenza non spiega la natura dei legami interpersonali che costituiscono la vita familiare. Allo stesso tempo, sembra attribuire grande importanza ai legami affettivi (paragrafi 149, 150, 151 e 157 della sentenza). Tuttavia, i legami affettivi non possono da soli creare una vita familiare.
  3. Le diverse disposizioni della Convenzione devono essere interpretate alla luce dell’insieme del suo testo e di altri trattati internazionali pertinenti. Ne consegue che l’articolo 8 deve essere letto alla luce dell’articolo 12, che garantisce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Questi due articoli devono anche essere collocati nel contesto dell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dell’articolo 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Quest’ultima disposizione, ampiamente ispirata dall’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è così formulata:
    1. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.
    2. Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia è riconosciuto all’uomo e alla donna in età per contrarre matrimonio.
    3. Nessun matrimonio può essere concluso senza il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.
    4. Gli Stati parte al presente Patto adotteranno le misure adeguate per garantire la parità di diritti e responsabilità dei coniugi riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. In caso di scioglimento, saranno adottate disposizioni per garantire ai minori la protezione necessaria.

      Occorre prendere nota dell’approccio del Comitato dei diritti dell’uomo adottato nell’Osservazione generale n. 19: articolo 23 (Protezione della famiglia), § 2). La famiglia è giustamente intesa in questo testo come un elemento che beneficia di un riconoscimento giuridico o sociale nello Stato interessato.
      La nozione stessa di «elemento» che figura nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (articolo 10) presuppone la soggettività della famiglia nel suo insieme (vale a dire il riconoscimento di tutta la famiglia come titolare di diritti) nonché la stabilità dei legami interpersonali nell’ambito della famiglia. L’accento posto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sul carattere naturale e fondamentale della famiglia colloca quest’ultima tra le più importanti istituzioni e valori che necessitano di una protezione in una società democratica. Inoltre, la formulazione e la struttura dell’articolo 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e la formulazione dell’articolo 12 della Convenzione stabiliscono un chiaro collegamento tra la nozione di famiglia e quella di matrimonio. Alla luce di tutte le disposizioni di cui sopra, la famiglia deve essere intesa come un elemento naturale e fondamentale della società istituito essenzialmente dal matrimonio tra un uomo e una donna. La vita familiare comprende, in primo luogo, i legami tra i coniugi e quelli tra genitori e figli. Tramite il matrimonio, i coniugi non solo assumono determinati obblighi giuridici ma scelgono anche di tutelare giuridicamente la loro vita familiare. La Convenzione offre una solida protezione della famiglia fondata sul matrimonio.
      Come già menzionato, la nozione di famiglia di cui agli articoli 8 e 12 della Convenzione si basa principalmente sulle relazioni interpersonali formalizzate in diritto nonché sui legami di parentela biologica. Tale approccio non esclude di estendere la protezione dell’articolo 8 alle relazioni interpersonali con parenti meno prossimi, come le relazioni tra nonni e nipoti. Anche alcuni legami familiari de facto possono richiedere una protezione (si vedano, ad esempio, Muñoz Díaz c. Spagna, n. 49151/07, CEDU 2009; e Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, CEDU 2015 (estratti)). La portata e gli strumenti di protezione in tali situazioni rientrano nell’ambito del potere discrezionale dello Stato, sotto il controllo della Corte.
      Nei casi riguardanti dei legami interpersonali de facto non formalizzati, in diritto interno, è necessario prendere in considerazione vari elementi al fine di determinare se sussista una vita familiare. In primo luogo, poiché la nozione di famiglia presuppone l’esistenza di legami stabili, occorre esaminare la natura e la stabilità dei legami interpersonali. In secondo luogo, è impossibile, a nostro avviso, accertare che esiste una vita familiare senza considerare il modo in cui i legami interpersonali sono stati stabiliti. Tale elemento deve essere valutato da un punto di vista giuridico e morale. Nemo auditur propriam turpitudinem allegans. La legge non può offrire una protezione alle situazioni di fatto compiuto sorte da una violazione di norme giuridiche o di principi morali fondamentali.
      Nel caso di specie, i legami tra i ricorrenti e il minore sono stati stabiliti in violazione del diritto italiano. Sono stati inoltre stabiliti in violazione del diritto internazionale sull’adozione. I ricorrenti hanno concluso un contratto avente ad oggetto il concepimento di un bambino e la gestazione tramite maternità surrogata. Il minore è stato separato dalla madre surrogata con la quale aveva iniziato a sviluppare un legame unico (si veda infra). Inoltre, gli eventuali effetti sul minore dell’inevitabile separazione dalle persone che avevano avuto cura di lui durante un certo periodo devono essere imputati ai ricorrenti stessi. Non è accettabile brandire le conseguenze pregiudizievoli delle proprie azioni illegali come scudo contro l’ingerenza dello Stato. Ex iniuria ius non oritur.
  4. La sentenza sottolinea come argomento a favore dei ricorrenti il fatto che questi ultimi abbiano messo a punto un «progetto genitoriale» (paragrafi 151 e 157 della sentenza). Questo argomento richiede tre osservazioni. In primo luogo, la genitorialità che non si basa su dei legami biologici si fonda necessariamente su un progetto ed è il risultato di lunghi sforzi. L’esistenza di un «progetto genitoriale» non differenzia questa causa da altri casi di genitorialità non fondata su legami biologici.
    In secondo luogo, come sopra indicato il legame de facto tra i ricorrenti e il minore è stato stabilito illegalmente. L’approccio adottato dalla maggioranza non è convincente poiché essa considera l’esistenza di un progetto genitoriale come un argomento a favore della protezione, indipendentemente dalla natura illegale, riconosciuta nel ragionamento, del progetto concreto. Il fatto che i ricorrenti abbiano agito con premeditazione al fine di aggirare la legislazione nazionale può solo volgere a loro sfavore. Nelle circostanze del caso di specie, l’esistenza di un «progetto genitoriale» è in realtà una circostanza aggravante.
    In terzo luogo, la genitorialità richiede una tutela a prescindere dal fatto che rientri o meno in un progetto più generale. Non vi è alcun motivo per ritenere che l’articolo 8 offra una protezione più forte agli atti premeditati.
  5. Una protezione effettiva in materia di diritti umani richiede che si definiscano chiaramente il contenuto e la portata dei diritti tutelati, nonché la nozione di ingerenza contro la quale uno specifico diritto offre uno scudo. Rileviamo, al riguardo, che secondo la maggioranza, «i fatti di causa rientrano nella sfera della vita privata dei ricorrenti» (paragrafo 164 della sentenza).
    Inoltre, «è in questione (...) il diritto al rispetto della decisione dei ricorrenti di diventare genitori (S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 82), nonché la realizzazione personale degli interessati attraverso il ruolo di genitori che era loro desiderio assumere nei confronti del minore» (paragrafo 163 della sentenza).
    Il ragionamento contiene anche le seguenti considerazioni: «Nella fattispecie, i ricorrenti sono stati danneggiati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento del minore e alla presa in carico di quest’ultimo da parte dei servizi sociali ai fini della sua adozione. La Corte ritiene che le misure adottate nei confronti del minore – allontanamento, affido famigliare senza contatto con i ricorrenti, nomina di un tutore – si traducano in una ingerenza nella vita privata dei ricorrenti» (paragrafo 166 della sentenza).
    È difficile condividere l’approccio della maggioranza espresso nei passaggi citati sopra. In primo luogo, la nozione di «fatti di causa» è necessariamente molto più ampia dell’ingerenza stessa anche se quest’ultima deve essere collocata in un contesto più generale. Questi «fatti», possono rientrare nell’ambito di numerosi diritti riconosciuti dalla Convenzione. La Corte deve valutare la compatibilità con la Convenzione non dei fatti di causa ma dell’ingerenza controversa, vista in un contesto più generale. Ciò che importa non è se i «fatti di causa» rientrino nella sfera della vita privata dei ricorrenti, ma solo se l’ingerenza controversa ricada nell’ambito del diritto dei ricorrenti alla protezione della loro vita privata.
    In secondo luogo, non si può sostenere che la questione riguardi il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro decisione di diventare genitori. Non è in gioco la decisione in sé, ma il modo in cui i ricorrenti hanno cercato di raggiungere il loro obiettivo. Lo Stato non ha commesso alcuna ingerenza nella decisione dei ricorrenti di diventare genitori ma soltanto nell’attuazione, contraria alla legge, di questa decisione.
    In terzo luogo, non vi è alcun dubbio che i ricorrenti siano stati interessati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento del minore e alla sua presa in carico da parte dei servizi sociali in vista della sua adozione. Ciò non giustifica affatto la conclusione secondo cui le misure prese nei confronti del minore hanno necessariamente comportato un’ingerenza nella vita privata dei ricorrenti. L’articolo 8 non riguarda la protezione della persona da qualsiasi atto che la colpisca, ma da tipi specifici di atti che si configurano come un’ingerenza ai sensi di questa disposizione. Per stabilire che vi è stata ingerenza nell’esercizio di un diritto, è necessario in primo luogo stabilire il contenuto del diritto e i tipi di ingerenza da cui esso protegge.
    In conclusione, il ragionamento adottato dalla maggioranza non dice chiaramente che cosa comprenda la vita privata, quale sia la portata della protezione del diritto riconosciuto dall’articolo 8, e cosa costituisca un’ingerenza ai sensi di questa disposizione. Deploriamo che queste nozioni non siano state chiarite nel ragionamento della sentenza.
  6. La Corte ammette giustamente (al paragrafo 202 della sentenza) che, «vietando l’adozione privata fondata su una relazione contrattuale tra gli individui e limitando il diritto dei genitori adottivi di far entrare dei minori stranieri in Italia nei casi in cui le norme in materia di adozione internazionale siano rispettate, il legislatore nazionale si sforza di proteggere i minori da pratiche illecite, alcune delle quali possono essere definite traffico di esseri umani».
    Nel caso di specie il minore è stato effettivamente vittima di un traffico di esseri umani. È stato commissionato e acquistato dai ricorrenti. A tale proposito va osservato che i «fatti di causa» rientrano nelle previsioni di vari strumenti internazionali.
    In primo luogo, è necessario menzionare la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. In base a questo trattato, l’adozione prevista da questo strumento avrà luogo solo se le autorizzazioni non sono state ottenute mediante pagamento o corrispettivo di alcun tipo e se non sono state revocate.
    In secondo luogo, l’articolo 35 della Convenzione sui diritti del fanciullo è pertinente nel caso di specie. Tale disposizione recita:
    «Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma.»
    Questa disposizione è stata completata dal Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo concernente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini. Ci rammarichiamo che questo protocollo sia stato omesso nella parte del ragionamento che elenca gli strumenti internazionali pertinenti. Esso contiene le seguenti disposizioni:
    «Articolo primo
    Gli Stati parti vietano la vendita di bambini, la prostituzione di bambini e la pornografia con bambini, in conformità alle norme del presente Protocollo.
    Articolo 2
    Ai fini del presente Protocollo:
    a) per vendita di bambini si intende qualsiasi atto o transazione in cui un bambino è presentato da qualsiasi persona o gruppo di persone a un’altra persona o un altro gruppo dietro compenso o altro vantaggio; (...)»
    Notiamo la definizione molto ampia della vendita di bambini, che si estende a tutte le transazioni indipendentemente dal loro scopo, e pertanto si applica ai contratti conclusi al fine di acquisire dei diritti genitoriali. I trattati internazionali sopra menzionati mostrano una dichiarata tendenza internazionale verso la limitazione della libertà contrattuale attuale vietando qualsiasi tipo di contratto avente ad oggetto il trasferimento di minori o il trasferimento di diritti genitoriali su minori.
    In terzo luogo, le disposizioni pertinenti di soft law trattano anche della questione della maternità surrogata. In virtù dei principi adottati dal comitato ad hoc di esperti sui progressi delle scienze biomediche costituito in seno al Consiglio d’Europa (documento richiamato al paragrafo 79 della sentenza):
    «Nessun medico o istituto deve utilizzare le tecniche di procreazione artificiale per il concepimento di un figlio che sarà portato in gestazione da una madre surrogata.»
    È inoltre importante rilevare a questo proposito che la Dichiarazione sui diritti del fanciullo stabilisce più in generale che:
    «Il fanciullo, per lo sviluppo armonico della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione. Egli, nei limiti del possibile, deve crescere sotto la custodia e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in una atmosfera di affetto e di sicurezza morale e materiale; nella prima infanzia, salvo casi eccezionali, non deve essere separato dalla madre. (Principio 6, in principio).»
  7. La presente causa verte sulla questione della surrogazione di maternità. Ai fini di questa opinione, intendiamo per surrogazione di maternità una situazione in cui una donna (la madre surrogata) porta in gestazione un feto che è stato impiantato nel suo utero nonostante le sia geneticamente estraneo, essendo stato concepito a partire da un ovulo fornito da un’altra donna (la madre biologica). La madre surrogata porta in gestazione il bambino impegnandosi a darlo a terze persone che hanno commissionato la gravidanza, le quali possono essere i donatori di gameti (i genitori biologici) ma non necessariamente.
    Vorremmo qui presentare brevemente il nostro punto di vista su questa questione, sollevando solo alcuni punti tra i molti aspetti di questo complesso problema.
    Secondo il Comitato per i diritti del fanciullo, la maternità surrogata retribuita, in assenza di regolamentazione, rientra nella vendita di bambini (si vedano le Osservazioni finali concernenti il secondo rapporto periodico degli Stati Uniti d’America, presentato in applicazione dell’articolo 12 del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, CRC/C/OPSC/USA/CO/2, § 29; Osservazioni finali concernenti il terzo e quarto rapporto periodico dell’India, CRC/C/IND/CO/3-4, § § 57-58).
    A nostro avviso, la maternità surrogata a fini commerciali, che sia o meno regolamentata, costituisce una situazione contemplata dall’articolo 1 del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo, ed è pertanto illegale ai sensi del diritto internazionale. Noi vorremmo sottolineare a tale riguardo che attualmente quasi tutti gli Stati europei vietano la maternità surrogata a fini commerciali (si vedano i documenti di diritto comparato citati al paragrafo 81 della sentenza).
    Più in generale, riteniamo che la maternità surrogata, anche se non retribuita, non sia compatibile con la dignità umana. Essa costituisce un trattamento degradante non solo per il bambino, ma anche per la madre surrogata. La medicina moderna offre sempre più elementi che dimostrano l’impatto determinante del periodo prenatale della vita umana per il successivo sviluppo dell’essere umano. La gravidanza con le sue preoccupazioni, i suoi limiti e le sue gioie, nonché la prova e lo stress della nascita, crea un legame unico tra la madre biologica e il figlio. La maternità surrogata è a priori orientata verso una rottura radicale di questo legame. La madre surrogata deve rinunciare a sviluppare una relazione di amore e di assistenza per tutta la vita. Il nascituro non solo è forzatamente posto in un ambiente biologico estraneo, ma è anche privato di quello che avrebbe dovuto essere l’amore senza limiti della madre nella fase prenatale. La maternità surrogata impedisce anche lo sviluppo di questo legame particolarmente forte tra il bambino e il padre che accompagna la madre e il bambino durante la gravidanza. Sia il minore che la madre surrogata non sono trattati come finalità in sé, ma come mezzi per soddisfare i desideri di altre persone. Tale pratica non è compatibile con i valori sottesi alla Convenzione. La maternità surrogata è particolarmente inaccettabile se la madre surrogata è remunerata. Deploriamo che la Corte non abbia adottato una posizione chiara contro tali pratiche.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE DEDOV
(Traduzione)

Per la prima volta, sebbene si pronunci a favore dello Stato convenuto, la Corte insiste più sui valori che sul margine di apprezzamento formale. Essa presume che il divieto di un’adozione privata sia volto a proteggere i minori da pratiche illecite, alcune delle quali possono essere assimilate a un traffico di esseri umani. In effetti, il traffico di esseri umani è strettamente collegato agli accordi di maternità surrogata. I fatti del caso di specie dimostrano chiaramente quanto sarebbe facile che un traffico di esseri umani venga formalmente rappresentato (e coperto) da accordi di questo tipo. Tuttavia, il fenomeno della maternità surrogata è di per sé molto pericoloso per il benessere della società. Mi riferisco non solo alla maternità surrogata a fini commerciali, ma a tutte le forme di surrogazione di maternità.
In una società che si sviluppa armoniosamente, tutti i suoi membri apportano il proprio contributo mediante i propri talenti, la propria energia e la propria intelligenza. Ovviamente, essi hanno anche bisogno di beni, capitali e risorse, ma questi ultimi sono necessari soltanto come strumenti materiali che permettono di applicare i primi. Pertanto, anche se l’unica risorsa valida di cui dispone un individuo è un corpo bello o sano, l’argomento non è sufficiente per poter giustificare che egli tragga un reddito dalla prostituzione, dalla pornografia o dalla surrogazione di maternità.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il divieto di fare del corpo umano in quanto tale una fonte di profitti; questa disposizione mira a proteggere il diritto di ogni persona alla propria integrità fisica e mentale (articolo 3). Tuttavia, tale dichiarazione inequivocabile è stata oggetto di discussioni tra gli esperti, che non hanno potuto trovare dei motivi comuni per sostenerla e giungere a conclusioni definitive, a causa della complessità dell’argomento e della diversità degli approcci da parte degli Stati in merito a tali questioni.
Si potrebbero esporre molti argomenti a favore della surrogazione di maternità, fondati, ad esempio, sulle nozioni di economia di mercato, di diversità e di solidarietà. Non tutte le persone sono in grado di utilizzare il proprio cervello poiché ciò richiede sforzi intellettuali considerevoli e un apprendimento permanente, ed è questo un compito molto difficile. È molto più facile guadagnare denaro utilizzando il proprio corpo, avuto riguardo soprattutto al fatto che vi è una forte richiesta di corpi ai fini della surrogazione di maternità, richiesta relativamente stabile da secoli. Ciò potrebbe contribuire a risolvere i problemi di disoccupazione e a ridurre le tensioni sociali. La partecipazione del corpo umano all’economia in quanto risorsa economica di valore non significa un arresto del progresso. Coloro che preferiscono utilizzare la propria materia grigia continueranno a sviluppare nuove tecnologie e nuove scienze. In un contesto in cui la popolazione mondiale aumenta in maniera esponenziale, lo sfruttamento del corpo potrebbe essere considerato ragionevole dal punto di vista economico.
Tuttavia, ci troviamo qui di fronte a un dilemma millenario: o gli esseri umani sopravvivono attraverso un processo di adattamento naturale, che richiede un compromesso con la dignità e l’integrità umane, o cercano di conseguire una nuova qualità della vita sociale, in grado di superare la necessità di un tale compromesso. La nozione di diritti e libertà fondamentali richiede l’attuazione della seconda opzione. La nostra sopravvivenza e il nostro sviluppo lo esigono. Qualsiasi compromesso con i diritti umani e i valori fondamentali comporta la fine di ogni civiltà. Naturalmente ciò è avvenuto più volte, sia nell’antichità che nella storia moderna.
Di fatto, vi sono due ragioni che giustificano che i beneficiari sostengano la surrogazione di maternità: sottrarsi ai problemi fisici causati dalla gravidanza o avere un figlio in una situazione di infertilità. Entrambe le richieste sarebbero soddisfatte, a meno che non sia attuata una strategia sociale. Tale strategia sociale (basata sulla protezione della dignità) può cambiare il modo di rispondere alla domanda: l’adozione (la via più semplice per risolvere problemi sociali), lo sviluppo dell’embrione fuori dall’utero (che non è possibile, ma potrebbe diventarlo in futuro con l’aiuto delle nuove biotecnologie), lo sviluppo delle biotecnologie esistenti di riproduzione assistita che consentirebbero a ogni donna di rimanere incinta, la promozione dell’idea che una vita può essere piena anche senza figli, la promozione di una cultura di educazione e la creazione di nuovi lavori. Spetta alla società decidere come intende avanzare: verso il progresso sociale e lo sviluppo o verso la stagnazione e il degrado. Ma, soprattutto, la società deve stabilire il valore dei diritti fondamentali, in funzione dei quali questo approccio alla vita privata non può essere rispettato a scapito della stagnazione e del degrado della società. La surrogazione di maternità non costituirebbe un problema se fosse utilizzata in rare occasioni, ma sappiamo anche che è diventata un’importante attività commerciale e lucrativa per il «terzo mondo».
Per quanto riguarda la solidarietà, non credo nella maternità surrogata come forma di assistenza volontaria e liberamente fornita a coloro che non possono avere figli; non posso credere che questa sia una dichiarazione onesta e leale. La solidarietà mira ad aiutare coloro la cui vita è in gioco, ma non quelli che hanno solo il desiderio di avere una vita privata o familiare pienamente soddisfatta. I donatori dovrebbero essere pronti a condividere la loro energia o i loro beni (o un surplus o una parte rilevante di questi ultimi), ma preferibilmente senza mettere a repentaglio la propria salute e la propria vita (salvo in situazioni di emergenza, come un incendio o altri casi di forza maggiore). Questi fattori hanno svolto un ruolo fondamentale nella recente crisi migratoria in Europa, quando i popoli hanno inviato un chiaro messaggio ai loro governanti: siamo pronti ad accogliere i migranti sulla base della solidarietà, ma non siamo pronti a mettere le nostre vite in pericolo.
Un donatore può condividere alcune parti del proprio corpo con dei beneficiari in un solo caso: immediatamente dopo la sua morte, a seguito di un consenso informato o di altre garanzie procedurali. La gravidanza e la nascita di un bambino sono estremamente stressanti per la madre surrogata sia in termini fisici che emotivi. Le conseguenze sono imprevedibili, e, in assenza di situazioni di emergenza, la surrogazione di maternità non può essere considerata un mezzo adeguato per favorire la solidarietà sociale.

Non intendo dilungarmi sulle questioni etiche e morali, in quanto queste ultime non dovrebbero essere utilizzate per un’analisi sistemica. Attualmente, esse non aiutano a risolvere il problema, data l’enorme diversità delle convinzioni etiche e morali esistenti. È meglio partire dalla realtà.
Secondo lo studio di diritto comparato, il numero di Stati che vietano la maternità surrogata è praticamente pari al numero di quelli che tollerano esplicitamente le maternità surrogate effettuate all’estero. Si potrebbe anche concludere che la surrogazione di maternità esce «vincente» da tale studio, dato che solo un terzo degli Stati membri l’hanno espressamente vietata.
Le statistiche e i fatti delle cause di surrogazione di maternità esaminate dalla Corte dimostrano che le gestazioni per conto terzi sono portate avanti da persone povere o nei paesi poveri. I beneficiari sono generalmente ricchi e affascinanti e, inoltre, spesso fanno parte del parlamento nazionale o esercitano su di esso un’influenza decisiva. Peraltro, è estremamente ipocrita vietare la surrogazione di maternità nel proprio paese per proteggere le donne che vi abitano, ma permettere di ricorrere a questo tipo di operazioni all’estero.

Ancora una volta, questa è un’altra sfida contemporanea per la nozione di diritti umani: o creiamo una società che è divisa tra coloro che sono dentro e coloro che sono fuori, o creiamo una base per una solidarietà mondiale; o creiamo una società che è divisa tra le nazioni sviluppate e le nazioni meno sviluppate, o creiamo una base per lo sviluppo solidale e l’autorealizzazione; o creiamo una base per l’uguaglianza o non la creiamo. La risposta è chiara.
Lo Stato convenuto ha preso una posizione molto onesta e senza compromessi in merito al divieto di qualsiasi tipo di surrogazione di maternità. Ciò risulta chiaramente dalla posizione del Governo e della Corte costituzionale italiana. Ritengo che tale posizione sia stata sviluppata sulla base di valori cristiani (Lautsi e altri c. Italia [GC], n. 30814/06, CEDU 2011 (estratti)).
In Russia, la situazione è completamente diversa. La Corte costituzionale russa ha inizialmente (nel 2012) rifiutato di esaminare i problemi sollevati nei casi di maternità surrogata quando la madre surrogata esprimeva il desiderio di tenere il bambino al momento della nascita. Questo problema è stato rapidamente risolto nel 2013 nel codice della famiglia, in favore della madre surrogata. Questa è stata la prima iniziativa legislativa per disciplinare gli accordi di maternità surrogata. Non ho sentito levarsi alcuna voce per vietare la surrogazione di maternità sulla base di valori fondamentali. Nel frattempo, questo metodo per acquistare un neonato è diventato molto popolare tra le persone ricche e famose.
Quanto al legame biologico tra il minore e i genitori adottivi (cioè i beneficiari della maternità surrogata), il giudice Knyazev della Corte costituzionale russa, nella sua opinione separata, ha sollevato un problema, vale a dire che il diritto della madre surrogata di tenere il bambino viola i diritti costituzionali dei beneficiari della maternità surrogata in quanto sono stati loro ad aver fornito il materiale genetico. A mio avviso, questo non è il problema più grande, perché tali genitori possono essere considerati come donatori. Un problema più serio risiede nel fatto che, fin dall’inizio, la maternità surrogata viola i valori fondamentali della civiltà umana e nuoce a tutti i partecipanti: la madre surrogata, i genitori adottivi e il minore.
Alcuni dei genitori adottivi non sono sposati o vivono da soli. Se il codice della famiglia permette di concludere accordi di maternità surrogata solo alle coppie sposate, i giudici russi hanno assunto una posizione ancora più «liberale» e hanno autorizzato qualsiasi persona, anche una donna fertile, ad avere un figlio in questo modo. Ciò comporta, a mio avviso, un grave problema di traffico di esseri umani autorizzato dallo Stato.
Credo che, per impedire il degrado morale ed etico della società, la Corte dovrebbe sostenere delle azioni basate sui valori e non nascondersi dietro il margine di apprezzamento. Tali valori (dignità, integrità, uguaglianza, solidarietà, curiosità, autorealizzazione, creatività, conoscenza e cultura) non sono in conflitto con il rispetto della vita privata e familiare. Il rispetto della vita familiare, attraverso l’esistenza di un legame biologico, ha costituito un criterio decisivo in precedenti cause contro la Francia, vale a dire Mennesson c. Francia (n. 65192/11, CEDU 2014 (estratti)) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), che sono state decise in favore dei ricorrenti. L’assenza di un legame biologico è un punto centrale anche nella sentenza del caso che stiamo trattando; tuttavia, se la surrogazione di maternità è in linea di principio incompatibile con la nozione di diritti fondamentali, essa dovrebbe essere controbilanciata da una sanzione individuale e da un dibattito pubblico per prevenire tali pratiche in futuro.

Ritengo che nel caso di specie la Corte abbia fatto un primo passo facendo prevalere i valori sul margine di apprezzamento in una causa «etica» (dovrei menzionare un’altra recente causa esaminata dalla Grande Camera, vale a dire Dubská e Krejzová c. Repubblica ceca ([GC], nn. 28859/11 e 28473/12, 15 novembre 2016)). Non lo aveva fatto nella causa Lautsi e altri sopra citata o nella causa Parrillo c. Italia ([GC], n. 46470/11, CEDU 2015). Ora, è realmente una nuova Corte.
È molto difficile scegliere tra il diritto al rispetto della vita privata e l’ingerenza nell’esercizio di tale diritto per tutelare la morale, in quanto le categorie morali non sono chiare. Tuttavia, quando le norme morali sono legate ai valori umani, la decisione è più avvalorata in una prospettiva a lungo termine, perché il progresso sociale deve assolutamente fondarsi su dei valori.
Infine, la maternità surrogata rappresenta una di queste sfide che ci obbligano a chiederci chi siamo – una civiltà o una biomassa? − per quanto riguarda la sopravvivenza della razza umana nel suo insieme. Lo studio di diritto comparato sulla surrogazione di maternità mostra che tale fenomeno è tollerato nella maggior parte degli Stati membri ed è per questo che non è stato nemmeno interpretato secondo il punto di vista sopra esposto. Presumo che la vera risposta stia da qualche parte nel mezzo: le nazioni civilizzate costituiscono la base del diritto internazionale, e la surrogazione di maternità non ostacola lo sviluppo civile delle nazioni. Tuttavia, se si considera il numero delle persone coinvolte, direttamente o indirettamente, in una forma o in un’altra in questo modo antisociale di realizzare profitti, legalmente o meno, la portata reale del problema è impressionante. Quando la solidarietà sociale non è incentivata o effettivamente protetta in pratica dalle autorità (che si limitano a fare dichiarazioni in documenti ufficiali), ciò solleva problemi di discriminazione o di disparità sociali che possono portare a una destabilizzazione o a un degrado della società; questa minaccia non deve essere sottovalutata.
 
OPINIONE DISSENZIENTE COMUNE DEI GIUDICI LAZAROVA TRAJKOVSKA, BIANKU, LAFFRANQUE, LEMMENS E GROZEV
(Traduzione)

  1. Ci rammarichiamo di non poter condividere l’opinione della maggioranza secondo cui non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Riteniamo difatti che vi sia stata ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare. Inoltre, siamo dell’avviso che, nelle circostanze specifiche del caso di specie, tale diritto sia stato violato.

    Sull’esistenza di una vita familiare
     
  2. La maggioranza esamina il motivo di ricorso dei ricorrenti dal punto di vista del diritto al rispetto della loro vita privata dichiarando esplicitamente che non vi era alcuna vita familiare (paragrafi 140-158 della sentenza).
    Preferiamo l’approccio adottato dalla camera, che conclude che vi è stata ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare.
  3. Come la maggioranza, partiamo dal principio (paragrafo 140 della sentenza) che l’esistenza o meno di una «vita familiare» è in primo luogo una questione di fatto che dipende della realtà pratica di legami personali stretti (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 150, CEDU 2001 – VII, e Şerife Yiğit c. Turchia [GC], n. 3976/05, § 93, 2 novembre 2010). L’articolo 8 della Convenzione non distingue tra famiglia «legittima» e famiglia «naturale» (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31). La nozione di «vita familiare» di cui all’articolo 8 non si limita dunque, ad esempio, unicamente alle relazioni basate sul matrimonio ma può comprendere altri «legami familiari» de facto quando le persone convivono al di fuori del matrimonio o quando una relazione è sufficientemente stabile (si vedano, fra altre, Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, § 30, serie A n. 297-C, e Mikulić c. Croazia, n. 53176/99, § 51, CEDU 2002 I).
    Se i legami biologici tra coloro che agiscono in qualità di genitori e un minore possono essere un’indicazione molto importante quanto all’esistenza di una vita familiare, l’assenza di tali legami non necessariamente significa che non ve ne sia. La Corte ha così riconosciuto, ad esempio, che la relazione tra un uomo e una minore che intrattenevano rapporti affettivi molto stretti e che per anni avevano creduto di essere padre e figlia, fino a quando si scoprì che il ricorrente non era il padre biologico della minore, costituiva una vita familiare (Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, § 58, CEDU 2015 (estratti)). La maggioranza fa inoltre riferimento, assai giustamente, a vari altri casi che illustrano il fatto che è l’esistenza di significativi legami personali ad essere importante, e non l’esistenza di legami biologici o di un rapporto giuridico riconosciuto (paragrafi 148-150 della sentenza, che rinviano a Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, n. 76240/01, § 117, 28 giugno 2007, Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, §§ 49-52, 27 aprile 2010, e Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, § 37, 17 gennaio 2012).
  4. Quanto ai legami familiari de facto nel caso di specie, rileviamo, come la maggioranza, che i ricorrenti e il minore hanno vissuto insieme per sei mesi in Italia, dopo un periodo di convivenza di circa due mesi tra la prima ricorrente e il minore in Russia (paragrafo 152 della sentenza). Inoltre, e soprattutto, i ricorrenti hanno stretto forti legami affettivi con quest’ultimo nelle prime fasi della sua vita, la cui qualità è stata riconosciuta da una equipe di assistenti sociali (paragrafo 151 della sentenza). In breve, esisteva un vero progetto genitoriale, fondato sui dei legami affettivi di alta qualità (paragrafo 157 della sentenza).
    La maggioranza ritiene tuttavia che la durata della convivenza tra i ricorrenti e il minore fosse troppo breve per essere sufficiente per costituire una vita familiare de facto (paragrafi 152-154 della sentenza). Con tutto il rispetto che dobbiamo ai nostri colleghi, non possiamo concordare con tale conclusione. Attribuiamo infatti importanza alla circostanza che la convivenza è iniziata il giorno stesso della nascita del bambino ed è durata fino a quando il bambino fu tolto ai ricorrenti, e al fatto che sarebbe proseguita a tempo indeterminato se le autorità non fossero intervenute per porvi fine. La maggioranza respinge questo argomento in quanto l’intervento era la conseguenza dell’incertezza giuridica creata dai ricorrenti stessi «adottando una condotta contraria al diritto italiano e trasferendosi in Italia con il minore» (paragrafo 156 della sentenza). Temiamo che la maggioranza non faccia quindi una distinzione tra famiglia «legittima» e famiglia «naturale», distinzione che è stata respinta dalla Corte molti anni fa (paragrafo 3 supra), e che non concede tutta l’importanza che merita al principio consolidato secondo il quale l’esistenza o meno di una «vita familiare», è essenzialmente una questione di fatto (ibidem).).
  5. Anche se il periodo di convivenza in quanto tale è relativamente breve, riteniamo che i ricorrenti si siano comportati nei confronti del minore come dei genitori e concludiamo che, nel caso di specie, esiste di una vita familiare de facto tra i ricorrenti e il minore (si veda sentenza della camera, § 69).

    Sul punto di stabilire se l’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare fosse giustificata
     
  6. Vorremmo anzitutto ricordare alcuni principi generali derivanti dalla giurisprudenza della Corte.
    Nelle cause riguardanti l’affidamento preadottivo di un minore, che comporta la rottura permanente dei legami familiari, l’interesse superiore del fanciullo deve essere prioritario (Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, § 78, Recueil des arrêts et décisions 1996 -III, Kearns c. Francia, n. 35991/04, § 79, 10 gennaio 2008, R. e H. c. Regno Unito, n. 35348/06, § § 73 e 81, 31 maggio 2011, e Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, § 134, 13 marzo 2012).
    Per individuare l’interesse superiore del minore in una causa particolare, occorre tenere presente due considerazioni: in primo luogo, è nell’interesse del minore che i legami tra lui e la sua famiglia siano mantenuti, tranne nei casi in cui quest’ultima si sia mostrata particolarmente indegna; e in secondo luogo, è nell’interesse del minore assicurargli un’evoluzione in un ambiente sano (Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 136, CEDU 2010, e R. e H. c. Regno Unito, sopra citata, §§ 73-74).
    Se non spetta alla Corte sostituire la propria valutazione a quella dei giudici nazionali per quanto riguarda i provvedimenti relativi ai minori, essa deve comunque assicurarsi che il processo decisionale che ha portato i giudici nazionali ad adottare la misura controversa sia stato equo e che abbia consentito agli interessati di esercitare pienamente i loro diritti, nel rispetto dell’interesse superiore del minore (Neulinger e Shuruk, sopra citata, § 139, e X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 102, CEDU 2013). Riteniamo che, nell’esaminare una domanda di affidamento preadottivo di un minore, i giudici non soltanto debbano esaminare se la separazione del minore dalle persone che si comportano come sui genitori sia nel suo interesse, ma devono anche pronunciarsi al riguardo con una decisione specificamente motivata alla luce delle circostanze del caso di specie (si veda, mutatis mutandis, riguardo ad una decisione su una domanda di ritorno di un minore ai sensi della Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, X. c. Lettonia, sopra citata, § 107).
  7. Al fine di verificare se l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare, cioè il fatto di togliere loro il minore, sia compatibile con l’articolo 8 della Convenzione, occorre rilevare quale giustificazione sia stata in realtà data dalle autorità nazionali all’ingerenza in questione.
    A tale riguardo, rileviamo una notevole differenza tra le ragioni addotte dal tribunale per i minorenni di Campobasso e quelle esposte dalla corte d’appello di Campobasso.
    Il tribunale per i minorenni, adito dal pubblico ministero con una domanda di provvedimenti urgenti, ha fondato il suo provvedimento del 20 ottobre 2011 sulla necessità di impedire il perdurare di una situazione illegale. Secondo il tribunale, l’illegalità derivava dalla violazione di due leggi. Da un lato, portando un neonato in Italia e facendolo passare per il proprio figlio, i ricorrenti avrebbero violato in modo palese le disposizioni della legge sull’adozione (legge n. 184 del 4 maggio 1983) che disciplina l’adozione internazionale di minori; in ogni caso, essi avrebbero deliberatamente eluso le disposizioni di questa legge che prevedevano non soltanto l’obbligo per le persone che desideravano adottare di rivolgersi ad un ente riconosciuto (articolo 31), ma anche l’intervento della Commissione per le adozioni internazionali (articolo 38). Dall’altro, dal momento che l’accordo concluso tra la prima ricorrente e la società Rosjurconsulting prevedeva la consegna del materiale genetico del secondo ricorrente per la fecondazione degli ovuli di un’altra donna, contravveniva, secondo il tribunale, al divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, previsto dall’articolo 4 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (legge n. 40 del 19 febbraio 2004). La reazione a questa situazione illegale ha preso la forma di una duplice decisione: allontanare il minore dai ricorrenti e collocarlo in una struttura adeguata in attesa di trovare una coppia appropriata al quale affidarlo (paragrafo 37 della sentenza).
    La corte d’appello ha respinto l’appello dei ricorrenti il 28 febbraio 2012, ma con un diverso ragionamento. Essa non ha dichiarato che i ricorrenti erano in una situazione illegale e che era necessario porvi fine, ma ha spiegato che il bambino era in «stato di abbandono» ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 184 del 4 maggio 1983, dato che non beneficiava di un’assistenza morale e materiale da parte della sua «famiglia naturale». Secondo la corte d’appello, questo stato di abbandono giustificava le misure adottate dal tribunale per i minorenni, che erano di natura cautelare e urgente. La corte d’appello ha rilevato che queste misure erano compatibili con l’esito probabile del procedimento nel merito sulla domanda del pubblico ministero, vale a dire una dichiarazione di adottabilità (paragrafo 40 della sentenza).
    A nostro avviso, è essenzialmente, se non esclusivamente, il ragionamento della corte d’appello che deve essere preso in considerazione per valutare le ragioni che giustificano l’allontanamento del minore dai ricorrenti. Infatti, è la corte d’appello che ha statuito in ultima istanza, sostituendo in tal modo la propria motivazione a quella del tribunale per i minorenni. Inoltre, mentre il tribunale per i minorenni ha prima di tutto espresso la sua disapprovazione per la condotta dei ricorrenti e di conseguenza li ha sanzionati, la corte d’appello ha iniziato la sua analisi sulla base di una valutazione dell’interesse del minore, il che è di per sé l’approccio corretto nelle cause quali quella del caso di specie (paragrafo 6 supra).
    Infine, osserviamo che la maggioranza, quando esamina la giustificazione dell’ingerenza, non si riferisce esplicitamente alle decisioni adottate dai tribunali nella procedura relativa alla contestazione da parte dei ricorrenti del rifiuto dell’ufficio di stato civile di inserire il certificato di nascita nel registro dello stato civile, in particolare alla sentenza della corte d’appello di Campobasso del 3 aprile 2013 (paragrafi 47-48 della sentenza). Per questo motivo, omettiamo anche di includere il ragionamento di quest’ultima autorità giudiziaria nella nostra analisi.
  8. La prima questione da esaminare è se l’ingerenza, ossia l’allontanamento del minore dai ricorrenti, fosse prevista dalla legge.
    Alla luce dei motivi esposti dalla corte di appello nella sua sentenza del 28 febbraio 2012, concludiamo che l’allontanamento si basava sull’articolo 8 della legge sull’adozione, che prevede che possa essere dichiarato in stato di adottabilità il minore in situazione di abbandono, cioè privo di qualsiasi assistenza morale o materiale da parte dei suoi genitori o dei suoi familiari. Poiché i giudici si sono rifiutati di considerare i ricorrenti come i suoi genitori, il minore è stato considerato in situazione di abbandono ed è stato quindi dichiarato adottabile.
    Siamo consapevoli che spetta ai giudici nazionali interpretare ed applicare il diritto interno (paragrafo 169 della sentenza). Tuttavia, non possiamo che esprimere la nostra sorpresa per quanto riguarda la conclusione per la quale il minore, di cui una coppia che aveva pienamente assunto il ruolo di genitori si prendeva cura, si trovava in stato di «abbandono». Se tale conclusione si basa unicamente sul fatto che i ricorrenti non erano i suoi genitori sul piano giuridico, ci chiediamo se il ragionamento dei giudici nazionali non avesse un carattere eccessivamente formale, e non fosse pertanto incompatibile con le esigenze derivanti dall’articolo 8 della Convenzione in questo caso (paragrafo 6 supra).
    Tuttavia, non mi dilungherò su tale argomento. Infatti, anche supponendo che fosse stata prevista dalla legge, l’ingerenza non può, a nostro parere, essere giustificata per i motivi qui di seguito illustrati.
  9. La questione successiva è se l’ingerenza perseguisse uno scopo legittimo.
    Rileviamo che la corte d’appello ha fondato la sua decisione relativa all’allontanamento del minore sullo stato di abbandono in cui quest’ultimo si sarebbe trovato. Si può pertanto sostenere che essa ha adottato la misura controversa al fine di tutelare i «diritti e le libertà altrui», ossia i diritti del minore.
    La maggioranza riconosce che le misure perseguivano anche un altro scopo, quello della «difesa dell’ordine». Come la camera, essa rammenta che la condotta dei ricorrenti contravveniva alla legge sull’adozione e al divieto, nel diritto italiano, delle tecniche di procreazione assistita eterologa (paragrafo 177 della sentenza). Con tutto il rispetto che dobbiamo ai nostri colleghi della maggioranza, non possiamo concordare con questo parere. Soltanto il tribunale per i minorenni, ossia il giudice di primo grado, si è fondato sulla condotta illegale dei genitori; la corte d’appello si è astenuta dall’utilizzare la possibilità di dichiarare il minore adottabile come una sanzione nei confronti dei ricorrenti.
  10. Infine, occorre esaminare se l’ingerenza fosse necessaria in una società democratica, per raggiungere lo scopo perseguito.
    Come la maggioranza, riteniamo che questa condizione implichi, in primo luogo, che i motivi addotti per giustificare la misura controversa siano pertinenti e sufficienti (paragrafo 179 della sentenza), e, in secondo luogo, che la misura sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito tenuto conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concomitanti in gioco (paragrafo 181 della sentenza).
  11. Il nostro disaccordo con la maggioranza attiene all’applicazione dei principi al caso di specie.
    In modo evidente, la valutazione della condizione di necessità dipende, in gran parte, dalla questione di conoscere quali siano gli scopi legittimi specifici che sono definiti come quelli che le autorità competenti perseguivano. Come indicato in precedenza, riteniamo che la corte d’appello abbia giustificato l’allontanamento del minore sulla base della situazione di quest’ultimo. Al contrario, la maggioranza non solo prende in considerazione i motivi esposti dal tribunale per i minorenni (la situazione illegale creata dai ricorrenti), ma arriva al punto di considerare, seguendo l’argomentazione del Governo, il contesto più ampio del divieto nel diritto italiano degli accordi di gestazione per conto terzi (su quest’ultimo punto, si veda il paragrafo 203 della sentenza). Riteniamo che le particolari circostanze della fattispecie, e soprattutto le decisioni adottate dalle autorità nazionali, non richiedano un approccio così ampio, in cui delle considerazioni delicate di politica generale possono svolgere un ruolo importante.
    Non abbiamo intenzione di esprimere una qualsiasi opinione sul divieto degli accordi di maternità surrogata in diritto italiano. Spetta al legislatore italiano stabilire quale sia la politica dell’Italia in materia. Tuttavia, il diritto italiano non ha effetti extraterritoriali. Quando una coppia è riuscita a sottoscrive all’estero un accordo di maternità surrogata e a ottenere da una madre residente in un altro paese un neonato che successivamente ha portato legalmente in Italia, è la situazione fattuale in Italia derivante da tali eventi che si sono svolti precedentemente in un altro paese a dover guidare le autorità italiane competenti nella loro reazione a tale situazione. A questo riguardo, abbiamo difficoltà a comprendere il punto di vista della maggioranza che ritiene pertinenti le motivazioni del legislatore che giustificano il divieto di accordi di maternità surrogata trattandosi di misure adottate per scoraggiare i cittadini italiani dal ricorrere all’estero a pratiche che sono vietate in Italia (paragrafo 203 della sentenza). A nostro parere, la pertinenza di tali motivi diventa meno evidente quando si tratta di una situazione sorta all’estero che, di per sé, non può aver violato il diritto italiano. A tale proposito, è importante rilevare che la situazione creata dai ricorrenti in Russia è stata in origine riconosciuta e formalizzata dalle autorità italiane, tramite il consolato italiano di Mosca (paragrafo 17 della sentenza).
  12. Quali che siano le ragioni addotte per giustificare la separazione del minore dai ricorrenti, non possiamo condividere la conclusione della maggioranza secondo la quale i giudici italiani hanno mantenuto un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco.
    Per quanto riguarda gli interessi generali in causa, abbiamo già spiegato che, a nostro avviso, è stata attribuita troppa importanza alla necessità di porre fine a una situazione illegale (con riguardo alle leggi sull’adozione internazionale e sull’uso delle tecniche di riproduzione assistita) e all’esigenza di dissuadere i cittadini italiani dal ricorrere all’estero a pratiche che sono vietate in Italia. Tali interessi non erano assolutamente quelli che la corte d’appello ha cercato di proteggere.
    Per quanto riguarda l’interesse del minore, abbiamo già espresso il nostro stupore per la qualificazione data alla situazione di quest’ultimo considerato «in stato di abbandono». In nessun momento i giudici si sono chiesti se fosse nell’interesse del minore rimanere con persone che si comportavano come suoi genitori. L’allontanamento si basava su motivi puramente giuridici. I fatti sono entrati in gioco solo per valutare se le conseguenze dell’allontanamento, una volta deciso, non sarebbero state troppo dure per il minore. Riteniamo che, in tali circostanze, non si possa sostenere che i giudici nazionali abbiano tenuto sufficientemente conto dell’impatto che l’allontanamento avrebbe avuto sul benessere del minore. Si tratta di una grave omissione, dato che qualsiasi misura di questo tipo deve prendere in considerazione l’interesse superiore del minore (paragrafo 6 supra).
    Per quanto riguarda gli interessi dei ricorrenti, pensiamo che il loro interesse a continuare a sviluppare la relazione con un minore di cui desideravano essere i genitori (paragrafo 211 della sentenza) non sia stato sufficientemente tenuto in considerazione, in particolare dal tribunale per i minorenni. Non possiamo condividere il riferimento compiacente della maggioranza al suggerimento di questo giudice secondo cui i ricorrenti cercavano di soddisfare un «desiderio narcisistico» o di «esorcizzare un problema individuale o di coppia», o ai suoi dubbi in merito all’esistenza nei ricorrenti di «reali capacità affettive ed educative» e «di un istinto di solidarietà umana» (paragrafo 207 della sentenza). Riteniamo che tali valutazioni fossero di carattere speculativo e non avrebbero dovuto guidare il tribunale per i minorenni nell’esame della domanda di provvedimenti urgenti presentata dal pubblico ministero.
    Oltre a queste considerazioni del tribunale per i minorenni, che sembrano essere state corrette dall’approccio più neutrale assunto dalla corte d’appello, vorremmo ricordare che i ricorrenti sono stati ritenuti idonei all’adozione il 7 dicembre 2006, quando hanno ottenuto l’autorizzazione del tribunale per i minorenni (paragrafo 10 della sentenza), e che un equipe di assistenti sociali designata da un tribunale ha dichiarato, in una relazione del 18 maggio 2011, che i ricorrenti si erano fatti carico del bambino «in maniera ottimale» (paragrafo 25 della sentenza). Tali valutazioni positive non sono state contraddette da una seria valutazione dell’interesse superiore del minore, ma sono state oscurate da considerazioni più generali e astratte.
    Inoltre, come riconosce la maggioranza, i tribunali non hanno affrontato l’impatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore avrebbe avuto sui ricorrenti (paragrafo 211 della sentenza). Riteniamo si tratti di una lacuna grave, che non può essere giustificata dalle considerazioni della maggioranza circa l’illegalità della condotta dei ricorrenti e la precarietà della loro relazione con il minore (ibidem). Il semplice fatto che i giudici nazionali non abbiano ritenuto necessario discutere dell’impatto sui ricorrenti dell’allontanamento di un minore che era al centro del loro progetto genitoriale dimostra, a nostro avviso, che i giudici non hanno realmente cercato di trovare un giusto equilibrio tra gli interessi dei ricorrenti e qualsiasi altro interesse concomitante, quale che fosse quest’ultimo.
  13. Alla luce di quanto precede, riteniamo pertanto, al pari della camera, che gli elementi sui quali i giudici si sono basati per decidere che il minore doveva essere tolto ai ricorrenti e doveva essere preso in carico dai servizi sociali non siano sufficienti per concludere che tali misure non erano sproporzionate (si veda la sentenza della camera, § 86).
    Per noi, non è stato dimostrato che le autorità italiane hanno garantito il giusto equilibrio che occorreva mantenere tra gli interessi concorrenti in gioco.