Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 9 febbraio 2017 - Ricorso n. 26128/04 - Causa Messana c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MESSANA c. ITALIA

(Ricorso n. 26128/04)

SENTENZA

STRASBURGO

9 febbraio 2017


Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Messana c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
  • Ledi Bianku,
  • Guido Raimondi,
  • Kristina Pardalos,
  • Aleš Pejchal,
  • Armen Harutyunyan,
  • Pauliine Koskelo, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 gennaio 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 26128/04) presentato contro la Repubblica italiana con cui tre cittadini di tale Stato, sig. Calogero e sigg.re Rosa e Giuseppa Marianna Messana («i ricorrenti»), hanno adito la Corte l’8 luglio 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avvocati G. Ingrascì e A. Bozzi, rispettivamente del foro di Catania e Milano. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri, e dal suo co-agente P. Accardo.
  3. Il 24 marzo 2006 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

  1. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1946, 1944 e 1948 e risiedono a Caltanissetta.
  2. I ricorrenti erano comproprietari di un terreno edificabile di 3.690 metri quadrati situato a Canicattí e iscritto in catasto al foglio 67, particelle 12 e 14.
  3. Con decreto del 14 aprile 1980, il comune di Canicattí approvò il progetto per la costruzione di case popolari.
  4. Con decreto del 18 giugno 1980, il comune di Canicattí autorizzò l’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) a occupare d’urgenza il terreno dei ricorrenti, per un periodo massimo di cinque anni, in vista della sua espropriazione per pubblica utilità.
  5. Il terreno fu occupato materialmente il 16 luglio 1980.
  6. Con atto di citazione notificato l’11 gennaio 1991, i ricorrenti convenivano in giudizio il comune di Canicattì e lo IACP dinanzi al tribunale di Agrigento chiedendo il risarcimento del danno. Sostenevano che, sebbene i lavori di costruzione effettuati sul loro terreno avessero trasformato quest’ultimo, non vi era stato alcun decreto di esproprio né risarcimento. Riferendosi al principio dell’espropriazione indiretta («occupazione acquisitiva» o «accessione invertita»), i ricorrenti invitavano il tribunale a dichiarare che la costruzione delle case popolari aveva trasformato irreversibilmente il loro terreno. Chiedevano il valore venale del bene e, inoltre, chiedevano un risarcimento per il mancato godimento del terreno durante il periodo di occupazione autorizzata.
  7. Nel corso del processo, in una data non precisata, fu depositata in cancelleria una perizia dalla quale risulta che la trasformazione irreversibile del terreno si era verificata prima del 28 febbraio 1982, data in cui secondo il perito era cessato il periodo di occupazione legittima.
  8. Con sentenza del 23 gennaio 1997 il tribunale di Agrigento osservò che la realizzazione delle case popolari aveva comportato il trasferimento della proprietà del terreno all’amministrazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di espropriazione indiretta. Tuttavia il tribunale decise che ai ricorrenti non era dovuta alcuna riparazione in quanto l’azione per il risarcimento danni era soggetta a un termine di prescrizione di cinque anni che, nel caso di specie, iniziava a decorrere dal 18 giugno 1985.
  9. Con atto notificato il 27 febbraio 1998, i ricorrenti si rivolsero alla corte d’appello di Palermo.
  10. Nel corso del procedimento, la corte d’appello ordinò una perizia. Secondo il perito, l’occupazione legittima era cessata il 18 giugno 1986, dopo essere stata prorogata di un anno. Il valore venale del terreno a tale data era di 45,45 euro (EUR) al metro quadrato (ossia 167.710,50 EUR).
  11. Con sentenza dell’11 ottobre 2002, la corte d’appello di Palermo rilevò che l’occupazione legittima era cessata il 18 giugno 1986 e considerò che i ricorrenti erano stati privati del loro bene a decorrere da tale data. Considerò anche che il termine di prescrizione quinquennale aveva cominciato a decorrere da questa stessa data. Poiché il ricorso era stato presentato l’11 gennaio 1991, la corte d’appello ritenne che il diritto degli interessati non fosse prescritto.
  12. Di conseguenza, in applicazione della legge n. 662 del 1996, condannò il comune di Canicattí e lo IACP a pagare ai ricorrenti le somme di 92.316,67 EUR per la perdita della proprietà del terreno, più rivalutazione fino alla data della sentenza, e di 25.177,27 EUR a titolo d’indennità di occupazione temporanea.
  13. Tale sentenza è divenuta definitiva il 12 gennaio 2004.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A.  Il principio dell’espropriazione indiretta («occupazione acquisitiva» o « accessione invertita»)

  1. Il diritto interno pertinente relativo all’espropriazione indiretta è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], §§ 18-48 n. 58858/00, 22 dicembre 2009.

B.  Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007

  1. Con le sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007 (dette anche le sentenze gemelle) la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni in materia di indennità di espropriazione contenute nel decreto legge n. 333 dell’11 luglio 1992, nella legge n. 662 del 1996 e nel decreto del Presidente della Repubblica n. 327 dell’8 giugno 2001. In particolare, nella sentenza n. 349 la Corte costituzionale ha rilevato che l’insufficiente livello di indennizzo previsto dalla legge del 1996 era in contrasto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 e, di conseguenza, con l’articolo 117, comma 1, della Costituzione italiana, che prevede il rispetto degli obblighi internazionali.
  2. In seguito alle sentenze della Corte costituzionale, sono intervenute delle modifiche legislative nel diritto interno. L’articolo 2/89 e) della legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che in un caso di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale del bene, non essendo ammessa alcuna riduzione.
  3. Questa disposizione è stata applicata a tutti i procedimenti pendenti al 1º gennaio 2008, ad esclusione di quelli per i quali la decisione sull’indennità di esproprio o sul risarcimento era stata accettata o era divenuta definitiva.

IN DIRITTO

I.  SULLA DOMANDA DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO DAL RUOLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE

  1. Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, il 16 dicembre 2015 il Governo ha comunicato alla Corte di aver formulato una dichiarazione unilaterale al fine di risolvere la questione sollevata con il ricorso. Il Governo ha invitato la Corte a cancellare il ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 della Convenzione dietro versamento di una somma complessiva (236.777 EUR), a copertura di tutti i danni materiali e morali, nonché delle spese e del riconoscimento della violazione del diritto al rispetto dei beni ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
  2. Il 15 gennaio 2016 i ricorrenti hanno dichiarato di non essere soddisfatti dei termini della dichiarazione unilaterale tenuto conto della somma offerta.
  3. La Corte ha dichiarato che, in determinate circostanze, può essere opportuno cancellare un ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 §. 1 c) della Convenzione sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto anche se il ricorrente desidera che l’esame della causa prosegua. Saranno tuttavia le circostanze particolari della causa che permetteranno di stabilire se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente per permettere alla Corte di concludere che il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Convenzione non esige che essa prosegua l’esame della causa ai sensi dell’articolo 37 § 1 in fine (si vedano, tra altre, Tahsin Acar c. Turchia (eccezioni preliminari) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003-VI; Melnic c. Moldavia, n. 6923/03, § 14, del 14 novembre 2006).
  4. Tra i fattori da prendere in considerazione a tale proposito vi è, tra l’altro, l’eventuale formulazione da parte del Governo, nella sua dichiarazione unilaterale, di una qualche concessione per quanto riguarda le dedotte violazioni della Convenzione e, in questa ipotesi, quali siano la portata di tali concessioni e le modalità del risarcimento che intende fornire al ricorrente. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, nei casi in cui è possibile cancellare le conseguenze di una presunta violazione (ad esempio in alcuni cause sulla proprietà) e in cui il Governo convenuto si dichiara disposto a farlo, il risarcimento previsto ha più probabilità di essere considerato adeguato ai fini di una cancellazione del ricorso dal ruolo (si veda Tahsin Acar, sopra citata, § 76).
  5. Quanto alla questione di stabilire se sia opportuno cancellare il presente ricorso dal ruolo sulla base della dichiarazione unilaterale del Governo, la Corte rileva che l’importo dell’indennizzo offerto è insufficiente rispetto alle somme da lei riconosciute in casi simili in materia di espropriazione indiretta (si vedano Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009; Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, 14 giugno 2011; De Caterina e altri c. Italia, n. 65278/01, 28 giugno 2011; Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, 12 luglio 2011).
  6. In queste condizioni, la Corte osserva che la dichiarazione unilaterale in causa non costituisce una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione non impone la prosecuzione dell’esame del ricorso.
  7. In conclusione, la Corte rigetta la domanda del Governo volta alla cancellazione del ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione e, di conseguenza, prosegue l’esame della causa sulla ricevibilità e sul merito.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

  1. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 in ragione dell’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. Invocano anche l’articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 senza, tuttavia, esporre argomenti a sostegno. La Corte esaminerà tale motivo di ricorso unicamente dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il quale è così formulato:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
  2. Il Governo si oppone a questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

  1. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. È quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

a)  I ricorrenti

  1. I ricorrenti rammentano che sono stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che consente all’autorità pubblica di acquisire un bene illegittimamente, fatto che è inammissibile in uno Stato di diritto.
  2. Osservano che solo con la sentenza della corte d’appello di Palermo i ricorrenti hanno avuto la certezza di essere stati privati del loro bene e che era stato applicato il principio dell’espropriazione indiretta. Secondo i ricorrenti, questa situazione non può essere considerata prevedibile.

b)  Il Governo

  1. Il Governo prende atto del fatto che la giurisprudenza della Corte, ormai consolidata, si pronuncia per l’incompatibilità del meccanismo dell’espropriazione indiretta con il principio di legalità. Tuttavia, alla luce della sentenza della corte d’appello di Palermo in cui si dichiara che vi era stato un trasferimento di proprietà, e che per il Governo è assimilabile ad un atto formale di espropriazione, l’espropriazione in questione non potrebbe più considerarsi incompatibile con il rispetto dei beni e il principio della preminenza del diritto.
  2. Per quanto riguarda il risarcimento, il Governo riconosce che i parametri applicati nel caso di specie sollevano problemi di compatibilità con la Convenzione, in quanto i ricorrenti non sono stati risarciti in base al valore venale del terreno.

2.  Valutazione della Corte

a)  Sull’esistenza di una ingerenza

  1. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza costante relativa alla struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e alle tre norme distinte che questa disposizione contiene (si vedano, fra molte altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A n. 52, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999 II, Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999 V, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 134, CEDU 2004 V, e VistiƆš e Perepjolkins c. Lettonia [GC], n. 71243/01, § 93, 25 ottobre 2012.
  2. La Corte constata che le parti concordano sul fatto che vi è stata una «privazione» della proprietà ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
  3. La Corte deve quindi accertare se la privazione denunciata sia giustificata dal punto di vista di questa disposizione.

b)  Sul rispetto del principio di legalità

  1. La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione di proprietà soltanto «alle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni mettendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1996 -III, [GC] Iatridis c. Grecia, sopra citata., § 58).
  2. La Corte rinvia poi alla propria giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, fra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005, e Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia, in particolare per quanto riguarda la questione del rispetto del principio di legalità in questa tipologia di cause.
  3. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro bene a decorrere dalla data della cessazione del periodo di occupazione legittima. Ora, in assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che tale situazione non possa essere ritenuta «prevedibile», poiché soltanto con il provvedimento giudiziario definitivo si può considerare effettivamente applicato il principio dell’espropriazione indiretta e legittimata l’acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la certezza giuridica per quanto riguarda la privazione del terreno non prima del 12 gennaio 2004, data in cui la sentenza della Corte d’appello di Palermo è divenuta definitiva.
  4. La Corte osserva poi che la situazione in causa ha consentito all’amministrazione di trarre vantaggio da una occupazione di terreno illegittima. In altre parole, l’amministrazione ha potuto appropriarsi del terreno in violazione delle norme che disciplinano l’espropriazione in debita forma.
  5. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza in causa sia incompatibile con il principio di legalità e che abbia pertanto violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.
  6. Di conseguenza, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

  1. I ricorrenti lamentano una mancanza di equità della procedura e sostengono che non hanno potuto essere indennizzati sulla base del valore venale del terreno a causa dell’applicazione della legge n. 662 del 1996, entrata in vigore mentre il procedimento era ancora in corso.
  2. Essi invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che nelle sue parti pertinenti recita:
    «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia trattata equamente (...) da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»
  3. La Corte osserva che questo motivo di ricorso è legato a quello esaminato sopra e deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
  4. La Corte ha appena constatato, dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che la situazione denunciata dai ricorrenti non è conforme al principio di legalità. Tenuto conto dei motivi che hanno condotto a tale constatazione di violazione, essa ritiene di non dover esaminare separatamente se vi sia stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 6 § 1 (si vedano Macrì e altri c. Italia, sopra citata, § 49; Rivera e di Bonaventura c. Italia, sopra citata, § 30; Iandoli c. Italia, n. 67992/01, 14 giugno 2011; Velocci c. Italia, n. 717/03, 18 marzo 2008; Farina c. Italia, n. 75259/01, 17 maggio 2011).

IV.  SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

  1. I ricorrenti invocano anche l’articolo 17 della Convenzione, senza tuttavia produrre elementi a sostegno della loro doglianza.
  2. Di conseguenza, la Corte ritiene che quest’ultima debba essere dichiarata irricevibile in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35, §§ 3 e 4 della Convenzione.

V.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno materiale

  1. I ricorrenti chiedono una somma corrispondente alla differenza tra il valore venale del terreno e l’ammontare dell’indennizzo corrisposto a livello nazionale, da rivalutare. A loro avviso, questo importo dovrebbe essere calcolato sulla base del valore attuale del terreno. Chiedono, inoltre, il versamento di 297.421 EUR per il mancato godimento del terreno, 1.050.000 EUR a titolo di plusvalenza derivante dalla costruzione dell’opera pubblica e 1.514.213 EUR per il mancato godimento degli immobili edificati sul terreno da parte dell’amministrazione. Infine, chiedono la somma di 29.080 EUR per la perdita di chance.
  2. Il Governo si oppone a queste richieste.
  3. La Corte rammenta che nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], sopra citata, la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte sui criteri di indennizzo nei casi di espropriazione indiretta, stabilendo che l’indennizzo concesso deve corrispondere al valore integrale del terreno al momento della perdita della proprietà, accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice competente nel corso della procedura interna. Inoltre, una volta dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, tale importo deve essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione e maggiorato di interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo che è trascorso dallo spossessamento dei terreni. Infine, occorre valutare la perdita di chance eventualmente subita dagli interessati.
  4. Nel caso di specie, secondo i giudici nazionali, i ricorrenti hanno perso la proprietà del loro terreno il 18 giugno 1986. Risulta dalla sentenza della corte d’appello di Palermo che il valore del terreno a tale data era di 45,45 EUR al metro quadrato, per un totale di 167.710,50 EUR (paragrafo 13 supra). Tenuto conto di questi elementi, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, 323.800 EUR, più gli importi eventualmente dovuti a titolo di imposta su tale somma.
  5. Per quanto riguarda la perdita di chance subita a seguito dell’espropriazione, la Corte ritiene che occorra prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità del terreno nel periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (16 luglio 1980) fino al momento della perdita della proprietà (18 giugno 1986). Dall’importo così calcolato sarà dedotta la somma già ottenuta dai ricorrenti a livello interno a titolo di indennità di occupazione. La Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 2.500 EUR.

B.  Danno morale

  1. I ricorrenti chiedono 100.000 EUR ciascuno per il danno morale.
  2. Il Governo si oppone a queste richieste.
  3. La Corte ritiene che il senso di impotenza e di frustrazione per l’espropriazione illegittima del loro bene abbia causato ai ricorrenti un danno morale cui si deve porre rimedio adeguatamente.
  4. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, e decidendo in via equitativa la Corte assegna ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 5.000 EUR a titolo di danno morale.

C.  Spese

  1. Producendo i relativi documenti giustificativi i ricorrenti chiedono inoltre il rimborso di 90.000 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo si oppone a queste richieste.
  3. La Corte non dubita che sia stato necessario sostenere delle spese, ma ritiene eccessiva la somma richiesta.
  4. Tenuto conto delle circostanze del caso, la Corte ritiene ragionevole concedere un importo di 5.000 EUR per tutte le spese sostenute dai ricorrenti.

D.  Interessi moratori

  1. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta la domanda di cancellazione del ricorso dal ruolo;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi relativi all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e all’articolo 6 § 1 della Convenzione, e irricevibile per il resto;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  4. Dichiara non doversi esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, congiuntamente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 326.300 EUR (trecentoventiseimilatrecento euro) più l’importo eventualmente dovuto per il danno materiale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto per il danno morale;
      3. 5 000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 9 febbraio 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto    

Mirjana Lazarova Trajkovska
Presidente