Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 maggio 2018 - Ricorso n. 29923/13 - Causa Anna Maria Cristaldi contro l’Italia

© Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 29923/13
Anna Maria CRISTALDI
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 22 maggio 2018 in un comitato composto da:
Kristina Pardalos, presidente,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 19 aprile 2013,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenute e quelle presentate in risposta dalla ricorrente,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1.  La ricorrente, la sig.ra Anna Maria Cristaldi, è una cittadina italiana nata nel 1963 e residente ad Aci Castello. È stata rappresentata dinanzi alla Corte dall’avv. A. Cariola del foro di Catania.
2.  Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

A.  Le circostanze del caso di specie

3.  La ricorrente è un magistrato presso il tribunale di Catania.
4.  È stata in congedo di maternità obbligatorio dal 22 aprile 2003 al 22 settembre 2003.
5.  In una data non precisata il dipartimento provinciale del ministero dell’Economia chiese alla ricorrente la restituzione di una somma di 4.105 euro (EUR) corrispondente all’indennità giudiziaria speciale percepita dall’interessata durante il suo congedo di maternità. In effetti, tale indennità è relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale e l’articolo 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981 escludeva il diritto a tale indennità durante il congedo di maternità obbligatorio.
6.  Tale disposizione fu modificata dall’articolo 1, comma 325, della legge finanziaria per il 2005 del 30 dicembre 2004. A partire dal 1° gennaio 2005, data di entrata in vigore di detta legge, ai magistrati ordinari è stato riconosciuto il beneficio dell’indennità giudiziaria speciale anche durante il congedo di maternità obbligatorio.
7.  In una data non precisata, la ricorrente contestò la domanda di restituzione dinanzi al tribunale amministrativo di Catania («il TAR»).
8.  Quest’ultimo, osservando che la legge in contestazione era stata modificata il 1° gennaio 2005, sollevò una questione di legittimità costituzionale al fine di valutare la compatibilità della disposizione sopra citata con l’articolo 3 della Costituzione che sancisce il divieto della discriminazione.
9.  Con una decisione emessa il 3 luglio 2006, la Corte costituzionale, considerando come manifestamente priva di fondamento la questione della conformità con la Costituzione italiana dell’articolo 3, c. 1, della legge n. 27 del 1981 in quanto tale disposizione escludeva il diritto all’indennità giudiziaria speciale durante il congedo di maternità obbligatorio, rigettò la questione sollevata dal TAR. A questo proposito, la Corte costituzionale dichiarò che la versione modificata dell’articolo 3, c. 1, della legge n. 27 del 1981 non fosse applicabile in maniera retroattiva, e ritenne inoltre che si trattasse di una indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nell’esercizio della loro attività professionale, in considerazione del fatto che la stessa indennità non è dovuta nemmeno ai magistrati in congedo straordinario o in congedo speciale o facoltativo per qualsiasi motivo.
10.  Con una sentenza emessa il 13 gennaio 2009 il TAR, tenuto conto della decisione della Corte costituzionale, rigettò il ricorso della ricorrente, sottolineando in particolare che il diritto all’indennità ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 27 del 1981 doveva essere riconosciuto alle donne magistrato durante i congedi di maternità obbligatori solo a partire dal 1° gennaio 2005, e che la legge entrata in vigore in tale data non poteva essere applicata in maniera retroattiva. Aggiunse che non vi era, nel caso di specie, alcuna discriminazione fondata sul sesso in quanto tutti i magistrati in congedo speciale perdono il diritto di ricevere l’indennità in questione.
11.  La ricorrente adì il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia.
12.  Con una sentenza emessa il 30 maggio 2012, la suddetta giurisdizione rigettò il ricorso della ricorrente. Anzitutto, osservò che l’indennità speciale era legata all’esercizio dell’attività professionale: anche in caso di assenza per malattia l’indennità non era dovuta.
13.  Il Consiglio affermò in particolare che non vi era incompatibilità della disposizione in questione con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) tenuto conto della situazione specifica nella quale si trovava la donna in congedo obbligatorio di maternità, e rammentò che, secondo la giurisprudenza della CGUE, le donne che beneficiano di un congedo di maternità previsto dalla legislazione nazionale si trovano in una situazione specifica che esige che sia accordata una protezione speciale, ma che non può essere assimilata a quella di un uomo né a quella di una donna che occupa effettivamente il suo posto di lavoro. Il Consiglio concluse che non era necessario presentare alla CGUE un rinvio pregiudiziale.

B.  Il diritto interno pertinente

14.  L’articolo 3, c. 1, della legge n. 27 relativa alle prestazioni in favore del personale della magistratura del 19 febbraio 1981 prevede il versamento di una indennità giudiziaria speciale in favore dei magistrati ordinari italiani, relativa agli oneri da essi sostenuti nell’esercizio della loro attività professionale.
15.  Fino al 31 dicembre 2004 i magistrati ordinari in congedo di maternità obbligatorio erano privati del beneficio di questa indennità. A questo proposito, l’articolo 3, c. 1, della legge n. 27 del 1981 era così formulato:
«Fino all'approvazione di una nuova disciplina del trattamento economico del personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, è istituita a favore dei magistrati ordinari, in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività, a decorrere dal 1° luglio 1980, una speciale indennità non pensionabile, pari a L. 4.400.000 annue, da corrispondersi in ratei mensili con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di assenza obbligatoria o facoltativa previsti negli articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa.»
16.  Questa disposizione è stata modificata dall’articolo 1, c. 325, della legge finanziaria per il 2005 del 30 dicembre 2004. Tale articolo ha esteso il beneficio dell’indennità giudiziaria speciale ai magistrati ordinari in congedo di maternità obbligatorio. La legge suddetta è entrata in vigore il 1° gennaio 2005.
17.  Il decreto presidenziale n. 3 del 1957, intitolato «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato» prevede che la dipendente in congedo di maternità ha diritto al pagamento di tutte le indennità ad eccezione di quelle per servizi e funzioni di carattere speciale (..).
18.  Il decreto legislativo n. 151 del 2001 recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità prevede, nel suo articolo 1, che le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità obbligatorio.

C.  Il diritto dell’Unione Europea

19.  Il 14 luglio 2016, la CGUE, nella causa Ornano contro il Ministero della Giustizia (sentenza C-335/15), ha affermato che le lavoratrici non possono invocare il beneficio delle disposizioni dell’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85/CEE per rivendicare il mantenimento, durante il congedo di maternità, della loro retribuzione integrale, come se fossero effettivamente presenti sul posto di lavoro, al pari degli altri lavoratori. Secondo la CGUE, occorre dunque distinguere la nozione di «retribuzione» di cui all’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva 92/85/CEE dalla nozione di «retribuzione integrale» percepita quando la lavoratrice è effettivamente presente sul posto di lavoro e che, eventualmente, comprende la speciale indennità giudiziaria, la quale è correlata agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale. Quando una lavoratrice è assente dal lavoro perché fruisce di un congedo di maternità, la tutela minima imposta dall’articolo 11, punti 2 e 3, della direttiva suddetta non comporta, quindi, il mantenimento integrale della retribuzione dell’interessata. Risulta da detta giurisprudenza che il mero fatto che un magistrato donna ordinario non benefici della speciale indennità giudiziaria durante un periodo di congedo di maternità obbligatorio, a differenza dei colleghi di sesso maschile in attività, non costituisce una discriminazione basata sul sesso, ai sensi dell’articolo 119 del trattato CE (divenuto articolo 141 CE) e dell’articolo 1 della direttiva 75/117/CEE.

MOTIVO DI RICORSO

20.  Invocando l’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, la ricorrente lamenta di avere subito una discriminazione.

IN DIRITTO

21.  La ricorrente afferma che essere stata privata dell’indennità giudiziaria speciale durante il congedo di maternità costituisce una discriminazione indiretta basata sul sesso, in violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1. Queste disposizioni sono così formulate:
Articolo 14
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
Articolo 1 del Protocollo n. 1
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

A.  Tesi delle parti

22.  Il Governo contesta questa tesi. Per quanto riguarda la doglianza relativa all’articolo 14 della Convenzione, esso sostiene che non vi è stata discriminazione in quanto la legge vigente all’epoca dei fatti prevedeva che tutti i magistrati perdevano il diritto di ricevere l’indennità in questione durante i periodi di assenza per congedo straordinario, congedo per qualsiasi motivo, astensione obbligatoria o facoltativa.
23.  Inoltre, il Governo dichiara che non vi è incompatibilità con la giurisprudenza comunitaria, data la «situazione specifica» nella quale si trova la donna in congedo obbligatorio di maternità, situazione che esige che le sia accordata una protezione speciale, ma che non può essere assimilata a quella di un uomo né a quella di una donna che occupa effettivamente il suo posto di lavoro.
24.  Il Governo conclude che la legge vigente all’epoca dei fatti non era discriminatoria.
25.  Considerato il motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il Governo espone che la ricorrente non l’ha mai sollevato, neppure sostanzialmente, dinanzi ai giudici nazionali, e che pertanto esso dovrebbe essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
26.  La ricorrente argomenta che è stata vittima di una discriminazione fondata sul sesso, e indica che la legge è stata modificata al fine di porre rimedio a tale discriminazione.
27.  La ricorrente afferma che l’indennità giudiziaria, che è la stessa per tutti i magistrati, rappresenta il 27% dello stipendio delle giovani donne magistrato e sostiene che la legge vigente all’epoca ha prodotto l’effetto di privarla di un terzo del suo stipendio. Essa ritiene di essere stata discriminata in quanto i suoi redditi non sarebbero diminuiti se fosse stata del sesso opposto.

B.  Valutazione della Corte

1.  Sulla questione di stabilire se i fatti di causa rientrino nelle previsioni dell’articolo 1 del Protocollo n. 1

28.  La Corte rammenta che l’articolo 14 della Convenzione non fa altro che completare le clausole normative della Convenzione e dei suoi Protocolli. Il divieto della discriminazione sancito dall’articolo 14 della Convenzione prevale dunque sul godimento dei diritti e delle libertà che la Convenzione e i suoi Protocolli impongono a ciascuno Stato di garantire, e si applica anche ai diritti addizionali, nella misura in cui questi rientrano nel campo di applicazione generale di uno degli articoli della Convenzione, che lo Stato ha volontariamente deciso di tutelare. È necessario, ma sufficiente, che i fatti di causa rientrino «nella sfera di azione» di almeno uno degli articoli della Convenzione (si vedano, tra molte altre, Koua Poirrez c. Francia, n. 40892/98, § 36, CEDU 2003 X, e Andrejeva c. Lettonia [GC], n. 55707/00, § 74, CEDU 2009).
29.  Nella presente causa, è dunque opportuno stabilire se la doglianza della ricorrente relativa all’impossibilità di ottenere l’indennità giudiziaria speciale durante il congedo obbligatorio di maternità rientri nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
30.  La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione non impone agli Stati di instaurare un regime di previdenza sociale o pensionistico (Stec e altri c. Regno Unito (dec.) [GC], nn. 65731/01 e 65900/01, § 54, CEDU 2005 X, e Carson e altri c. Regno Unito [GC], n. 42184/05, § 64, CEDU 2010), ma che, dal momento che uno Stato contraente adotta una legislazione che prevede il versamento automatico di una prestazione sociale – a prescindere dal fatto che la concessione di tale prestazione dipenda o meno dal versamento automatico di contributi –, si considera che tale legislazione faccia sorgere un interesse patrimoniale che rientra nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in capo alle persone che soddisfano tali requisiti (Şerife Yiğit c. Turchia [GC], n. 3976/05, § 56, 2 novembre 2010).
31.  La Corte ha affermato che, se l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione non sancisce, in quanto tale, un qualsivoglia diritto a una pensione di un determinato importo, una riduzione dell’importo di un assegno o la soppressione di quest’ultimo può costituire un pregiudizio a un bene, che deve essere giustificato; essa ha tuttavia precisato che, quando l’interessato non soddisfa o cessa di soddisfare i requisiti fissati dal diritto interno per la concessione di una determinata forma di prestazione o di pensione, non vi è violazione dei diritti derivanti dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Béláné Nagy c. Ungheria [GC], n. 53080/13, §§ 84 e 86, CEDU 2016). Nella causa Stec e altri (decisione sopra citata), la Corte ha dichiarato che un diritto a una prestazione sociale non contributiva rientrava nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. In casi analoghi a quello presente, in cui dei ricorrenti formulano, dal punto di vista dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, una doglianza secondo la quale sono stati privati, in tutto o in parte e per uno dei motivi discriminatori previsti dall’articolo 14, di una determinata prestazione, il criterio pertinente consiste nel cercare di stabilire se, in assenza della condizione in questione, agli interessati sarebbe stato riconosciuto il diritto, sanzionabile dinanzi ai tribunali interni, di percepire la prestazione in causa. Se il Protocollo n. 1 alla Convenzione non comporta un diritto di percepire delle prestazioni sociali, di qualsiasi tipo, quando uno Stato decide di creare un regime di prestazioni, deve farlo in maniera compatibile con l’articolo 14 (Stec e altri, sopra citata, § 55).
32.  Nella fattispecie, la Corte osserva che la legislazione italiana applicabile nel settore pubblico (decreto presidenziale n. 3 del 1957 intitolato «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato», in combinato disposto con il decreto legislativo n. 151 del 2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) (paragrafi 17 e 18 supra) prevede che la lavoratrice percepisce una retribuzione integrale durante il congedo di maternità obbligatorio di cinque mesi. Di conseguenza, la Corte è del parere che i fatti rientrino nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

2.  Sulla natura della dedotta discriminazione

33.  Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, la discriminazione consiste nel trattare in maniera diversa, salvo giustificazione oggettiva e ragionevole, persone poste in situazioni equiparabili (Willis c. Regno Unito, n. 36042/97, § 48, CEDU 2002 IV, e Okpisz c. Germania, n. 59140/00, § 33, 25 ottobre 2005). Tuttavia, l’articolo 14 non vieta a uno Stato membro di trattare dei gruppi in maniera differenziata per correggere delle «ineguaglianze di fatto» tra gli stessi; in alcune circostanze, è anche l’assenza di un trattamento differenziato per correggere una ineguaglianza che può, senza una giustificazione oggettiva e ragionevole, comportare una violazione della disposizione in questione (Causa «relativa ad alcuni aspetti del regime linguistico dell’insegnamento in Belgio» c. Belgio (merito), 23 luglio 1968, p. 34, § 10, serie A n. 6; Thlimmenos c. Grecia [GC], n 34369/97, § 44, CEDU 2000-IV; e Stec e altri c. Regno Unito [GC], n. 65731/01, § 51, CEDU 2006 VI). La Corte ha anche ammesso che poteva essere considerata discriminatoria una politica o una misura generale che abbia effetti pregiudizievoli sproporzionati su un gruppo di persone, anche se non riguarda specificamente tale gruppo (Hugh Jordan c. Regno Unito, n. 24746/94, § 154, 4 maggio 2001), e che una discriminazione potenzialmente contraria alla Convenzione poteva risultare da una situazione di fatto (Zarb Adami c. Malta, n. 17209/02, § 76, CEDU 2006 VIII).
34.  Gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per determinare se e in quale misura delle differenze tra situazioni per altri versi analoghe giustifichino delle disparità di trattamento (Gaygusuz c. Austria, 16 settembre 1996, § 42, Recueil 1996 IV). L’ampiezza del margine di apprezzamento varia a seconda delle circostanze, degli ambiti e del contesto (Rasmussen c. Danimarca, 28 novembre 1984, § 40, serie A n. 87, e Inze c. Austria, 28 ottobre 1987, § 41, serie A n. 126), ma spetta alla Corte decidere in ultima istanza sul rispetto delle esigenze della Convenzione. Essendo quest’ultima anzitutto un meccanismo di tutela dei diritti dell’uomo, la Corte deve tuttavia tenere conto dell’evoluzione della situazione negli Stati contraenti e reagire, ad esempio, al consenso che può manifestarsi per quanto riguarda le norme su cui intervenire (Stec e altri, sopra citata, §§ 63-64, Ünal Tekeli c. Turchia, n. 29865/96, § 54, CEDU 2004 X (estratti) e, mutatis mutandis, Stafford c. Regno Unito [GC], n. 46295/99, § 68, CEDU 2002 IV).
35.  La Corte rammenta inoltre che il progresso verso la parità dei sessi è un obiettivo importante per gli Stati membri del Consiglio d’Europa e che solo considerazioni molto forti possono portare a ritenere compatibile con la Convenzione una disparità di trattamento a questo riguardo (Konstantin Markin, c. Russia [GC], n. 30078/06, § 127, CEDU 2012 (estratti), Burghartz c. Svizzera, 22 febbraio 1994, § 27, serie A n. 280 B). In particolare, dei riferimenti alle tradizioni, dei presupposti di ordine generale o delle attitudini sociali maggioritarie in atto in un determinato paese non bastano a giustificare una disparità di trattamento basata sul sesso.
36.  D’altra parte, un’ampia libertà viene solitamente lasciata allo Stato quando si tratta, ad esempio, di adottare misure di ordine generale in materia economica o sociale (Stec e altri, sopra citata, § 52, e Hämäläinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, § 109, CEDU 2014).
37.  Per quanto riguarda l’onere della prova in materia, la Corte ha già enunciato che, quando un ricorrente ha stabilito che sussiste una disparità di trattamento tra persone che si trovano in situazioni equiparabili, spetta al Governo dimostrare che tale disparità era giustificata (si vedano, ad esempio, Chassagnou e altri c. Francia [GC], n. 25088/94, 28331/95 et 28443/95, §§ 91-92, CEDU 1999 III; Timichev c. Russia, nn. 55762/00 e 55974/00, § 57, CEDU 2005 XII). Quanto alla dedotta discriminazione indiretta, il ricorrente deve dunque fornire la prova di effetti pregiudizievoli sproporzionati su un gruppo determinato, facendo così nascere una presunzione di discriminazione indiretta; spetta poi allo Stato convenuto confutare tale presunzione dimostrando che la disparità di trattamento è il risultato di fattori oggettivi non legati al fattore indicato dal ricorrente (D.H. e altri c. Repubblica ceca [GC], n. 57325/00, § 188, 189 e 195, CEDU 2007 IV; si veda anche Oršuš e altri c. Croazia [GC], n. 15766/03, § 152, CEDU 2010).
38.  Nel caso di specie, la Corte osserva, in primo luogo, che la legge vigente all’epoca prevedeva che l’indennità giudiziaria speciale non fosse dovuta in caso di congedi straordinari, di congedi speciali per qualsiasi motivo, di astensione obbligatoria o facoltativa o di aspettativa per altri motivi, e prende atto che la ricorrente lamenta in sostanza di non aver potuto conservare il diritto ai premi riconducibili al suo status professionale.
39.  Come la Corte ha rammentato in precedenza (paragrafo 33 supra) affinché si ponga un problema rispetto all’articolo 14 della Convenzione deve esserci una disparità di trattamento tra persone che si trovano in situazioni analoghe o equiparabili, tenuto conto degli elementi caratteristici della loro situazione nel contesto determinato. Ora, nel contesto specifico del caso di specie, la Corte ritiene che, dato lo scopo e le condizioni dell’indennità in questione, la situazione della ricorrente fosse caratterizzata dal fatto che, nel periodo interessato, non esercitava le sue funzioni giudiziarie. La sua situazione non era dunque equiparabile a quella dei suoi colleghi, uomini o donne, che esercitavano effettivamente le loro funzioni. Per quanto riguarda il fatto che la sua assenza fosse dovuta alla sua maternità e, dunque, legata al suo sesso, la Corte osserva che, secondo i giudici nazionali, l’indennità in questione era destinata a compensare gli oneri che i magistrati ordinari devono sostenere nell’esercizio della loro attività professionale. La Corte ritiene dunque che, in questo contesto, anche tenendo conto che si trattava di un congedo di maternità, la situazione della ricorrente fosse caratterizzata dal mancato esercizio delle funzioni. La disposizione contestata non operava dunque distinzioni sulla base del sesso.
40.  Di conseguenza, la Corte ritiene che sia opportuno esaminare se ci si trovi, nel caso di specie, in presenza di una discriminazione «indiretta».
41.  La Corte rammenta di avere già affermato che il congedo di maternità mira a permettere alla madre di riprendersi dal parto e di allattare il neonato se lo desidera, e dunque per la sua stessa natura è specifico delle donne e legato al sesso femminile e pertanto le donne e gli uomini non si trovano in una situazione analoga (Konstantin Markin, sopra citata, § 132).
42.  La Corte osserva, dopo un’analisi attenta di detta legge, che l’indennità giudiziaria speciale di cui la ricorrente ha richiesto il beneficio era subordinata a una condizione inerente all’esercizio effettivo delle funzioni giudiziarie. Come è stato sottolineato dai giudici nazionali, l’indennità in questione era destinata a compensare gli oneri che i magistrati ordinari incontrano nell’esercizio della loro attività professionale. Essa osserva anche che la ricorrente lamenta di avere perso una parte importante del suo stipendio a causa di un’astensione obbligatoria dall’esercizio delle sue funzioni, legata alla maternità.
43.  Ora, per quanto riguarda la questione di stabilire se l’esclusione dell’indennità giudiziaria speciale durante l’assenza dal servizio, compreso il congedo obbligatorio di maternità, che impone delle assenze specifiche legate al sesso femminile, sfavorisca particolarmente le donne rispetto agli uomini, la Corte osserva che la ricorrente ha beneficiato di un congedo di maternità di cinque mesi (dal 22 aprile 2003 al 22 settembre 2003). Durante questo periodo, a differenza dei suoi colleghi, uomini e donne, che lavoravano a tempo pieno e dovevano sostenere gli oneri legati all’esercizio delle loro funzioni giudiziarie, la ricorrente ha continuato a percepire il suo stipendio ad eccezione dell’indennità speciale.
44.  La Corte rammenta nuovamente che lo scopo e le condizioni dell’indennità erano legate all’esercizio effettivo delle funzioni giudiziarie e ritiene dunque che, in questo particolare contesto, la perdita di detta indennità speciale durante l’assenza dal lavoro, indipendentemente dal tipo di assenza, non sarebbe di natura tale da causare una perdita reale per l’interessata.
45.  Del resto, la Corte osserva che la ricorrente non ha prodotto elementi aventi valore di prova del fatto che essa abbia subito un reale effetto discriminatorio.
46.  Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte conclude che non vi è stata discriminazione contraria all’articolo 14 della Convenzione. Di conseguenza, il ricorso è manifestamente infondato e deve essere respinto, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.
Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 14 giugno 2018.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Kristina Pardalos
Presidente