Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 gennaio 2018 - Ricorso n. 31031/16 - Causa M.K. contro l’Italia

© Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, traduzione eseguita Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 31031/16

M.K.
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 16 gennaio 2018 in un comitato composto da:
Kristina Pardalos, presidente,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 2 giugno 2016,
Vista la misura provvisoria indicata al governo convenuto in virtù dell’articolo 39 del regolamento della Corte,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

Il ricorrente, il sig. M.K., è un cittadino russo nato nel 1984 e residente a Udine. Il presidente della sezione ha accolto la richiesta di non divulgare la sua identità formulata dal ricorrente (articolo 47 § 4 del regolamento). Dinanzi alla Corte egli è stato rappresentato dall’avvocato O. Fiore, del foro di Torino.
Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

A.  Le circostanze del caso di specie

I fatti di causa, così come sono stati esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
1.  Esposizione del ricorrente in merito ai fatti accaduti in Russia prima del 2015
Il ricorrente è un cittadino russo di origine cecena. Nel 2008 divenne muezzin della moschea di Katayama, a Grozny.
Nella primavera dello stesso anno, a seguito di un attentato dinamitardo commesso nei pressi di questa moschea, che aveva provocato la morte di sette militari, diversi giovani che frequentavano la moschea, fra cui il ricorrente, furono arrestati e torturati dai militari russi. Il ricorrente lasciò poi la città di Grozny e si rifugiò nella regione della Cabardino-Balcaria.
Pochi giorni dopo, tornato a Grozny per il funerale di suo padre, fu arrestato dai militari e interrogato sotto tortura. Fu rilasciato dopo tre giorni grazie all'intervento della polizia, che avrebbe constatato l'assenza di una sua responsabilità nell'attentato in questione e chiuso il caso. I soldati vicini al presidente ceceno, presumibilmente convinti del suo coinvolgimento nell'attentato e contrari al suo rilascio, avevano minacciato di ritrovarlo per ucciderlo.
Ferito gravemente, il ricorrente si rifugiò per due settimane nella regione della Cabardino-Balcaria per curarsi. Poi, temendo per la sua vita, decise di lasciare la Federazione russa.
Dopo aver vissuto in Belgio e in Germania e aver inutilmente presentato domande di asilo in questi paesi, il ricorrente arrivò in Italia nel 2015.
2.  Per quanto riguarda i fatti accaduti in Italia
Il ricorrente presentò una domanda di asilo alle autorità italiane. Il 10 aprile 2015 fu sentito dalla Commissione Territoriale di Gorizia per il Riconoscimento della Protezione Internazionale («la commissione territoriale»). Il ricorrente raccontò i fatti accaduti in Russia nel 2008, senza tuttavia presentare alcun documento a sostegno delle sue affermazioni, dichiarando che tutti i documenti utili si trovavano in Belgio.
Con decisione del 13 aprile 2015, la commissione territoriale si rifiutò di riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato, ma gli concesse un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria ai sensi del decreto legislativo n. 251 del 2007, nonché un titolo di viaggio.
La commissione territoriale ritenne che le dichiarazioni del ricorrente apparissero credibili quanto alla situazione di pericolosità esistente nella sua regione di provenienza. Tuttavia, considerò che i fatti riferiti dal ricorrente non giustificassero la concessione dello status di rifugiato in quanto le autorità russe avrebbero riconosciuto l’assenza di una sua responsabilità nell'attentato e il ricorrente non avrebbe fornito informazioni sugli sviluppi del caso che potessero giustificare i suoi timori di persecuzione da parte delle autorità. Tuttavia, riconobbe che, alla luce dei rapporti presentati dalle organizzazioni internazionali sulle sistematiche violazioni dei diritti umani nella regione cecena, vi era motivo di temere che, in caso di rimpatrio, il ricorrente corresse il rischio, tenuto conto del suo profilo, di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti.
Con decisione del 13 aprile 2016, la commissione territoriale revocò la protezione sussidiaria del ricorrente, in quanto da una nota del 5 aprile 2016 della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione risultava che egli era sospettato di appartenere ad un'organizzazione islamica legata alla moschea «Al Salam» di Udine e che costituiva una minaccia per la sicurezza nazionale. Il testo della nota non è stato fornito.
Con decreto del 12 maggio 2016, il questore di Udine annullò il permesso di soggiorno accordato al ricorrente per protezione sussidiaria.
Il 27 maggio 2016 il prefetto di Roma adottò un decreto di espulsione nei confronti del ricorrente. Lo stesso giorno, il questore di Roma responsabile dell'esecuzione di tale decreto ordinò il trasferimento del ricorrente presso il centro di identificazione ed espulsione Brunelleschi di Torino. Il 30 maggio 2016 il giudice di pace di Torino convalidò il decreto di espulsione.
Il 2 giugno 2016 il ricorrente inviò alla Corte una domanda di misura provvisoria sulla base dell’articolo 39 del suo regolamento. Lo stesso giorno, il giudice di turno fece sapere al governo italiano, in applicazione della disposizione sopra citata, che era auspicabile che il ricorrente non fosse rimpatriato nella Federazione russa prima dell'esito della procedura dinanzi alla Corte.
L'8 giugno 2016 il ricorrente presentò un ricorso al tribunale di Torino avverso la decisione del 13 aprile 2016 con la quale la Commissione territoriale aveva revocato la misura di protezione sussidiaria nei suoi confronti.
Nel frattempo, il ricorrente aveva impugnato anche la decisione di trattenimento nel centro di identificazione e di espulsione adottata nei suoi confronti. Il 13 giugno 2016 il tribunale accolse questo ricorso e ordinò la liberazione del ricorrente.
Il 14 giugno 2016, il questore applicò al ricorrente delle misure alternative al trattenimento, ossia l'obbligo di risiedere nella città di Udine e di presentarsi quotidianamente all'ufficio di polizia, nonché la restituzione del suo passaporto.
Il 23 giugno 2016 il ricorrente presentò un ricorso anche avverso il decreto di espulsione del 27 maggio 2016. Il 7 novembre 2016 il giudice di pace di Roma rinviò la discussione della causa al 3 aprile 2017 e poi al 25 settembre 2017, nell’attesa dell’esito del ricorso presentato dal ricorrente dinanzi alla Corte.
3.  Per quanto riguarda i fatti avvenuti dopo la comunicazione del ricorso
Con decisione del 19 settembre 2017, il tribunale di Torino accolse il ricorso proposto dal ricorrente avverso la decisione di revoca della protezione sussidiaria. In primo luogo, esso ritenne che la commissione territoriale non avesse valutato in modo autonomo e approfondito le informazioni trasmesse dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione prima di decidere in merito alla protezione sussidiaria del ricorrente. Peraltro, le suddette informazioni non permettevano di considerare che il ricorrente costituisse una minaccia per la sicurezza nazionale. Di conseguenza, il tribunale annullò la decisione della commissione territoriale del 13 aprile 2016 e dichiarò che il ricorrente aveva diritto al beneficio della protezione internazionale sussidiaria.
Poiché il Ministero dell’Interno ha interposto appello avverso questa decisione, il procedimento è attualmente pendente dinanzi alla corte d’appello di Torino.
Il 24 ottobre 2017 il giudice di pace di Roma, avendo preso atto della suddetta decisione del tribunale di Torino, accolse il ricorso del ricorrente del 23 giungo 2016 e annullò il decreto di espulsione nei suoi confronti.

B.  Il diritto interno pertinente

Secondo l’articolo 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998, il decreto di espulsione può essere impugnato dinanzi al giudice di pace entro trenta giorni a decorrere dalla data della sua notifica. L’avvio del ricorso non sospende l’esecuzione del decreto d’espulsione.
La decisione del giudice di pace non è soggetta ad impugnazione.

MOTIVO DI RICORSO

Il ricorrente sostiene che il rimpatrio in Russia lo esporrebbe al rischio di subire trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione ed invoca questo articolo.

IN DIRITTO

In via preliminare, la Corte deve esaminare se i nuovi fatti portati a sua conoscenza dopo la comunicazione del ricorso non debbano indurla a concludere che la controversia sia ormai risolta o che non sia più giustificato continuare l’esame del ricorso per altri motivi e che, pertanto, il ricorso possa essere cancellato dal ruolo della Corte in applicazione dell’articolo 37 § 1 della Convenzione (si veda Khan c. Germania [GC], n. 38030/12, §§ da 31 a 42, 21 settembre 2016).Questa disposizione è formulata come segue:
«In ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere:
a) che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure
b) che la controversia è stata risolta; oppure
c) che per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata.
Tuttavia la Corte prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli lo imponga.»
La Corte osserva che il decreto di espulsione nei confronti del ricorrente è stato annullato da una decisione che è definitiva in quanto non è soggetta ad appello secondo il diritto nazionale. La misura dell’allontanamento è stata pertanto privata di qualsiasi fondamento giuridico e il ricorrente non rischia di essere rimpatriato in Russia.
Tuttavia, la Corte constata che le autorità italiane hanno impugnato la decisione del tribunale di Torino allo scopo di far revocare la protezione sussidiaria concessa al ricorrente. Ora, nell’ipotesi in cui il ricorrente perdesse il beneficio dello status conferito dalla protezione sussidiaria, e rischiasse di essere allontanato verso la Russia, egli avrà la possibilità, eventualmente, di presentare un nuovo ricorso dinanzi alla Corte, compresa la possibilità di chiedere provvedimenti provvisori ai sensi dell’articolo 39 del regolamento.
Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che, conformemente all’articolo 37 § 1 c) della Convenzione, non sia più giustificato proseguire l’esame del ricorso. Constata, inoltre, che nessun motivo particolare che leda il rispetto dei diritti umani garantiti dalla Convenzione richiede la prosecuzione dell’esame del ricorso in virtù dell’articolo 37 § 1 in fine della Convenzione.
Pertanto, la Corte conclude che si debba cancellare la causa dal ruolo. In tal modo termina l’applicazione dell’articolo 39 del regolamento.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Decide di cancellare il ricorso dal ruolo.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto l’8 febbraio 2018.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Presidente
Kristina Pardalos