Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 1°settembre 2016 - Ricorso n. 36043/08 - Causa Huzuneanu c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA HUZUNEANU c. ITALIA

(Ricorso n. 36043/08)


SENTENZA

STRASBURGO

1° settembre 2016

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma..

Nella causa Huzuneanu c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
  • Ledi Bianku,
  • Guido Raimondi,
  • Kristina Pardalos,
  • Linos-Alexandre Sicilianos,
  • Aleš Pejchal,
  • Pauliine Koskelo, giudici,

e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 5 luglio 2016,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 36043/08) presentato contro la Repubblica italiana con cui un cittadino rumeno, il sig. Luciano Valentin Huzuneanu («il ricorrente»), ha adito la Corte il 17 luglio 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. M. Monaco, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.
  3. Il ricorrente lamenta di essere stato condannato in contumacia senza avere avuto l’opportunità di presentare la propria difesa dinanzi agli organi giudiziari italiani, in violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
  4. Il 19 ottobre 2012 il ricorso è stato comunicato al Governo. Il governo rumeno non si è avvalso del suo diritto di intervenire nella procedura (articolo 36 § 1 della Convenzione).
  5. Il Governo ha depositato delle osservazioni sulla ricevibilità e sul merito del ricorso. Il ricorrente non ha depositato osservazioni; tuttavia, ha comunicato che desiderava che l’esame della causa proseguisse.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

  1. Il ricorrente è nato nel 1973 ed è residente in Romania.
  2. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

A.  Il procedimento penale

  1. Il 21 luglio 2001 il giudice per le indagini preliminari di Roma ordinò che il ricorrente fosse sottoposto a custodia cautelare, in quanto sospettato di omicidio intenzionale.
  2. I tentativi della polizia di trovare il ricorrente furono vani; di conseguenza il 25 luglio 2001 la polizia di Roma redasse un verbale di «vane ricerche». Non essendo stato possibile reperire il ricorrente, le autorità considerarono che questi si fosse volontariamente sottratto alla giustizia e, il 27 luglio 2001, lo dichiararono latitante.
  3. Non essendo stato possibile notificare al ricorrente l’invito a nominare un difensore di fiducia, le autorità nominarono un avvocato d’ufficio, che fu informato del rinvio a giudizio del cliente e della data dell’udienza dinanzi alla corte d’assise di Roma. Il ricorrente era assente e fu giudicato in contumacia. L’avvocato partecipò al dibattimento. Gli atti processuali furono notificati soltanto a quest’ultimo.
  4. Con una sentenza emessa il 15 marzo 2004 la corte d’assise di Roma riconobbe il ricorrente colpevole e lo condannò a ventotto anni di reclusione.
  5. L’avvocato nominato d’ufficio interpose appello avverso la sentenza.
  6. Il 13 ottobre 2004 la polizia redasse nuovamente un verbale di «vane ricerche», non essendo stato possibile reperire il ricorrente. L’avvocato nominato d’ufficio partecipò al procedimento di appello. Il ricorrente era assente e fu giudicato in contumacia.
  7. Con una sentenza resa il 17 gennaio 2005 la corte d’assise d’appello di Roma rigettò l’appello.
  8. L’avvocato nominato d’ufficio presentò ricorso per cassazione.
  9. Con una sentenza resa il 22 giugno 2005 la Corte di cassazione rigettò il ricorso considerandolo inammissibile, in quanto le doglianze sollevate riguardavano essenzialmente la valutazione dei fatti e degli elementi di prova.
  10. Il 23 giugno 2005 il Procuratore generale di Roma ordinò l’esecuzione della pena, e il 19 dicembre 2005 fu emesso a tal fine un mandato d’arresto internazionale.

B.  La procedura volta a ottenere un nuovo processo

  1. Nell’ottobre 2006 il ricorrente fu arrestato in Romania in esecuzione del mandato d’arresto internazionale emesso dalle autorità italiane. In seguito, in una data non precisata, fu estradato in Italia.
  2. Il 15 febbraio 2007 il ricorrente depositò una domanda di restituzione nel termine per proporre ricorso contro la sua condanna, avvalendosi dell’articolo 175 del codice di procedura penale. Argomentava che non si era sottratto volontariamente alla giustizia e che, in assenza di notificazione degli atti processuali nel suo luogo di residenza in Romania, non era stato possibile per lui avere conoscenza effettiva del procedimento penale intentato nei suoi confronti fino al momento del suo arresto. Non aveva avuto contatti con l’avvocato nominato d’ufficio e non aveva mai rinunciato al suo diritto di comparire.
  3. Con una decisione resa il 12 aprile 2007 la corte d’assise d’appello di Roma riconobbe che il ricorrente non aveva avuto conoscenza effettiva del procedimento; pertanto, non si poteva considerare che egli si fosse sottratto alla giustizia e avesse rinunciato ad assistere al processo. Di conseguenza, il ricorrente aveva diritto alla restituzione nel termine. Tuttavia, gli era consentito soltanto proporre ricorso avverso la decisione di secondo grado, in quanto l’unico ricorso che l’avvocato nominato d’ufficio non aveva esperito era quello per cassazione.
    Peraltro, la corte d’assise d’appello ordinò che il ricorrente fosse scarcerato.
  4. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Facendo riferimento alla giurisprudenza relativa all’articolo 6 della Convenzione, affermò di avere diritto a un processo sul merito e non soltanto a un ricorso per cassazione. Del resto, visto che la dichiarazione del 27 luglio 2001 con cui veniva considerato latitante era nulla, tutto il procedimento contestato successivo era nullo, compresa la decisione resa in appello.
  5. Con una sentenza emessa il 13 gennaio 2008, depositata il 7 febbraio 2008, le sezioni unite della Corte di cassazione precisarono che un condannato in contumacia perdeva il suo diritto alla restituzione nel termine per proporre opposizione se il difensore di fiducia o l’avvocato nominato d’ufficio avevano, in maniera autonoma, se non addirittura all’insaputa del loro cliente, impugnato la decisione contestata e se il giudice nazionale competente aveva già deciso in merito al loro ricorso. Le sezioni unite invocarono i principi dell’unicità del diritto di impugnare una sentenza e del ne bis in idem, sottolineando anche che la possibilità di un doppio appello (uno interposto dal difensore e l’altro dall’imputato) era in contrasto con l’esigenza del rispetto del «termine ragionevole» quando l’imputato contumace, che non è stato informato del processo, è stato rappresentato da un avvocato; se quest’ultimo ha esperito i ricorsi esistenti per impugnare la decisione di condanna, non è più possibile per l’interessato avvalersene dopo essere venuto a conoscenza della sua condanna. Di conseguenza, il ricorso del ricorrente fu respinto.
  6. La stessa questione di principio fu sottoposta alla Corte costituzionale nell’ambito di un procedimento svoltosi in contumacia nei confronti di un altro condannato. Con la sentenza n. 317 del 4 dicembre 2009, la Corte costituzionale dichiarò l’articolo 175 c. 2 del codice di procedura penale contrario alla Costituzione, nella misura in cui tale disposizione non permetteva all’imputato che non ha avuto conoscenza effettiva del procedimento di ottenere la restituzione nel termine per proporre ricorso avverso la decisione resa in contumacia quando lo stesso ricorso era stato interposto in precedenza dall’avvocato (si veda paragrafo 31 infra).
  7. Basandosi su questa sentenza della Corte costituzionale, il 14 dicembre 2009 il ricorrente depositò una domanda di restituzione nel termine.
  8. Tale domanda fu respinta l’11 febbraio 2010 dalla corte d’assise di Roma, in quanto il ricorrente era venuto a conoscenza della sua condanna il 25 gennaio 2007, il termine di trenta giorni era scaduto e il ricorrente stesso avrebbe potuto sollevare una doglianza deducendo l’incostituzionalità della disposizione contestata.
  9. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Con una decisione resa il 9 febbraio 2011, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

  1. Se il procedimento penale si è svolto in contumacia, l’articolo 175 cc. 2 e 3 del codice di procedura penale (CPP) prevede la possibilità di presentare una domanda di restituzione nel termine.
    Nella versione in vigore prima dell’arresto del ricorrente, le parti pertinenti di tale disposizione recitavano:
    «Se è stata pronunciata sentenza contumaciale (...), può essere chiesta la restituzione nel termine per proporre impugnazione od opposizione anche dall’imputato che provi di non aver avuto effettiva conoscenza [della sentenza] (...) [e] sempre che l’impugnazione non sia stata già proposta dal difensore e il fatto non sia dovuto a sua colpa ovvero, quando la sentenza contumaciale è stata notificata (...) al difensore (...), sempre che l’imputato non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento.
    La richiesta per la restituzione nel termine è presentata, a pena di decadenza, entro dieci giorni da quello in cui (…) l’imputato ha avuto effettiva conoscenza [della sentenza].»
    La giurisprudenza interna di applicazione di questa disposizione è descritta nella sentenza Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, §§ 23-24, CEDU 2006 II.
  2. Al momento dell’arresto del ricorrente era in vigore un nuovo testo di legge. In effetti la legge n. 60 del 2005, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 23 aprile 2005, ha modificato l’articolo 175 CPP. Il nuovo comma 2 di tale disposizione recita:
    «Se è stata pronunciata sentenza contumaciale (...), l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento [condotto nei suoi confronti] o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica.»
    La legge n. 60 del 2005 ha inoltre introdotto nell’articolo 175 CPP un comma 2 bis, che recita:
    «La richiesta indicata al comma 2 è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato [alle autorità italiane] (...)»
  3. L’interpretazione delle nuove disposizioni da parte della Corte di cassazione è stata oggetto della sentenza delle sezioni unite n. 6026 del 13 gennaio 2008, pronunciata nell’ambito della presente causa (si veda il paragrafo 22 supra).
  4. Nell’ambito di un altro procedimento, con un’ordinanza emessa il 2 luglio 2008 (n. 35555), la prima Sezione della Corte di cassazione ha sottoposto alla Corte costituzionale la questione di stabilire se l’interpretazione data dalle sezioni unite nella causa Huzuneanu fosse compatibile con la Costituzione, in particolare nell’ipotesi che l’appello interposto dall’avvocato d’ufficio ostacolasse la restituzione nel termine in favore del condannato in contumacia non ufficialmente informato del procedimento.
  5. Nella sua sentenza n. 317 del 4 dicembre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 175 CPP nella parte in cui la sua interpretazione non consentiva la restituzione nel termine del condannato in contumacia, non informato del procedimento, quando il difensore avesse precedentemente utilizzato i rimedi esperibili per impugnare la decisione di condanna. In particolare, essa ha indicato nel suo ragionamento che le garanzie dell’imputato contumace non potevano essere «esperite» dal comportamento di un avvocato nominato d’ufficio che agisce di propria iniziativa e senza mandato da parte dell’imputato.
  6. Il codice di procedura penale non prevede la possibilità di chiedere la revisione del processo penale a seguito di una sentenza della Corte che conclude che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione. Per questo motivo, nella sua sentenza n. 113 del 7 aprile 2011 la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 630 del codice di procedura penale – disposizione che elenca i casi in cui è possibile chiedere la revisione del processo. Per effetto di tale sentenza (effetto additivo) l’articolo 630 del codice di procedura penale è stato modificato: è ormai possibile presentare una domanda di revisione del processo basandosi su una sentenza della Corte che abbia constatato il carattere iniquo del procedimento.

III.  RACCOMANDAZIONE N. R(2000)2 DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA

  1. Nella sua Raccomandazione n. R(2000)2 sul riesame o la riapertura di alcune cause a livello interno a seguito delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha incitato «le Parti contraenti a esaminare i loro sistemi giuridici nazionali al fine di assicurarsi che esistano adeguate possibilità per il riesame di una causa, compresa la riapertura di un procedimento, nei casi in cui la Corte abbia constatato una violazione della Convenzione, in particolare quando: i) la parte lesa continua a subire conseguenze negative molto gravi a seguito della decisione nazionale, conseguenze che non possono essere compensate dall’equa soddisfazione e possono essere modificate solo attraverso il riesame o la riapertura, e ii) dalla sentenza della Corte risulta che a) la decisione interna impugnata è contraria, sul merito, alla Convenzione, o b) la violazione constatata è causata da errori o carenze procedurali di una gravità tale da mettere seriamente in dubbio il risultato del procedimento interno impugnato».

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente, condannato in contumacia, lamenta l’impossibilità di ottenere la riapertura del processo dinanzi agli organi giudiziari italiani e di presentare la sua difesa dinanzi agli stessi. Invoca l’articolo 6 della Convenzione che, nelle parti pertinenti, recita:
    «1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (...)
    2.  Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
    3.  In particolare, ogni accusato ha diritto di:
    a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
    b)  disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
    c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
    d)  esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
    e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza. »
  2. Il Governo contesta questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

  1. La Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. Pertanto lo dichiara ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

  1. Il ricorrente ha esposto i propri argomenti nel formulario di ricorso (paragrafo 5 supra), sottolineando che i giudici nazionali hanno riconosciuto che non si era sottratto alla giustizia e non aveva rinunciato alla facoltà di comparire. Afferma che vi è stata violazione del suo diritto a un processo equo in quanto non è stato informato delle accuse formulate a suo carico e non è stato in grado di difendersi prendendo parte al procedimento. Sostiene che la difesa assicurata da un avvocato nominato d’ufficio non può essere considerata adeguata visto che quest’ultimo, tra l’altro, non ha chiesto l’applicazione del rito abbreviato, il che avrebbe potuto comportare una riduzione di pena di nove anni. Peraltro, il ricorrente non sapeva di essere rappresentato da tale avvocato e non ha potuto nominare un avvocato di fiducia.
  2. Il Governo osserva anzitutto che se le sentenze della Corte costituzionale sono efficaci ex tunc, esse non possono tuttavia incidere su situazioni che sono già definitive. Inoltre, rinvia al ragionamento seguito dalla Corte di cassazione nel caso di specie. A questo proposito, rammenta che le sezioni unite hanno invocato i principi dell’unicità del diritto di impugnare una sentenza e del ne bis in idem e l’esigenza del rispetto del «termine ragionevole» quando l’imputato contumace, che non è stato informato del processo, è stato rappresentato da un avvocato. Inoltre, il ricorrente avrebbe potuto chiedere ai giudici penali di sottoporre la questione alla Corte costituzionale.

2.  Valutazione della Corte

a)  Principi pertinenti

  1. La Corte rinvia per i principi pertinenti in materia alla sentenza Sejdovic c. Italia [GC] (n. 56581/00, §§ 81-95, CEDU 2006-II) e alla giurisprudenza ivi citata.

b)  Applicazione al caso di specie

  1. La Corte osserva che il 21 luglio 2001 il giudice per le indagini preliminari di Roma ha ordinato che il ricorrente fosse sottoposto a custodia cautelare. Poiché l’interessato si era reso irreperibile, il 27 luglio 2001 era stato dichiarato latitante. È stato nominato un difensore d’ufficio per rappresentare il ricorrente e gli atti del procedimento, compresa la sentenza di condanna, furono notificati a tale avvocato.
  2. I giudici nazionali hanno stabilito che il ricorrente non ha rinunciato al suo diritto di comparire e non è stato informato delle accuse formulate nei suoi confronti. Questi elementi emergono dalla decisione della corte d’assise d’appello di Roma del 12 aprile 2007, che aveva accordato al ricorrente la possibilità di presentare ricorso per cassazione contro la sua condanna.
  3. Il Governo non contesta che il ricorrente sia stato giudicato in contumacia e che prima del suo arresto non avesse ricevuto alcuna informazione ufficiale per quanto riguarda le accuse o la data del suo processo.
  4. Per la Corte è dunque accertato che il ricorrente non ha avuto conoscenza effettiva del processo. Nessun elemento del fascicolo permette peraltro di concludere che egli si era sottratto alla giustizia o che avesse rinunciato in maniera inequivocabile alla facoltà di prendere parte al processo.
  5. La Corte rammenta che se un procedimento che si svolge in assenza dell’imputato non è di per sé incompatibile con l’articolo 6 della Convenzione, resta comunque il fatto che si ha diniego di giustizia quando un individuo condannato in absentia non può ottenere successivamente che un giudice deliberi nuovamente, dopo averlo sentito, sulla fondatezza dell’accusa in fatto come in diritto, laddove non sia accertato che egli ha rinunciato al suo diritto di comparire e difendersi (Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985, § 29, serie A n. 89; Einhorn c. Francia (dec.), n. 71555/01, § 33, CEDU 2001 XI; Krombach c. Francia, n. 29731/96, § 85, CEDU 2001-II, e Somogyi c. Italia, n. 67972/01, § 66, CEDU 2004-IV), o che avesse intenzione di sottrarsi alla giustizia (Medenica c. Svizzera, n. 20491/92, § 55, CEDU 2001-VI, e Sejdovic, sopra citata, § 82).
  6. È vero che un imputato può rinunciare ai diritti della difesa. Tuttavia, quest’ultimo non ne perde il beneficio soltanto in quanto assente al dibattimento. In effetti, è di fondamentale importanza per l’equità del sistema penale che l’imputato sia difeso in maniera adeguata sia in primo grado che in appello.
  7. Nel caso di specie, il ricorrente ha presentato un ricorso dinanzi alla Corte di cassazione dopo aver ottenuto, in applicazione della legislazione pertinente, la restituzione nel termine. Con la sentenza del 7 febbraio 2008, la Corte di cassazione ha ritenuto che il ricorrente non potesse beneficiare della riapertura del processo e prendervi parte per presentare la sua difesa, in quanto l’avvocato nominato d’ufficio aveva già esaurito le vie di ricorso disponibili. Una siffatta interpretazione della legge ha messo il ricorrente nella impossibilità di contestare la sua condanna e di essere presente al processo che lo riguardava.
  8. Di conseguenza, la questione che si pone nella fattispecie è stabilire se la difesa da parte di un avvocato d’ufficio abbia costituito una garanzia sufficiente contro il rischio del processo iniquo.
    A questo proposito, la Corte osserva che la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione e ha concluso che un sistema che permette di privare un imputato della possibilità di interporre appello avverso la propria condanna solo perché l’avvocato nominato d’ufficio aveva esperito i ricorsi disponibili – all’insaputa dello stesso imputato – sollevava dei problemi. Essa ha ritenuto in particolare che fosse incompatibile con la Costituzione italiana privilegiare principi come quello della non duplicazione del processo a scapito delle garanzie dell’imputato.
  9. La Corte ritiene che i diritti della difesa di un imputato – che non si è sottratto alla giustizia e non ha rinunciato inequivocabilmente alle sue garanzie procedurali – non possono essere ridotti al punto da renderli inoperanti con il pretesto di garantire altri diritti fondamentali del processo, come il diritto al «termine ragionevole» o quello del «ne bis in idem», o, a fortiori, per preoccupazioni legate al carico di lavoro dei tribunali. In effetti, la comparizione di un imputato è di fondamentale importanza sia a causa del diritto di quest’ultimo di essere sentito che della necessità di controllare l’esattezza delle sue affermazioni e di confrontarle con la versione della vittima, di cui si devono proteggere gli interessi, nonché dei testimoni.
  10. Nel caso di specie, il ricorrente non ha avuto la possibilità di ottenere una nuova decisione sulla fondatezza dell’accusa sia in fatto che in diritto, sebbene la sua assenza al processo non gli fosse imputabile.
  11. Questi elementi sono sufficienti per la Corte per concludere che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

Danno

  1. Il ricorrente non ha presentato domande di equa soddisfazione conformemente all’articolo 60 del Regolamento (paragrafo 5 supra).
  2. La Corte ritiene di conseguenza non doversi accordare alcuna somma a questo titolo (Antonio Messina c. Italia, n. 39824/07, § 67, 24 marzo 2015).

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi accordare alcuna somma a titolo di equa soddisfazione nella fattispecie.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 1° settembre 2016, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Abel Campos
Cancelliere

Mirjana Lazarova Trajkovska
Presidente