Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 febbraio 2016 - Ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994/12 - Olivieri e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

OLIVIERI e altri c. ITALIA

(Ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994/12)

SENTENZA

STRASBURGO

22 febbraio 2016

 
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Olivieri e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,

  • Ledi Bianku,
  • Guido Raimondi,
  • Kristina Pardalos,
  • Robert Spano,
  • Armen Harutyunyan,
  • Pauliine Koskelo, giudici,
  • e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 2 febbraio 2016,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi sono quattro ricorsi (nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12, 22994/12) presentati contro la Repubblica italiana con cui nove cittadini di tale Stato, la cui lista è allegata alla presente sentenza («i ricorrenti»), hanno adito la Corte tra il 2 marzo e il 2 aprile 2012 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. G. Romano, del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, G. Mauro Pellegrini.
3. I ricorrenti lamentano in particolare una violazione del loro diritto a un processo entro un termine ragionevole (articolo 6 § 1 della Convenzione) e l’ineffettività del rimedio interno (articolo 13 della Convenzione).
4. Il 26 febbraio 2015 i ricorsi sono stati comunicati al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. La lista delle parti è riportata in allegato.
6. I fatti di causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
7. Il 23 agosto 1990 i sigg. G. Olivieri, S.V., A.R. e G.V., impiegati presso il comune di Benevento, depositarono ciascuno un ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale («il TAR») della Campania (si veda la tabella allegata) allo scopo di ottenere la rettifica dei calcoli relativi alla loro anzianità di servizio e la condanna dell’ente locale al versamento delle differenze di retribuzione. Ciascun dipendente presentò congiuntamente una istanza di fissazione dell’udienza.
8.Il 26 febbraio 2008 la cancelleria del TAR notificò a ciascuna parte, in applicazione dell’articolo 9, comma 2 della legge n. 205 del 21 luglio 2000, un avviso riguardante l’obbligo di presentare una nuova domanda di fissazione dell’udienza, pena la decadenza del ricorso. I ricorrenti, tra cui gli eredi di S.V., A.R. e G.V., intervenuti nei rispettivi procedimenti tra luglio e settembre 2008, depositarono nelle stesse date una nuova domanda di fissazione dell’udienza (si veda la tabella allegata).
9. Nello stesso tempo, i ricorrenti, sulla base della legge n. 89/2001 detta legge «Pinto», presentarono un ricorso dinanzi alla corte d’appello di Napoli per lamentare la durata eccessiva del procedimento amministrativo.
10. La corte d’appello di Napoli, tra febbraio e aprile 2009 (si veda la tabella allegata), dichiarò i ricorsi inammissibili, constatando che, nel corso del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, i ricorrenti non avevano presentato istanza di prelievo, nuova condizione di ammissibilità dei ricorsi «Pinto», introdotta con il decreto-legge n. 114 del 25 giugno 2008. Il 4 novembre 2011, la Corte di cassazione rigettò i ricorsi dei ricorrenti per gli stessi motivi.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Per quanto riguarda gli obblighi delle parti a un procedimento dinanzi al tribunale amministrativo regionale

11. Il procedimento dinanzi al tribunale amministrativo regionale (TAR) era disciplinato, all’epoca dei fatti, dalla legge n. 1034 del 6 dicembre 1971. In particolare, l’articolo 19, primo comma, disponeva che: «Nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali, fino a quando non verrà emanata apposita legge sulla procedura, si osservano le norme di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (...)».
12. Secondo tali norme di procedura, entro due anni dalla data di presentazione del ricorso la parte ricorrente doveva presentare una istanza di fissazione dell’udienza, pena la decadenza (articolo 40 del regio decreto n. 1054 del 26 giugno 1924). In seguito al deposito di tale domanda, il giudice adito aveva l’obbligo di fissare l’udienza. La parte ricorrente poteva anche depositare una istanza di prelievo. In questo caso, il giudice aveva la facoltà di dichiarare il ricorso urgente, anticipando la data dell’udienza (articolo 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907).
13. A cura della segreteria era notificato alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale era fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza per evitare che il ricorso fosse dichiarato perente (articolo 9 della legge n. 205 del 21 luglio 2000).
14. Le sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 28507/05 del 15 dicembre 2005, hanno dichiarato che:
«(...) nel sistema vigente prima dell'entrata in vigore della l. 205/2000 (…) il processo amministrativo richiedeva, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario, infungibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito del ricorso (…) di un'apposita istanza di fissazione, in mancanza della quale la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, il processo è dominato dal potere di iniziativa del giudice e non costituisce, perciò, adempimento necessario l'istanza di prelievo del ricorso dal ruolo, prevista dall'art. 54, comma 2, r.d. 642/1907, che ha il solo fine di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata sovvertendo l'ordine cronologico di iscrizione delle domande di fissazione dell'udienza di discussione (...)»
15. Per quanto riguarda l’obbligo di presentare una istanza di fissazione dell’udienza, l’articolo 9, comma 2, della legge n. 205/2000 prevede che:
«(...) 2. A cura della segreteria è notificato alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso medesimo. I ricorsi per i quali non sia stata presentata nuova domanda di fissazione vengono, dopo il decorso infruttuoso del termine assegnato, dichiarati perenti con le modalità di cui all’ultimo comma dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dal comma 1 del presente articolo.»

B. Per quanto riguarda l’equa soddisfazione per violazione del diritto a una durata ragionevole del processo amministrativo

16. Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti, in generale, la legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «la legge Pinto », sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006-V).
17. Per quanto riguarda la sua applicazione alla durata dei giudizi dinanzi al giudice amministrativo, le sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 28507/05, avevano dichiarato che:
« (...) in adesione all'orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, [la Corte di cassazione] ha già proceduto alla revisione dell'interpretazione sinora prevalente affermando che la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di tempo decorso dall'instaurazione del procedimento, senza che su di esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione dell'istanza di prelievo.
Tale interpretazione (…) merita ulteriore conferma in considerazione del fatto (…) che la presenza di strumenti sollecitatori non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento dell'entità del lamentato pregiudizio.»
18. Successivamente, il decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, entrato in vigore lo stesso giorno (e poi convertito, senza modifiche sostanziali su questo punto, dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008), ha previsto nel suo articolo 54, comma 2, che:
«(...) La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata presentata un'istanza di prelievo ai sensi del secondo comma dell'articolo 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642.»

IN DIRITTO

I. RIUNIONE DEI RICORSI

19. La Corte constata che, nei quattro ricorsi, i ricorrenti lamentano l’impossibilità di ottenere un risarcimento nell’ambito del rimedio «Pinto», a causa della introduzione di una nuova condizione di ammissibilità applicabile ai giudizi dinanzi al giudice amministrativo. Pertanto, tenuto conto della similitudine dei ricorsi per quanto riguarda i fatti e le questioni di merito che essi pongono, la Corte decide di riunirli ed esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE

20. I ricorrenti denunciano la eccessiva durata dei procedimenti dinanzi al tribunale amministrativo regionale (TAR) della Campania. I procedimenti in questione sono iniziati il 23 agosto 1990, giorno in cui è stato adito il TAR della Campania, e si sono conclusi il 5 dicembre 2008 o il 13 marzo 2009 (si veda la tabella allegata). Hanno avuto una durata superiore a diciotto anni. I ricorrenti invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la cui parte pertinente recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»
21. I ricorrenti affermano anche che la condizione di ammissibilità di un ricorso risarcitorio «Pinto», ossia l’obbligo di presentare una istanza di prelievo nell’ambito del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, si tradurrebbe in una violazione del loro diritto a un tribunale dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, rimettendo in discussione l’effettività di detto ricorso.
22. Libera di qualificare giuridicamente i fatti di causa (Aksu c. Turchia [GC], nn. 4149/04 e 41029/04, § 43, CEDU 2012; Halil Yüksel Akıncı c. Turchia, n. 39125/04, § 54, 11 dicembre 2012; Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil des arrêts et décisions 1998 I), la Corte ritiene più appropriato esaminare questo aspetto della doglianza dei ricorrenti essenzialmente dal punto di vista dell’articolo 13 della Convenzione.
23. L’articolo 13 della Convenzione recita:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

A. Argomenti delle parti

1. Il Governo

24. Il Governo ha sviluppato due linee argomentative nelle sue osservazioni. In primo luogo, afferma che i ricorrenti non hanno correttamente adito i giudici «Pinto» in quanto non hanno presentato istanza di prelievo nel corso del giudizio dinanzi al giudice amministrativo. In secondo luogo afferma che, ad esclusione del sig. G. Olivieri, gli altri ricorrenti, intervenuti de iure ereditario a pochi mesi dalla conclusione dei rispettivi procedimenti, non possono essere considerati vittime della durata complessiva del procedimento.
25. Quanto al mancato esaurimento del ricorso «Pinto», il Governo sostiene che i ricorrenti non avrebbero colto l’effettiva portata della condizione di ammissibilità
 di detto ricorso. Avrebbero confuso la finalità della istanza di fissazione dell’udienza, il cui scopo sarebbe unicamente di manifestare l’interesse al mantenimento della causa ed evitare in tal modo la sua perenzione, con quella dell’istanza di prelievo, che sarebbe volta ad accelerare il procedimento in corso.
26. Il Governo afferma che l’istanza di prelievo, prevista dall’articolo 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907, sarebbe il primo rimedio acceleratorio introdotto nel sistema nazionale per evitare la violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole. A questo proposito, il Governo afferma che la domanda costituirebbe un rimedio effettivo, comparabile ai rimedi esistenti in altri sistemi giuridici all’interno del Consiglio d’Europa, come in Germania o in Slovenia, e favorevolmente valutati dal Comitato dei Ministri, in particolare nella Risoluzione CM/ResDH(2013)244, 71 cause contro la Germania (Rumpf e altre 70 cause contro la Germania).
27. Benché previsto come semplice facoltà per la parte, dall’entrata in vigore, il 25 giugno 2008, dell’articolo 54 del decreto-legge n. 112, tale rimedio è divenuto una condizione di ammissibilità di qualsiasi ricorso per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Di conseguenza, il Governo respinge gli argomenti dei ricorrenti secondo i quali questi ultimi sarebbero stati dispensati dal presentare una tale domanda acceleratoria prima di proporre un ricorso «Pinto».
28. Quanto alla pretesa inapplicabilità ratione temporis della norma menzionata ai giudizi pendenti dinanzi al giudice amministrativo, il Governo indica che tale disposizione deve essere interpretata nel senso della sua applicabilità ai ricorsi «Pinto» presentati a partire dal 25 giugno 2008 (data dell’entrata in vigore del decreto-legge) e non ai procedimenti amministrativi intentati a partire da tale data.
29. Inoltre, il Governo respinge la tesi dei ricorrenti secondo la quale la condizione di ammissibilità non sarebbe applicabile ai giudizi dinanzi al giudice amministrativo la cui durata superi i cinque anni. Aggiunge che, anche a voler supporre che esista una base giuridica, nulla avrebbe impedito ai ricorrenti di presentare, contestualmente all’istanza di fissazione dell’udienza, una seconda istanza di prelievo.
30. Infine, il Governo respinge l’argomento dei ricorrenti sul conflitto tra l’applicazione della norma contestata nel caso di specie e la giurisprudenza della Corte in materia, in particolare la sua decisione Daddi c. Italia ((dec.), n. 15476/09, 2 giugno 2009).

2. I ricorrenti

31. I ricorrenti sostengono che l’obbligo di presentare l’istanza di prelievo non è applicabile ratione temporis al loro caso in quanto i procedimenti erano in corso alla data dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, ossia il 25 giugno 2008. In ogni caso, tale obbligo non si imporrebbe ai procedimenti che hanno superato una durata di cinque anni. I ricorrenti denunciano in conclusione di non avere disposto di un rimedio interno efficace per lamentare la durata eccessiva del procedimento.
32. Più precisamente, i ricorrenti affermano che la nuova disposizione prevede un obbligo contrario alla giurisprudenza nazionale anteriore, che aveva negato ogni valore giuridico alla presentazione della cosiddetta istanza di prelievo. Tale disposizione, come interpretata nel caso di specie, sarebbe anche in contrasto con la giurisprudenza della Corte elaborata nella decisione Daddi (sopra citata).
33. Infine, sottolineano che la legislazione nazionale distinguerebbe i procedimenti che hanno avuto una durata inferiore a cinque anni da quelli che hanno superato tale durata. In questo secondo caso, la legge disporrebbe che la cancelleria del TAR deve notificare alla parte ricorrente un avviso riguardante l’obbligo di presentare istanza di fissazione dell’udienza per evitare la perenzione della causa. In mancanza di tale avviso, la parte non potrebbe presentare l’istanza in questione e l’istanza di prelievo non eviterebbe la perenzione. Di conseguenza, secondo i ricorrenti, la parte sarebbe obbligata ad attendere l’avviso della cancelleria del TAR, e poi tenuta a presentare una domanda di fissazione dell’udienza e soltanto successivamente essa potrebbe presentare anche una «istanza di prelievo».
34. Per quanto riguarda la loro qualità di «vittima», i ricorrenti affermano che, a livello interno, non viene contestato che il danno subito a causa della durata eccessiva del procedimento sia trasferibile all’erede che si costituisca in giudizio nell’ambito dello stesso procedimento. Quest’ultimo ha anche la capacità di agire in giudizio de iure ereditario dinanzi ai giudici «Pinto» per ottenere, se del caso, una riparazione della violazione dedotta.

B. Valutazione della Corte

1. Sulla ricevibilità

35. La Corte considera che l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, sollevata dal Governo convenuto ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, è strettamente collegata a quella relativa all’esistenza di un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione (si veda McFarlane c. Irlanda [GC], n. 31333/06, § 75, 10 settembre 2010; Panju c. Belgio, n. 18393/09, § 47, 28 ottobre 2014; Vlad e altri c. Romania, nn. 40756/06, 41508/07 e 50806/07, § 103, 26 novembre 2013; Sürmeli c. Germania (dec.), n. 75529/01, 29 aprile 2004). Pertanto, essa decide che l’eccezione del Governo sarà esaminata unitamente alla fondatezza del ricorso in base all’articolo 13 della Convenzione, tenuto conto delle strette affinità che presentano gli articoli 35 § 1 e 13 della Convenzione (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 152, CEDU 2000-XI).
36. Quanto alla qualità di «vittima» dei ricorrenti, la Corte rammenta che, dalla sua giurisprudenza relativa all’intervento dei terzi nei procedimenti civili, deriva la distinzione seguente: quando un ricorrente è intervenuto nel procedimento nazionale unicamente a suo nome, il periodo da prendere in considerazione inizia a decorrere da quella data mentre, quando un ricorrente si costituisce in giudizio in qualità di erede, può lamentare l’eccessiva durata di tutto il procedimento (si veda Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 220, CEDU 2006 V; Cocchiarella sopra citata, § 113). La Corte considera che la stessa conclusione valga anche per i giudizi dinanzi al giudice amministrativo.
37. Di conseguenza, la Corte respinge questa eccezione e ritiene che i ricorrenti possano considerarsi «vittime» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
38. La Corte constata che i ricorsi non sono manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorrono in altri motivi di irricevibilità. Pertanto, devono essere dichiarati ricevibili.

2. Sul merito

a) Esaurimento delle vie di ricorso interne e dedotta violazione dell’articolo 13 della Convenzione

i. Principi generali

39. In virtù dell’articolo 1 della Convenzione, ai sensi del quale «[L]e Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati al titolo I della presente Convenzione», l’attuazione e la ratifica dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione spettano in primo luogo alle autorità nazionali. Il meccanismo di denuncia dinanzi alla Corte assume dunque un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di salvaguardia dei diritti dell’uomo. Questa sussidiarietà si esprime negli articoli 13 e 35 § 1 della Convenzione (si vedano, tra le altre, Cocchiarella sopra citata, § 38; Balakchiev e altri c. Bulgaria (dec.), n. 65187/10, § 49, 18 giugno 2013).
40. La Corte rammenta che il principio di sussidiarietà non significa dover rinunciare a qualsiasi controllo sul risultato ottenuto dal fatto di aver utilizzato la via di ricorso interna, a pena di svuotare di ogni sostanza i diritti sanciti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. A questo proposito, si deve ricordare che la Convenzione ha lo scopo di proteggere diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (Principe Hans-Adam II di Liechtenstein c. Germania [GC], n. 42527/98, § 45, CEDU 2001-VIII). L’osservazione vale in particolare per le garanzie previste dall’articolo 6 della Convenzione, visto il posto di primo piano che occupa in una società democratica il diritto a un processo equo, con tutte le garanzie previste da tale disposizione (Valada Matos das Neves c. Portogallo, n. 73798/13, § 68, 29 ottobre 2015).
41. La finalità dell’articolo 35 § 1, che prevede anche l’esaurimento delle vie di ricorso interne, è quella di dare agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o di riparare le violazioni agli stessi attribuite prima che le stesse vengano sottoposte alla Corte (si veda, tra altre, la sentenza Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94, § 74, CEDU 1999-V). La norma dell’articolo 35 § 1 si basa sull’ipotesi, incorporata nell’articolo 13 (con il quale presenta strette affinità), che l’ordinamento interno offra un ricorso effettivo per quanto riguarda la violazione dedotta (Kudła sopra citata, § 152).
42. Nondimeno, le disposizioni dell’articolo 35 della Convenzione prescrivono l’esaurimento dei soli ricorsi che siano relativi alle violazioni contestate, disponibili e adeguati. La loro esistenza deve presentare un sufficiente grado di certezza non solo teorica, ma anche pratica, poiché in caso contrario mancano loro l’effettività e l’accessibilità richieste (si vedano, in particolare, le sentenze Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], n. 17153/11 e altri 29 ricorsi, § 71, 25 marzo 2014; Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 66, Recueil des arrêts et décisions 1996 IV; Vernillo c. Francia, sentenza del 20 febbraio 1991, serie A n. 198, pp. 11–12, § 27).
43. Secondo la Corte, per essere ritenuto effettivo, un ricorso deve poter rimediare direttamente alla situazione denunciata e presentare ragionevoli prospettive di successo (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDU 2006 II; Vučković e altri, sopra citata, § 74 e Balogh c. Ungheria, n. 47940/99, § 30, 20 luglio 2004).
44. I ricorsi di cui dispone una persona sottoposta alla giustizia a livello interno per lamentare la durata di un procedimento sono «effettivi», nel senso dell’articolo 13 della Convenzione, quando permettono di far intervenire in maniera più celere la decisione dei giudici aditi o di fornire all’interessato una riparazione adeguata per i ritardi già subiti (Sürmeli c. Germania [GC], n. 75529/01, § 99, CEDU 2006 VII; Vassilios Athanasiou e altri c. Grecia, n. 50973/08, § 54, 21 dicembre 2010).
45. La Corte ha affermato ripetutamente che il miglior rimedio, in assoluto, è, come in molti ambiti, la prevenzione. Quando un sistema giudiziario si rivela lacunoso rispetto all’esigenza derivante dall’articolo 6 § 1 della Convenzione per quanto riguarda il termine ragionevole, un ricorso che permetta di far accelerare il procedimento allo scopo di impedire che sopraggiunga una durata eccessiva costituisce la soluzione più efficace. Un tale ricorso presenta un vantaggio innegabile rispetto a un ricorso unicamente risarcitorio in quanto permette di accelerare la decisione del giudice interessato. Esso evita anche di dover constatare l’avvicendarsi di violazioni per lo stesso procedimento e non si limita ad agire a posteriori come nel caso del ricorso risarcitorio (Scordino sopra citata, § 183; Cocchiarella sopra citata, § 74).
46. È anche evidente che, per i paesi in cui esistono già violazioni legate alla durata dei procedimenti, un ricorso volto unicamente ad accelerare il procedimento, sebbene auspicabile per il futuro, può non essere sufficiente per riparare una situazione in cui è evidente che il procedimento si è già protratto per un periodo eccessivo.
47. Diversi tipi di ricorsi possono dunque coesistere allo scopo di riparare la violazione in maniera appropriata. La Corte l’ha già affermato in materia penale dichiarando soddisfacente il fatto di tenere conto della durata del procedimento nell’accordare una riduzione in maniera espressa e quantificabile (Beck c. Norvegia, n. 26390/95, § 27, 26 giugno 2001). Peraltro, alcuni Stati l’hanno capito perfettamente scegliendo di combinare due tipi di ricorsi, uno volto ad accelerare la procedura e l’altro di natura risarcitoria (Cocchiarella sopra citata, § 77; Scordino sopra citata, § 186).

ii. Applicazione dei principi al caso di specie

48. Senza anticipare l’esame della questione se vi sia stato o meno superamento del termine ragionevole, la Corte ritiene che la doglianza dei ricorrenti, riguardante la durata dei giudizi dinanzi al TAR della Campania costituisca prima facie un motivo di ricorso «difendibile». I procedimenti in effetti sono durati di più di diciotto anni (si veda la tabella allegata). I ricorrenti avevano dunque diritto a un ricorso effettivo a questo riguardo (Valada Matos das Neves c. Portogallo, sopra citata, § 74).
49. La Corte ha dichiarato nella sentenza Kudła (sopra citata, § 156) che «l’interpretazione corretta dell’articolo 13 è che tale disposizione garantisce un ricorso effettivo dinanzi a un giudice nazionale che permette di lamentare una inosservanza dell’obbligo imposto dall’articolo 6 § 1 di esaminare le cause entro un termine ragionevole».
50. A livello nazionale, è la legge Pinto, n. 89 del 24 marzo 2001 che ha introdotto nel sistema giuridico italiano una via di ricorso risarcitorio contro la lunghezza eccessiva dei procedimenti giudiziari.
51. Per quanto riguarda il giudizio dinanzi al giudice amministrativo, l’articolo 54, secondo comma del decreto-legge n. 112/2008 (convertito in legge n. 133 del 2008) ha introdotto una condizione di ammissibilità del ricorso «Pinto». I «giudici Pinto» possono essere aditi solo se la parte ricorrente ha depositato, nel corso del procedimento in via principale, una istanza di prelievo. All’epoca dei fatti della presente causa tale istanza era prevista dall’articolo 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907.
52. Secondo la Corte, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, ossia il 25 giugno 2008, il legislatore ha creato una nuova procedura per denunciare l’eccessiva durata del giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Tale procedura si compone di due fasi: una prima fase, che prevede la presentazione della cosiddetta istanza di prelievo nel corso del giudizio dinanzi al giudice amministrativo e che costituisce una condizione per l’ammissibilità del ricorso Pinto; una seconda fase, regolata dalla legge Pinto, che permette a chiunque di presentare una domanda di equa soddisfazione presso la corte d’appello competente ratione loci.
53. Per quanto riguarda l’istanza di prelievo, la Corte rammenta che si è trovata varie volte a giudicare l’effettività di un rimedio sollecitatorio (si vedano, tra molte altre, Xynos c. Grecia, n. 30226/09, 9 ottobre 2014; Sürmeli sopra citata; Lukenda c. Slovenia, n. 23032/02, CEDU 2005 X; Horvat c. Croazia, n. 51585/99, CEDU 2001 VIII). In particolare, ha riconosciuto a questo tipo di ricorso un carattere «effettivo» in quanto permette di accelerare la decisione del giudice interessato.
54. Per quanto riguarda le presenti cause, il testo di legge che disciplinava l’istanza suddetta all’epoca dei fatti, ossia l’articolo 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907, indicava che «nel decreto di fissazione d'udienza il presidente (del TAR) può, ad istanza di parte o d'ufficio, dichiarare il ricorso urgente».
55. In seguito all’entrata in vigore del codice di procedura amministrativa (decreto-legge n. 104 del 2010), la nuova disciplina prevede, nel suo articolo 71, che «la parte può segnalare l'urgenza del ricorso depositando istanza di prelievo». L’articolo 8, comma 2, dell’allegato n. 2 dello stesso codice stabilisce che «il presidente (del TAR) può derogare al criterio cronologico per ragioni d'urgenza, anche tenendo conto delle istanze di prelievo, o per esigenze di funzionalità dell'ufficio, ovvero per connessione di materia, nonché in ogni caso in cui il Consiglio di Stato abbia annullato la sentenza o l'ordinanza e rinviato la causa al giudice di primo grado».
56. La Corte osserva che il contenuto dei due testi di legge mostra che il presidente del TAR ha una semplice facoltà di fissare la data dell’udienza. In secondo luogo, l’istanza di prelievo è considerata un criterio tra gli altri previsti all’articolo 8 dell’allegato n. 2 del codice di procedura amministrativa. Infine, in assenza di informazioni del Governo al riguardo, si deve osservare che non sembra che la legislazione nazionale abbia previsto delle modalità precise per quanto riguarda l’esame dell’istanza in questione, in particolare sui criteri che il presidente del TAR deve applicare per rigettare o accogliere l’istanza e le conseguenze, in caso di decisione favorevole alla parte, sullo svolgimento del procedimento.
57. La Corte rammenta che il Governo ha affermato che l’istanza di prelievo costituirebbe un rimedio acceleratorio comparabile a quelli che esistono in altri sistemi giuridici dei paesi membri del Consiglio d’Europa. Tuttavia, si deve constatare che esso non ha fornito alcun esempio della prassi giudiziaria su questo punto. A questo riguardo, la Corte ha esaminato una serie di sentenze della Corte di cassazione rese tra il 2014 e il 2015 in materia di durata eccessiva dei giudizi dinanzi al giudice amministrativo, allo scopo di valutare l’effetto pratico dell’istanza di prelievo sullo svolgimento del procedimento in via principale.
58. Da tali sentenze risulta che, tra la data di presentazione della domanda e la data di fissazione dell’udienza di discussione, il giudizio dinanzi al giudice amministrativo ha avuto una durata superiore a un anno e mezzo (sentenza n. 23902/14, depositata il 10 novembre 2014), di quasi due anni (sentenza n. 24030/14, depositata il 12 novembre 2014), di oltre due anni (sentenza n. 1652/2015, deposito del 28 gennaio 2015), di circa 4 anni (sentenza n. 24031/14, deposito del 12 novembre 2014), di circa dodici anni (sentenza n. 2307/15, deposito del 6 febbraio 2015).
59. La Corte ha esaminato anche la prassi dei tribunali amministrativi regionali. Al riguardo, essa osserva che il trattamento delle domande sembra dipendere in maniera aleatoria dalla politica delle priorità di ciascun TAR. Ad esempio, in un procedimento dinanzi al TAR del Lazio (RG n. 8937/95), la parte ricorrente ha depositato un’istanza di prelievo il 7 luglio 1995. L’udienza di discussione si è tenuta il 9 dicembre 2010. Dinanzi al TAR della Campania (RG n. 6183/97), la parte ha depositato due domande, il 18 marzo 2008 e il 30 marzo 2009 e l’udienza di discussione si è tenuta il 20 maggio 2010. Sempre dinanzi al TAR della Campania (RG n. 8813/00), la parte ha adito due volte il tribunale, il 9 aprile 2008 e il 17 aprile 2009, prima di ottenere la fissazione dell’udienza di discussione per il 3 giugno 2010.
60. Tenuto conto di questi elementi, la Corte osserva che non si evince né dal contenuto dei due testi menzionati (si vedano i paragrafi 54 e 55), né dalla prassi giudiziaria che essa ha dovuto valutare di propria iniziativa, che l’istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione in merito alla causa sottoposta all’esame del tribunale. La Corte constata, inoltre, che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame di tale istanza (si vedano, a contrario, Techniki Olympiaki c. Grecia (dec.), n. 40547/10, 1° ottobre 2013 e Grzinčič c. Slovenia, n. 26867/02, § 87-88, 3 maggio 2007; si vedano anche Xynos sopra citata, § 38 e Sürmeli sopra citata, §§ 106-108).
61. La Corte considera che la presentazione di una istanza di prelievo non abbia un effetto significativo sulla durata del procedimento, portando alla sua accelerazione o impedendole di oltrepassare il limite di quanto possa essere considerato ragionevole (si veda, a contrario, Holzinger (n. 1) c. Austria, n. 23459/94, § 22, CEDU 2001-I). Si deve pertanto concludere che l’esito di tale istanza è aleatorio.
62. La Corte osserva anche che la nuova disposizione, in assenza di un regime transitorio, si applica automaticamente a tutti i ricorsi «Pinto», indipendentemente dalla durata del procedimento amministrativo principale, il che obbliga le parti a moltiplicare le istanze volte a ottenere la conclusione di un processo la cui durata è già irragionevole.
63. Nel caso di specie ciascun ricorrente, richiesto in tal senso dalla cancelleria del TAR, ha presentato una seconda istanza di fissazione dell’udienza allo scopo di evitare la perenzione della propria causa. Depositate tra luglio e settembre 2008, le domande hanno anche comportato la fissazione dell’udienza di discussione per ciascuna causa. Le udienze si sono tenute tra novembre 2008 e marzo 2009 (si veda la tabella allegata). I ricorrenti non avevano dunque alcun interesse a sollecitare una seconda volta la cancelleria del TAR per chiedere la fissazione d’urgenza della data dell’udienza.
64. Secondo la Corte, la condizione di ammissibilità di un ricorso «Pinto» previsto dall’articolo 54, comma 2 della legge n. 112/2008 risulta essere una condizione formale che produce l’effetto di ostacolare l’accesso alla procedura «Pinto». Essa considera che l’inammissibilità automatica dei ricorsi «Pinto», basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non hanno presentato l’istanza di prelievo, ha privato questi ultimi della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente (si veda a contrario Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n. 57220/00, § 16-17, CEDU 2002 VIII).
65. Ad abundantiam, la Corte osserva che il legislatore ha modificato nel 2010 la disposizione contestata, confermando i dubbi sollevati dalla Corte nella sua decisione Daddi (sopra citata).
66. Nella versione del testo applicabile alle presenti cause, l’articolo 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 prevedeva che una domanda di equa soddisfazione ai sensi della legge Pinto potesse essere presentata soltanto se la parte del giudizio dinanzi al giudice amministrativo aveva precedentemente depositato una istanza di prelievo. Tale previsione lasciava aperta al giudice nazionale la possibilità di includere, nel calcolo della durata eccessiva, il periodo antecedente alla data di entrata in vigore della norma contestata.
67. In seguito, il decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010 introduceva il codice di procedura amministrativa modificando la disposizione in questione. Quest’ultima attualmente prevede che:
«La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2, comma 1 (della legge n. 89 del 24 marzo 2001), non è stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’articolo 71, comma 2 del codice di procedura amministrativa, né con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione.»
68. A tale proposito, la Corte ha ritenuto che «una prassi di interpretazione e applicazione dell’articolo 54, secondo comma, di detto decreto legge che ha per effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi «Pinto» relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008 solo in quanto non è stata presentata un’istanza di prelievo, potrebbe essere di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall’obbligo di esperire il ricorso «Pinto». Lo stesso varrebbe per quanto riguarda i procedimenti ancora pendenti in cui la fissazione d’urgenza dell’udienza sia stata richiesta solo dopo l’entrata in vigore della disposizione in questione. In questi casi non si può escludere che essa sia interpretata dai giudici nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno 2008. Una tale prassi potrebbe infatti privare sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere, nell’ambito «Pinto», una riparazione adeguata e sufficiente» (Daddi sopra citata).
69. Questa stessa conclusione si applica alla nuova formulazione dell’articolo 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 (come modificato dal decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010).
70. La Corte ribadisce che l’articolo 13 della Convenzione si fonda sull’ipotesi che l’ordinamento interno offra un ricorso effettivo per quanto riguarda la violazione dedotta (Selmouni sopra citata, § 74, e Kudła sopra citata, § 152). Essa rammenta che un ricorso di cui dispone la parte per lamentare l’eccessiva durata del procedimento è «effettivo», ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione, se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di «fornire all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano già verificate» (ibidem § 158). Il che non è avvenuto nelle presenti cause.
71. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura dell’articolo 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 in combinato disposto con la legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione. È dunque opportuno rigettare l’eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo e concludere che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.

b) Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

72. Per quanto riguarda la durata del procedimento nelle presenti cause, il periodo da considerare è iniziato il 23 agosto 1990 e si è concluso il 5 dicembre 2008 o il 13 marzo 2009 (si veda la tabella allegata).
73. La Corte osserva che, secondo il Governo convenuto, i ricorrenti non avrebbero dimostrato un vero e proprio interesse alla conclusione dei procedimenti. Esso sostiene anche l’assenza di sofferenza dei ricorrenti, tenuto conto del carattere manifestamente infondato delle loro pretese. Da parte loro, i ricorrenti lamentano la durata dei procedimenti, che considerano eccessiva.
74. La Corte osserva che dai fascicoli risulta che ciascuna delle parti ha presentato due istanze di fissazione dell’udienza nel corso del giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Successivamente, nell’ambito del procedimento «Pinto», i ricorrenti hanno presentato tutti un ricorso dinanzi alla corte d’appello competente ratione loci, e poi proposto un ricorso per cassazione contro il rigetto di quest’ultimo. Di conseguenza l’interesse dei ricorrenti alla conclusione dei procedimenti non può essere messo in discussione.
75. Quanto alla durata del procedimento, la Corte ha trattato più volte ricorsi che sollevavano questioni simili a quella del caso di specie ed ha constatato una inosservanza dell’esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri derivanti dalla sua giurisprudenza ben consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella sopra citata).
76. Non vedendo motivi per discostarsi dalle sue precedenti conclusioni, la Corte ritiene che si debba constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per gli stessi motivi.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

77. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno morale

78. I ricorrenti chiedono rispettivamente:

  • per il ricorso n. 17708/12, la somma di 27.375 euro (EUR);
  • per il ricorso n. 17717/12, la somma di 27.750 euro (EUR);
  • per il ricorso n. 17729/12, la somma di 27.375 euro (EUR);
  • per il ricorso n. 22994/12, la somma di 27.750 euro (EUR).

79. Il Governo afferma che tali pretese non sono conformi ai parametri della giurisprudenza della Corte e risultano eccessive, tenuto conto del fatto che i procedimenti interni sul merito non sono stati favorevoli ai ricorrenti.
80. La Corte rammenta che ha concluso che vi è stata violazione degli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione. Deliberando in via equitativa, essa considera opportuno accordare per ciascun ricorso la somma di 22.000 EUR per il danno morale.

B. Spese

81. I ricorrenti non chiedono il rimborso delle spese sostenute per i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte. Pertanto, non sarà accordata loro alcuna somma a questo titolo.

C. Interessi moratori

82. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Unisce al merito del motivo di ricorso relativo all’articolo 13 l’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e la rigetta;
  3. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  5. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
  6. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare, per ciascun ricorso, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 22.000 EUR (ventiduemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  7. Rigetta, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 25 febbraio 2016, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

André Wampach Mirjana Lazarova Trajkovska
Cancelliere aggiunto Presidente

 

 

ALLEGATO
N N. ricorso - Data di presentazione Nome del ricorrente - Data di nascita - Luogo di residenza Procedimento amministrativo TAR Campania - Durata del procedimento Procedimento «Pinto» Domanda di equa soddisfazione
1. 17708/12- 02/03/2012 Giuseppe OLIVIERI - 06/11/1926 - Benevento Ricorso presentato il 23 agosto 1990 - (RG n. 5434/90) - Istanza di fissazione dell?udienza: 28/08/1990 - Istanza di fissazione dell?udienza: 30/07/2008 - Data dell?udienza: 20/11/2008 - Sentenza resa il 5/12/2008 (n. 21017/08) - Durata: 18 anni e 3 mesi Data di presentazione del ricorso «Pinto»: 12/09/2008 - Decisione della corte d?appello di Napoli (RG n. 5498/08): 16/04/2009 - Corte di cassazione (sentenza n. 22926/11): 4/11/2011 27.375 euro (EUR) per il danno morale
2. 17717/12 -  02/03/2012 Maria VARRICCHIO - 20/09/1941 - Benevento Ricorso presentato il 23 agosto 1990 - (RG no 5432/90) - Istanza di fissazione dell?udienza: 28/08/1990 - Atto di intervento in giudizio in qualità di erede: 12/09/2008 - Istanza di fissazione dell'udienza: 12/09/2008 - Data dell'udienza: 5/03/2009 - Sentenza resa il 13/03/2009 (n. 1433/2009) - Durata: 18 anni e 6 mesi Data di presentazione del ricorso «Pinto»: 12/09/2008 - - Decisione della corte d'appello di Napoli - (RG n. 5502/08): 24/02/2009 - Corte di cassazione (sentenza n. 22924/11): 4/11/2011 27.750 euro (EUR) per il danno morale
3. 17729/12 - 02/03/2012 Giuseppina BERNARDI - 29/12/1935 - Benevento - Umberto RUSSO - 28/04/1965 - Benevento - Francesco RUSSO - 23/07/1960 - Benevento - Antonio RUSSO - 01/01/1972 - Benevento - Maria Concetta RUSSO - 29/06/1962 - Benevento Ricorso presentato il 28 agosto 1990 - (RG n. 5508/90) - Istanza di fissazione dell'udienza: 28/08/1990 - Atto di intervento in giudizio in qualità di eredi: 11/07/2008 - Istanza di fissazione dell'udienza: 11/07/2008 - Data dell'udienza: 20/11/2008 - Sentenza resa il 5/12/2008 (n. 21038/2008) - Durata: 18 anni e 3 mesi Data di presentazione del ricorso «Pinto»: 30/07/2008 - - Decisione della corte d'appello di Napoli - (RG n. 5333/08): 24/02/2009 - Corte di cassazione (sentenza n. 22927/11): 4/11/2011 27.375 euro (EUR) per il danno morale
4. 22994/12 - 02/04/2012 Maria Antonietta GRASSO - 11/04/1947 - Benevento Ricorso presentato il 23 agosto 1990 - (RG no 5431/90) - Istanza di fissazione dell'udienza: 28/08/1990 - Atto di intervento in giudizio in qualità di erede: 12/09/2008 - Istanza di fissazione dell'udienza: 12/09/2008 - Data dell'udienza: 5/03/2009 - Sentenza resa il 13/3/2009 (n.1432/2009) - Durata: 18 anni e 6 mesi Data di presentazione del ricorso «Pinto»: 12/09/2008 - - Decisione della corte d'appello di Napoli - (RG n. 5504/08): 3/04/2009 - Corte di cassazione (sentenza n. 22925/11): 4/11/2011 27.750 euro (EUR) per il danno morale