Sentenza della Corte Europea dei Dirittti dell'Uomo del 28 aprile 2016 - Ricorso n. 68884/13 - Cincimino c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA CINCIMINO c. ITALIA

(Ricorso n. 68884/13)

SENTENZA

STRASBURGO

28 aprile 2016
 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Cincimino c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione) riunita in una camera composta da:
Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
Ledi Bianku,
Guido Raimondi,
Kristina Pardalos,
Robert Spano,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo,giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 22 e il 29 marzo 2016,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale ultima data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 68884/13) proposto contro la Repubblica italiana e con il quale una cittadina di questo Stato, la sig.ra Rosalia Cincimino («la ricorrente»), ha adito la Corte il 10 ottobre 2013 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avvocato T. Lamberti, del foro di Palermo. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. Il 14 gennaio 2015 sono stati comunicati al Governo i motivi di ricorso relativi agli articoli 8 e 6 della Convenzione e per il resto il ricorso è stato dichiarato irricevibile in virtù dell’articolo 54 § 3 del Regolamento della Corte.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. La ricorrente è nata nel 1964 e risiede a Palermo.

5. Dal matrimonio della ricorrente con A.A., il 6 febbraio 2000 nacque una bambina, A. Nel 2001, a causa dei continui conflitti che laceravano la coppia, A.A. lasciò l’abitazione familiare e presentò una domanda di separazione giudiziale.

6. La residenza principale di A. venne fissata presso la ricorrente.

7. Nell’agosto 2002 il tribunale per i minorenni di Palermo (di seguito: «il tribunale») ordinò una perizia al fine di valutare le capacità genitoriali della ricorrente e stabilire le modalità di esercizio del diritto di visita del padre.

8. Fu adito il tribunale.

9. Nell’agosto 2002 fu avviata una procedura volta a far decadere A.A. dalla sua potestà genitoriale in quanto la ricorrente aveva sostenuto che A.A. avrebbe dato della droga alla figlia.

10. La bambina fu ricoverata il 18 agosto 2002. I medici esclusero che avesse mai preso droga.

11. Gli esperti nominati nell’ambito della procedura di separazione giudiziale emisero un parere che può essere sintetizzato come segue:

  • la madre aveva un legame fusionale ed esclusivo con la figlia che non le lasciava autonomia; si era opposta agli incontri con il padre; non permetteva alla figlia di esprimere i suoi timori, e il suo comportamento era al limite della psicopatologia; era necessario che la ricorrente seguisse un percorso di psicoterapia in quanto si trovava in uno stato depressivo.

12. Con provvedimento del 23 dicembre 2002, il tribunale decise che per le vacanze scolastiche la minore fosse affidata al padre. Con provvedimento del 30 dicembre, osservando che la minore era rimasta con la madre, il tribunale ordinò che trascorresse le vacanze con il padre fino al 14 gennaio 2003. Tale scadenza fu prorogata fino al 29 gennaio 2003.

13. Il 13 gennaio 2003 il tribunale ordinò una perizia psicologica sulla ricorrente. Il parere degli esperti poteva riassumersi come segue:

  • la ricorrente era incapace di considerare la figlia come un essere distinto da se stessa, o diversamente da un oggetto narcisistico; non permetteva che la figlia costruisse un legame con il padre; tale rapporto simbiotico impediva alla minore di crescere in modo armonioso.

14. Il tribunale emise la sua decisione il 26 maggio 2003. Nei suoi motivi rilevò:

  • che gli esperti avevano sottolineato: da un lato, che era auspicabile che la minore si staccasse dalla ricorrente poiché quest’ultima le impediva di crescere; dall’altro, che la ricorrente aveva bisogno di seguire un percorso di sostegno psicologico; che le perizie prodotte dalla ricorrente dimostravano anche che quest’ultima aveva difficoltà a gestire le sue emozioni;
  • che in dicembre, A. aveva trascorso un mese con il padre, e che in questo ambiente la minore evolveva positivamente; che, al contrario, nonostante l’assistenza psicologica, la ricorrente aveva continuato a denigrare l’ex-marito; che il comportamento della ricorrente nuoceva allo sviluppo psicofisico della bambina.

Così il tribunale decise, nell’interesse della minore: di ordinare l’allontanamento di A. della casa della madre, di affidarne la custodia al padre e di concedere alla ricorrente un diritto di visita in presenza degli assistenti sociali in ragione di due pomeriggi a settimana;

  • di ordinare anche alla ricorrente di seguire un percorso psicologico al fine di migliorare il rapporto con la figlia.

15. Con provvedimento del 16 dicembre 2003, il tribunale sospese la potestà genitoriale della ricorrente e vietò ogni contatto tra lei e la figlia. Autorizzò un solo incontro a settimana in presenza degli assistenti sociali. Nella motivazione il tribunale osservava:

  • che la ricorrente non aveva rispettato la sua precedente decisione, in quanto si era recata presso i suoceri per vedere la figlia, per diversi mesi aveva interrotto gli incontri senza motivo e non aveva seguito correttamente il programma di sostegno psicologico;
  • che il suo comportamento non era migliorato, e che il suo rancore nei confronti del padre di sua figlia era aumentato.

Di conseguenza, il tribunale ritenne che la ricorrente non fosse in grado di esercitare la potestà genitoriale. Oltre a limitare gli incontri a una sola volta ogni quindici giorni, sempre in presenza degli assistenti sociali, ordinò alla ricorrente di collaborare con i servizi sociali e di seguire un percorso di psicoterapia.
16. Il 5 ottobre 2005 il tribunale emise una nuova decisione. Nella motivazione osservò:

  • che durante gli incontri protetti, la ricorrente aveva tentato di fomentare la figlia contro il padre;
  • che aveva avuto un atteggiamento negativo nei confronti degli assistenti sociali e si era rifiutata di seguire un percorso di sostegno psicologico;
  • che, dal canto suo, A. aveva instaurato un legame molto forte con suo padre;
  • che il comportamento della ricorrente non era migliorato; che non aveva mostrato interesse né per sua figlia, né per la sofferenza che provava.

Ritenendo che un miglioramento del rapporto madre-figlia non fosse più possibile, il tribunale dichiarò la ricorrente decaduta della potestà genitoriale e le vietò qualsiasi incontro con la figlia.

17. Con provvedimento del 27 febbraio 2006, la corte d’appello di Palermo confermò la decisione del tribunale rilevando, in particolare, che la ricorrente ostacolava uno sviluppo sano e armonioso della minore.

18. Il 15 marzo 2006 i nonni materni della minore adirono il tribunale: sostenevano che da tre anni non avevano più alcun contatto la nipote e chiedevano di poterla vedere.

19. Il 17 gennaio 2007, dopo aver richiesto una perizia sulla situazione della minore e sull’opportunità che questa incontrasse i nonni, il tribunale respinse la richiesta dei nonni materni.

20. Il 20 settembre 2007 i nonni riproposero la richiesta.

21. La minore, A.A. e la ricorrente furono sentiti dal tribunale.

22. Con decisione del 30 gennaio 2008, il tribunale respinse il ricorso dei nonni. Nella motivazione il tribunale sottolineò:

  • che l’esperto aveva ritenuto che una ripresa dei contatti con i nonni sarebbe stata pregiudizievole per la minore che aveva ormai dimenticato i ricordi traumatici della relazione con la madre, e che comunque quest’ultima per lei faceva parte del passato;
  • che tale ravvicinamento sarebbe contrario al percorso intrapreso dalla minore per dimenticare il passato; tanto più che la ricorrente, in occasione dell’audizione, aveva manifestato la volontà di rivedere sua figlia, quando invece una ripresa delle relazioni con la madre non era possibile.

23. I nonni interposero appello avverso tale decisione. Il 12 aprile 2008 l’esperto presentò una nuova relazione, ai sensi della quale:

  • i ricordi che la minore aveva dei nonni erano vaghi;
  • la bambina era in una situazione di disagio di fronte alla madre;
  • una ripresa dei contatti con i nonni sarebbe stata dannosa per la bambina.

24. Con sentenza dell’11 giugno 2008, la corte d’appello, basandosi sulla perizia presentata, respinse l’appello dei nonni facendo anche riferimento ad un’altra perizia presentata nel frattempo in un procedimento promosso dalla ricorrente per ottenere l’annullamento del matrimonio dinanzi alla Sacra Rota.

25. In data non precisata, la ricorrente aveva in effetti chiesto l’annullamento del matrimonio dinanzi al giudice ecclesiastico. Lo svolgimento di questa procedura può essere sintetizzato come segue.

Il 13 marzo 2006 il tribunale ecclesiastico ordinò una perizia sulle parti.

Nel settembre 2006, la perizia fu depositata in cancelleria. L’esperto scrisse che:

  • la ricorrente aveva una personalità narcisistica, era molto egocentrica e soffriva di un disturbo della personalità; si riteneva importante, mancava di empatia e aveva dei comportamenti arroganti; tale patologia comprometteva la sua capacità di stabilire delle relazioni di amore; l’allontanamento della figlia le aveva peraltro causato una sofferenza la cui causa risiedeva più nel torto che essa riteneva di aver subito che nella perdita della figlia.

26. Con sentenza del 25 maggio 2007 il tribunale ecclesiastico annullò il matrimonio della ricorrente a causa dell’incapacità di quest’ultima di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

27. Il 6 luglio 2009 la ricorrente chiese di essere reintegrata nella potestà genitoriale sostenendo di aver intrapreso una psicoterapia con due psichiatri e producendo l’attestazione con la quale uno psichiatra indicava che essa non soffriva di alcuna patologia.

28. Dopo aver ascoltato gli esperti, con decisione del 29 marzo 2010 il tribunale respinse la domanda, in quanto:

  • il primo terapeuta aveva incontrato la ricorrente solo due volte e il secondo aveva avuto due colloqui con la ricorrente ma non a carattere professionale;
  • la ricorrente aveva avviato un percorso terapeutico senza seguire le indicazioni fornite dai servizi sociali; inoltre, il suo comportamento aggressivo, già presente in passato, avrebbe potuto essere ancora più destabilizzante per sua figlia, dal momento che quest’ultima stava vivendo la delicata fase della costruzione della sua identità di genere.

29. Questa decisione fu confermata dalla corte d’appello di Palermo.

30. Con ricorso presentato il 1º febbraio 2012, la ricorrente chiese nuovamente al tribunale di revocare la decisione del 2005 e di consentirle di riprendere i contatti con sua figlia esponendo:

  • che aveva seguito una psicoterapia e che, secondo la relazione del suo psichiatra, non soffriva di alcuna patologia psichiatrica tale da influenzare negativamente le sue capacità genitoriali;
  • che l’interesse della figlia esigeva che quest’ultima potesse rivedere sua madre;
  • che aveva avuto svariati colloqui con un’altra psicoterapeuta, la quale aveva indicato che era auspicabile, in assenza di patologia, che vi fosse una ripresa dei contatti tra madre e figlia.

31. La ricorrente aggiungeva:

  • di aver seguito una nuova psicoterapia a decorrere dal 21 giugno 2011;
  • di essere una persona stabile, che esercitava la professione di medico di pronto soccorso dell’ospedale e di pediatra in neonatologia, e non soffriva di alcuna disfunzione sociale o professionale.

La ricorrente chiedeva al tribunale di disporre una perizia psichiatrica per verificare le sue capacità genitoriali.

32. Nel frattempo, i servizi sociali avevano presentato una relazione sulla situazione della minore da cui emergeva che il padre della minore temeva il ritorno della ricorrente nella loro vita; e che la minore, dal canto suo, non si rappresentava ancora la perdita della madre.

33. Il padre della minore si oppose alla richiesta della ricorrente.

Per quanto riguarda A., sentita dal tribunale, quest’ultima dichiarò di non voler modificare la propria vita e di non voler incontrare nuovamente sua madre, che non vedeva più da sette anni.

34. Un’altra psicoterapeuta che aveva seguito la ricorrente fu sentita dal tribunale: a suo avviso, la ricorrente mostrava una personalità narcisistica ma non era pericolosa per la figlia.

35. La procura diede un parere sfavorevole alla ripresa dei contatti tra la ricorrente e la figlia, tenuto conto dell’equilibrio raggiunto dalla minore.

36. Con decisione del 23 giugno 2013, il tribunale respinse la domanda della ricorrente.

Nella motivazione, il tribunale osservò:

  • che la ricorrente era stata privata della potestà genitoriale in quanto ritenuta incapace di esercitare il proprio ruolo genitoriale a causa della sua mancanza di empatia e della sua personalità narcisistica;
  • che le dichiarazioni dei due psichiatri che avevano seguito l’interessata nel corso degli ultimi anni non erano riusciti a smentire il fatto che avesse una personalità narcisistica, come avevano sottolineato gli esperti in passato, e soprattutto l’esperto incaricato nell’ambito procedimento dinanzi al tribunale ecclesiastico, secondo il quale, in particolare, un disturbo della personalità non era da escludere.

37. Il tribunale considerò altresì:

  • che la ricorrente aveva avuto un atteggiamento egocentrico e autoreferenziale; che essa avrebbe dovuto avviare una nuova psicoterapia più importante di quella che aveva seguito; che non era necessario ordinare una nuova consulenza psicologica;
  • che gli incontri richiesti non potevano che essere negativi per A.; che un’eventuale ripresa dei contatti avrebbe potuto avere luogo soltanto se la ricorrente fosse arrivata a comprendere le esigenze di sua figlia e se A. avesse accettato sua madre; che inoltre, la ricorrente aveva mantenuto lo stesso comportamento rispetto al passato.

Il tribunale ordinò al padre della minore di farle seguire un percorso di sostegno, al fine di aiutarla a conoscere le sue origini personali dal lato materno.

38. L’11 febbraio 2013 la ricorrente presentò appello contro tale decisione. Sostenendo che le perizie su cui il tribunale si era fondato risalivano al 2002, 2003 e 2006, chiedeva una nuova perizia. Inoltre, a suo avviso, il fatto di interrompere ogni contatto con sua figlia non era giustificato né era nell’interesse della minore.

La procura chiese alla corte d’appello di disporre una perizia psicologica sulla ricorrente.

39. Con sentenza dell’11 aprile 2013, la corte d’appello di Palermo respinse il ricorso della ricorrente, tenendo conto:

  • che la minore era evoluta positivamente in assenza della madre, come sottolineato dal tribunale;
  • che non era opportuno né utile ordinare una nuova consulenza tecnica, visto che le perizie effettuate in passato avevano confermato che la ricorrente soffriva di disturbi della personalità che non erano incompatibili con la sua personalità narcisistica;
  • che un’eventuale ripresa dei contatti tra la ricorrente e sua figlia sarebbe stata pregiudizievole per la minore.

La corte d’appello ordinò tuttavia al padre di far seguire un percorso psicologico alla minore al fine di prepararla ad un eventuale futuro ravvicinamento con la ricorrente.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

40. Ai sensi dell’articolo 330 del codice civile:

«Il giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.»

41. La legge n. 149 del 28 marzo 2001 ha modificato alcune disposizioni del libro I, titolo VIII, del codice civile nonché della legge n. 184/1983.
L’articolo 333 del codice civile, come modificato dall’articolo 37, comma 2, della legge n. 149/2001, dispone come segue:

«Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento dal genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.»

42. L’articolo 336 del codice civile, come modificato dall’articolo 37, comma 3, della stessa legge, prevede:

«I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.
Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito.
In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d’ufficio, provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio.
Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge.»

43. Ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile le decisioni dei tribunali per i minorenni rientrano nella volontaria giurisdizione. Esse non hanno carattere definitivo e possono pertanto essere revocate in qualsiasi momento. Inoltre, tali decisioni non sono soggette ad appello ma avverso di esse una delle parti può proporre reclamo dinanzi alla corte d’appello affinché quest’ultima riesamini la situazione.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

44. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, la ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare, contestando alle autorità:

  • di averle impedito ogni contatto con sua figlia senza prendere le misure appropriate per mantenere un legame tra loro;
  • di averle impedito di svolgere il suo ruolo di madre, adottando misure il cui scopo era quello di spezzare il legame tra lei e sua figlia;
  • di aver lasciato che il genitore con il quale vive sua figlia manipolasse quest’ultima in modo da allontanarla dalla madre, e di non aver neppure pensato che la minore potesse seguire una psicoterapia.

Invocando l’articolo 6, la ricorrente lamenta una mancanza di equità delle procedure interne: in particolare, denuncia il fatto che non sia stata disposta alcuna perizia, visto che le ultime decisioni erano state adottate sulla base di perizie effettuate rispettivamente sette e otto anni prima.

Libera di qualificare giuridicamente i fatti di causa, la Corte ritiene appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati dalla ricorrente unicamente sotto il profilo dell’articolo 8 , il quale impone che il processo decisionale che porta all’applicazione di misure di ingerenza sia equo e rispetti, doverosamente, gli interessi tutelati da tale disposizione (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 27, 27 aprile 2010; Havelka e altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).

L’articolo 8 della Convenzione prevede:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (...) familiare, (…).

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

45. Il Governo eccepisce l’irricevibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, a causa dell’inosservanza del termine di sei mesi. Sostiene che la decisione interna definitiva è stata notificata alla ricorrente l’11 aprile 2013, mentre il ricorso è stato ricevuto dalla Corte il 18 ottobre 2013.

46. La Corte rammenta che la data da prendere in considerazione per il calcolo del periodo di sei mesi è quella della presentazione o dell’invio del ricorso alla Corte, dal momento che fa fede il timbro postale e non il timbro di ricezione apposto sul ricorso (si veda, ad esempio, Kipritçi c. Turchia, n. 14294/04, § 18, 3 giugno 2008). Essa constata che, nel caso di specie, il periodo di sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione scadeva l’11 ottobre 2013. Ora, il timbro postale indica che il ricorso è stato inviato il 10 ottobre 2013.

47. Tenuto conto degli elementi del fascicolo, la Corte ritiene quindi che il ricorso sia stato presentato il 10 ottobre 2013, ossia entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. Pertanto, il ricorso non è tardivo e occorre respingere l’eccezione del Governo.

48. La Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. Lo dichiara quindi ricevibile.

B. Sul merito

1. La ricorrente

49. La ricorrente rammenta anzitutto che da ormai dieci anni ha perso ogni contatto con la figlia, oggi dodicenne.

50. La stessa sottolinea:

  • che nessuno dei periti nominati dai giudici ha mai suggerito l’adozione di una misura come la decadenza dalla potestà genitoriale e l’interruzione totale dei rapporti;
  • che la sola perizia psichiatrica alla quale fa riferimento la corte d’appello nella sua decisione del 2013 è stata effettuata nel 2006 nell’ambito del procedimento dinanzi al tribunale ecclesiastico, che aveva un oggetto e una finalità diversi;
  • che, per rigettare la sua domanda volta a ottenere una nuova perizia, la corte d’appello ha fatto riferimento alle conclusioni del perito nominato dal padre della minore, che non aveva mai incontrato la ricorrente.

51. La ricorrente afferma che lei e la figlia sono state abbandonate dalle autorità, le quali hanno preferito interrompere il legame piuttosto che aiutarle a costruire una relazione sana.
La stessa sottolinea che i periti da lei nominati avevano affermato che una ripresa dei contatti era auspicabile, e che anche il procuratore generale aveva chiesto alla corte d’appello di nominare un perito allo scopo di valutare il suo stato psichico.

52. Invece, secondo la ricorrente, i giudici sono rimasti inerti: basandosi sulle dichiarazioni della minore, che non ha più visto la madre da circa dieci anni, non hanno preso in considerazione le conclusioni del perito, che sottolineava che la minore non si rappresentava ancora la perdita della madre, e aveva osservato che parlare di lei era come scontrarsi con un tabù.

53. La ricorrente contesta inoltre ai giudici di non aver preso in considerazione nemmeno le affermazioni di un altro perito, il quale sottolineava che la possibile opposizione della minore all’idea di incontrare la madre poteva essere vista come il risultato di una manipolazione e come il sintomo di uno stress psicologico.

54. La ricorrente è del parere che le autorità non abbiano cercato di salvare il legame famigliare, e hanno invece preferito tagliarlo. Secondo lei, le autorità non hanno mai fatto seguire un percorso di sostegno psicologico alla minore.

2.  Il Governo

55. Rammentando i principi della giurisprudenza nelle cause Nuutinen c. Finlandia (n. 32842/96, CEDU 2000 VIII) e Glaser c. Regno Unito (n. 32346/96, 19 settembre 2000), il Governo afferma che le autorità italiane hanno agito con diligenza e hanno messo in atto tutte le misure necessarie per proteggere la minore e il diritto alla vita famigliare della ricorrente. Tutti i procedimenti condotti dai giudici italiani, a suo parere, hanno beneficiato di garanzie adeguate:

  • sono state sempre sentite la ricorrente e la minore;
  • sono state esaminate varie perizie prodotte dalle parti;
  • i servizi sociali sono stati incaricati di monitorare la relazione tra la ricorrente e la figlia.

Il Governo aggiunge che è stato preso in considerazione anche l’interesse della madre, nonostante la minore si opponesse all’idea di incontrarla.

56. Quanto alla riduzione del diritto di visita della ricorrente e alla sospensione della sua potestà genitoriale, il Governo intende osservare che tutto ciò è avvenuto gradualmente.

57. Per quanto riguarda le perizie effettuate nell’ambito dell’ultimo procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni, il Governo rammenta che, nel 2007, i giudici hanno deciso di tenere conto della perizia predisposta nell’ambito del procedimento pendente dinanzi al tribunale ecclesiastico, secondo la quale la ricorrente soffriva di un disturbo della personalità incompatibile con gli obblighi derivanti dal matrimonio.

58. Il Governo afferma che né la ricorrente, né il procuratore generale hanno mai chiesto una perizia nell’ambito di quest’ultimo procedimento.

59. Aggiunge:

  • che la ricorrente non ha rispettato le prescrizioni che raccomandavano che seguisse una terapia, secondo le modalità suggerite dai giudici;
  • che, di conseguenza, dinanzi ai giudici non è stato prodotto alcun elemento nuovo di natura tale da cambiare la loro decisione e permettere alla ricorrente di vedere la figlia;
  • che, del resto, la corte d’appello ha ordinato al padre della minore di farle seguire un percorso psicologico allo scopo di prepararla a un eventuale futuro ravvicinamento con la ricorrente.

60. Quanto alla minore, i periti intervenuti nel corso del procedimento hanno sottolineato che era nel suo interesse non riprendere i contatti con la madre, come ha ricordato anche la corte d’appello nella sua decisione dell’11 aprile 2013.

61. Il Governo sostiene di avere adottato tutte le misure necessarie per permettere alla ricorrente di riallacciare un legame con la figlia, ma che ciò non è stato possibile a causa del suo comportamento. Tutte le misure, spiega, sono state adottate nell’interesse della minore.

3.  Valutazione della Corte

62. La Corte rammenta che, per un genitore e il figlio, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita famigliare (Kutzner, sopra citata § 58) e che delle misure interne che glielo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001-VII). Tale ingerenza è incompatibile con l’articolo 8 a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi con riguardo al secondo paragrafo di tale disposizione e non sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli. La nozione di «necessità» implica che l’ingerenza si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia, in particolare, proporzionata al legittimo scopo perseguito (Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004).

63. Se l’articolo 8 tende essenzialmente a proteggere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso pone anche a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al «rispetto» effettivo della vita famigliare. In tal modo, laddove è accertata l’esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve in linea di principio agire in modo tale da permettere a tale legame di svilupparsi, e adottare le misure idonee a ricongiungere il genitore e il figlio interessati (si vedano, per esempio, Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 71, serie A n. 156; Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250; Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000-I; Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 51, CEDU 2000-I, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 140, CEDU 2010). Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato dall’articolo 8 non si presta a una definizione precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti – quello del minore, quelli dei due genitori e quelli dell’ordine pubblico – (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 62, CEDU 2007 XIII), tenendo conto tuttavia del fatto che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (in tal senso si veda, Gnahoré, sopra citata, § 59), che, a seconda della propria natura e gravità, può avere la meglio su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003-VIII). L’interesse di questi ultimi, in particolare a beneficiare di un contatto regolare con il minore, rimane comunque uno dei fattori di cui tenere conto nel bilanciare i diversi interessi in gioco (Haase c. Germania, n. 11057/02, § 89, CEDU 2004-III (estratti), o Kutzner, sopra citata, § 58). In entrambe le ipotesi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si vedano, ad esempio, W., B. e R. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, serie A n. 121, §§ 60 e 61, e Gnahoré, sopra citata, § 52). La Corte non ha il compito di sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la presa in carico di minori da parte della pubblica amministrazione e i diritti dei genitori di tali minori, ma di esaminare sotto il profilo della Convenzione le decisioni rese da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, serie A n. 299 A).

64. La Corte rammenta che, se l’articolo 8 non contiene alcuna indicazione procedurale esplicita, il processo decisionale all’esito del quale vengono applicate misure di ingerenza deve essere equo e rispettare adeguatamente gli interessi tutelati da tale disposizione. Pertanto, è necessario determinare, in funzione delle circostanze di ciascun caso e in particolare della gravità delle misure da adottare, se i genitori abbiano potuto svolgere nel processo decisionale, considerato nel complesso, un ruolo abbastanza importante per accordare la tutela dei loro interessi da essi richiesta. In caso negativo, si contravviene al rispetto della loro vita famigliare e l’ingerenza che risulta dalla decisione non può essere considerata «necessaria» nel senso dell’articolo 8 (W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, § 64, serie A n. 121).

65. La Corte riconosce che le autorità godono di un ampio margine di manovra in materia di diritto di custodia. Si rende invece necessario esercitare un controllo più rigoroso sulle restrizioni supplementari, come quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare. Tali restrizioni supplementari comportano il rischio di troncare le relazioni famigliari tra un giovane figlio e uno dei genitori, o entrambi (si vedano le sentenze Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94 § 49, CEDU 2000-VIII, e Sahin, sopra citata, § 65).

66. L’articolo 8 esige che le autorità nazionali assicurino un giusto equilibrio tra gli interessi del minore e quelli dei genitori e che, in questo modo, attribuiscano una importanza particolare all’interesse superiore del minore che, a seconda della sua natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori. Da un lato, è certo che garantire ai minori uno sviluppo in un ambiente sano rientra in tale interesse e che l’articolo 8 non può in alcun modo autorizzare un genitore a veder adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo dei suoi figli (Sahin sopra citata, § 66). Dall’altro, è evidente che rientra ugualmente nell’interesse del minore che i legami tra lo stesso e la sua famiglia siano mantenuti, salvo nei casi in cui quest’ultima si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere tale legame significa tagliare al figlio le sue radici. Ne risulta che l’interesse del minore impone che solo circostanze eccezionali possano portare a una rottura del legame famigliare, e che sia fatto il possibile per mantenere le relazioni personali (Plasse Bauer c. Francia (dec.), n. 21324/02, Pisano c. Italia (dec.), n. 10504/02 e Brukarz c. Francia (dec.), n. 16585/04).
Applicazione dei principi sopra menzionati alla presente causa.

67. La Corte ritiene che, viste le circostanze sottoposte alla sua attenzione, il suo compito consista nell’esaminare se, di fronte alla necessità di adottare misure idonee a mantenere i legami della ricorrente con la figlia nel corso del procedimento, le autorità italiane abbiano agito conformemente ai loro obblighi positivi derivanti dall’articolo 8.

68. Nelle cause che interessano la vita famigliare, l’interruzione del contatto con un figlio molto giovane può portare ad una crescente alterazione della sua relazione con il genitore (si vedano, tra altre, Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 175, CEDU 2004 V (estratti) e K.A.B. c. Spagna, sopra citata, § 103). Questo è ciò che accade nella presente causa.

69. La Corte osserva che, a partire dal 2003, il diritto di visita della ricorrente fu limitato a un incontro a settimana, in presenza dei servizi sociali. Dopo un certo periodo, i servizi sociali constatarono le gravi difficoltà sopraggiunte nella gestione degli incontri a causa del comportamento della ricorrente e dell’atteggiamento aggressivo e non collaborativo nei confronti del personale dei servizi sociali stessi.

70. La Corte osserva che, nel 2005, il tribunale di Palermo dichiarò la ricorrente decaduta dalla potestà genitoriale sulla base delle perizie depositate in occasione del procedimento di separazione giudiziale, le cui conclusioni avevano portato i giudici aditi a considerare che, tenuto conto della sua personalità narcisistica, la ricorrente non era in grado di assicurare lo sviluppo equilibrato della figlia.

71. La Corte osserva anzitutto il numero e la frequenza delle azioni compiute dalla ricorrente presso le autorità nazionali, allo scopo di mantenere un contatto con la figlia, nata nel 2000 e data in affidamento al padre. Per giustificare la loro risposta negativa alle domande della ricorrente di vedere la bambina, nel marzo 2010 i giudici hanno affermato che la ricorrente non era ancora in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale in quanto non aveva correttamente seguito il percorso terapeutico indicato dalle autorità giudiziarie (paragrafo 28 supra).

72. I giudici aditi dalla ricorrente hanno ancora una volta rigettato, nel 2012, la sua domanda di poter nuovamente incontrare la figlia. Prendendo in considerazione il desiderio espresso dalla minore, nel corso della sua audizione, di non rivedere la madre dopo sette anni di totale mancanza di contatti con lei, le autorità suddette hanno ritenuto che non fosse né opportuno né utile ordinare una nuova perizia riguardante la ricorrente, in quanto le perizie realizzate nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale nel 2003 e dinanzi al tribunale ecclesiastico nel 2006 avevano confermato che l’interessata soffriva di un disturbo della personalità. Inoltre, secondo la corte d’appello di Palermo, una eventuale ripresa dei contatti tra la ricorrente e la figlia sarebbe pregiudizievole per la minore.

73. Ne risulta dunque che, dal 2006, non è stata effettuata alcuna nuova perizia psichiatrica indipendente con riguardo alla ricorrente per valutare se la stessa continuasse a soffrire di un disturbo della personalità e, in caso affermativo, se vi fossero ancora, dal punto di vista degli interessi della minore, ragioni pertinenti e sufficienti per mantenere delle misure che vietano qualsiasi contatto tra la ricorrente e la figlia ormai dodicenne. I giudici si sono limitati a ribadire le considerazioni già fatte nelle decisioni precedenti, mentre erano state date indicazioni – certamente da periti nominati dalla ricorrente – che la sua situazione nel frattempo era migliorata.

74. Considerato quanto sopra esposto, in particolare l’assenza di una perizia recente e indipendente sulla ricorrente, è giocoforza concludere che il processo decisionale non ha soddisfatto le esigenze processuali inerenti all’articolo 8 della Convenzione (si veda il paragrafo 64 supra).

75. La Corte conclude di conseguenza che lo Stato ha contravvenuto nei confronti della ricorrente agli obblighi positivi posti a suo carico dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, vi è stata violazione di tale disposizione.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

76. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno

77. La ricorrente chiede la somma di 73.888 euro (EUR) per il danno materiale e la somma di un milione di euro per il danno morale.

78. Il Governo ritiene che gli importi richiesti siano eccessivi e non conformi ai criteri di solito utilizzati dinanzi alla Corte.

79. La Corte non ravvisa alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto; pertanto, rigetta la domanda. Essa considera invece opportuno accordare alla ricorrente la somma di 32.000 EUR per il danno morale.

80. Inoltre, tenuto conto delle conseguenze irrimediabili che il passare del tempo può avere sulle relazioni tra la minore e la ricorrente, la Corte ritiene a questo proposito che le autorità interne sarebbero tenute a riesaminare, entro breve termine, la domanda della ricorrente volta a ottenere il ripristino della potestà genitoriale, tenuto conto della situazione attuale della ricorrente e di A. e dell’interesse superiore della minore (si vedano, mutatis mutandis Kuppinger c. Germania n. 62198/11, §§ 102 e 137, 15 gennaio 2015, Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, §§ 83-91, 17 novembre 2015).

B. Spese

81. Producendo i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede anche la somma di 5.960,00 EUR per le spese sostenute per l’ultimo procedimento dinanzi ai giudici nazionali e la somma di 17.963,25 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

82. Il Governo contesta le richieste della ricorrente, e afferma che si tratta di importi eccessivi e presentati in maniera imprecisa.

83. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma complessiva di 20.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento nazionale e per quello dinanzi alla Corte, e la accorda alla ricorrente.

C. Interessi moratori

84. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventa definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 32.000 EUR (trentaduemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 20.000 EUR (ventimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 28 aprile 2016, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Mirjana Lazarova Trajkovska
Presidente

Abel Campos
Cancelliere