Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 marzo 2016 - Ricorso n. 300/05 - Luigia De Paola c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 300/05

Luigia DE PAOLA

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 15 marzo 2016 in un comitato composto da:
Kristina Pardalos, presidente,
Paul Mahoney,
Robert Spano, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 9 febbraio 2000,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dalla ricorrente,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1. La ricorrente, sig.ra Luigia de Paola, è una cittadina italiana, nata nel 1945 e residente a Benevento. Innanzi alla Corte è stata rappresentata dall’avv. Altieri, del foro di Benevento.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri e dal suo co-agente P. Accardo.

Le circostanze del caso di specie

3. Il padre della ricorrente era proprietario di un terreno di 50.148 m² sito a Benevento e registrato in catasto al foglio 24, particelle 51, 254 e 255.

4. Con decreto del 19 giugno 1996, il Comune di Benevento autorizzò la società nazionale per l’energia elettrica («l’ENEL») a occupare con urgenza il suddetto terreno per un periodo di cinque anni allo scopo di costruirvi un impianto elettrico.

5. Il terreno fu occupato materialmente il 29 luglio 1991.

1.  Il procedimento di risarcimento per l’occupazione del terreno

6. Con atto notificato il 5 ottobre 1994, il padre della ricorrente presentò al tribunale di Benevento un ricorso per risarcimento danni nei confronti dell’ENEL con il quale sosteneva che l’occupazione del terreno era illegittima e chiedeva, a titolo di risarcimento danni, la distruzione dell’impianto elettrico, la restituzione del suo terreno e il pagamento di una somma a titolo di risarcimento e di un’indennità.

7. Il 28 giugno 1999 la ricorrente si costituì nel procedimento in qualità di erede del padre, deceduto il 4 gennaio 1995.

8. Il tribunale ordinò una perizia tecnica. Nella relazione depositata il 6 maggio 2002, il perito rilevò che la parte del terreno interessata dalla costruzione dell’opera pubblica era di 17.890 m². Sostenne inoltre che il valore venale del terreno al momento dell’utilizzo era di 8 euro (EUR)/m² e, dopo aver calcolato la perdita di valore a seguito della realizzazione dell’opera, fissò l’importo dell’indennizzo in 25.363 EUR. Infine, il perito fissò l’indennità di occupazione, calcolata al momento della scadenza del periodo di occupazione legittima, vale a dire il 28 luglio 1996, in 12.792,35 EUR.

9. Con sentenza depositata il 10 gennaio 2006, il tribunale di Benevento constatò che l’amministrazione non aveva concluso l’espropriazione del terreno prima della scadenza del termine fissato per l’occupazione, ma che tuttavia aveva costruito l’impianto elettrico. Il tribunale dichiarò che la ricorrente aveva diritto a un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno e a un’indennità di occupazione. Condannò l’ENEL a pagare alla ricorrente le somme stabilite dal perito a titolo di risarcimento e indennità di occupazione, rivalutate ossia 41.322 EUR, più gli interessi legali.

10. L’ENEL interpose appello dinanzi alla corte d’appello di Napoli. La compagnia disse che il terreno della ricorrente non era edificabile ma agricolo e chiese che l’importo del risarcimento fosse calcolato secondo i criteri introdotti dalla legge n. 359 del 1992. Inoltre, l’ENEL sosteneva che l’impianto elettrico costruito sul terreno era stato interamente rimosso il 1º dicembre 2004.

11. Con sentenza del 2 aprile 2014, depositata il 10 aprile 2014, la corte d’appello osservò che l’impianto elettrico era stato rimosso dal terreno e che tale circostanza non era stata presa in considerazione dal tribunale nella sua sentenza del 10 gennaio 2006. Inoltre, essa sosteneva che la ricorrente non aveva perso la proprietà del terreno, ma aveva subìto una limitazione temporanea del diritto di proprietà, dato che il terreno era ormai nella sua piena disponibilità. La corte evidenziò, inoltre, che il terreno era stato occupato ab initio senza titolo e dichiarò che l’occupazione era illegittima. Di conseguenza, a suo avviso la ricorrente aveva diritto a un risarcimento che non doveva essere calcolato sulla base della legge n. 359 del 1992. Basandosi sul valore venale del terreno, la corte d’appello accordò alla ricorrente la somma di 2.516,39 EUR a titolo di risarcimento per l’occupazione temporanea del terreno. Tale somma doveva essere rivalutata e maggiorata di interessi.

2.  La procedura «Pinto»

12. Il 15 aprile 2002 la ricorrente avviò un ricorso «Pinto» dinanzi alla corte d’appello di Roma al fine di essere indennizzata per l’eccessiva durata del procedimento avviato dal padre dinanzi al tribunale di Benevento.

13. Con decreto del 24 settembre 2003, la corte d’appello respinse il ricorso affermando che la ricorrente non aveva la qualità di vittima, in quanto non si era costituita in giudizio.

14. Il 27 ottobre 2003 la ricorrente propose un ricorso per revocazione sostenendo che la corte d’appello aveva commesso un errore materiale nel considerare che essa non si fosse costituita in giudizio.

15. Con decreto depositato il 1º settembre 2004, la corte d’appello respinse il ricorso della ricorrente. Dopo aver dichiarato ammissibile il ricorso per revocazione proposto per errore di fatto, la corte d’appello, pronunciandosi nel merito del ricorso, rilevò che la ricorrente si era costituita nel procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Benevento soltanto quattro anni e cinque mesi dopo il decesso del padre, fatto che denotava una mancanza di interesse prolungato da parte sua riguardo al processo. Inoltre, la ricorrente non aveva fornito la prova dei danni che derivano dall’eccessiva durata del processo.

16. La ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione.

MOTIVI DI RICORSO

17. Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1, la ricorrente lamentava di essere stata privata del suo terreno in modo incompatibile con il diritto al rispetto dei suoi beni, e lamentava l’applicazione della legge n. 359 del 1992 alla sua causa.

18. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, lamenta inoltre l’eccessiva durata del procedimento.

IN DIRITTO

A. Motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

19. La ricorrente sostiene di essere stata privata del suo terreno in modo incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

20. Il Governo contesta tale tesi.

21. Con lettera del 18 aprile 2014, il rappresentante della ricorrente informò la Corte che il procedimento dinanzi alla corte d’appello di Napoli, che era pendente al momento della presentazione del ricorso dinanzi alla Corte e della comunicazione del ricorso al Governo convenuto, era terminato. La corte d’appello constatò che l’impianto elettrico era stato rimosso dal terreno della ricorrente e accordò un risarcimento danni per l’occupazione illegittima del terreno (paragrafo 11 supra).

22. Tenuto conto di tale circostanza, la Corte ritiene necessario affrontare la questione della qualità di vittima della ricorrente. Essa rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali correggere una asserita violazione della Convenzione. A tale proposito, la questione di stabilire se un ricorrente possa ritenersi vittima della violazione lamentata si pone in qualsiasi fase della procedura e implica essenzialmente per la Corte di esaminare ex post facto la situazione della persona interessata (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, §§ 70-72, CEDU 2006 V).

23. La Corte ribadisce che ha il compito di verificare se da parte delle autorità sia stata riconosciuta, almeno in sostanza, una violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione (Cocchiarella c. Italia sopra citata, § 84).

24. La Corte ritiene che il riconoscimento della violazione consista nella dichiarazione dell’illegittimità dell’occupazione del terreno da parte della corte d’appello di Napoli. La Corte osserva inoltre che le autorità nazionali hanno constatato, in sostanza, la violazione del diritto di proprietà della ricorrente. Inoltre, essa ritiene che il risarcimento riconosciuto dalla corte d’appello di Napoli costituisca un risarcimento adeguato e sufficiente, tenuto conto, in particolare, del fatto che la ricorrente non ha mai perso la proprietà del terreno, che l’impianto elettrico è stato rimosso e che ha ricevuto una somma calcolata sulla base del valore venale a titolo di indennizzo per l’occupazione illegittima del terreno, soddisfacendo in tal modo le richieste del padre della ricorrente del 5 ottobre 1994 (paragrafo 5 supra).

25. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ritiene che la ricorrente non possa più ritenersi vittima della dedotta violazione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

26. Conseguentemente, questa parte della doglianza è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 § 4.

27. Invocando la stessa disposizione, la ricorrente contesta l’applicazione della legge n. 359 del 1992 alla sua causa.

28. La Corte osserva che poiché nel caso di specie la legge in questione non è stata applicata, tale parte della doglianza è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 § 4.

B.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione

29. La ricorrente afferma che il procedimento avviato dal padre dinanzi al tribunale di Benevento è stato eccessivamente lungo. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

30. La Corte rileva che la ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello del 1° settembre 2004.

31. La Corte rammenta che, secondo la decisione Di Sante c. Italia ((dec.), n. 56079/00, 24 giugno 2004), a partire dal 26 luglio 2004, i ricorrenti, ai fini del rispetto della regola del previo esaurimento dei ricorsi interni di cui all’articolo 35 § 1 della Convenzione, devono ricorrere in cassazione per contestare la mancata attribuzione o l’insufficienza dell’importo concesso a titolo di danno non patrimoniale da parte delle corti d’appello «Pinto».

32. Ne consegue che questa parte del ricorso è irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35, §§ 1 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 7 aprile 2016.

Kristina Pardalos
Presidente

André Wampach
Cancelliere aggiunto