Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 23 febbraio 2016 - Ricorso n. 44883/09 - Causa Nasr e Ghali c. Italia

© Ministero della Giustizia, traduzione effettuata e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

CAUSA NASR E GHALI c. ITALIA
(Ricorso n. 44883/09)

SENTENZA

STRASBURGO
23 febbraio 2016

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Indice

PROCEDURA

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

  1. Il contesto
  2. Il prelievo del ricorrente, il suo trasferimento in Egitto, la detenzione in segreto in Egitto e le condizioni della sua detenzione
    1. Il prelievo del ricorrente e il suo trasferimento in Egitto
    2. La detenzione in segreto e gli interrogatori in Egitto
      1. Il primo periodo di detenzione (dal 17-18 febbraio 2003 al 19 aprile 2004)
      2. Il secondo periodo (data non precisata nel maggio 2004 – 12 febbraio 2007)
    3. Conseguenze fisiche e psicologiche dei trattamenti subiti dal ricorrente
  3. L’indagine condotta dalla procura della Repubblica di Milano
    1. La prima fase dell’indagine: l’identificazione degli agenti americani sospettati di aver preso parte al sequestro e le ordinanze di custodia cautelare che li riguardavano
    2. Le informazioni provenienti dai servizi segreti italiani
    3. La seconda fase dell'indagine: il coinvolgimento di cittadini italiani, fra i quali gli agenti dello Stato
    4. La chiusura dell'indagine e il rinvio a giudizio degli imputati
    5. I ricorsi riguardanti il conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato nella fase delle indagini
      1. I ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri
      2. I ricorsi della procura e del GIP di Milano
  4. I processi dinanzi al tribunale di Milano
    1. La sospensione, la ripresa del processo e l’apertura del dibattimento
    2. Il conflitto di attribuzione denunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri relativamente alle ordinanze emesse dal tribunale di Milano il 19 marzo e il 14 maggio 2008
    3. La prosecuzione del dibattimento
    4. Il conflitto di attribuzione sollevato dal tribunale di Milano relativamente alle lettere del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 novembre 2008
  5. La sentenza n. 106/2009 della Corte costituzionale
    1. Sui ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri (nn. 2/2007, 3/2007 e 14/2008)
    2. Sul ricorso del tribunale di Milano (n. 20/2008)
  6. La ripresa del dibattimento e la sentenza del tribunale di Milano
  7. Il seguito del procedimento nei confronti degli agenti italiani del SISMi accusati del sequestro
    1. La sentenza della corte d’appello di Milano del 15 dicembre 2010
    2. La sentenza della Corte di cassazione del 19 settembre 2012, n. 46340/12
    3. La sentenza della corte d'appello di Milano del 12 febbraio 2013
    4. Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri riguardante il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
    5. La sentenza 24/2014 della Corte costituzionale
    6. La sentenza del 24 febbraio 2014, n. 20447/14 della Corte di cassazione
  8. Il seguito del procedimento nei confronti degli agenti italiani del SISMi accusati di aver intralciato le indagini
  9. Il seguito del procedimento nei confronti degli agenti americani
    1. Gli agenti condannati in primo grado
    2. Gli agenti che hanno beneficiato di un non doversi procedere in primo grado
    3. Gli ulteriori sviluppi riguardanti i cittadini americani

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

  1. La Costituzione italiana
  2. Le disposizioni legali
    1. La riforma del segreto di Stato e i problemi di applicabilità ratione temporis
    2. L'oggetto del segreto di Stato e i suoi limiti materiali e temporali
    3. L'autorità competente per l'applicazione del segreto di Stato e la natura politica del suo controllo
    4. La protezione del segreto di Stato, soprattutto nell’ambito del processo penale
    5. La clausola di giustificazione per le condotte previste dalla legge come reato poste in essere dal personale dei servizi di informazione

III. IL TRATTATO DI ESTRADIZIONE TRA L’ITALIA E GLI STATI UNITI D’AMERICA

IV. ELEMENTI INTERNAZIONALI E ALTRI DOCUMENTI PUBBLICI PERTINENTI

  1. Il programma della CIA per Detenuti di Alta Importanza
  2. Fonti pubbliche che documentano le preoccupazioni in merito alle violazioni dei diritti dell’uomo nel contesto della «consegne straordinarie»
  3. Rapporti internazionali sulle «consegne straordinarie» praticate nell’ambito della lotta contro il terrorismo
    1. Il primo «rapporto Marty» dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
    2. Il secondo «rapporto Marty»
    3. Il Rapporto del Parlamento europeo
  4. Documenti giuridici internazionali
    1. La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, adottata a Vienna il 24 aprile 1963 ed entrata in vigore il 19 marzo 1967
      Articolo 36
      Comunicazione con i cittadini dello Stato di invio
    2. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (PIDCP)
      Articolo 4
      Articolo 7
      Articolo 9
    3. La Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata
      Articolo primo
      Articolo 2
      Articolo 3
      Articolo 4
    4. Il Manuale per una efficace indagine sulla tortura e altri temi e trattamenti crudeli, inumani o degradanti – il Protocollo di Istanbul, pubblicato nel 1999 dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani
    5. Gli articoli sulla responsabilità dello Stato per fatto internazionalmente illecito adottati dalla Commissione di diritto internazionale il 3 agosto 2001, Annuario della Commissione di diritto internazionale, 2001, vol. II
      Articolo 7
      Eccesso di potere o comportamento contrario alle istruzioni
      Articolo 14
      Estensione nel tempo della violazione di un obbligo internazionale
      Articolo 15
      Violazione costituita da un atto composito
      Articolo 16
      Aiuto o assistenza nella commissione dell’atto internazionalmente illecito
    6. Il rapporto sottoposto il 2 luglio 2002 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal Relatore speciale della Commissione dei diritti dell’uomo incaricato di esaminare le questioni che si riferiscono alla tortura e alle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (A/57/173)
    7. La Risoluzione n. 1433 (2005), Legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, adottata il 26 aprile 2005 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
    8. La Risoluzione n. 1463 (2005). Sparizioni forzate, adottata il 3 ottobre 2005 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
    9. La Risoluzione 60/148 sulla tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata il 16 dicembre 2005 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite
    10. Il Parere .n. 363/2005 sugli obblighi di legge internazionali degli Stati membri del Consiglio d’Europa riguardanti i luoghi di detenzione segreti e il trasporto interstatale di prigionieri, adottato il 17 marzo 2006 dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia)
    11. Il rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nella lotta contro il terrorismo, A/HCR/10/3, 4 febbraio 2009
    12. Le Risoluzioni 9/11 e 12/12 sul diritto alla verità, adottate il 18 settembre 2008 e il 1° ottobre 2009 dal Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite
    13. Linee guida adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per sradicare le impunità per gravi violazioni dei diritti dell’uomo, 30 marzo 2011
    14. Il «rapporto Marty» del 2011 (Doc. 12714 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, pubblicato il 16 settembre 2011)

IN DIRITTO

I. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO

  1. L’eccezione del Governo relativa al carattere prematuro del ricorso e al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in materia penale
    1. Il Governo
    2. I ricorrenti
    3. Valutazione della Corte
      1. Principi generali
      2. Applicazione di questi principi
  2. Il secondo elemento dell’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in materia civile
    1. Il Governo
    2. I ricorrenti
    3. Valutazione della Corte
      1. Principi generali
      2. Applicazione di questi principi
  3. L’eccezione relativa all’inosservanza del termine di sei mesi

II. ACCERTAMENTO DEI FATTI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DA PARTE DELLA CORTE

  1. Osservazioni delle parti
    1. Il ricorrente
    2. Il Governo
  2. Valutazione della Corte
    1. Principi generali
    2. Applicazione di questi principi
      1. Sulla questione di stabilire se la Corte può tenere conto di tutti gli elementi del fascicolo
      2. Sull’esistenza di punti controversi tra le parti in merito ai fatti
      3. Sulla questione di stabilire se vi sia stata consegna straordinaria

III. LA RESPONSABILITÀ DELLE AUTORITÀ NAZIONALI

  1. Osservazioni delle parti
    1. Il ricorrente
    2. Il Governo
  2. Principi applicabili per valutare la responsabilità delle autorità italiane
    1. Sulla responsabilità dello Stato riguardante gli eventi che hanno avuto luogo sul suo territorio
    2. Sulla responsabilità dello Stato riguardante i fatti successivi al sequestro in Italia e al trasferimento all’estero del ricorrente nell’ambito dell’operazione di «consegna straordinaria»
    3. Conclusione

IV. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAL RICORRENTE

  1. Il profilo procedurale dell’articolo 3 della Convenzione
    1. Osservazioni delle parti
      1. I ricorrenti
      2. Il Governo
    2. Valutazione della Corte
      1. Ricevibilità
      2. Merito
        1. Principi generali
        2. Applicazione di questi principi
  2. Il profilo materiale dell’articolo 3 della Convenzione
    1. Osservazioni delle parti
    2. Valutazione della Corte
      1. Sulla ricevibilità
      2. Sul merito
        1. Principi generali
        2. Applicazione di questi principi

V. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAL RICORRENTE

  1. Osservazioni delle parti
    1. Il ricorrente
    2. Il Governo
  2. Valutazione della Corte
    1. Ricevibilità
    2. Merito
      1. Principi generali
      2. Applicazione di questi principi

VI. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAL RICORRENTE

  1. Osservazioni delle parti
  2. Valutazione della Corte
    1. Ricevibilità
    2. Merito

VII. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DEDOTTA DALLA RICORRENTE

  1. Osservazioni delle parti
  2. Valutazione della Corte
    1. Ricevibilità
    2. Merito
      1. Profilo materiale
      2. Profilo procedurale

VIII. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DALLA RICORRENTE

  1. Osservazioni delle parti
  2. Valutazione della Corte
    1. Ricevibilità
    2. Merito

IX. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAI RICORRENTI

  1. Osservazioni delle parti
    1. I ricorrenti
    2. Il Governo
  2. Valutazione della Corte
    1. Ricevibilità
    2. Merito
      1. Principi generali
      2. Applicazione di questi principi

X. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAI RICORRENTI

XI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Danno
  2. Spese
  3. Interessi moratori 

Nella causa Nasr e Ghali c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione) riunita in una camera composta da:
George Nicolaou, presidente,
Guido Raimondi,
Päivi Hirvelä,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Krzysztof Wojtyczek, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 21 gennaio 2016,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 44883/09) proposto contro la Repubblica italiana da due cittadini egiziani, il sig. Osama Mustafa Nasr e la sig.ra Nabila Ghali («i ricorrenti»), che hanno adito la Corte il 6 agosto 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. L. Bauccio, del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3. I ricorrenti lamentano diverse violazioni fondate sugli articoli 3, 5, 6, 8 e 13 della Convenzione, nell’ambito dell’operazione di consegna segreta di cui il ricorrente sostiene di essere stato oggetto. L’interessato afferma di essere stato prelevato in Italia da agenti italiani e da agenti stranieri, di essere stato trasportato alla base militare americana di Aviano in Italia e poi alla base militare americana di Ramstein in Germania dove è stato consegnato ad agenti della Central Intelligence Agency (di seguito «la CIA») che lo avrebbero poi imbarcato su un volo speciale con destinazione Egitto dove sarebbe stato detenuto in segreto e avrebbe subito torture e maltrattamenti.
4. Il 22 novembre 2011 il ricorso è stato comunicato al Governo. Il 3 marzo 2015 la Corte ha sottoposto alle parti dei quesiti complementari.
5. Il 23 giugno 2015 si è svolta una udienza pubblica presso il Palazzo dei diritti dell’uomo a Strasburgo (articolo 59 § 3 del regolamento).
Sono comparsi:

  • per il Governo

Sig.ra P. ACCARDO, co-agente;
Sig. M. G. MAURO PELLEGRINI, co-agente;
Sig.ra R. INCUTTI, Ministero della Giustizia,
Sig. M. GIANNUZZI, Avvocato generale,
Sig. A. DI TARANTO, Ministero della Giustizia consiglieri.

  • per i ricorrenti

Sigg. L. BAUCCIO, avvocato, consulente,
C. SCAMBIA, avvocato,
L. FAVERO, avvocato, consiglieri.

La Corte ha sentito le dichiarazioni rese dai sigg.ri R. Incutti, M. Giannuzzi e dall’avv. Bauccio.

IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. Il ricorrente, nato nel 1963, e la ricorrente, nata nel 1968, sono marito e moglie.
7. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

A. Il contesto

8. Il ricorrente, conosciuto anche con il nome di «Abu Omar» viveva in Italia dal 1998 ed era divenuto imam di una moschea di Latina. Membro del gruppo Jama’a al-Islamiya, un movimento islamista considerato come terrorista dal governo egiziano, egli chiese lo status di rifugiato politico. Il 22 febbraio 2001 le autorità italiane accolsero la sua domanda.
Nel luglio 2000 il ricorrente si trasferì a Milano e, il 6 ottobre 2001, sposò la ricorrente nella moschea di via Quaranta, secondo il rito islamico.
9. Sospettato soprattutto di associazione con finalità di terrorismo internazionale, reato previsto dall’articolo 270 bis del codice penale (di seguito «il CP»), fu indagato dalla Procura di Milano per le sue relazioni con delle reti fondamentaliste.
In seguito a queste indagini, il 26 giugno 2005, il giudice per le indagini preliminari («il GIP») di Milano emise una ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Dal fascicolo risulta che il ricorrente fu condannato il 6 dicembre 2013 dal tribunale di Milano per appartenenza ad una organizzazione terrorista.
L’interessato interpose appello avverso la sua condanna.

B. Il prelievo del ricorrente, il suo trasferimento in Egitto, la detenzione in segreto in Egitto e le condizioni della sua detenzione

1. Il prelievo del ricorrente e il suo trasferimento in Egitto

10. Secondo le sue dichiarazioni – inviate per iscritto al PM di Milano nel 2004 –, il ricorrente fu intercettato il 17 febbraio 2003 verso mezzogiorno da uno sconosciuto in abiti civili (più tardi identificato nella persona di Pironi; paragrafi 29, 58, 69, 72 e 74 infra) mentre stava camminando in via Guerzoni a Milano per recarsi alla moschea situata in viale Jenner. Facendosi passare per un poliziotto, lo sconosciuto gli avrebbe chiesto di esibire il documento di identità e il titolo di soggiorno e avrebbe finto di controllare la sua identità tramite il cellulare. Subito il ricorrente sarebbe stato aggredito da sconosciuti che lo avrebbero sequestrato e spinto violentemente in un furgone bianco parcheggiato nelle vicinanze. Quindi sarebbe stato picchiato duramente con calci e pugni, immobilizzato, legato mani e piedi e coperto con un passamontagna da due uomini di una trentina di anni. Il veicolo sarebbe poi partito a grande velocità. Durante il tragitto il ricorrente sarebbe stato colto da un forte malore, sarebbe svenuto e sarebbe stato rianimato.
11. Dopo circa quattro ore, il veicolo si sarebbe fermato in un luogo (in seguito identificato come base delle Forze americane in Europa United States Air Forces in Europe, USAFE di Aviano dove il ricorrente sarebbe stato imbarcato su un aereo. Dopo un viaggio di circa un’ora, l’aereo sarebbe atterrato in un aeroporto individuato in seguito nella base americana di Ramstein in Germania (paragrafi 38-39 e 112-113 infra). Il ricorrente sarebbe stato trasportato con i piedi e i polsi legati in una sala di questo aeroporto, dove sarebbe stato spogliato e rivestito con altri abiti. Per qualche istante gli avrebbero anche slegato la benda che copriva gli occhi per fotografarlo.
12. In seguito sarebbe stato imbarcato su un aereo militare diretto all’aeroporto civile del Cairo. Durante il trasferimento sarebbe stato legato ad una sedia. Gli sarebbe stato messo un casco che diffondeva musica classica in modo da impedirgli di ascoltare ciò che accadeva attorno a lui. Sarebbe stato maltrattato più volte e avrebbe ricevuto cure mediche soltanto dopo una forte crisi respiratoria causata dai maltrattamenti subiti.

2. La detenzione in segreto e gli interrogatori in Egitto

a) Il primo periodo di detenzione (dal 17-18 febbraio 2003 al 19 aprile 2004)

13. Nelle sue dichiarazioni il ricorrente riferisce che, una volta arrivato all’aeroporto del Cairo, fu legato con un nastro adesivo stretto attorno ai piedi e alle mani. Due persone lo avrebbero aiutato a scendere dall’aereo e una persona che parlava l’arabo con accento egiziano gli avrebbe detto di salire su un furgone.
14. Il ricorrente sarebbe stato portato al quartiere generale dei servizi di informazione nazionali e interrogato da tre ufficiali egiziani sulle sue attività in Italia, sulla sua famiglia e sui suoi viaggi all’estero. In seguito, una persona egiziana di alto rango lo avrebbe interrogato e gli avrebbe proposto un ritorno immediato in Italia in cambio della sua collaborazione con i servizi segreti. Il ricorrente avrebbe declinato questa proposta.
15. La mattina del 18 febbraio 2003 il ricorrente sarebbe stato messo in una cella di circa due metri quadrati senza finestra, senza toilette, senza acqua, senza luce e con una insufficiente aerazione, estremamente fredda in inverno e molto calda in estate. Durante tutto il tempo in cui è rimasto in questa cella, gli sarebbe stato vietato qualsiasi contatto con l'esterno.
16. Durante questo periodo, il ricorrente sarebbe stato condotto regolarmente in una sala di interrogatorio dove sarebbe stato sottoposto a violenze fisiche e psichiche destinate a estorcergli informazioni, soprattutto sulle sue presunte relazioni con delle reti terroristiche islamiste in Italia. Durante il suo primo interrogatorio, sarebbe stato svestito e costretto a rimanere su un piede – l'altro piede e le mani erano legati insieme –di modo che sarebbe caduto più volte in terra, sotto le ironie degli uomini in uniforme che erano presenti. In seguito, sarebbe stato picchiato, sottoposto a scosse elettriche e minacciato di violenze sessuali se non avesse risposto alle domande che gli venivano poste.
17. Il 14 settembre 2003 sarebbe stato trasferito in un altro luogo di detenzione dopo essere stato costretto a firmare delle dichiarazioni con cui attestava che non aveva alcun oggetto con sé al momento del suo arrivo e non aveva subìto alcun maltrattamento durante la sua detenzione.
18. Quindi sarebbe stato rinchiuso in una cella nel sottosuolo di circa tre metri quadrati, senza luce, senza apertura, senza impianto sanitario e senza acqua corrente, nella quale disponeva soltanto di una coperta molto sporca e maleodorante. Sarebbe stato nutrito esclusivamente con pane raffermo e acqua.
Non avrebbe avuto accesso ai bagni e quindi stato obbligato a defecare e a urinare nella cella. Avrebbe potuto fare una doccia soltanto ogni quattro mesi e durante tutta la sua detenzione non gli avrebbero mai tagliato la barba né tagliato i capelli. Non avrebbe potuto avere alcun contatto con l'esterno. Gli sarebbe stato rifiutato di dargli un Corano e di indicargli la direzione di La Mecca, verso la quale i musulmani devono rivolgersi per pregare. Doveva presentarsi in piedi con la faccia al muro quando un guardiano apriva la cella – fatto che poteva succedere in qualsiasi momento – altrimenti veniva picchiato, talvolta con un manganello elettrico. Quando si rivolgevano a lui, le guardie lo chiamavano o con il numero della sua cella, o con nomi di donna o di organi genitali. Talvolta, sarebbe stato condotto nelle sale di interrogatorio per fargli sentire le grida di dolore di altri detenuti.
19. Il ricorrente spiega che, due volte al giorno, una guardia veniva a prenderlo per condurlo nella sala d'interrogatorio, legato e privato della vista con una benda sugli occhi. Ad ogni interrogatorio, un agente lo avrebbe spogliato poi avrebbe invitato gli altri agenti a toccare le sue parti intime per umiliarlo. Il ricorrente dice di essere stato spesso sospeso per un piede o legato a una porta in ferro o a una grata di legno, in varie posizioni.
Regolarmente, gli agenti lo avrebbero picchiato per ore e gli sarebbero stati inflitti degli elettroshock con elettrodi bagnati posizionati sulla testa, sul torace e sugli organi genitali. Altre volte, sarebbe stato sottoposto alla tortura chiamata «martaba» (materasso), che consiste nell'immobilizzare la vittima su un materasso umido e nell’inviare poi delle scariche elettriche nel materasso. Infine, per due volte avrebbe subito violenze sessuali.
20. A partire dal mese di marzo 2004, anziché porgli domande, gli agenti egiziani avrebbero fatto ripetere al ricorrente una falsa versione dei fatti che avrebbe dovuto confermare dinanzi al procuratore. In particolare, avrebbe dovuto affermare di aver lasciato l'Italia di propria iniziativa e di essere arrivato in Egitto con mezzi propri, di aver consegnato il suo passaporto italiano alle autorità egiziane perché non desiderava rientrare in Italia e di non aver subìto da parte loro alcun maltrattamento.
21. Il ricorrente sarebbe rimasto detenuto in segreto fino al 19 aprile 2004, giorno in cui fu liberato, secondo lui perché aveva reso dichiarazioni conformi alle istruzioni che aveva ricevuto e con la condizione di non lasciare Alessandria e di non parlare con nessuno dei trattamenti che aveva subìto mentre era detenuto.
22. Nonostante l'indicazione di non parlare con nessuno dei trattamenti subiti, non appena fu rimesso in libertà, il ricorrente telefonò a sua moglie per rassicurarla sulla sua sorte. Prese anche contatto con altre persone alle quali descrisse il suo rapimento e la detenzione (si vedano anche i paragrafi 33 e 35 infra).

b) Il secondo periodo (data non precisata nel maggio 2004 – 12 febbraio 2007)

23. In una data non precisata, circa venti giorni dopo essere stato rimesso in libertà, il ricorrente fu arrestato dalla polizia egiziana. Fu rinchiuso in vari istituti penitenziari, soprattutto nelle carceri di Istiqbal e di Tora, e posto in isolamento per lunghi periodi. La sua detenzione, di natura amministrativa, era basata sulla legislazione antiterrorismo egiziana. Fu rimesso in libertà il 12 febbraio 2007 (si vedano anche i paragrafi 34-35 infra) senza alcuna incriminazione.
24. Nel frattempo, il 5 novembre 2006, la detenzione del ricorrente in Egitto era stata confermata dal generale Ahmed Omar, assistente del Ministro dell’Interno egiziano, nel corso di un'intervista condotta dal giornale «Al Ahram Weekly»: in questa circostanza il generale aveva dichiarato che il ricorrente era detenuto per ragioni di sicurezza e che si era recato spontaneamente in Egitto.
25. Durante questo periodo, le autorità egiziane non risposero ai magistrati italiani che, nell'ambito dell'indagine condotta dalla procura di Milano sul sequestro del ricorrente (si vedano anche i paragrafi 30-72 infra), chiedevano di poterlo interrogare e di ottenere precisazioni sul suo arrivo in Egitto e sulle ragioni della sua detenzione. Esse rifiutarono al ricorrente la possibilità di recarsi in Italia.
Colpito da un divieto di lasciare il territorio egiziano, il ricorrente, dopo essere stato rimesso in libertà, visse ad Alessandria.

3. Conseguenze fisiche e psicologiche dei trattamenti subiti dal ricorrente

26. I trattamenti subiti avrebbero lasciato al ricorrente gravi conseguenze fisiche, in particolare una riduzione dell'udito, difficoltà di movimento, reumatismi, problemi di incontinenza, nonché una perdita di peso consistente. L'interessato cita anche importanti conseguenze psicologiche, soprattutto uno stato di depressione e di stress post-traumatico acuto.
27. Un certificato medico datato 9 giugno 2007, redatto da uno psichiatra, attesta che il ricorrente soffriva di disturbo post-traumatico. Questo medico raccomandava peraltro di consultare un medico legale al fine di far constatare i segni delle lesioni ancora visibili sul corpo dell’interessato.

C. L’indagine condotta dalla procura della Repubblica di Milano

1. La prima fase dell’indagine: l’identificazione degli agenti americani sospettati di aver preso parte al sequestro e le ordinanze di custodia cautelare che li riguardavano

28. Il 20 febbraio 2003 la ricorrente segnalò al commissariato di polizia di Milano la scomparsa di suo marito.
29. In seguito ad una convocazione di testimoni, si presentò tale signora R., membro della comunità egiziana.
Il 26 febbraio 2003 la testimone fu sentita dalla polizia alla quale dichiarò che il 17 febbraio 2003, poco prima di mezzogiorno, mentre passava con i suoi due figli in via Guerzoni per tornare a casa, aveva visto un furgone bianco parcheggiato sul lato sinistro della carreggiata e, sull’altro lato, appoggiato contro un muro, un uomo che aveva una lunga barba e indossava abiti tradizionali arabi vicino al quale si trovavano altri due uomini, dall’aspetto occidentale, uno dei quali (ndr: Pironi, carabiniere) stava parlando al cellulare. Essi avevano fatto salire il ricorrente a bordo del furgone. Dopo essersi fermata qualche istante con i volontari di un’associazione con i quali giocavano i suoi figli, la sig.ra R. si sarebbe rimessa in cammino. Avrebbe quindi sentito un gran rumore per cui si sarebbe voltata e avrebbe visto il furgone bianco partire a tutta velocità mentre i tre uomini non erano più in strada.
30. In una data non precisata, verosimilmente verso la fine del mese di febbraio 2003, la procura della Repubblica di Milano aprì una indagine contro ignoti per sequestro di persona ai sensi dell’articolo 605 del codice penale. La Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali - Digos di Milano fu investita dell’inchiesta. Le autorità investigative ordinarono di eseguire intercettazioni telefoniche e controlli sull’uso dei cellulari nella zona in cui si erano presumibilmente svolti i fatti.
31. Il 3 marzo 2003 le autorità americane (tramite R. H. Russomando, agente della CIA a Roma), comunicarono agli agenti della Digos che Abu Omar si trovava nei Balcani. La notizia sarebbe poi risultata falsa e fuorviante (si veda anche il paragrafo 114 infra).
32. Il 4 marzo 2003 il PM sentì la sig.ra R. che confermò la sua testimonianza del 26 febbraio 2003.
Successivamente, nel corso delle indagini, il marito di R. dichiarò che sua moglie si era astenuta dal dire che aveva visto le persone che avevano fatto salire il ricorrente sul furgone usare violenza e che aveva sentito grida di aiuto.
In seguito furono sentiti parecchi altri testimoni.
33. Più di un anno dopo, tra il 20 aprile 2004 e il 7 maggio 2004, gli inquirenti sottoposero a intercettazione telefonica le conversazioni tra il ricorrente e sua moglie. Durante questo periodo furono intercettate le conversazioni telefoniche tra il ricorrente, la ricorrente e il loro amico egiziano, un certo M.R. Il ricorrente riferiva del suo rapimento, della sua deportazione in Egitto, delle torture subite e diceva di trovarsi ad Alessandria dal 19 aprile 2004, data della sua liberazione.
In particolare, il 20 aprile 2004, gli inquirenti registrarono una conversazione telefonica tra la ricorrente e il ricorrente. Quest’ultimo chiamava da Alessandria. Dopo aver rassicurato sua moglie sul suo stato di salute, le spiegava che era stato rapito e che non poteva lasciare l’Egitto. Le chiedeva di inviargli duecento euro (EUR), di avvisare i suoi amici musulmani e di non contattare la stampa.
34. In una conversazione telefonica intercettata il 13 maggio 2004 dei parenti comunicarono alla ricorrente che il ricorrente era stato nuovamente arrestato dalla polizia egiziana. Egli rimase detenuto fino al 12 febbraio 2007.
Dopo la sua liberazione nell’aprile 2004 il ricorrente aveva inviato un memoriale al PM di Milano nel quale descriveva il sequestro e le torture subite (si veda anche il paragrafo 10 supra).
35. Il 15 giugno 2004 il sig. E.M.R., cittadino egiziano residente a Milano, fu sentito in qualità di testimone perché aveva avuto delle conversazioni telefoniche con il ricorrente. Quest’ultimo gli aveva riferito le circostanze del suo rapimento e del suo trasferimento in Egitto a bordo di aerei militari americani e gli aveva detto di aver rifiutato una proposta del Ministro dell’Interno egiziano di collaborare con i servizi di informazione.
36. Il 24 febbraio 2005 la Digos consegnò al PM il rapporto sulle indagini che aveva condotto. Gli inquirenti avevano acquisito un certo numero di carte SIM potenzialmente sospette soprattutto grazie al controllo delle comunicazioni telefoniche intercorse nelle zone pertinenti. Queste carte si erano connesse più volte per brevi durate nonostante la vicinanza tra i rispettivi utenti; risultavano essere state attivate nei mesi precedenti al sequestro ed avevano cessato di funzionare pochi giorni dopo, ed erano state registrate sotto falso nome. Inoltre, gli utilizzatori di alcune di esse si erano poi diretti verso la base aerea di Aviano e, durante il tragitto, erano state utilizzate per chiamare il capo della CIA a Milano (Robert Seldon Lady), il capo della sicurezza americana della base di Aviano (il colonnello Joseph Romano), ed alcuni numeri telefonici della Virginia, negli Stati Uniti, dove ha sede la CIA. Infine, una di queste carte era stata localizzata nella zona del Cairo nel corso delle due settimane successive.
37. Il controllo incrociato sui numeri chiamati e chiamanti su queste carte SIM, sugli spostamenti dei loro utilizzatori nei periodi precedenti e successivi al sequestro, sull’uso di carte di credito, sulle presenze alberghiere e sugli spostamenti in aereo o con auto noleggiate aveva permesso agli inquirenti di confermare alcune ipotesi formulate a partire dalle testimonianze raccolte e di giungere all’identificazione dei reali utilizzatori delle carte telefoniche.
38. Tutti gli elementi raccolti dagli inquirenti confermavano la versione del ricorrente quanto al suo sequestro e al suo trasferimento alla base americana di Aviano e poi al Cairo. Il 17 febbraio 2003, verso le ore 16.30, il veicolo era arrivato alla base dell’USAFE di Aviano dove il ricorrente era stato imbarcato su un aereo. Dopo un viaggio di circa un’ora, l’aereo era atterrato alla base dell’USAFE di Ramstein (Germania).
Venne anche accertato che diciannove cittadini americani risultavano coinvolti nei fatti, fra questi vi erano alcuni membri del personale diplomatico e consolare degli Stati Uniti in Italia. In particolare, nel loro rapporto gli inquirenti indicavano che Lady, che all’epoca era il responsabile della CIA a Milano, aveva svolto un ruolo chiave nella causa.
39. Peraltro, alcuni controlli sul traffico aereo realizzati a partire da quattro fonti diverse avevano confermato che, il 17 febbraio 2003, un aereo era decollato alle ore 18.30 da Aviano con destinazione Ramstein e un altro aereo era decollato alle ore 20.30 da Ramstein con destinazione Il Cairo. L’aereo che aveva fatto il tragitto Ramstein-Il Cairo apparteneva alla società americana Richmore Aviation e in precedenza era già stato noleggiato parecchie volte dalla CIA.
40. Il 23 marzo 2005 il PM chiese al GIP di applicare la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di diciannove cittadini americani indagati per aver partecipato alla pianificazione o all’esecuzione del sequestro, ivi compreso Lady.
41. Con ordinanza del 22 giugno 2005, il GIP accolse la richiesta per tredici degli indagati e la rigettò per gli altri.
42. Il 23 giugno 2005, nel corso di una perquisizione eseguita presso l’abitazione di Lady, gli inquirenti trovarono delle foto del ricorrente scattate in via Guerzoni. Furono sequestrati le tracce elettroniche di una ricerca su internet del tragitto in auto da via Guerzoni alla base di Aviano, e alcuni biglietti aerei e delle prenotazioni d’hotel per un soggiorno al Cairo dal 24 febbraio al 4 marzo 2003.
43. Il 26 giugno 2005 la ricorrente, di ritorno dall’Egitto, fu sentita nuovamente dal PM.
44. Con decreto del 5 luglio 2005, il GIP dichiarò che gli imputati nei cui confronti era stata emessa l’ordinanza di custodia cautelare in carcere erano irreperibili e dispose la notifica degli atti del procedimento all’avvocato d’ufficio.
45. Poiché il PM aveva impugnato l’ordinanza del 22 giugno 2005 (paragrafo 41 supra), quest’ultima fu riformata dalla sezione riesame del tribunale di Milano con ordinanza del 20 luglio 2005 che disponeva la custodia cautelare in carcere nei confronti di tutti gli imputati.
46. Il 27 settembre 2005, a seguito di una nuova richiesta del PM, il GIP di Milano dispose la custodia cautelare in carcere per altri tre cittadini americani.
47. In una data non precisata, i ventidue imputati americani furono dichiarati «latitanti».
48. Il 7 novembre e il 22 dicembre 2005, il PM titolare dell’indagine pregò il Procuratore Generale di Milano di richiedere al Ministero della Giustizia, da una parte, di sollecitare presso le autorità americane l’estradizione degli imputati sulla base di un accordo bilaterale con gli Stati Uniti e, dall’altra, di invitare l’Interpol a diffondere un avviso di ricerche nei loro confronti.
49. Rispettivamente il 5 e il 9 gennaio 2006, la sezione riesame e il GIP emisero dei mandati di arresto europeo a carico dei ventidue imputati.
50. Il 12 aprile 2006 il Ministro della Giustizia comunicò al PM che aveva deciso di non richiedere l'estradizione né la pubblicazione di un avviso di ricerche internazionali dei ventidue imputati americani.
51. In seguito, altri quattro americani furono chiamati in causa in seguito alle dichiarazioni di un agente italiano dei servizi segreti (si veda anche il paragrafo 59 infra).

2. Le informazioni provenienti dai servizi segreti italiani

52. Nel frattempo, con lettera del 1° luglio 2005, il PM aveva chiesto ai direttori del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica – SISDe – e del servizio per le informazioni e la sicurezza militare – SISMi – di indicare se, in virtù degli accordi esistenti, la CIA era tenuta a comunicare alle autorità italiane i nomi dei suoi agenti che operavano sul territorio nazionale e, in caso affermativo, se la presenza degli imputati era stata segnalata a questo titolo.
53. In una data non conosciuta, il generale Nicolò Pollari, direttore del SISMi, inviò una lettera al PM con la quale lo rassicurava sulla piena collaborazione del suo servizio, pur sottolineando che alcune delle domande poste potevano riguardare informazioni coperte dal segreto di Stato. Con una seconda lettera del 26 luglio 2005, il SISMi rispose negativamente alla prima domanda, ma confermò la presenza in Italia di Lady e di Medero. Il direttore del SISDe, il generale Mario Mori, diede la stessa risposta in una lettera del 22 luglio 2005.
54. Con lettera del 5 novembre 2005, il PM domandò al SISMi e al SISDe se alcuni dei cittadini americani in causa erano membri del personale diplomatico o consolare degli Stati Uniti, se vi erano stati scambi verbali o scritti tra il SISMi e la CIA in merito al sequestro del ricorrente e, in caso affermativo, quale ne fosse il tenore.
55. Con nota riservata dell'11 novembre 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri (di seguito «il PdCM»), in qualità di autorità competente in materia di segreto di Stato, indicò di aver autorizzato la trasmissione delle informazioni richieste purché la loro divulgazione non arrecasse pregiudizio all'ordine costituzionale. Aggiunse che l'autorizzazione era stata data «tenuto conto della piena convinzione (…) che il governo e il SISMi sono assolutamente estranei sotto ogni profilo al sequestro del sig. Osama Mustafa Nasr alias Abu Omar» e che «il governo e i servizi non avevano mai ricevuto informazioni sul coinvolgimento di chicchessia nei fatti denunciati, ad eccezione delle informazioni ricevute dall'autorità giudiziaria o tramite la stampa». Rammentò, peraltro, che era suo dovere istituzionale salvaguardare la riservatezza del segreto di ogni documento o informazione che potesse ledere gli interessi protetti dall'articolo 12 della legge n. 801 del 24 ottobre 1977 (si veda anche il paragrafo 156 infra), soprattutto per quanto riguarda le relazioni con Stati terzi.
56. In una lettera del 19 dicembre 2005, il direttore del SISMi indicò che il suo servizio non aveva intrattenuto alcuna relazione con la CIA né aveva scambiato con quest'ultima alcun documento in merito al sequestro del ricorrente. Precisò anche che due persone coinvolte nell'indagine erano state accreditate in qualità di membri del personale diplomatico americano in Italia.

3. La seconda fase dell'indagine: il coinvolgimento di cittadini italiani, fra i quali gli agenti dello Stato

57. La seconda fase dell'indagine si concentrò sulla possibile responsabilità di agenti del SISMi nell'operazione e sul ruolo degli altri quattro cittadini americani (si veda anche il paragrafo 51 supra).
58. L'esame dei tabulati telefonici aveva permesso di concludere che Pironi, all'epoca maresciallo del Raggruppamento Operativo Speciale dei carabinieri, era stato presente sulla scena del sequestro e aveva avuto dei contatti frequenti con Lady. Il 14 aprile 2006 Pironi, interrogato dal PM di Milano, ammise di essere la persona che, il giorno del rapimento, aveva fermato il ricorrente per chiedergli di identificarsi. Dichiarò di aver agito su iniziativa di Lady che gli aveva presentato il rapimento come un'azione congiunta della CIA e del SISMi.
59. Tra maggio e giugno 2006, gli inquirenti interrogarono parecchi agenti del SISMi. Costoro dichiararono di aver ricevuto l’istruzione di collaborare con le autorità giudiziarie, in quanto i fatti oggetto dell'indagine non erano coperti dal segreto di Stato.
In particolare, due ex membri del servizio furono interrogati più volte in qualità di testimoni. Il colonnello S. D’Ambrosio, ex direttore del SISMi di Milano, dichiarò che, nel corso dell'autunno 2002, Lady gli aveva confidato che la CIA e il SISMi stavano preparando il «rapimento» di Nasr. In merito a ciò D’Ambrosio si era messo in contatto con il suo diretto superiore, Marco Mancini. Qualche giorno dopo, D’Ambrosio fu rimosso dalle sue funzioni. A seguito di queste dichiarazioni furono coinvolti altri agenti americani (paragrafo 51 supra).
Il colonnello Sergio Fedrico, ex responsabile del SISMi di Trieste, territorialmente competente nella regione nella quale si trova la base di Aviano, dichiarò che nel febbraio 2002, aveva rifiutato una proposta di Mancini di prendere parte ad attività «non ortodosse» del SISMi. Aggiunse che, secondo altri agenti della struttura di Trieste, il successore, L. Pillini, si era vantato di aver svolto un ruolo operativo nel sequestro del ricorrente. Queste affermazioni furono confermate successivamente da due agenti del SISMi di Trieste che ne erano stati testimoni diretti. Anche Fedrico fu rimosso dalle sue funzioni nel dicembre 2002.
60. Poiché erano state disposte le intercettazioni sulle linee telefoniche di molte persone – fra cui Mancini e Pillini –, gli inquirenti ebbero accesso alle consultazioni intercorse soprattutto tra Mancini e il colonnello G. Pignero, suo ex superiore, il cui contenuto lasciava intendere che i due uomini erano al corrente dell'intenzione della CIA di rapire il ricorrente e di una eventuale partecipazione del SISMi alla pianificazione dell'operazione.
Quest'ultima ipotesi era corroborata dalla presenza simultanea in due hotel di Milano, nelle settimane precedenti il sequestro, di agenti del SISMi e della CIA. Le intercettazioni rivelarono anche che Mancini in particolare aveva tentato di indurre i funzionari coinvolti nel caso a fornire al PM una versione dei fatti concordante che escludesse qualsiasi ruolo dei servizi segreti italiani nell'operazione.
61. Peraltro, le intercettazioni telefoniche di un altro membro del SISMi, Pio Pompa, rivelarono che quest'ultimo parlava quotidianamente con un giornalista, Renato Farina, che lo informava dei progressi dell'indagine di cui era a conoscenza grazie al suo ruolo di cronista giudiziario. Su richiesta di agenti del SISMi, Farina avrebbe inoltre tentato di depistare gli inquirenti.
62. Con ordinanza del 3 luglio 2006, il GIP di Milano, su richiesta del PM, revocò le ordinanze adottate il 22 giugno e il 20 luglio 2005 (paragrafo 45 supra) e dispose la custodia cautelare in carcere nei confronti di ventotto imputati, fra cui i due alti funzionari del SISMi, Mancini e Pignero.
In particolare, nell'ordinanza il GIP dichiarò quanto segue:
«È evidente che un’operazione quale quella condotta dagli agenti della CIA a Milano, secondo uno schema «avallato» dal servizio [di informazione] americano, non poteva aver luogo senza che il corrispondente servizio dello Stato [territoriale] ne fosse almeno informato».
63. Il 5 luglio 2006 fu perquisita la sede del SISMi di Roma su ordine del PM. Furono sequestrati molti documenti riguardanti il rapimento del ricorrente.
Così, la procura sequestrò un documento del SISMi datato 15 maggio 2003, da cui risultava che la CIA aveva informato il SISMi che Abu Omar si trovava detenuto in Egitto e che era sottoposto a interrogatori dai servizi segreti egiziani.
Inoltre, furono sequestrati molti altri documenti che attestavano l'attenzione e la preoccupazione con le quali il SISMi seguiva l'evoluzione delle indagini, soprattutto per quanto riguardava il suo coinvolgimento, e le ricevute delle somme pagate a Farina per la sua attività di informazione (si veda anche il paragrafo 61 supra).
64. La registrazione di una conversazione tra Mancini e Pignero, effettuata dal primo all'insaputa del secondo, e in seguito consegnata agli inquirenti, rivelò che Pignero aveva ricevuto dal direttore del SISMi, Pollari, l'ordine di organizzare il rapimento del ricorrente. Interrogato l’11 e il 13 luglio 2006, Pignero riconobbe la sua voce.
65. Queste informazioni furono ampiamente divulgate dai giornali.
Al titolo di esempio, il quotidiano La Repubblica pubblicò il 21 luglio 2006, un articolo intitolato «Pollari ordinò il rapimento: ecco la registrazione che lo inchioda». Quest'articolo riportava il contenuto della conversazione registrata da Mancini, citata sopra. In particolare, riportava il passaggio in cui Mancini chiedeva a Pignero se si ricordava che l'ordine relativo al rapimento del ricorrente proveniva dal direttore del SISMi in persona, e Pignero rispondeva affermativamente. L'articolo riferiva anche che, secondo la registrazione in questione, Pignero aveva incontrato due volte il direttore del SISMi, Pollari, in merito al rapimento del ricorrente. Pignero non riteneva opportuno rivelare tutto ai PM milanesi per proteggere il direttore del SISMi perché se «salta» Pollari, «saltano pure i rapporti con gli americani».
Un altro articolo apparso il 23 luglio 2006 sul quotidiano La Repubblica, si intitolava «Abu Omar, tutti gli 007 sapevano». In esso viene riferito che dopo dieci giorni di interrogatori da parte degli inquirenti, erano arrivate le prime ammissioni di responsabilità. Gli agenti dei servizi italiani avevano fatto sopralluoghi, pedinamenti e scritto due dossier segreti, con foto, nomi e piantine per aiutare la CIA. Essi erano al corrente dell'accordo con gli americani per la consegna straordinaria di Abu Omar. Soprattutto, tutti erano consapevoli che in Italia ciò era illegale. Gli Italiani avevano svolto un ruolo determinante, e non soltanto nella preparazione dell'operazione. Mancini aveva confessato di aver organizzato, su ordine del colonnello Pignero, l'acquisizione delle informazioni sui luoghi frequentati da Abu Omar, in vista del suo rapimento. Il progetto era stato presentato durante una riunione a Bologna nella sede regionale del SISMi, nel novembre 2002. A queste riunioni avevano partecipato gli agenti del SISMi S. Fedrico, L. Pillini, M. Iodice, M. Regondi, R. Di Troia. Secondo un testimone, vi erano anche altri due agenti. Di Troia confermò che Mancini gli aveva detto che gli americani volevano catturare Abu Omar. Molti testimoni avevano riferito che Pillini si era vantato più volte di aver partecipato al rapimento di Abu Omar: aveva alloggiato in un hotel di Milano i giorni precedenti al rapimento dell'interessato (...), mentre sei agenti della CIA incaricati di eseguire il sequestro alloggiavano in un altro hotel.
66. Il 15 luglio 2006 Pollari si rifiutò di rispondere alle domande del PM, argomentando che i fatti sui quali veniva interrogato erano coperti dal segreto di Stato e che, comunque, egli ignorava tutto del sequestro in questione.
67. Il 18 luglio 2006 il PM si rivolse al PdCM e al Ministero della Difesa per chiedere loro di produrre tutte le informazioni e tutti i documenti in loro possesso riguardanti il sequestro del ricorrente e la pratica dei «trasferimenti extra giudiziari» (si vedano anche i paragrafi 172-173 infra) Al PdCM chiese se queste informazioni e questi documenti fossero coperti da segreto di Stato, e, in caso affermativo, lo pregò di valutare l'opportunità di togliere il segreto.
68. Con una nota del 26 luglio 2006, il PdCM rispose che le informazioni e i documenti richiesti erano coperti dal segreto di Stato e che non sussistevano i motivi per rimuovere tale segreto.
69. Il 30 settembre 2006, interrogato nel corso di un'udienza ad hoc svoltasi in camera di consiglio dinanzi al GIP ai fini dell'incidente probatorio, Pironi confermò le dichiarazioni già raccolte dagli inquirenti.
70. Il 31 ottobre 2006 il Ministero della Difesa confermò che certi documenti erano stati dichiarati segreti di Stato dal PdCM e dunque non potevano essere prodotti. Nei restanti documenti, le parti coperte dal segreto di Stato erano state cancellate.
71. Nel novembre 2006 Pollari fu rimosso dalle funzioni di direttore del SISMi.

4. La chiusura dell'indagine e il rinvio a giudizio degli imputati

72. Il 5 dicembre 2006 la procura chiese il rinvio a giudizio di trentacinque persone. Fra queste vi erano ventisei cittadini americani (fra cui gli ex responsabili della CIA di Milano e in Italia, alcuni membri del personale diplomatico consolare americano e l'ex responsabile militare della sicurezza della base di Aviano, Romano) e sei cittadini italiani (Pironi, e cinque agenti del SISMi ossia N. Pollari, M. Mancini, R. Di Troia, L. Di Gregori, G. Ciorra) accusati di aver partecipato alla pianificazione e alla realizzazione del sequestro. Nel frattempo Pignero era deceduto. Altri tre imputati, R. Farina, P. Pompa e L. Seno, dovevano rispondere di favoreggiamento personale per aver aiutato gli autori del crimine dopo il sequestro, ad esempio prestando loro il proprio telefono consentendogli così di fare telefonate non controllate e di mettersi d'accordo sulla versione dei fatti da fornire.
73. In una data non precisata nel gennaio 2007, su richiesta depositata dal PM, un giudice del tribunale di Milano dispose il sequestro della metà di una casa situata in Piemonte appartenente a Lady (l'altra metà apparteneva a sua moglie) al fine di garantire le spese di giustizia e il risarcimento danni che poteva essere riconosciuto ai ricorrenti in caso di condanna.
74. Il 16 febbraio 2007 la causa si concluse per due degli imputati (Pironi e Farina) con l’applicazione della pena su richiesta delle parti, ex articolo 444 del codice di procedura penale, ossia con la pena di un anno e nove mesi di reclusione per Pironi e sei mesi di reclusione, convertiti in una multa di 6.800 EUR, per Farina. Questa sentenza divenne definitiva.
75. Con un provvedimento in pari dati, depositato il 20 febbraio 2007, il GIP deferì gli altri trentatré imputati dinanzi al tribunale di Milano. Ventisei di loro (tutti agenti americani) non si presentarono al processo e furono giudicati in contumacia

5. I ricorsi riguardanti il conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato nella fase delle indagini

a) I ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri

76. Il 14 febbraio e il 14 marzo 2007, il PdCM adì la Corte costituzionale con due ricorsi, rispettivamente contro la procura e contro il GIP di Milano, per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato.
Nel primo ricorso (n. 2/2007), contestava l'uso e la divulgazione da parte della procura di documenti e di informazioni coperti da segreto di Stato, il fatto che fossero state sottoposte a intercettazioni le linee telefoniche del SISMi e le domande, poste all'udienza del 30 settembre 2006, riguardanti fatti coperti dal segreto di Stato. Per questi motivi, chiedeva alla Corte costituzionale di annullare gli atti dell'indagine interessati nonché la richiesta di rinvio a giudizio.
77. Nel secondo ricorso (n. 3/2007), contestava il deposito nel fascicolo e l'uso da parte del GIP di atti, documenti ed elementi di prova coperti dal segreto di Stato. Precisava che il GIP ne era a conoscenza e che, sulla base di questi elementi, aveva deciso di rinviare a giudizio gli indagati e di avviare il dibattimento, il cui effetto sarebbe stato quello di dare ulteriore pubblicità alle informazioni coperte da segreto. Il PdCM chiedeva alla Corte costituzionale di annullare la decisione di rinvio a giudizio del 16 febbraio 2007 (paragrafo 75 supra) e di ordinare la restituzione dei documenti contenenti delle informazioni segrete.
78. Il tribunale di Milano intervenne nella procedura formando un ricorso incidentale. Sostenne che il PdCM aveva disconosciuto le attribuzioni costituzionali del GIP rifiutando di collaborare con lui e di fornirgli i documenti relativi al sequestro di Abu Omar e alla pratica dei «trasferimenti extragiudiziari», necessari allo svolgimento dell'indagine.
79. Con due ordinanze del 18 aprile 2007 (nn. 124/2007 e 125/2007), la Corte costituzionale dichiarò ammissibili i due ricorsi del PdCM (si vedano anche i paragrafi 99 e 101-107 infra).

b) I ricorsi della procura e del GIP di Milano 80. Rispettivamente il 12 e il 15 giugno 2007, la procura e il GIP di Milano presentarono dei ricorsi per conflitto di attribuzione contro il PdCM (n. 6/2007 e 7/2007).

Nel suo ricorso, la procura di Milano chiedeva alla Corte costituzionale di dichiarare che il PdCM aveva ecceduto i suoi poteri allorquando, con la nota del 26 giugno 2006 (paragrafo 68 supra), aveva dichiarato segreti i documenti e le informazioni relativi all’organizzazione e alla realizzazione del rapimento.
Innanzitutto argomentava che il segreto di Stato non poteva applicarsi al rapimento, che costituiva un «fatto eversivo dell’ordine costituzionale» dal momento che i principi dello Stato costituzionale impediscono che si rapiscano degli individui sul territorio della Repubblica per trasferirli con la forza in paesi terzi affinché vengano interrogati sotto la minaccia o l’uso di violenze fisiche e morali. Al riguardo sottolineava che il segreto era stato applicato in maniera generale, retroattivamente e senza una motivazione adeguata.
81. Con due ordinanze del 26 settembre 2007, la Corte costituzionale dichiarò ammissibile il ricorso della procura e inammissibile quello del GIP (si veda anche il paragrafo 99 infra).

D. I processi dinanzi al tribunale di Milano

1. La sospensione, la ripresa del processo e l’apertura del dibattimento

82. Nel frattempo, alla prima udienza dell’8 giugno 2007, i ricorrenti si erano costituiti parte civile e avevano chiesto il risarcimento danni per violazione della libertà personale, dell’integrità fisica e psichica e della vita privata e familiare. Gli imputati avevano chiesto la sospensione del processo visto che era ancora pendente dinanzi alla Corte costituzionale il procedimento relativo al conflitto di attribuzione. Alla seconda udienza svoltasi il 18 giugno 2007, il tribunale decise di sospendere il processo.
83. Il 12 ottobre 2007 entrò in vigore la legge n. 124 del 3 agosto 2007 («legge n. 124/2007») sulla riforma dei servizi di informazione e del segreto di Stato (paragrafi 153 e seguenti infra).
84. Con ordinanza del 19 marzo 2008, il tribunale revocò l’ordinanza di sospensione del processo esprimendosi come segue:
«Le questioni che si possono porre in merito alla invalidità di atti del processo già compiuti o da compiere o al divieto di utilizzarli potranno essere esaminate soltanto dopo la decisione della Corte costituzionale sulla nullità di questi atti o sul divieto di utilizzarli;
Dallo svolgimento del dibattimento riguardante atti e documenti ormai conosciuti, gran parte dei quali non è stata segretata, non può derivare alcuna lesione agli interessi superiori protetti dal segreto di un documento o di un atto.
Eventuali questioni legate alle esigenze del segreto potranno essere risolte caso per caso, valutando la necessità, eventuale, di mantenere la riservatezza sullo svolgimento dell’istruzione (…) o ricorrendo alla procedura prevista dall’articolo 202 del codice di procedura penale [segreto di Stato] (…)»
85. Su richiesta della procura, il giudice ordinò la sostituzione dei documenti parzialmente segreti del fascicolo con le versioni omissate trasmesse dal Ministero della Difesa.
86. Il 16 aprile 2008 fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del PdCM n. 90 dell’8 aprile 2008 che indicava i criteri per individuare tutto ciò che era suscettibile di essere oggetto di segreto di Stato.
87. All’udienza del 14 maggio 2008, il tribunale accolse con ordinanza la richiesta del PM di interrogare i membri del SISMi su un certo numero di elementi, soprattutto sulle relazioni tra la CIA e il SISMi, dal momento che queste informazioni erano necessarie per stabilire le responsabilità individuali in merito ai fatti in questione. Precisò, tuttavia, che si riservava di escludere, nel corso dell’audizione di queste persone, le domande che avevano attinenza a un esame generale delle relazioni tra il SISMi e la CIA.

2. Il conflitto di attribuzione denunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri relativamente alle ordinanze emesse dal tribunale di Milano il 19 marzo e il 14 maggio 2008

88. Il 30 maggio 2008 il PdCM presentò alla Corte costituzionale un nuovo ricorso (n.14/2008), deducendo che il tribunale di Milano aveva oltrepassato le sue competenze e chiedendo l’annullamento delle due ordinanze del 19 marzo e del 14 maggio 2008 (paragrafi 84 e 87 supra).
Il PdCM sosteneva che, considerato che il procedimento relativo al conflitto di attribuzione era pendente dinanzi alla Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione imponeva al tribunale di non ammettere, acquisire o utilizzare, soprattutto nel corso del dibattimento, atti, documenti o altri elementi di prova potenzialmente coperti dal segreto di Stato, al fine di evitare di dare ulteriore pubblicità a questi elementi.
Chiedeva anche alla Corte di dichiarare che il tribunale non avrebbe potuto, comunque, utilizzare le informazioni necessarie per stabilire le responsabilità penali individuali, anche quelle che si riferivano ai rapporti tra la CIA e il SISMi, perché questo utilizzo era secondo lui di natura tale da affermare la prevalenza del potere giudiziario di sanzionare gli autori del reato rispetto al potere del PdCM di segretare alcune fonti di prova.
Con ordinanza del 25 giugno 2008 (n. 230/2008), la Corte costituzionale dichiarò il ricorso ammissibile (si vedano anche i paragrafi 99 e 101-102 infra).

3. La prosecuzione del dibattimento

89. All’udienza del 15 ottobre 2008, il difensore di Mancini inserì nel fascicolo una nota del 6 ottobre 2008 con la quale il PdCM aveva rammentato agli agenti dello Stato il loro dovere di non divulgare nel corso di un procedimento penale dei fatti coperti dal segreto di Stato e il loro obbligo di informarlo di qualsiasi audizione o interrogatorio che potesse riferirsi a tali fatti, soprattutto per quanto riguardava «le relazioni tra i servizi [di informazione] italiani e stranieri, compresi i contatti che riguardavano o potevano riguardare il caso detto «sequestro di Abu Omar».
90. Nel corso della stessa udienza, durante la deposizione di un ex membro del SISMi, il difensore di Pollari chiese al testimone se fosse a conoscenza dell’esistenza di ordini o direttive di Pollari riguardanti il divieto di attività illegali connesse a dei «trasferimenti extragiudiziari». Invocando il segreto di Stato, il testimone si rifiutò di rispondere. Il difensore di Pollari chiese al tribunale di applicare la procedura prevista dall’articolo 202 del codice di procedura penale (di seguito «il CPP») e di chiedere al PdCM di confermare che i fatti sui quali il testimone si rifiutava di esprimersi erano coperti dal segreto di Stato. Il PM si oppose a questa richiesta e pregò il tribunale di qualificare i fatti come «eversivi dell’ordine costituzionale», qualificazione che escludeva la possibilità di invocare l’esistenza di un segreto di Sato. A suo parere, in effetti, poiché il sequestro si inscriveva in un quadro di violazioni sistematiche dei diritti dell’uomo, soprattutto del divieto della tortura e delle privazioni arbitrarie della libertà, esso era contrario ai principi fondamentali della Costituzione e delle norme internazionali in materia di diritti dell’uomo.
91. All’udienza del 22 ottobre 2008, il tribunale avviò la procedura prevista dall’articolo 202 del CPP per stabilire se «le direttive e gli ordini impartiti dal generale Pollari (…) ai suoi sottoposti al fine di vietare loro di fare ricorso a qualsiasi misura illegale nell’ambito della lotta contro il terrorismo internazionale e, soprattutto, per quel che riguarda le attività dette di «restituzione» fossero coperte dal segreto», e ordinò la prosecuzione del dibattimento.
92. Durante l'udienza, anche un altro ex agente del SISMi, interrogato sulle informazioni che Mancini gli aveva o meno confidato in merito al suo coinvolgimento nel sequestro del ricorrente, invocò il segreto di Stato.
93. All'udienza del 29 ottobre 2008, il tribunale, applicando l'articolo 202 del CPP, chiese al PdCM di confermare che i fatti sui quali i testimoni si rifiutavano di rispondere erano coperti dal segreto di Stato e sospese l'audizione di tutti gli agenti del SISMi chiamati a testimoniare.
94. Il dibattimento proseguì. All'udienza del 5 novembre 2008, il tribunale sentì il relatore dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sui trasferimenti illegali dei detenuti e le detenzioni segrete in Europa, Dick Marty (si vedano anche i paragrafi 178-179 infra), e il relatore della commissione temporanea del Parlamento europeo sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri, Claudio Fava (si veda anche il paragrafo 180 infra).
All'udienza del 12 novembre 2008, furono sentiti in qualità di testimoni due giornalisti, fra cui Farina.
95. Con due note del 15 novembre 2008, il PdCM, rispondendo alla domanda del tribunale, confermò l'esistenza del segreto di Stato invocato dagli ex agenti del SISMi all'udienza del 22 ottobre 2008. Precisò che il mantenimento del segreto era giustificato dalla necessità, da una parte, di preservare la credibilità dei servizi italiani nelle relazioni con i loro omologhi stranieri e, dall'altra parte, di salvaguardare le esigenze di riservatezza relative all'organizzazione interna dei servizi. Per quanto riguarda la necessità di preservare le relazioni dei servizi italiani con i loro omologhi stranieri, aggiunse che una crisi di queste relazioni creerebbe il rischio di una restrizione del flusso di informazioni verso i servizi italiani che pregiudicherebbe la loro capacità operativa. Infine, indicò che l'autorità giudiziaria era libera di condurre le indagini e di emettere una sentenza in merito al sequestro, che non era, di per sé, un fatto coperto dal segreto, ad eccezione degli elementi di prova aventi ad oggetto le suddette relazioni.
96. All'udienza del 3 dicembre 2008, il tribunale sospese nuovamente il processo nell'attesa della decisione della Corte costituzionale.

4. Il conflitto di attribuzione sollevato dal tribunale di Milano relativamente alle lettere del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 novembre 2008

97. Il 3 dicembre 2008 il tribunale di Milano sollevò un nuovo conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti del PdCM (n. 20/2008). Sottolineando che quest'ultimo aveva espressamente indicato che il sequestro non era coperto dal segreto di Stato, chiese alla Corte di dichiarare che il PdCM non aveva il potere di includere nell'ambito di applicazione del segreto i rapporti tra i servizi italiani e stranieri che avevano attinenza alla commissione di questo reato. Tale decisione, visto che aveva l'effetto di impedire l'accertamento dei fatti che costituivano il reato, non sarebbe stata coerente e proporzionata. Aggiunse che, comunque, il segreto non poteva essere opposto a posteriori rispetto a fatti o documenti già verificati, soprattutto nel corso delle indagini preliminari.
98. Con ordinanza del 17 dicembre 2008, la Corte costituzionale dichiarò questo ricorso ammissibile.

E. La sentenza n. 106/2009 della Corte costituzionale

99. Con la sentenza n. 106/2009 del 18 marzo 2009, la Corte costituzionale riunì tutti i ricorsi sollevati per conflitto di attribuzione nell’ambito del procedimento riguardante il sequestro del ricorrente. Dichiarò inammissibili il ricorso incidentale proposto dal GIP di Milano e il ricorso n. 6/2007 della procura di Milano, accolse parzialmente i ricorsi nn. 2/2007, 3/2007 (paragrafi 76-81 supra) e 14/2008 (paragrafo 88 supra) del PdCM e rigettò il ricorso n. 20/2008 del GIP (paragrafi 97-98 supra).
100. Nella sentenza, la Corte costituzionale dapprima espose i principi enunciati dalla sua giurisprudenza in materia di segreto di Stato. Essa affermò la preminenza degli interessi protetti dal segreto di Stato su qualsiasi altro interesse costituzionalmente garantito e rammentò che l’esecutivo era investito del potere discrezionale di valutare la necessità del segreto ai fini della protezione di questi interessi, potere «che può essere limitato solo dalla necessità che siano esplicitate, al Parlamento, le ragioni essenziali poste a fondamento delle determinazioni assunte e dal divieto di opporre il segreto in relazione a fatti eversivi dell'ordine costituzionale». La Corte costituzionale precisò che questo potere era sottratto a qualsiasi controllo giudiziario, compreso il suo, e sottolineò che, nel conflitto di attribuzione proposto, non era chiamata ad esprimere una valutazione di merito sulle ragioni del ricorso al segreto di Stato.

1. Sui ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri (nn. 2/2007, 3/2007 e 14/2008)

101. La Corte costituzionale considerò che la perquisizione presso la sede del SISMi e il sequestro di documenti, eseguiti il 5 luglio 2006 alla presenza di funzionari del servizio (paragrafo 63 supra) quando il segreto di Stato non era stato ancora invocato, erano atti legittimi e all’epoca facevano parte delle misure investigative consentite alle autorità giudiziarie. Invece, essa ritenne che, dopo l’emissione della nota del 26 luglio 2006 con la quale alcuni fatti e informazioni contenuti nei documenti sequestrati erano stati segretati e che, al posto di questi elementi, erano stati trasmessi dei documenti che facevano apparire soltanto le informazioni non coperte dal segreto, le autorità giudiziarie dovessero sostituire i documenti sequestrati con i documenti trasmessi al fine di evitare una ulteriore divulgazione dei contenuti segreti lesiva delle esigenze della sicurezza nazionale e degli interessi fondamentali che giustificano l’applicazione del segreto.
102. L’alta giurisdizione considerò peraltro che il rifiuto del giudice di procedere in tal modo non poteva essere giustificato dalla natura dei fatti oggetto dell'indagine e del processo. Riconobbe l'illegalità nella pratica dei «trasferimenti extragiudiziari», ma giudicò tuttavia che «un singolo atto delittuoso, per quanto grave, non [era] di per sé suscettibile di integrare un fatto eversivo dell'ordine costituzionale, se non [era] idoneo a sovvertire, disarticolandolo, l'assetto complessivo delle istituzioni democratiche». Pertanto concluse che, anche se il sequestro del ricorrente non era coperto di per sé dal segreto di Stato, l'applicazione del segreto di Stato non poteva essere esclusa nell'indagine sui fatti.
103. Così, secondo la Corte costituzionale, il PM e il GIP non avevano competenza per fondare, rispettivamente, la domanda e la decisione di rinvio a giudizio a carico degli imputati sugli elementi acquisiti all’esito della perquisizione del 5 luglio 2006.
104. Rilevando peraltro che l’esistenza del segreto di Stato sulle relazioni intercorse tra i servizi italiani e quelli stranieri era conosciuta sia dal PM che dal GIP quando era stato richiesto che si tenesse un udienza ad hoc ai fini dell’incidente probatorio sulle dichiarazioni di Pironi, l’alta giurisdizione ritenne che il PM non avrebbe dovuto richiedere una testimonianza che riguardasse queste relazioni e che il GIP non avrebbe dovuto accogliere la richiesta.
105. Quanto agli atti del procedimento, la Corte costituzionale giudicò che il tribunale aveva oltrepassato le sue competenze anche quando, con l’ordinanza del 14 maggio 2008 (paragrafo 87 supra), aveva ammesso delle testimonianze sul sequestro del ricorrente aventi ad oggetto precisi aspetti delle relazioni tra il SISMi e la CIA, escludendo soltanto le informazioni relative al quadro generale delle relazioni tra i due servizi.
106. L’alta giurisdizione rammentò che la dichiarazione con la quale si stabiliva che un’autorità aveva ecceduto le proprie competenze comportava esclusivamente l’invalidità degli atti o delle parti degli atti lesivi degli interessi in causa, e che spettava alle autorità giudiziarie dinanzi alle quali si svolgeva il processo valutare le conseguenze di questa invalidità sul piano processuale, tenuto conto delle norme che prevedevano rispettivamente l’invalidità degli atti che dipendono da atti nulli (articolo 185, comma 1, del CPP) e il divieto di utilizzare le prove acquisite in violazione della legge (articolo 191 del CPP). In altri termini, l’autorità giudiziaria rimaneva libera di condurre le indagini e di giudicare, a patto di rispettare il divieto di utilizzare le informazioni coperte dal segreto. La Corte costituzionale sottolineò, peraltro, che in virtù dell’articolo 202, comma 1, del CPP, dell’articolo 41 della legge n. 124/2007 e dell’articolo 261 del CP, gli agenti dello Stato, anche quando erano interrogati in qualità di imputati, non
potevano divulgare fatti coperti dal segreto di Stato.
107. Infine, la Corte costituzionale rigettò i restanti mezzi del ricorso che riguardavano le misure investigative adottate dalla procura, in particolare le intercettazioni sistematiche delle comunicazioni degli agenti del SISMi. Sottolineò, comunque, che le informazioni ottenute in merito alle relazioni tra i servizi italiani e quelli stranieri erano coperte dal segreto di Stato e, pertanto, erano inutilizzabili.

2. Sul ricorso del tribunale di Milano (n. 20/2008)

108. La Corte costituzionale considerò che le note del Presidente del Consiglio dei ministri, che indicavano in maniera generale le materie coperte dal segreto di Stato (30 luglio 1985), rammentavano i doveri dei funzionari della Repubblica in materia di segreto di Stato soprattutto in merito alle relazioni con Stati terzi (11 novembre 2005) e confermavano l’esistenza del segreto di Stato sulle informazioni e sui documenti richiesti dal PM il 18 luglio 2006 (26 luglio 2006), si inscrivevano in un’azione coerente secondo la quale le informazioni e i documenti relativi alle relazioni tra i servizi italiani e stranieri o all’organizzazione interna dei servizi erano coperti dal segreto di Stato quand’anche avessero riguardato il sequestro del ricorrente. Da ciò dedusse che l’applicazione del segreto di Stato a questi elementi non era successiva alle attività giudiziarie, contrariamente a quanto sosteneva il tribunale di Milano.
109. Infine, rammentò che non le spettava valutare i motivi della decisione di applicare il segreto di Stato presa dal Presidente del Consiglio dei ministri nell’ambito del suo potere discrezionale. Ritenne, tuttavia, che alcune informazioni e alcuni documenti essenziali per stabilire i fatti e le responsabilità penali nella causa del sequestro del ricorrente potevano essere coperti dal segreto di Stato senza che quest’ultimo si applicasse al sequestro stesso. A tale proposito si basò sull’articolo 202, comma 6, del CPP, che dispone che se il segreto di Stato è confermato e occorre avere conoscenza degli elementi coperti dal segreto per la definizione della causa, il giudice deve dichiarare non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato.

F. La ripresa del dibattimento e la sentenza del tribunale di Milano

110. Il dibattimento riprese il 22 aprile 2009. Con ordinanza pronunciata all’udienza del 20 maggio 2009, il tribunale di Milano dichiarò inutilizzabili tutti gli elementi di prova precedentemente ammessi che riguardavano le relazioni tra il SISMi e la CIA o l’organizzazione interna del SISMi, ivi compresi le direttive e gli ordini dati, e accolse la richiesta del PM volta ad escludere tutte le testimonianze degli agenti del SISMi.
111. All’udienza del 29 maggio 2009, gli imputati membri del SISMi, interrogati, opposero il segreto di Stato. Durante il dibattimento che si svolse in seguito, il tribunale rigettò una questione sollevata dal PM in merito alla legittimità costituzionale delle disposizioni legislative in materia di segreto di Stato.
112. Il 4 novembre 2009 il tribunale di Milano emise la sentenza.
Dapprima ricostruì i fatti sulla base delle conclusioni dell’indagine annotate nelle memorie presentate dal pubblico ministero alle udienze del 23 e del 30 settembre 2009.
Il tribunale ritenne che il sequestro del ricorrente costituiva un fatto certo. Considerò appurato che, il 17 febbraio 2003, un «commando» composto da agenti della CIA e da Pironi, un membro del raggruppamento operativo speciale di Milano, lo aveva fatto salire su un furgone, lo aveva portato all’aeroporto di Aviano, lo aveva imbarcato su un aereo Lear Jet 35 che era decollato alle ore 18.20 per la base di Remstein e, alla fine, lo aveva messo a bordo di un Jet Executive Gulfstream, che era decollato alle 20.30 alla volta del Cairo.
Durante il tragitto, erano state passate delle telefonate a Lady, capo della CIA di Milano, a Romano, capo della sicurezza di Aviano e al quartier generale della CIA negli Stati Uniti.
113. Prendendo in considerazione tutti gli elementi di prova non coperti dal segreto di Stato, il tribunale stabilì che:
(i) il «rapimento» era stato voluto, programmato e attuato da un gruppo di agenti della CIA, in ottemperanza a quanto espressamente deciso in sede politica competente;
(ii) l’operazione era stata programmata e realizzata con il supporto operativo dei responsabili della CIA di Milano e di Roma, con la partecipazione del comandante americano della base aerea di Aviano e con l’aiuto importante di Pironi;
(iii) il rapimento di Abu Omar era stato organizzato nonostante lo stesso fosse, in quel periodo, sottoposto ad indagini da parte della Digos e della procura, senza che le autorità italiane sapessero nulla e con la convinzione che le stesse nulla avrebbero potuto conoscere delle conseguenze di tale atto;
(iv) l’esistenza di un’autorizzazione organizzativa a livello territoriale nazionale da parte delle massime autorità responsabili della CIA di Milano (gli imputati Castelli, Russomando, Medero, De Sousa e Lady), lasciava presumere che le autorità italiane fossero a conoscenza dell’operazione, addirittura ne fossero complici (ma di tali circostanze non era stato possibile approfondire gli elementi di prova esistenti al riguardo dal momento che era stato opposto il segreto di Stato);
(v) le identità dei componenti il «gruppo operativo» della CIA erano state correttamente individuate;
(vi) la partecipazione effettiva di tutti gli imputati di nazionalità americana era stata determinante a livello giuridico, anche se alcuni di loro si erano limitati a compiere delle attività preliminari;
(vii) non poteva essere messa in dubbio la consapevolezza da parte di tutti gli imputati del fatto che stavano compiendo un’attività illegittima;
(viii) non si poteva neanche mettere in dubbio il fatto che le «consegne straordinarie» costituissero una pratica consapevolmente attuata dall’amministrazione americana e dagli esecutori della volontà di quest’ultima.
114. Il tribunale provò anche che il sequestro del ricorrente aveva seriamente compromesso l’indagine che la procura stata conducendo sui gruppi islamisti (paragrafo 9 supra). Inoltre, erano state diffuse delle false informazioni allo scopo di depistare gli inquirenti. Così, il 3 marzo 2003, un agente americano della CIA aveva fatto sapere alla polizia italiana che il ricorrente si era volontariamente recato nei Balcani. L’informazione si era rivelata poi infondata e diffusa di proposito (si veda anche il paragrafo 31 supra).
Il SISMi aveva inoltre fatto circolare la voce che il ricorrente era andato volontariamente all’estero e aveva simulato il suo rapimento. Le autorità egiziane, al momento della pubblicazione sulla stampa dell’informazione secondo la quale il ricorrente era in Egitto, avevano sostenuto che l’interessato si era recato volontariamente in questo paese (si veda anche il paragrafo 24 supra).
Il tribunale di Milano fece facilmente il collegamento tra le false informazioni.
115. Dalla sentenza del 4 novembre 2009 risulta che il segreto di Stato era di ostacolo all’uso delle dichiarazioni rese dagli agenti del SISMi durante le indagini.
116. In conclusione, il tribunale di Milano:
a) condannò in contumacia ventidue agenti e alti responsabili della CIA nonché un ufficiale dell’esercito americano (il colonnello J. Romano) alla pena di cinque anni di reclusione per il sequestro del ricorrente e inflisse a Lady la pena di otto anni di reclusione.
b) dichiarò non doversi procedere nei confronti di altri tre cittadini americani (B. Medero, J. Castelli e R.H. Russomando), in quanto gli imputati beneficiavano dell’immunità diplomatica.
c) riconobbe Pompa e Seno colpevoli di favoreggiamento personale e li condannò a tre anni di reclusione.
d) dichiarò non doversi procedere, per l’applicazione del segreto di Stato, nei confronti dell’ex direttore del SISMi e del suo vice, Pollari e Mancini, e nei confronti di tre ex membri del SISMi (Di Troia, Di Gregori e Ciorra).
117. Peraltro il tribunale ordinò alle persone condannate di versare in solido ai ricorrenti, in riparazione delle violazione dei diritti dell’uomo e delle ingiustizie che questi ultimi avevano dovuto subire, una somma per il risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio civile. A titolo di provvisionale, conformemente all’articolo 539 del CPP, il tribunale riconobbe al ricorrente una provvisionale di un milione di euro e alla ricorrente 500.000 EUR. Per arrivare a stabilire tali importi, il tribunale di Milano di ispirò al caso di consegna straordinaria di Maher Arar, un cittadino canadese deportato in Siria, nell’ambito del quale le autorità canadesi avevano versato una somma di circa dieci milioni di dollari a titolo di indennizzo.
118. Per quanto riguarda il segreto di Stato il tribunale formulò le seguenti considerazioni:
«In seguito alla delimitazione dell'area del segreto operata dalla Corte Costituzionale ed alle conseguenti opposizioni da parte degli imputati, è stato tirato una sorta di sipario nero•su tutte le attività operate dagli agenti SISMI in relazione al fatto/reato «sequestro di Abu Omar», impedendone in via assoluta la valutazione. (…) La esistenza di tale zona oscura e, soprattutto, la sua rilevante estensione in termini probatori, costituisce un elemento di assoluta "essenzialità" in termini di denegata conoscenza e quindi impone la emissione della sentenza di non doversi procedere di cui al n. 3 del nuovo art. 202 CPP».
119. La sentenza del tribunale di Milano del 4 novembre 2009 fu impugnata dalle parti.

G. Il seguito del procedimento nei confronti degli agenti italiani del SISMi accusati del sequestro

1. La sentenza della corte d’appello di Milano del 15 dicembre 2010

120. Nell’ambito del processo di appello avverso la sentenza del tribunale di Milano del 4 novembre 2009, la corte d’appello, con le ordinanze del 22 e del 26 ottobre 2010, decise di escludere dal fascicolo i verbali degli interrogatori di quattro agenti del SISMi (Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini), in quanto le loro dichiarazioni erano inutilizzabili.
121. Con sentenza del 15 dicembre 2010, la corte d’appello di Milano confermò non doversi procedere nei confronti di cinque imputati (Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini; si veda anche il paragrafo 116 supra). Questa sentenza fu impugnata dinanzi alla Corte di cassazione.

2. La sentenza della Corte di cassazione del 19 settembre 2012, n. 46340/12

122. La Corte di cassazione annullò le ordinanze del 22 e del 26 ottobre 2010 con le quali la corte d'appello aveva dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni rese durante l'interrogatorio da Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini. L'alta giurisdizione dispose l’acquisizione delle prove al fascicolo.
Il punto centrale del suo ragionamento era che il segreto di Stato non poteva essere opposto alle iniziative personali, ossia alle azioni che non rientravano nella funzione istituzionale e non erano autorizzate. La Corte di cassazione rilevò che, l'11 novembre 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva dichiarato che il governo e il SISMi erano estranei al sequestro del ricorrente, e che il direttore del SISMi, Pollari, da parte sua aveva dichiarato di non sapere nulla del sequestro (paragrafo 66 supra). Per l'alta giurisdizione, le condotte delittuose degli agenti accusati erano pertanto la conseguenza di iniziative individuali, non autorizzate dalla direzione del SISMi e, in quanto tali, non potevano essere coperte dal segreto di Stato, anche se riguardavano i rapporti tra i servizi italiani e i servizi stranieri.
La Corte di cassazione esplicitò il suo ragionamento osservando più particolarmente che:
a) il segreto di Stato non era stato opposto dagli agenti del SISMi né durante la fase delle indagini preliminari, né durante la perquisizione presso la sede del SISMi a Roma, ma soltanto nella fase dibattimentale;
b) nella sentenza 106/09 la Corte costituzionale aveva dichiarato che il sequestro di Abu Omar non era, in quanto tale, coperto dal segreto di Stato, poiché quest'ultimo riguardava unicamente le relazioni internazionali e gli «interna corporis»;
c) la legge non prevedeva una immunità soggettiva assoluta e generale dei membri dei servizi di informazione, visto che l'articolo 17 della legge n. 124/2007 disponeva che le condotte delittuose di costoro non erano punibili se fossero state autorizzate e fossero indispensabili allo scopo istituzionale, escludendo comunque i reati contro la libertà personale;
d) dalla sentenza della Corte costituzionale del 2009 conseguiva che il segreto di Stato non copriva le condotte individuali che si collocavano al di fuori delle funzioni istituzionali e derivavano da iniziative personali;
e) il PdCM aveva sempre dichiarato che il governo e il SISMi erano estranei al sequestro del ricorrente;
f) il segreto di Stato non poteva pertanto coprire gli elementi di prova relativi alle condotte delittuose individuali;
g) poiché il segreto di Stato non era stato opposto inizialmente, le prove erano state legittimamente raccolte durante le indagini. Non si poteva immaginare che sarebbero state distrutte successivamente, a pena di fare del segreto di Stato una vera garanzia di impunità. Inoltre, coprire tardivamente con il segreto di Stato delle informazioni già ampiamente divulgate non aveva senso, e questo anche dal punto di vista della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
123. In conclusione, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte d'appello di Milano del 15 dicembre 2010 relativamente alla decisione di non doversi procedere a carico dei cinque agenti dei servizi segreti italiani (si veda anche il paragrafo 121 supra), e rinviò la causa all'esame della corte d'appello di Milano.

3. La sentenza della corte d'appello di Milano del 12 febbraio 2013

124. Con la sentenza del 12 febbraio 2013, la corte d'appello di Milano concluse per la colpevolezza dei cinque imputati. Stabilì i seguenti fatti.
Il fatto storico del sequestro del ricorrente era provato, la decisione che condannava ventitré degli Americani che lo avevano organizzato ed eseguito era definitiva, come pure la condanna di Pironi (si veda anche il paragrafo 74 supra e i paragrafi 140 e 143 infra), che aveva partecipato materialmente all'esecuzione. Il ricorrente era stato vittima di una «consegna straordinaria» (si vedano anche i paragrafi 172-175 infra) pianificata dagli Americani.
Pollari, all'epoca direttore del SISMi, aveva ricevuto da J. Castelli, responsabile della CIA in Italia, la richiesta di collaborare all'operazione, e in particolare di effettuare delle attività preparatorie. Una volta accettata la richiesta, Pollari aveva dato delle direttive al generale Pignero (deceduto nel 2006) e a Mancini che era responsabile del SISMi per l'Italia del Nord.
Per preparare il sequestro, Di Gregori, Ciorra e Di Troia erano stati inviati sul posto per osservare la situazione. Tutti e cinque sapevano pertinentemente che non si trattava di un'operazione finalizzata ad un'indagine giudiziaria, e sapevano che era già in corso un'indagine delle forze dell’ordine che riguardava il ricorrente. Essi sapevano di partecipare a un'operazione di «prelievo» illegale. Era provato che il risultato delle loro osservazioni era stato trasmesso agli agenti della CIA. Pertanto essi avevano fornito un contributo attivo, e in ogni caso non avevano impedito il fatto delittuoso.
Tenuto conto delle indicazioni della Corte di cassazione, la corte d'appello considerò che, nella sua sentenza del 2009, la Corte costituzionale aveva dichiarato che il segreto di Stato limitava il potere giudiziario su un determinato documento a partire dal momento in cui è stato opposto il segreto. Ora, l'11 novembre 2005, il PdCM aveva affermato di non sapere nulla del sequestro, poi nel luglio 2006, in ottobre e nel novembre 2008, il PdCM aveva affermato che il segreto di Stato riguardava i rapporti con i servizi stranieri e gli interna corporis ma non l'esistenza stessa del sequestro.
Ora, la difesa degli imputati aveva prodotto due note datate 25 gennaio e 1° febbraio 2013, che indicavano che il segreto di Stato riguardava tutti i comportamenti degli agenti del SISMi. Queste note non erano state redatte dal PdCM, unico titolare del potere di opporre il segreto di Stato, ma dal direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE). Inoltre erano in contraddizione con le precedenti comunicazioni del PdCM.
Di conseguenza, la corte d'appello decise di acquisire agli atti i verbali degli interrogatori degli imputati che risalivano alla fase delle indagini e di tenere conto delle dichiarazioni rese all'epoca. In effetti ritenne che l'opposizione del segreto di Stato unicamente dopo l'inizio del dibattimento, e su degli aspetti molto più ampi, dovesse essere considerato un rifiuto di rispondere. Per la corte d'appello, occorreva pertanto isolare le parti delle dichiarazioni coperte dal segreto di Stato nel senso indicato dalla Corte costituzionale nel 2009 e non tenerne conto.
Tutti gli imputati opposero il segreto di Stato, in ragione del quale non potevano difendersi.
125. In conclusione, la corte d'appello condannò Di Troia, Di Gregori e Ciorra alla pena di sei anni di reclusione, Mancini a nove anni di reclusione e Pollari a dieci anni di reclusione. Li condannò peraltro a versare un risarcimento danni il cui importo doveva essere stabilito con un procedimento separato.

4. Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri riguardante il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato

126. Nel frattempo, l'11 febbraio 2013, il PdCM aveva presentato alla Corte costituzionale un nuovo ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Questo ricorso riguardava la sentenza della Corte di cassazione del 19 settembre 2012, più precisamente la parte che riguardava l'interpretazione della sentenza della Corte costituzionale del 2009 in materia di segreto di Stato. Riguardava anche la decisione procedurale con la quale la corte d'appello di Milano aveva deciso di acquisire agli atti i verbali d'interrogatorio degli accusati e la nota dell'AISE del 25 gennaio 2013. Quest'ultima era stata indirizzata a Mancini e riportava che il PdCM aveva notato che il segreto di Stato si estendeva a tutti gli aspetti riguardanti i rapporti tra i servizi di informazione nazionali e quelli stranieri, all'organizzazione interna del servizio nonché alla sua modalità di funzionamento, anche se questi aspetti riguardavano il sequestro in questione.
127. Il 3 luglio 2013 il PdCM presentò un secondo ricorso contro la corte d'appello di Milano, in quanto quest'ultima, tra l'altro, non aveva sospeso il processo.

5. La sentenza 24/2014 della Corte costituzionale

128. Il 14 gennaio 2014, la Corte costituzionale accolse i ricorsi per conflitto di attribuzione che erano stati sollevati in quanto le autorità giudiziarie in causa avevano fatto proprie le attribuzioni del PdCM.
Di conseguenza, essa dichiarò che la Corte di cassazione non avrebbe dovuto annullare il non doversi procedere dei cinque imputati né le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 della corte d'appello di Milano che ammettevano le prove controverse. Inoltre, essa ritenne che la corte d'appello non avrebbe dovuto condannare i suddetti agenti sulla base dei verbali dei loro interrogatori.
La Corte costituzionale annullò di conseguenza la sentenza della Corte di cassazione e la sentenza della corte d'appello di Milano su questi punti, aggiungendo che l'autorità giudiziaria avrebbe ripreso il procedimento e tratto le conseguenze sul piano della procedura penale.
129. Per giungere a queste conclusioni, la Corte costituzionale rammentò dapprima che, secondo i principi elaborati dalla sua giurisprudenza, che rimanevano validi anche dopo l'introduzione della nuova legge del 2007 («legge n. 124/2007»; si vedano anche i paragrafi 153-161 supra), il potere di opporre il segreto di Stato implicava l'interesse superiore della sicurezza dello Stato alla sua propria integrità e alla sua indipendenza. Aggiungeva che l'ingerenza del segreto di Stato in altri principi costituzionali, compresi quelli relativi al potere giudiziario, era inevitabile. Secondo l'alta giurisdizione, il potere di opporre il segreto di Stato non poteva impedire al pubblico ministero di condurre le sue indagini su dei fatti delittuosi;
tuttavia, poteva inibire il potere dell'autorità giudiziaria di ammettere delle informazioni coperte dal segreto di Stato. La Corte costituzionale dichiarò che, in questo campo, il PdCM disponeva di un ampio potere discrezionale, che non poteva essere rimesso in discussione dai giudici. Essa spiegò che, quando, come nel caso di specie, degli elementi di prova erano coperti dal segreto di Stato, in assenza di altri elementi di prova a carico, occorreva pronunciare un non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 41 della legge n. 124/2007 e dell’articolo 202, comma 3, del CPP, fatto questo che stabiliva chiaramente la preminenza della sicurezza dello Stato sul bisogno di stabilire un «accertamento giurisdizionale». Detto ciò, il fatto delittuoso (il sequestro del ricorrente) sussisteva.
130. L'alta giurisdizione esaminò poi la tesi della Corte di cassazione secondo la quale il segreto di Stato non poteva coprire le condotte degli agenti del SISMi nel caso di specie in quanto queste condotte erano extra funzionali e gli interessati avevano agito a titolo personale. Secondo la Corte costituzionale, questa tesi non poteva essere tenuta in considerazione. In effetti, gli agenti erano stati condannati con la circostanza aggravante dell’«abuso dei poteri inerenti le loro funzioni» e pertanto, implicitamente, era stato riconosciuto che la loro condotta si inscriveva nell'ambito delle loro funzioni. Inoltre, la Corte costituzionale rammentò che l'articolo 18 della legge n. 124/2007 vietava di coprire con il segreto di Stato le condotte illecite. Quando la condotta delittuosa non era stata autorizzata, o era al di fuori del quadro dell'autorizzazione, il PdCM era tenuto ad adottare le misure necessarie ad informarne senza indugio l'autorità giudiziaria. Visto che nel caso di specie il PdCM non aveva denunciato tale situazione, e che al contrario, aveva ribadito l'esistenza del segreto di Stato, occorreva dedurre che la tesi dell'iniziativa personale non era plausibile.
131. Peraltro, nel caso di specie, l'ampiezza oggettiva del segreto era stata tracciata dalla precedente decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 106/2009; si vedano anche i paragrafi 99-109 supra). Certamente era stato detto che il segreto non verteva sul fatto che il ricorrente fosse stato rapito;
tuttavia, verteva su tutto ciò che aveva attinenza ai rapporti con i servizi di informazione stranieri e agli aspetti organizzativi ed operativi del SISMi, in particolare agli ordini e alle direttive impartite dal suo direttore agli agenti del servizio, anche se erano legati al sequestro.
Per la Corte penale, non si poteva pertanto negare che il segreto di Stato - i cui limiti potevano essere definiti dall’unico potere abilitato ad applicarlo - copriva tutto ciò che riguardava il sequestro e il trasferimento di Abu Omar (fatti, informazioni, documenti relativi alle eventuali direttive, relazioni con i servizi stranieri), a condizione che gli atti commessi dagli agenti del avessero obiettivamente lo scopo di proteggere la sicurezza dello Stato.

6. La sentenza del 24 febbraio 2014, n. 20447/14 della Corte di cassazione

132. Il procedimento riprese dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto i cinque imputati avevano impugnato la sentenza della corte d'appello di Milano del 12 febbraio 2013 (paragrafi 124-125 supra).
133. Nella sentenza del 24 febbraio 2014, la Corte di cassazione dichiarò immediatamente di dover tenere conto della sentenza della Corte costituzionale.
Poi osservò che, nel corso degli anni, le autorità non avevano «abbassato il sipario nero del segreto», anche se sapevano che gli agenti imputati stavano per rivelare i fatti. Inoltre, poiché nel momento in cui era stato opposto il segreto di Stato le informazioni controverse erano conosciute e divulgate, quest'ultimo non si giustificava nel quadro del procedimento penale. Inoltre, nella sentenza n. 106 del 18 marzo 2009 (paragrafi 99 e seguenti supra), la Corte costituzionale non aveva dichiarato che le prove raccolte dovessero essere distrutte retroattivamente.
Tenuto conto di questo contesto, la sentenza della Corte Costituzionale era, per la Corte di cassazione, assolutamente innovatrice perché sembrava eliminare totalmente la possibilità per un giudice di verificarne la legittimità, la portata e il carattere ragionevole del potere di opporre il segreto di Stato.
Quanto alle due note prodotte dalla difesa degli imputati dinanzi alla corte d'appello, la Corte di cassazione notò che:
a)   nella nota del 25 gennaio 2013 il direttore dell’AISE comunicava il parere del PdCM e confermava il segreto di Stato così come era stato opposto nel procedimento dai PdCM che si erano succeduti; e allo stesso tempo confermava che il governo e il SISMi erano estranei agli eventi in questione;
b)   nella nota del 1° febbraio 2013, il direttore dell’AISE, a suo nome, benché non ne avesse il potere, comunicava una nuova posizione: le condotte degli imputati dovevano essere considerate come istituzionali del SISMI nella lotta contro il terrorismo islamico. Esse erano pertanto in contrasto con le dichiarazioni del governo e del SISMi secondo le quali questi erano estranei al sequestro del ricorrente.
134. In conclusione, la Corte di cassazione annullò la condanna degli imputati applicando il segreto di Stato.

H. Il seguito del procedimento nei confronti degli agenti italiani del SISMi accusati di aver intralciato le indagini

135. Con sentenza del 15 dicembre 2010 (si vedano i paragrafi 120-121 supra), la corte d'appello di Milano confermò le condanne di Seno e Pompa. Essa modificò le pene inflitte a questi ultimi fissandole in due anni e otto mesi. Inoltre, la corte d'appello annullò la loro condanna al risarcimento danni a favore dei ricorrenti (si veda anche il paragrafo 116 supra).
136. Il 19 settembre 2012 la Corte di cassazione confermò la sentenza della corte d'appello (la sentenza n. 46340/12; si vedano anche i paragrafi 122-123 supra).

I. Il seguito del procedimento nei confronti degli agenti americani

1. Gli agenti condannati in primo grado

137. Con sentenza del 15 dicembre 2010 (si vedano anche i paragrafi 120-121 e 135 supra), la corte d'appello di Milano confermò la condanna dei ventitré cittadini americani. Modificò le pene e fissò quella di Lady in nove anni di reclusione e quella degli altri imputati in sette anni di reclusione.
138. La corte d'appello sottoscrisse l'accertamento dei fatti e le conclusioni del tribunale di Milano tratte dalle prove. Essa rispose anche agli argomenti della difesa che suggerivano che il sequestro lamentato dal ricorrente era realtà un fatto volontario. In particolare, la difesa contestò la credibilità della signora R., l'unica testimone diretta, sottolineando che questa aveva dichiarato di aver visto un uomo che indossava degli abiti arabi, salire, senza gridare, su un furgone, senza che venisse fatto uso di violenza. Inoltre, secondo la difesa, il marito di R., il signor S.S., convocato più volte, aveva fornito ogni volta versioni diverse (si vedano anche i paragrafi 29 e 32 supra). Su questo punto preciso, la corte d'appello si espresse nei seguenti termini:
«I tentativi, variamente posti in essere, di far apparire l'allontanamento di Abu Omar come un fatto volontario, sono sforniti di alcuna credibilità, sia perché le false voci non hanno trovato alcuna conferma sia perché non è possibile credere ad alcuna ipotesi di allontanamento spontaneo (…) sulla base del fatto osservato quel giorno e riferito dalla testimone oculare [sig.ra R.]. Ogni considerazione circa l'utilizzo o meno della violenza in quel preciso momento è irrilevante. (…)
La contraria tesi difensiva, che ha posto in dubbio l'attendibilità della teste, non può trovare seguito, perché le sue dichiarazioni [della sig.ra R.] corrispondono esattamente sia a quanto riferito da Abu Omar alla moglie, sia a quanto raccontato da Pironi, che era presente. (...)
Giustamente, il tribunale ha ritenuto veritiere, in mancanza di elementi in contrario, le dichiarazioni di [sig.ra R.] ed il PM le ha utilizzate come punto di partenza per le successive indagini sui tabulati telefonici.
Certo è che, se anche le cose si sono svolte, come probabile, con le modalità indicate dalla [sig.ra R.], e cioè senza uso di violenza, ciò non toglie che si sia trattato di un prelevamento avvenuto contro la volontà dell'interessato. È ben possibile che Abu Omar non abbia reagito né a parole né con comportamenti, ma ciò non significa che fosse consenziente a salire sul furgone. È ovvio che egli, circondato improvvisamente da diverse persone con fare deciso, invitato a salire sul furgone lì presente e aperto, consapevole di non poter contare sull'intervento di alcuno, né amico né sconosciuto, si sia determinato a salire senza opporre resistenza, nella certezza dell'assoluta inutilità della stessa. Tale ricostruzione corrisponde a quanto la moglie ha riferito di avere appreso da lui stesso nel corso dei colloqui telefonici successivamente intervenuti. (...)»
139. Nei motivi della sua decisione, la corte d'appello si espresse sulla questione dell’indennizzo nei seguenti termini:
 «Non si possono nutrire dubbi sulla sussistenza del diritto ad ottenere il risarcimento, per essere stato vittima del delitto di cui all'articolo 605 c.p. da parte del sequestrato Nasr Osama Mostafà Hassan e non sembra che ci si debba trattenere su questo argomento.
Tuttavia, risposta positiva deve essere data anche in merito all'interrogativo sulla sussistenza di uguale autonomo diritto in capo al coniuge Nabila Ghali.
(...).
(...) È dunque certamente legittimata Nabila Ghali a proporre domanda di risarcimento del danno, direttamente subìto a seguito del sequestro di persona in danno del marito, non potendosi dubitare che l'azione delittuosa abbia direttamente inciso sull'intangibilità del rapporto coniugale, sui diritti a lei derivanti da detto rapporto, nonché sul diritto all'integrità psicofisica sua e dello stesso coniuge. (...)
Va aggiunto che il sequestro ha cagionato ulteriore danno morale, in questo caso riferibile anche iure prorio al coniuge del sequestrato, che per altro verso vanta anche un personale diritto leso alla integrità psicofisica del coniuge, ravvisabile nell'improvvisa e violenta disgregazione del rapporto coniugale.
La forzata e clandestina separazione tra i coniugi, determinata dall'azione delittuosa, ha indubbiamente ingenerato in ciascuno di essi ulteriore sofferenza psichica prolungata nel tempo: nella donna, in quanto tenuta all'oscuro per lungo tempo sulla sorte del marito e, dunque, in dubbio sulla sua stessa esistenza in vita, con le conseguenze anche sociali ed economiche che si accompagnano a siffatta perdita. Nel sequestrato, in quanto estraniato dal quotidiano rapporto coniugale senza certezza di una sua possibile futura ricostituzione e per la preoccupazione per le sofferenze proprie della moglie, sapendola all'oscuro degli eventi.
La perdurante limitata libertà di movimento di Abu Omar ha inciso poi sullo stesso diritto di libertà e di movimento del nucleo familiare, unitariamente considerato.
Pertanto, cercando di rapportare il danno, per il quale si ritiene raggiunta qui la prova, al contesto umano e personale che vittima e coniuge si sono trovati a vivere, tenuto conto della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo nonché della lesione alla loro dignità personale (…) la corte ritiene congrue le provvisionali assegnate dal tribunale.»
140. Con la sentenza del 19 settembre 2012 (n. 46340/12), la Corte di cassazione confermò la condanna (si vedano anche i paragrafi 122-123 e 136 supra).

2. Gli agenti che hanno beneficiato di un non doversi procedere in primo grado

141. I tre imputati americani che hanno beneficiato di un non doversi procedere in primo grado (paragrafo 116 supra) in ragione dell'immunità diplomatica (B. Medero, J. Castelli e R.H. Russomando) furono oggetto di un processo d'appello separato.
142. Con decreto del 1° febbraio 2013, la corte d'appello di Milano dichiarò i tre Americani colpevoli. Condannò J. Castelli, organizzatore del sequestro, a sette anni di reclusione e gli altri due imputati a sei anni di reclusione. Inoltre, i tre Americani furono condannati a versare un risarcimento danni il cui importo doveva essere determinato con un successivo procedimento.
La corte d’appello considerò che il sequestro del ricorrente era un fatto appurato come pure la responsabilità dei ventitré agenti americani già condannati.
Dichiarò che l’articolo 39 della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 proteggeva i diplomatici che avevano lasciato il paese di accreditamento soltanto nei limiti consentiti dal diritto internazionale, ossia per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni in quanto membri della missione diplomatica. Ritenne che le «consegne straordinarie» non coinvolgessero la struttura diplomatica ma la CIA. Per la corte d’appello, sequestrare una persona e torturarla non potevano far parte dall’attività diplomatica, e il sequestro a fini di tortura era in contrasto con il diritto nazionale e con i diritti dell’uomo. La corte d’appello osservò che il ricorrente, trasportato in Egitto, Stato che ammette l’interrogatorio sotto tortura, era stato torturato, secondo quanto dichiarato nelle sue memorie, e che tale finalità rendeva il sequestro contrario al diritto umanitario, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alle convenzioni dell’ONU.
Quindi, la corte d’appello concluse che la condotta delittuosa degli imputati non poteva essere sottratta alla giurisdizione delle corti italiane.
143. Con sentenza dell’11 marzo 2014, la corte di cassazione confermò la condanna degli accusati. Rigettò, tra l’altro, la loro tesi secondo la quale la pratica dei trasferimenti extragiudiziari era lecita e persino «obbligatoria» ai sensi della legge americana (Patriot Act), per via dello stato di guerra tra gli Stati Uniti e le organizzazioni terroristiche internazionali.
Per la alta giurisdizione, la grazia che nel frattempo il Presidente della Repubblica aveva concesso a Romano (paragrafo 148 infra), non cambiava la valutazione delle responsabilità della CIA; al contrario, confermava la responsabilità penale dell’interessato.

3. Gli ulteriori sviluppi riguardanti i cittadini americani

144. Ad oggi i ricorrenti non sono stati indennizzati dal momento che gli agenti americani condannati non hanno versato le provvisionali decise dai giudici penali.
Durante il processo penale, in una data non conosciuta, metà della villa appartenente a Lady, oggetto del sequestro conservativo del gennaio 2007 volto a garantire, tra l’altro, il risarcimento danni che poteva essere riconosciuto ai ricorrenti (paragrafo 73 supra), fu sottoposta a pignoramento da parte della banca che aveva concesso il prestito per il suo acquisto dal momento che i proprietari non pagavano più le rate mensili. La villa fu in seguito venduta. Ai ricorrenti non fu riservata alcuna frazione del provento della vendita.
145. Nessun organo governativo italiano richiese alle autorità americane l’estradizione dei cittadini americani condannati. I mandati di arresto europei emanati contro di loro durante il processo rimangono esecutivi (si vedano anche i paragrafi 48-49 supra e il paragrafo 151 infra).
146. Il 12 dicembre 2012, l’allora Ministro della Giustizia decise di emanare un mandato di arresto internazionale esclusivamente contro Lady. Secondo la stampa, quest’ultimo fu arrestato a Panama nel luglio 2013 e liberato qualche giorno dopo. Il Ministro della Giustizia avrebbe firmato, all’epoca, una domanda di fermo provvisorio dalla quale decorreva il termine di due mesi per attivare la procedura di estradizione.
147. In una data non precisata, B. Medero (condannato a sei anni di reclusione; paragrafi 142-143 supra) e S. De Sousa (condannato a cinque anni di reclusione¸ paragrafi 116, 137 e 140 supra) presentarono una domanda di grazia al Presidente della Repubblica.
148. Nell’aprile 2013 il Presidente della Repubblica concesse la grazia al colonnello Joseph Romano.
149. L’11 settembre 2013 anche Lady presentò una domanda di grazia al Presidente della Repubblica nella quale si diceva «rammaricato per gli eventi del 2003 e per aver partecipato ad attività che potevano essere considerate contrarie alle leggi italiane»
150. Il 23 dicembre 2015, il Presidente della Repubblica concesse la grazia a B. Medero, la cui pena è stata annullata, e a Lady, la cui pena fu ridotta da nove anni (paragrafi 116 e 137 supra) a sette anni di reclusione. Il comunicato stampa, pubblicato per l’occasione sul sito della Presidenza della Repubblica riporta che il capo dello Stato ha, in primo luogo considerato la circostanza che gli Stati Uniti avevano, sin dalla prima elezione del Presidente Obama, interrotto la pratica delle consegne straordinarie, giudicata dall’Italia e dall’Unione Europea non compatibile con i principi fondamentali di uno Stato di diritto.
151. Nel frattempo, il 5 ottobre 2015, S. De Sousa era stata arrestata in Portogallo in base a un mandato di arresto europeo emesso dal procuratore di Milano. Su consegna del suo passaporto, fu liberata il giorno successivo. Il 12 gennaio 2016 la corte d’appello di Lisbona decise la sua estradizione verso l’Italia.
De Sousa impugnò questa decisione dinanzi alla Corte suprema. Alla data di adozione della presente sentenza, l’appello era ancora pendente.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. La Costituzione italiana

152. La Costituzione italiana non menziona il segreto di Stato. Tuttavia, secondo la giurisprudenza costante della Corte costituzionale, ricapitolata nella sentenza 106/2009 (paragrafi 99-109 supra), l’inquadramento costituzionale in materia è il seguente:
«3 – (...) [il quadro legislativo che disciplina il segreto di Stato] involge «il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, e cioè l’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale e – al limite – alla stessa sua sopravvivenza (sentenza n. 82 del 1976; nello stesso senso sentenze n. 86 del 1977 e 110 del 1998). (…)
Si tratta di un interesse che, «presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale ne sia il regime politico», trova espressione, nel testo costituzionale, «nella formula solenne dell'art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa della Patria» (citata sentenza n. 86 del 1977, nello stesso senso già la sentenza n. 82 del 1976). E proprio a questo concetto occorre fare riferimento per dare concreto contenuto alla nozione di segreto, ponendolo «in relazione con altre norme della stessa Costituzione che fissano elementi e momenti imprescindibili del nostro Stato: in particolare, vanno tenuti presenti la indipendenza nazionale, i principi della unità e della indivisibilità dello Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato stesso nella formula di «Repubblica democratica» (sentenza n. 86 del 1977).
(...) Ne consegue, pertanto, che in relazione al segreto di Stato «si pone necessariamente un problema di raffronto o di interferenza con altri principi costituzionali», inclusi quelli «che reggono la funzione giurisdizionale».»

B. Le disposizioni legali

1. La riforma del segreto di Stato e i problemi di applicabilità ratione temporis

153. In precedenza il segreto di Stato era disciplinato dalla legge n. 801 del 24 ottobre 1977 sull'istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato («legge n. 801/1977»).
Questa legge è stata abrogata dalla legge che riformava i servizi di informazione e il segreto di Stato («legge n. 124/2007» o «legge di riforma», paragrafo 83 supra), entrata in vigore il 12 ottobre 2007 mentre era in corso il processo penale riguardante il sequestro del ricorrente.
Nonostante in entrambe le leggi figurino le norme di diritto interno relative all'applicazione del segreto di Stato e alla sua opposizione nel corso del procedimento penale oggetto della presente causa, tutta l'attività giudiziaria successiva alla data dell'entrata in vigore della legge di riforma rientra nel campo di applicazione della legge n. 124/2007 in virtù del principio tempus regit actum.

2. L'oggetto del segreto di Stato e i suoi limiti materiali e temporali

154. L’articolo 12, comma 1, della legge n. 801/1977 era così formulato:
«Sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno alla integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato».
155. L’articolo 39, comma 1, della legge n. 124/2007 recita:
«Sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato».
156. L'articolo 12, comma 1, della legge n. 801/1977 escludeva dal campo di applicazione del segreto di Stato tutti i «fatti eversivi dell'ordine costituzionale».
Nella legge di riforma, questa disposizione è stata mantenuta, e alcuni reati quali quelli connessi al terrorismo o alla mafia e alle stragi (articolo 39, comma 11, della legge n. 124/2007) si aggiungono ai fatti sottratti al segreto di Stato.
157. Mentre era in vigore la vecchia legge n. 801/1977, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva indicato, nella nota n. 2001.5/07 del 30 luglio 1985, un elenco di materie coperte dal segreto di Stato, fra le quali «le operazioni e (…) le attività di informazione» dei servizi speciali e le loro «relazioni con le autorità di informazione degli altri Stati».
158. Dopo l'entrata in vigore della legge di riforma, il Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato, l'8 aprile 2008, un decreto che enumera alcuni elementi che possono essere coperti dal segreto di Stato. Tra questi elementi figurano, fra altri, le informazioni concernenti la «cooperazione internazionale ai fini di sicurezza, con particolare riferimento al contrasto al terrorismo (…)» e le «relazioni con organi informativi di altri Stati».
Ai sensi dell'articolo 4 del suddetto decreto, il segreto di Stato può essere applicato nei limiti previsti dall'articolo 39, comma 11, della legge n. 124/2007 e 204, comma 1 del CPP. Ai sensi di queste disposizioni, non possono essere coperti dal segreto di Stato informazioni, documenti o elementi relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell'ordine costituzionale o ai saccheggi, alle stragi, all'associazione di tipo mafioso e allo scambio di voto elettorale politico-mafioso.
159. L'articolo 39, comma 4, della legge n. 124/2007 prevede inoltre che il segreto di Stato sia apposto e, ove possibile, annotato, su espressa disposizione del Presidente del Consiglio dei ministri, sugli atti, documenti o cose che ne sono oggetto.
D'altra parte, nella sentenza n. 106/2009, la Corte costituzionale ha sottolineato il carattere oggettivo del segreto di Stato come definito dalla legge, e ha dichiarato che alcuni atti o fatti potevano presentare un contenuto o una forma tali che la caratteristica della segretezza era intrinseca, indipendentemente da qualsiasi decisione formale delle autorità competenti.
160. Peraltro, nel diritto italiano vi è una distinzione tra il segreto di Stato e la classificazione dei documenti nelle categorie «segretissimo», «segreto», «riservatissimo» e «riservato». La classificazione, che viene stabilita dall'autore del documento, determina esclusivamente delle restrizioni di accesso, la cui ampiezza è in funzione del grado di classificazione, e che non possono mai impedire alle autorità giudiziarie di prenderne conoscenza.
161. Prima della riforma, la legge non prevedeva alcun limite temporale per il segreto di Stato. La legge di riforma ha fissato in quindici anni la durata massima del segreto di Stato. Questo periodo può essere prorogato fino a un massimo di trenta anni dal Presidente del Consiglio dei ministri, che ne informa allora il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, COPASIR (articolo 39, commi 7, 8, 9 e 10).

3. L'autorità competente per l'applicazione del segreto di Stato e la natura politica del suo controllo

162. Le decisioni in materia di segreto di Stato fanno parte delle attribuzioni del potere esecutivo. Nel sistema precedente alla legge di riforma, il potere di applicare e di opporre il segreto di Stato era condiviso tra il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministeri dell’Interno e della Difesa.
La legge di riforma ha attribuito questo potere esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri, che è responsabile della direzione e del coordinamento delle attività di informazione (articolo 1 commi 1 a), b) e c)).
Il potere di applicare il segreto di Stato sfugge a qualsiasi controllo del giudice. A tale proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 106/2009 (si vedano anche i paragrafi 99-109 supra), ha rammentato quanto segue:
«(...) il Presidente del Consiglio dei ministri è investito di un ampio potere, che può essere limitato solo dalla necessità che siano esplicitate, al Parlamento, le ragioni essenziali poste a fondamento delle determinazioni assunte [di applicare il segreto di Stato] e dal divieto di opporre il segreto in relazione a fatti eversivi dell'ordine costituzionale (secondo quanto espressamente previsto sia dalla legge n. 801 del 1977 sia dalla successiva legge n. 124 del 2007). Ed invero, l'«individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc. che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segreti» costituisce il risultato di una valutazione «ampiamente discrezionale (…)» (sentenza n. 86 del 1977). In queste condizioni, quindi, è escluso – ferme restando le competenze [della Corte costituzionale] in sede di conflitto di attribuzioni – qualsiasi sindacato giurisdizionale non solo sull'an, ma anche sul quomodo del potere di segretazione, atteso che «il giudizio sui mezzi idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica e, quindi, mentre è connaturale agli organi ed alle autorità politiche preposte alla sua tutela, certamente non è consono alla attività del giudice». Pervenire, difatti, a differente conclusione «significherebbe capovolgere taluni criteri essenziali del nostro ordinamento» (sentenza n. 86 del 1977).
Così, la competenza della Corte costituzionale si limita alla questione di stabilire se, applicando o opponendo il segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri abbia oltrepassato i poteri che la legge gli conferisce, ma non può estendersi alla valutazione sul merito dei motivi della decisione.
163. Tuttavia, il Presidente del Consiglio dei ministri deve comunicare ogni caso in cui è applicata, opposta e confermata l'esistenza di un segreto di Stato, soprattutto nel corso di un processo penale (articolo 202 del CPP, paragrafo 129 supra) e deve indicarne le «ragioni essenziali» a un comitato parlamentare (il «COPASIR»), composto da cinque membri della Camera dei Deputati e da cinque membri del Senato della Repubblica e presieduto da un membro dell'opposizione parlamentare. Se il COPASIR ritiene infondata l'opposizione del segreto di Stato, ne informa le due camere del Parlamento (articolo 41, comma 9, della legge n. 124/2007).
Il COPASIR può ottenere informazioni, documenti e atti da qualsiasi autorità pubblica, anche dai servizi di informazione, ad eccezione di quelli, coperti dal segreto di Stato, «la cui comunicazione o trasmissione possa pregiudicare la sicurezza della Repubblica, i rapporti con gli Stati esteri, lo svolgimento di operazioni in corso, o l'incolumità di fonti informative, collaboratori o appartenenti ai servizi di informazione». In caso di disaccordo in seno al COPASIR, decide il Presidente del Consiglio dei ministri. Tuttavia, egli non può opporsi a una decisione unanime del COPASIR di indagare sulla legittimità dei comportamenti dei membri dei servizi speciali (articolo 31, commi 7, 8 e 9 della legge n. 124/2007).
Nel rapporto sulle sue attività del 2010, il COPASIR ha manifestato divergenti punti di vista fra i suoi membri per quanto riguarda la natura e l'ampiezza del suo potere di controllo:
«Per alcuni componenti, il Comitato deve attenersi alla prescrizione della legge secondo cui il Presidente del Consiglio indica le "ragioni essenziali" che lo hanno indotto a confermare l'opposizione del segreto e il Comitato, solo qualora le ritenga infondate, ne riferisce alle Camere. Si tratterebbe quindi secondo tale impostazione, di un controllo "esterno" e limitato alle ragioni essenziali, senza che il Comitato possa entrare nel merito della decisione assunta dal Presidente del Consiglio, che è il responsabile esclusivo dell'utilizzazione del segreto di Stato.
Per altri componenti, viceversa, il compito di controllo che la legge attribuisce al Comitato non può esercitarsi compiutamente se non attraverso la piena conoscenza delle motivazioni che hanno fondato la decisione del Presidente del Consiglio di confermare il segreto di Stato. Il Comitato quindi, in tal senso, sarebbe legittimato a richiedere l'acquisizione di ogni possibile elemento di informazione sulla vicenda oggetto del segreto di Stato, ferma restando la possibilità per il Presidente del Consiglio di opporre, secondo quanto stabilito della legge, le "esigenze di riservatezza" e respingere la richiesta.»
Il COPASIR ha indicato che al suo interno non si era giunti ad una valutazione condivisa sulla conferma del segreto di Stato nei due procedimenti giudiziari la cui situazione è oggetto della presente causa.

4. La protezione del segreto di Stato, soprattutto nell’ambito del processo penale

164. L’articolo 41 della legge n. 124/2007 vieta ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio di riferire riguardo a fatti coperti dal segreto di Stato. In particolare, nel processo penale, questo articolo, come pure l’articolo 202 del CPP come sostituito dall’articolo 40, comma 1, della legge n. 124/2007, impone loro di astenersi dal deporre in qualità di testimoni su tali fatti.
165. Nel caso in cui il testimone opponga il segreto di Stato, l’articolo 202 del CPP prevede una procedura con la quale l’autorità giudiziaria interessata chiede al Presidente del Consiglio dei ministri la conferma dell’esistenza del segreto di Stato. L’articolo 202 del CPP è così formulato:
«1. I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato.
2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei ministri, ai fini dell'eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto.
3. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato.
4. Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei ministri non dà conferma del segreto, l'autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento.
5. L'opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei ministri, inibisce all'autorità giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto.
6. Non è, in ogni caso, precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto.
7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell'insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l'autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato.
8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.»
Nella sentenza n. 106/2009, la Corte costituzionale ha precisato che queste disposizioni si applicavano anche alla fase delle indagini preliminari.
166. Secondo la formulazione degli articoli 185 e 191 del CPP, «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo» e «le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate».
167. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 204 del CPP, nella versione modificata dall’articolo 40, comma 2, della legge n. 124/2007, è così formulato:
«1. Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli articoli 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale nonché i delitti previsti dagli articoli 285, 416-bis, 416-ter [associazione di tipo mafioso] e 422 [strage] del codice penale. Se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal giudice. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari su richiesta di parte.
(...)
2. Del provvedimento che rigetta l'eccezione di segretezza è data comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri.»

5. La clausola di giustificazione per le condotte previste dalla legge come reato poste in essere dal personale dei servizi di informazione

168. L’articolo 17 della legge n. 124/2007 contiene una clausola speciale applicabile alla condotta degli agenti dei servizi di informazione:
1. (...) non è punibile il personale dei servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate (…) in quanto indispensabili alle finalità istituzionali di tali servizi (…).
2. La speciale causa di giustificazione di cui al comma 1 non si applica se la condotta prevista dalla legge come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, (…) di una o più persone.
3. (...)
4. Non possono essere autorizzate, ai sensi dell’articolo 18, condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato a norma dell’articolo 39, comma 11, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270-bis, secondo comma (associazioni con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico) e 416-bis, primo comma (associazioni di tipo mafioso) del codice penale.
5. (...)
6. La speciale causa di giustificazione si applica quando le condotte:
a) sono poste in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali dei servizi di informazione per la sicurezza, in attuazione di un’operazione autorizzata e documentata ai sensi dell’articolo 18 e secondo le norme organizzative del Sistema di informazione per la sicurezza;
b) sono indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibili;
(...)
169. L’articolo 18 della legge n. 124/2007 fissa la procedura di autorizzazione delle condotte previste dalla legge come reato. Spetta al Presidente del Consiglio dei ministri o all’Autorità delegata dare seguito ad una richiesta scritta di autorizzazione e rilasciare l’autorizzazione in forma scritta e motivata. L’autorizzazione è modificabile e revocabile per iscritto.
Nei casi di assoluta urgenza, che non consentono di acquisire tempestivamente l’autorizzazione, il direttore del servizio di informazione autorizza le condotte richieste e ne dà comunicazione immediata e comunque non oltre le ventiquattro ore al Presidente del Consiglio dei ministri. Quest’ultimo ratifica l’autorizzazione se i criteri di cui all’articolo 17 sono stati rispettati.
Nei casi in cui la condotta prevista dalla legge come reato sia stata posta in essere in assenza ovvero oltre i limiti delle autorizzazioni, il Presidente del Consiglio dei ministri adotta le necessarie misure e informa immediatamente l’autorità giudiziaria.
La documentazione relativa alle richieste di autorizzazione è conservata in apposito schedario segreto.
170. Ai sensi dell’articolo 19 della legge n. 124/2007, il direttore del servizio di informazione interessato o un membro di quest’ultimo oppone all’autorità giudiziaria che procede l’esistenza della speciale causa di giustificazione. Qualora sussista l’autorizzazione, il Presidente del Consiglio dei ministri ne dà comunicazione entro dieci giorni all’autorità che procede, indicandone i motivi; il giudice pronuncia allora sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione. Della conferma è data immediata comunicazione al Comitato parlamentare. Se la conferma non interviene entro dieci giorni, essa si intende negata.

III. IL TRATTATO DI ESTRADIZIONE TRA L’ITALIA E GLI STATI UNITI D’AMERICA

171. Ai sensi dell’articolo 4 del trattato italo-americano sull’estradizione del 13 ottobre 1983, modificato dall’accordo bilaterale del 3 maggio 2006 e ratificato dalla legge n. 25 del 16 marzo 2009, i due Stati si sono impegnati a non rifiutare l’estradizione dei loro rispettivi cittadini per via della cittadinanza di questi ultimi.

IV. ELEMENTI INTERNAZIONALI E ALTRI DOCUMENTI PUBBLICI PERTINENTI

A. Il programma della CIA per Detenuti di Alta Importanza

172. In seguito agli attentati del settembre 2001 negli Stati Uniti, il governo americano mise in atto un programma di detenzione e metodi di interrogatori elaborato per presunti terroristi. Il 17 settembre 2001 il presidente Bush firmò un documento che attribuiva ampi poteri alla CIA soprattutto in materia di detenzione di presunti terroristi e per la creazione di centri di detenzione segreti al di fuori degli Stati Uniti, con la cooperazione dei governi dei paesi interessati. In seguito, la CIA mise in atto un programma sulla detenzione e l'interrogatorio dei presunti terroristi all'estero. Le autorità americane si riferiscono a questo programma con il nome di «High-Value Detainees Program» (HVD), ossia il programma per detenuti di alta importanza, o «Rendition Detention Interrogation Program» (RDI)», ossia il programma di «consegne straordinarie», di «restituzioni straordinarie» o di «trasferimenti extragiudiziari».
173. Il memorandum della CIA del 30 dicembre 2004 costituisce il documento di riferimento sull'uso combinato da parte della CIA di diverse tecniche di interrogatorio. Il documento «verte sull'uso combinato di diverse tecniche di interrogatorio [il cui scopo] è quello di convincere i detenuti di alta importanza [High-Value Detainees] a fornire in tempo utile le informazioni sulle minacce e sul terrorismo (…). Un interrogatorio effettivo si basa sul ricorso globale, sistematico e cumulativo a pressioni fisiche e psicologiche per influenzare il comportamento di un detenuto di alta importanza o per far cadere le resistenze di un detenuto. L'interrogatorio si prefigge di creare uno stato d'impotenza acquisita e di dipendenza (…). Il processo dell'interrogatorio può essere diviso in tre fasi distinte: le condizioni iniziali, la transizione verso l'interrogatorio e l'interrogatorio stesso». Come descritto nel memorandum, la fase delle «condizioni iniziali» comprende «lo shock della cattura», «la consegna» e «la ricezione sul Sito nero». Il
memorandum contiene anche i passaggi seguenti:
«La cattura (...) contribuisce a porre il detenuto di alta importanza in un certo stato fisico e psicologico prima dell'inizio dell'interrogatorio (...)
1) La consegna
(...) Prima del volo è eseguita una visita medica. Durante il volo, il detenuto è strettamente incatenato e privato della vista e dell'udito tramite bende, copriorecchie e passamontagna (...)»
La parte dedicata alla fase dell’«interrogatorio» comprende dei capitoli intitolati «Condizioni di detenzione», «Tecniche di condizionamento» e «Tecniche correttive».
Al riguardo delle informazioni più dettagliate figurano nelle sentenze Al Nashiri c. Polonia (n. 28761/11, §§ 43-71, 24 luglio 2014) e Husayn (Abu Zubaydah) c. Polonia (n. 7511/13, §§ 45-69, 24 luglio 2014).
174. In una dichiarazione del 5 dicembre 2005, Condoleezza Rice, allora Segretario di Stato degli Stati Uniti, pur escludendo il ricorso a pratiche assimilabili alla tortura nella lotta contro il terrorismo internazionale, ha riconosciuto l'esistenza di prigioni segrete della CIA in Europa e l'utilizzo di aeroporti europei per i trasferimenti di «combattenti nemici». La stessa ha affermato che era necessario ricorrere ai «trasferimenti extragiudiziali» (extraordinary renditions, talvolta indicati con l'espressione «restituzioni» o «consegne» straordinarie) per combattere il terrorismo, ed ha ritenuto che, quando uno Stato non poteva imprigionare o sottoporre a giudizio una persona sospettata di terrorismo, poteva «fare la scelta sovrana di cooperare nell'ambito di una «restituzione»». Secondo lei, i trasferimenti extragiudiziali erano «legittimi nel diritto internazionale» e «rispondevano all'obbligo di questi Stati di proteggere i loro cittadini».
175. Il 9 dicembre 2014 il Senato americano ha pubblicato il rapporto della commissione intelligence, (Select Committee on Intelligence) sul programma di detenzioni e metodi di interrogatorio della CIA.
Il Parlamento europeo, nella Risoluzione dell’11 febbraio 2015, si è compiaciuto della pubblicazione di questo rapporto sul ricorso alla tortura da parte della CIA. In particolare ha osservato che la commissione del Senato americano aveva confutato le dichiarazioni della CIA secondo cui grazie alla tortura sarebbero state rivelate informazioni che non sarebbe stato possibile ottenere mediante tecniche di interrogatorio tradizionali e non violente. Peraltro ha rilevato che il rapporto in questione faceva emergere nuovi fatti che rafforzavano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell'Unione europea, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA.

B. Fonti pubbliche che documentano le preoccupazioni in merito alle violazioni dei diritti dell’uomo nel contesto della «consegne straordinarie»

176. Per avere un quadro delle numerose fonti pubbliche che documentano le preoccupazioni in merito alle violazioni dei diritti dell’uomo nel contesto delle «consegne straordinarie» nel 2002-2003, è opportuno fare riferimento alla sentenza El-Masri c. ex-Repubblica di Macedonia ([GC], n. 39630/09, §§ 112-121 e 127, CEDU 2012), e alle sentenze sopra citate Al Nashiri (§§ 214-224 e 230-232) e Husayn (Abu Zubaydah), (§§ 208-218 e 224-226).
C. Rapporti internazionali sulle «consegne straordinarie» praticate nell’ambito della lotta contro il terrorismo
177. Le presunte «consegne straordinarie» in Europa e i coinvolgimenti dei governi europei in queste operazioni hanno dato luogo a molte inchieste internazionali (Al Nashiri e Husayn (Abu Zubaydah), sopra citate §§ 241-286). I rapporti seguenti richiamano il caso del ricorrente.

1. Il primo «rapporto Marty» dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa

178. Questo rapporto, pubblicato il 12 giugno 2006 e intitolato «Presunte detenzioni segrete e trasferimenti interstatali illegali di prigionieri riguardanti alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa», menziona, fra l’altro, il caso del ricorrente. Si può leggere quanto segue:
«231. Il caso più sconcertante – perché meglio documentato – è verosimilmente quello dell’Italia. Come abbiamo già detto, la Procura della Repubblica e le forze dell’ordine di Milano, grazie ad una inchiesta che testimonia una competenza e una indipendenza notevoli, hanno potuto ricostruire fin nei dettagli un caso di extraordinary rendition, quello dell’imam Abu Omar, sequestrato il 17 febbraio 2003 e consegnato alle autorità egiziane. La Procura ha identificato 25 autori di questa operazione montata dalla CIA ed ha emesso 22 mandati di arresto. Il Ministro della Giustizia allora in carica in realtà si è avvalso delle sue competenze per ostacolare il lavoro dell’autorità giudiziaria: non soltanto ha tardato a trasmettere le richieste di assistenza giudiziaria alle
autorità americane, ma si è categoricamente rifiutato di trasmettere loro i mandati di arresto emessi nei confronti di 22 cittadini americani. Ma vi è di peggio: lo stesso Ministro della Giustizia ha accusato i magistrati di Milano di attaccare i cacciatori di terroristi piuttosto che i terroristi stessi: peraltro, il governo italiano non ha neanche ritenuto necessario chiedere spiegazioni alle autorità americane in merito all’operazione eseguita da agenti americani sul proprio territorio nazionale, né lamentare il fatto che il sequestro di Abu Omar abbia annullato una importante operazione anti-terrorismo che la procura e le forze dell’ordine di Milano stavano conducendo. Tenuto conto dell’importanza dell’operazione che ha portato al sequestro di Abu Omar, è difficile credere – come afferma il governo italiano – che le autorità italiane, ad un certo punto, non siano state a conoscenza, se non addirittura abbiano partecipato attivamente a questa rendition. L’atteggiamento, quanto meno strano, del Ministro della Giustizia sembra del resto andare in questa direzione. È peraltro a questa conclusione che sembra arrivare la giustizia italiana: come abbiamo appena detto sopra (2.3.2.4), l’indagine in corso sta dimostrando che alcuni funzionari italiani hanno direttamente preso parte al sequestro di Abu Omar e che i servizi di informazione sono coinvolti.
(...)
237. In questo caso, la giustizia e le forze dell’ordine italiane hanno dimostrato grande competenza e notevole indipendenza, nonostante le pressioni politiche. Una competenza e una indipendenza peraltro già dimostrate all’epoca dei tragici anni insanguinati dal terrorismo. La procura di Milano è stata così in grado di ricostruire dettagliatamente un evidente caso di restituzione nonché un deplorevole esempio di assenza di cooperazione internazionale nella lotta contro il terrorismo».

2. Il secondo «rapporto Marty»

179. Questo rapporto, pubblicato l’11 giugno 2007, spiega in dettaglio lo svolgimento dell’indagine relativa al caso «Abu Omar». Vi si legge quanto segue:
«5. Alcuni governi europei hanno ostacolato e continuano ad ostacolare la ricerca della verità invocando la nozione di «segreto di Stato». Si invoca il segreto per non fornire spiegazioni alle istanze parlamentari o per impedire alle autorità giudiziarie di accertare i fatti e perseguire i responsabili dei reati. Queste critiche riguardano soprattutto la Germania e l’Italia (…). Per quanto riguarda l’Italia, colpisce constatare che la dottrina del segreto di Stato viene invocata nei confronti del procuratore titolare delle indagini del caso Abu Omar con motivazioni pressoché identiche a quelle adottate dalle autorità della Federazione di Russia nella repressione di scienziati, giornalisti e avvocati, molti dei quali sono stati perseguiti e condannati per presunte attività di spionaggio. Lo stesso comportamento ha indotto le autorità della «ex Repubblica jugoslava di Macedonia» a nascondere la verità e a fornire una versione manifestamente falsa sui comportamenti dei propri agenti nazionali e di quelli della CIA quando hanno proceduto alla detenzione segreta e alla «restituzione» di Khaled El-Masri.
6. Un ricorso alla dottrina del segreto di Stato, in maniera tale che questa venga applicata anche molti anni dopo i fatti, appare inaccettabile in una società democratica fondata sul principio della preminenza del diritto. Questo francamente colpisce ancora di più quando l'organo stesso che se ne avvale cerca di definire la nozione e la portata del segreto, per sottrarsi così alle sue responsabilità. Non dovrebbe essere consentito avvalersi del segreto di Stato quando ciò serve a nascondere delle violazioni dei diritti umani e il suo ricorso dovrebbe in ogni caso essere sottoposto ad un rigoroso controllo.
(...)
322. Nel mio [precedente] rapporto avevo già avuto occasione di rendere omaggio alla competenza e alla grande qualità del lavoro svolto dai magistrati e dai servizi investigativi di Milano. Oggi è penoso vedere a quale genere di trattamento sono sottoposti dei magistrati del valore di Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, i procuratori impegnati da anni, non senza grandi rischi personali, nella repressione del terrorismo, una lotta che essi hanno sempre condotto con efficacia e nel rigoroso rispetto delle regole di uno Stato fondato sulla preminenza del diritto. Ora si è arrivati al punto di denunciare questi magistrati per violazione del segreto di Stato!»

3. Il Rapporto del Parlamento europeo

180. Il 30 gennaio 2007 il Parlamento europeo ha pubblicato un rapporto intitolato «Presunto uso di paesi europei da parte della CIA per il traporto e la detenzione illegale di prigionieri». Nei passaggi che riguardano la causa del ricorrente, è scritto quanto segue:
«Il Parlamento europeo,
(...)
50. deplora il fatto che i rappresentanti dell'attuale e del precedente governo italiano, che sono o sono stati responsabili dei servizi segreti italiani, hanno declinato l'invito a comparire di fronte alla commissione temporanea;
51. condanna la consegna straordinaria da parte della CIA del funzionario egiziano Abu Omar, al quale era stato concesso asilo in Italia e che è stato rapito a Milano il 17 febbraio 2003, trasferito in macchina da Milano alla base militare NATO di Aviano e quindi trasportato in aereo, attraverso la base militare NATO di Ramstein in Germania, verso l'Egitto, dove da allora viene tenuto in "incommunicado" e torturato;
52. condanna il ruolo attivo svolto da un maresciallo dei carabinieri e da taluni funzionari dei servizi segreti e di sicurezza militari italiani (SISMI) nel rapimento di Abu Omar, come risulta dall'indagine giudiziaria e dalle prove raccolte dal Pubblico ministero di Milano Armando Spataro;
53. conclude e deplora il fatto che il generale Nicolò Pollari, già direttore del SISMI, abbia nascosto la verità il 6 marzo 2006, quando è comparso di fronte alla commissione temporanea, affermando che gli agenti italiani non avevano partecipato a nessun rapimento perpetrato dalla CIA e che i servizi segreti italiani non erano a conoscenza del piano per il rapimento di Abu Omar;
54. ritiene molto probabile, visto il coinvolgimento dei suoi servizi segreti, che il governo italiano allora in carica fosse al corrente della consegna straordinaria di Abu Omar avvenuta sul suo territorio;
55. ringrazia il Pubblico Ministero Spataro per la testimonianza resa davanti alla commissione temporanea, plaude alle indagini efficienti e indipendenti che egli ha svolto per far luce sulla consegna straordinaria di Abu Omar e sostiene pienamente le sue conclusioni e la sua decisione di rinviare a giudizio 26 cittadini statunitensi, agenti della CIA, 7 alti funzionari del SISMI, un carabiniere del ROS e il vicedirettore del quotidiano "Libero"; plaude altresì all'apertura del processo davanti al tribunale di Milano;
56. si rammarica che il rapimento di Abu Omar abbia messo in pericolo l'indagine del Pubblico Ministero Spataro sulla rete terroristica alla quale era collegato Abu Omar; ricorda che se Abu Omar non fosse stato illegalmente rapito e trasportato in un altro paese sarebbe stato sottoposto ad un processo equo e regolare in Italia;
57. prende nota che la testimonianza fornita dal generale Pollari non concorda con diversi documenti trovati nei locali del SISMI e confiscati dalla procura milanese; ritiene che questi documenti dimostrano che il SISMI veniva regolarmente informato dalla CIA sulla detenzione in Egitto di Abu Omar;
58. si rammarica profondamente del fatto che i dirigenti del SISMI abbiano sistematicamente fuorviato tra gli altri la procura di Milano al fine di compromettere l'indagine sulla consegna straordinaria di Abu Omar; si dichiara estremamente preoccupato per il fatto che i dirigenti del SISMI pare perseguissero obiettivi paralleli, nonché per la mancanza di adeguati controlli interni e governativi; chiede al governo italiano di porre urgentemente rimedio alla situazione istituendo controlli parlamentari e governativi rafforzati;
59. condanna i pedinamenti illegali dei giornalisti italiani che indagavano sulla consegna straordinaria di Abu Omar, le intercettazioni delle loro conversazioni telefoniche e il sequestro dei loro personal computer; sottolinea che le testimonianze di questi giornalisti sono state del massimo aiuto ai lavori della commissione temporanea;
60. critica il governo italiano per la lentezza con cui ha deciso di destituire il generale Pollari dalla sua carica e di sostituirlo;
61. si rammarica che un documento sulla cooperazione USA-Italia nella lotta al terrorismo, che avrebbe favorito l'indagine sulla consegna straordinaria di Abu Omar, sia stato secretato dal precedente governo italiano e che l'attuale governo abbia confermato la secretazione del documento in parola;
62. invita il Ministro della giustizia italiano a procedere quanto prima alle richieste di estradizione dei 26 cittadini USA di cui sopra, affinché possano essere processati in Italia».

D. Documenti giuridici internazionali

1. La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, adottata a Vienna il 24 aprile 1963 ed entrata in vigore il 19 marzo 1967

181. L’articolo 36 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, nei suoi passaggi pertinenti al caso di specie, recita:
Articolo 36
Comunicazione con i cittadini dello Stato di invio
«1. Per agevolare l'esercizio delle funzioni consolari concernenti i cittadini dello Stato di invio:
(...)
b. a domanda dell’interessato, le autorità competenti dello Stato di residenza devono avvertire senza indugio il posto consolare dello Stato di invio allorché nella sua circoscrizione consolare, un cittadino di questo Stato è arrestato, incarcerato o sottoposto a custodia cautelare o ad altra forma di detenzione. Ogni comunicazione indirizzata al posto consolare dalla persona arrestata, incarcerata o sottoposta a custodia cautelare o ad altra forma di detenzione deve parimente essere trasmessa senza indugio da tali autorità. Queste devono informare senza indugio l’interessato dei suoi diritti in conformità del presente capoverso (...).»

2. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (PIDCP)

182. Le disposizioni pertinenti di questo patto, adottato il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo 1976, sono così formulate
Articolo 4
«(...)
2. La suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6,7,8 (paragrafi 1 e 2), 11, 15, 16 e 18.
(...)»
Articolo 7
«Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico.»
Articolo 9
«1. Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto. Nessuno può esser privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura previsti dalla legge.
2. Chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo arresto, dei motivi dell'arresto medesimo, e deve al più presto aver notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui.
3. Chiunque sia arrestato o detenuto in base ad un'accusa di carattere penale deve essere tradotto al più presto dinanzi a un giudice o ad altra autorità competente per legge ad esercitare funzioni giudiziarie, e ha diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, o rilasciato. La detenzione delle persone in attesa di giudizio non deve costituire la regola, ma il loro rilascio può essere subordinato a garanzie che assicurino la comparizione dell'accusato sia ai fini del giudizio, in ogni altra fase del processo, sia eventualmente, ai fini della esecuzione della sentenza.
4. Chiunque sia privato della propria libertà per arresto o detenzione ha diritto a ricorrere ad un tribunale, affinché questo possa decidere senza indugio sulla legalità della sua detenzione e, nel caso questa risulti illegale, possa ordinare il suo rilascio.
5. Chiunque sia stato vittima di arresto o detenzione illegali ha pieno diritto a un indennizzo.»

3. La Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata

183. Le disposizioni pertinenti al caso di specie di questa convenzione, adottata il 20 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 23 dicembre 2010 – e che è stata firmata, ma non ratificata, dallo Stato convenuto – sono le seguenti:
Articolo primo
«1. Nessuno sarà soggetto a sparizione forzata.
2. Nessuna circostanza, di alcun tipo, si tratti di stato di guerra o minaccia di guerra, instabilità politica interna o qualunque altra emergenza pubblica, potrà essere invocata per giustificare la sparizione forzata.»
Articolo 2
«Ai fini della presente Convenzione, si considera «sparizione forzata» l’arresto, la detenzione, il sequestro o qualunque altra forma di privazione della libertà da parte di agenti dello Stato o di persone o gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, il sostegno o l’acquiescenza dello Stato, a cui faccia seguito il rifiuto di riconoscere la privazione della libertà o il silenzio riguardo la sorte o il luogo in cui si trovi la persona sparita, tale da collocare questa persona al di fuori della protezione data dal diritto.»
Articolo 3
«Ciascuno Stato Parte adotta misure adeguate per indagare le condotte definite dall’art. 2 poste in essere da persone o gruppi di persone che agiscano senza l’autorizzazione, il sostegno o l’acquiescenza dello Stato e per giudicare i responsabili di tali condotte.»
Articolo 4
«Ciascuno Stato Parte adotta le misure necessarie per garantire che la sparizione forzata costituisca un reato secondo la propria legge penale.»

4. Il Manuale per una efficace indagine sulla tortura e altri temi e trattamenti crudeli, inumani o degradanti – il Protocollo di Istanbul, pubblicato nel 1999 dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani

184. Il passaggio pertinente di questo manuale è così formulato:
«80. Le presunte vittime di tortura o altri maltrattamenti e i loro rappresentanti legali sono informati di qualsiasi audizione che potrà essere organizzata, hanno la possibilità di assistervi ed hanno accesso a tutte le informazioni relative all'indagine; possono produrre altri elementi di prova.»

5. Gli articoli sulla responsabilità dello Stato per fatto internazionalmente illecito adottati dalla Commissione di diritto internazionale il 3 agosto 2001, Annuario della Commissione di diritto internazionale, 2001, vol. II

185. Questi articoli, nei loro passaggi pertinenti, sono così formulati:
Articolo 7
Eccesso di potere o comportamento contrario alle istruzioni
«Il comportamento di un organo dello Stato o di una persona o di un ente abilitati ad esercitare prerogative dell’autorità pubblica è considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale se questo organo, persona o ente agisce in tale qualità, anche se eccede la propria competenza o contravviene alle sue istruzioni.»
Articolo 14
Estensione nel tempo della violazione di un obbligo internazionale
«1. La violazione di un obbligo internazionale per mezzo di un atto dello Stato che non ha carattere continuato si produce nel momento in cui è compiuto l’atto, anche se i suoi effetti perdurano.
2. La violazione di un obbligo internazionale per mezzo di un atto dello Stato che ha carattere continuato si estende a tutto il periodo durante il quale l’atto continua e rimane non conforme all’obbligo internazionale.
3. La violazione di un obbligo internazionale che richiede allo Stato di prevenire un dato evento si verifica nel momento in cui l’evento si produce e si estende a tutto il periodo durante il quale l’evento continua e rimane non conforme a questo obbligo.»
Articolo 15
Violazione costituita da un atto composito
«1. La violazione di un obbligo internazionale da parte dello Stato per mezzo di una serie di azioni o omissioni, definita nel suo complesso come illecita, si verifica quando si produce l’azione o l’omissione, che assieme alle altre azioni o omissioni, è sufficiente per integrare l’atto illecito.
2. In tale caso, la violazione si estende a tutto il periodo che inizia con la prima delle azioni o omissioni della serie e dura fino a quando queste azioni o omissioni si ripetono e rimangono non conformi all’obbligo internazionale.»
Articolo 16
Aiuto o assistenza nella commissione dell’atto internazionalmente illecito
«Lo Stato che aiuta o assiste un altro Stato nella commissione di un atto internazionalmente illecito da parte di quest’ultimo è internazionalmente responsabile per aver tenuto tale comportamento nel caso in cui:
a) il suddetto Stato agisce in tal modo pur conoscendo le circostanze dell’atto internazionalmente illecito; e
b) l’atto sarebbe internazionalmente illecito se veniva commesso da quello Stato.»

6. Il rapporto sottoposto il 2 luglio 2002 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal Relatore speciale della Commissione dei diritti dell’uomo incaricato di esaminare le questioni che si riferiscono alla tortura e alle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (A/57/173)

186. Il passaggio pertinente di questo rapporto recita:
«35. Infine, il Relatore speciale vorrebbe chiedere a tutti gli Stati di vigilare affinché in nessun caso vengano consegnate le persone che essi hanno intenzione di estradare perché rispondano di terrorismo o di altri capi d’accusa, a meno che il governo del paese che le riceve non garantisca in maniera inequivoca alle autorità che estradano gli interessati che costoro non saranno sottoposti a tortura né a nessuna altra forma di maltrattamento al momento del loro rientro e che è stato messo in atto un dispositivo per assicurarsi che vengano trattati nel pieno rispetto della dignità umana.»

7. La Risoluzione n. 1433 (2005), Legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, adottata il 26 aprile 2005 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa

187. Questa risoluzione, nei suoi passaggi pertinenti, recita:
«7. Sulla base di un’analisi approfondita degli elementi giuridici e fattuali prodotti da queste fonti e da altre fonti affidabili, l’assemblea conclude che le condizioni detentive delle persone rinchiuse a Guantanamo Bay da parte degli Stati Uniti presentano delle illegalità e non si conformano al principio dello Stato di diritto, per i seguenti motivi:
(...)
vii. praticando la «restituzione», ossia il trasferimento di persone verso altri paesi, al di fuori di qualsiasi procedimento giudiziario, per essere interrogate o detenute, gli Stati Uniti hanno autorizzato che i detenuti siano sottoposti, in altri paesi, alla tortura e a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, in violazione del divieto di non respingimento (…).»

8. La Risoluzione n. 1463 (2005). Sparizioni forzate, adottata il 3 ottobre 2005 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

188. I passaggi pertinenti di questa risoluzione recitano:
«1. Il termine «sparizione forzata» comprende la privazione della libertà, il rifiuto di ammettere questa privazione della libertà o di rivelare la sorte riservata alla persona scomparsa e il luogo in cui essa si trova, e la sottrazione della persona alla protezione della legge.
2. L’Assemblea parlamentare condanna categoricamente la sparizione forzata, che essa considera come una violazione molto grave dei diritti dell’uomo, al pari della tortura e dell’omicidio, e constata con preoccupazione che, anche in Europa, questo flagello umanitario continua a imperversare.»

9. La Risoluzione 60/148 sulla tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata il 16 dicembre 2005 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite

189. I passaggi pertinenti di questa risoluzione sono così formulati:
«L’Assemblea generale:
(...)
11. Rammenta a tutti gli Stati che un periodo prolungato di segregazione o di detenzione in luoghi segreti può facilitare la pratica della tortura e di altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e può di per sé costituire un trattamento di questo tipo, e chiede fermamente a tutti gli Stati di rispettare le garanzie concernenti libertà, sicurezza e dignità della persona.»

10. Il Parere .n. 363/2005 sugli obblighi di legge internazionali degli Stati membri del Consiglio d’Europa riguardanti i luoghi di detenzione segreti e il trasporto interstatale di prigionieri, adottato il 17 marzo 2006 dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia)

190. I passaggi pertinenti di questo parere della Commissione di Venezia sono così formulati:
«30. Per quanto riguarda la terminologia utilizzata per designare il trasferimento irregolare e la detenzione di prigionieri, la Commissione di Venezia nota che il termine «restituzione» è usato frequentemente nel dibattito pubblico. Non si tratta di un termine di diritto internazionale. Esso si usa quando uno Stato sottopone a detenzione in un altro Stato una persona sospettata di essere coinvolta in un reato grave (ad esempio un atto terroristico). Tale termine designa anche il trasferimento di tale persona ai fini della sua detenzione sul territorio del primo Stato o in un luogo che rientri sotto la sua competenza, o in uno Stato terzo. La «consegna» è quindi un termine generale che indica più il risultato – l’applicazione della detenzione di una persona sospettata – che i mezzi. La legalità di una «consegna» dipenderà dalla legislazione degli Stati interessati e dalle norme applicabili del diritto internazionale, soprattutto del diritto internazionale dei diritti umani. Di conseguenza, una «consegna» particolare conforme al diritto nazionale di uno degli Stati coinvolti (che non vieta o non regolamenta le attività extraterritoriali degli organi di Stato) non è necessariamente conforme al diritto interno degli altri Stati interessati. Inoltre, una «consegna» può essere contraria al diritto internazionale consuetudinario o a quello derivante dai trattati che incombono agli Stati partecipanti nel quadro del diritto internazionale dei diritti dell’uomo e/o del diritto umanitario internazionale.
31. Il termine «restituzione straordinaria» sembra utilizzato quando vi è poco o non vi è alcun dubbio che la detenzione cui la persona è sottoposta non sia conforme alle procedure giuridiche che si applicano nello Stato in cui la persona si trovava al momento del suo arresto.
(...)
159. Per quanto riguarda il trasferimento di prigionieri tra Stati
f) Esistono soltanto quattro modi legali per trasferire un prigioniero alle autorità straniere: la deportazione, l’estradizione, il transito e i trasferimenti delle persone condannate ai fini dell’esecuzione della loro pena in altri paesi. Le procedure di estradizione e di deportazione devono essere definite dal diritto applicabile, e i prigionieri devono ottenere garanzie giuridiche appropriate e accesso alle autorità competenti. Il divieto di estradare o di espellere verso paesi dove esiste un rischio di tortura o di maltrattamenti deve essere rispettato.»

11. Il rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nella lotta contro il terrorismo, A/HCR/10/3, 4 febbraio 2009

191. Nel suo rapporto, il Relatore speciale formula le seguenti considerazioni:
«38. (...) Il Relatore speciale si preoccupa che delle persone siano detenute per un lungo periodo al solo scopo di ottenere informazioni o per motivi vaghi in nome della prevenzione. Queste situazioni costituiscono una privazione arbitraria della libertà. L’esistenza di motivi che giustificano una detenzione prolungata dovrebbe essere stabilita da un tribunale indipendente e imparziale. La detenzione prolungata di persone genera per le autorità l’obbligo di verificare senza indugio se sia possibile confermare dei sospetti di natura criminale e, in caso affermativo, di formulare le imputazioni a carico della persona sospettata e di tradurla in giustizia. (…).
51. Rimane molto preoccupante per il Relatore speciale che gli Stati Uniti abbiano istituito tutto un sistema di restituzioni straordinarie, di detenzione segreta prolungata e di pratiche che violano il divieto di tortura e di altre forme di maltrattamenti. Questo sistema, che implica una rete internazionale di scambio di informazioni, ha creato una base di informazioni corrotte che era condivisa sistematicamente con i partner nella guerra contro il terrore tramite la cooperazione in materia di informazione, corrompendo così la cultura istituzionale dei sistemi giuridici e istituzionali degli Stati destinatari.
(...)
60. Gli obblighi degli Stati concernenti i diritti dell’uomo, in particolare l’obbligo di assicurare un ricorso utile, esigono che le disposizioni giuridiche in questione non inducano a scartare a priori qualsiasi indagine, o a evitare che siano messi in luce dei fatti illeciti, in particolare quando vengono riferiti crimini internazionali o violazioni flagranti dei diritti dell’uomo (…). Invocare a titolo generale il privilegio del segreto di Stato per giustificare vere politiche, come il programma degli Stati Uniti per la detenzione segreta, gli interrogatori e le restituzioni o la regola che riguarda i terzi in materia di informazione (conformemente alla politica (…) di «controllo della fonte») (…) impedisce qualsiasi inchiesta effettiva e rende illusorio il diritto al ricorso. Tutto ciò è incompatibile con l’articolo 2 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, e ciò potrebbe anche rappresentare una violazione dell’obbligo degli Stati di apportare un’assistenza giudiziaria nelle indagini sulle violazione flagranti dei diritti dell’uomo e sulle violazioni gravi del diritto internazionale umanitario.

12. Le Risoluzioni 9/11 e 12/12 sul diritto alla verità, adottate il 18 settembre 2008 e il 1° ottobre 2009 dal Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite

192. Il passaggio pertinente di queste risoluzioni recita:
«(...) il Comitato dei diritti dell’uomo e il Gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate o involontarie (…) hanno riconosciuto che le vittime di violazioni flagranti dei diritti dell’uomo e i loro familiari hanno il diritto di conoscere la verità su come si sono verificati i fatti, e soprattutto di conoscere l’identità degli autori dei fatti che hanno dato luogo a queste violazioni (...).»

13. Linee guida adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per sradicare le impunità per gravi violazioni dei diritti dell’uomo, 30 marzo 2011

193. Queste linee guida trattano la questione delle impunità per le omissioni o per gli atti che generano gravi violazioni dei diritti dell’uomo. Esse coprono gli obblighi che incombono agli Stati in applicazione della Convenzione, ossia adottare misure positive per ciò che riguarda non soltanto i loro agenti, ma anche gli attori non statali. Ai sensi di queste linee guida, «(…) l’impunità è provocata o facilitata soprattutto dalla mancanza di una reazione diligente delle istituzioni o degli agenti dello Stati di fronte a gravi violazioni dei diritti dell’uomo. (…) Gli Stati hanno il dovere di lottare contro l’impunità al fine di rendere giustizia alle vittime, di dissuadere la commissione di ulteriori violazioni dei diritti dell’uomo e di preservare lo Stato di diritto nonché la fiducia dell’opinione pubblica nel sistema giudiziario». Le linee guida descrivono soprattutto le misure generali che gli Stati devono adottare per prevenire le impunità, sanciscono l’obbligo di indagare e precisano le garanzie da prevedere per le persone private della libertà.

14. Il «rapporto Marty» del 2011 (Doc. 12714 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, pubblicato il 16 settembre 2011)

194. In questo rapporto, intitolato «I ricorsi abusivi al segreto di Stato e alla sicurezza nazionale: ostacoli al controllo parlamentare e giudiziario delle violazioni dei diritti dell’uomo», si può leggere quanto segue:
6. La sorveglianza parlamentare dei servizi di informazione e di sicurezza, civili e militari, è inesistente o ampiamente insufficiente in numerosi Stati membri del Consiglio d’Europa. Le commissioni parlamentari permanenti o create ad hoc in molti paesi per sorvegliare le attività dei servizi segreti soffrono di una mancanza di informazione, essendo quest’ultima controllata esclusivamente dall’esecutivo stesso, e più spesso, da una cerchia molto ristretta all’interno di quest’ultimo.
7. L’Assemblea accoglie con favore lo sviluppo della cooperazione tra i servizi segreti di diversi paesi, strumento indispensabile per far fronte alle manifestazioni più gravi della criminalità organizzata e al terrorismo. Questa cooperazione internazionale deve essere accompagnata da una collaborazione equivalente tra gli organi di sorveglianza. È inaccettabile che delle attività riguardanti parecchi paesi sfuggano a qualsiasi controllo perché in ogni paese i servizi interessati invocano la necessità di proteggere la futura cooperazione con i loro partner stranieri per giustificare il rifiuto di informare i loro rispettivi organi di controllo.

IN DIRITTO

I. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO

A. L’eccezione del Governo relativa al carattere prematuro del ricorso e al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in materia penale

1. Il Governo

195. Il Governo osserva anzitutto che il ricorso è stato presentato il 4 agosto 2009, quando il procedimento penale relativo al sequestro del ricorrente era pendente dinanzi ai giudici nazionali, e rileva in particolare che la decisione del tribunale di Milano del 4 novembre 2009, così come le decisioni della corte d’appello di Milano e della Corte di cassazione non erano ancora state pronunciate. Il Governo chiede alla Corte di valutare la situazione al momento della presentazione del ricorso e di rigettarlo per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
In breve, esso ritiene che, al momento della presentazione del loro ricorso dinanzi alla Corte, i ricorrenti non avessero precedentemente esperito tutte le vie di ricorso disponibili a livello nazionale, contravvenendo in tal modo all’articolo 35 § 1 della Convenzione.

2. I ricorrenti

196. Per i ricorrenti, l’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione è applicabile solo nella misura in cui esistono, a livello nazionale, dei ricorsi che permettano di accertare la violazione della Convenzione in questione e di offrire una riparazione adeguata alla vittima.
197. Quanto al carattere presumibilmente prematuro del ricorso, i ricorrenti indicano che l’inadeguatezza dell’inchiesta ai sensi degli articoli 3 e 13 della Convenzione, a loro parere, era già stata evidenziata dalla decisione del Presidente del Consiglio dei ministri di opporre il segreto di Stato e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 106/2009 del 18 marzo 2009 che si pronunciava a tale proposito. Pertanto, indipendentemente dal fatto che si sono avvalsi dei ricorsi esistenti in diritto interno, i ricorrenti ritengono che non erano tenuti ad attendere la sentenza della Corte di cassazione per adire la Corte. In effetti, nessun ricorso era efficace contro l’uso del segreto di Stato, come risulta del resto dalle sentenze pronunciate dalla Corte di cassazione e dalla corte d’appello di Milano.

3. Valutazione della Corte

a) Principi generali

198. Ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, la Corte può essere adita soltanto dopo che siano state esaurite le vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, e entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data della decisione interna definitiva.
La Corte ha già dichiarato, in alcune cause presentate prima che si fosse concluso il procedimento penale per maltrattamenti ai sensi dell’articolo 3, che l’eccezione del governo convenuto relativa al carattere prematuro del ricorso aveva perso la propria ragione di essere una volta concluso il procedimento penale in questione (Kopylov c. Russia, n. 3933/04, § 119, 29 luglio 2010, che rinvia a Samoylov c. Russia, n. 64398/01, § 39, 2 ottobre 2008; e Cestaro c. Italia, n. 6884/11, § 145, 7 aprile 2015).
Inoltre se, in linea di principio, il ricorrente ha l’obbligo di tentare adeguatamente vari ricorsi interni prima di adire la Corte, e se il rispetto di tale obbligo si valuta alla data di presentazione del ricorso (Baumann c. Francia, n. 33592/96, § 47, CEDU 2001 V), la Corte tollera che l’ultimo gradino di tali ricorsi sia raggiunto poco dopo il deposito del ricorso, ma prima che essa sia chiamata a pronunciarsi sulla ricevibilità di quest’ultimo (Karoussiotis c. Portogallo, n. 23205/08, §§ 57 e 87-92, CEDU 2011, Rafaa c. Francia, n. 25393/10, § 33, 30 maggio 2013 e Cestaro, sopra citata, §§ 146 e 205-208 con i riferimenti ivi citati).

b) Applicazione di questi principi

199. Nella fattispecie, la Corte osserva che il ricorrente sostiene di essere stato vittima di una operazione di «consegna straordinaria», iniziata con il suo sequestro a Milano, il 17 febbraio 2003. L’autorità giudiziaria, cui il ricorrente ha presentato una denuncia il 20 febbraio 2003, ha aperto un’inchiesta sulla scomparsa del ricorrente. La Corte osserva poi che, al momento della presentazione del ricorso – il 6 agosto 2009 – il procedimento penale relativo alla scomparsa del ricorrente, nel quale i ricorrenti si sono costituiti parte civile, era già pendente da sei anni e mezzo (paragrafo 30 supra). Inoltre, i suoi successivi sviluppi dipendevano, in larga misura, dalle decisioni del Presidente del Consiglio dei ministri di avvalersi del segreto di Stato, nonché dalla sentenza della Corte costituzionale n. 106/2009 del 18 marzo 2009, che ha concluso, nella fattispecie, che l’applicazione del segreto di Stato era legittima (paragrafi 82-109 supra).
200. In queste circostanze, la Corte non può contestare ai ricorrenti di averle trasmesso i loro motivi di ricorso a partire dal 6 agosto 2009, senza attendere le decisioni pronunciate successivamente dai giudici nazionali. Pertanto, nel caso di specie si deve accettare che il procedimento in contestazione si sia concluso dopo la presentazione del ricorso, ma prima che la Corte fosse chiamata a pronunciarsi sulla ricevibilità dello stesso.
201. Di conseguenza, questa eccezione non può essere accolta.

B. Il secondo elemento dell’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in materia civile

1. Il Governo

202. In dibattimento, il Governo ha osservato che i ricorrenti non hanno nemmeno esaurito le vie di ricorso in materia civile, precisando che, dopo la sentenza del tribunale di Milano del 4 novembre 2009 (si vedano anche i paragrafi 112-117 supra), che ha accordato loro delle provvisionali, i ricorrenti non avevano intentato un’azione per ottenere il pagamento delle somme in questione, quando invece era stata imposta una misura conservativa sui beni di uno dei condannati in Italia.
Il Governo ha aggiunto che i ricorrenti non avevano avviato un ulteriore procedimento allo scopo di ottenere una quantificazione globale e definitiva del risarcimento dovuto per il danno subito.

2. I ricorrenti

203. I ricorrenti hanno ribattuto che non avevano alcuna possibilità in quanto parte civile di ottenere il pagamento delle somme accordate dai giudici nazionali né di intentare un’azione di risarcimento. In effetti, gli imputati del SISMi avrebbero beneficiato di un non luogo a procedere e i loro maneggi sarebbero stati coperti dal segreto di Stato. I ricorrenti hanno riconosciuto che gli agenti della CIA erano stati condannati, ma hanno ricordato che questi erano protetti da immunità negli Stati Uniti, ed erano dunque inattaccabili. Quanto alla misura conservativa evocata dal Governo, i ricorrenti hanno precisato che si trattava di una procedura di esecuzione forzata, intentata in Italia da alcuni creditori nei confronti di Lady che gli avevano prestato una somma di denaro per finanziare l’acquisto di una casa, e che la confisca della casa in questione ha giovato unicamente a tali creditori, che potevano beneficiare di un credito privilegiato.

3. Valutazione della Corte

a) Principi generali

204. La Corte rinvia, anzitutto, ai principi generali relativi alla regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne che sono stati riassunti recentemente nella sentenza Vučković e altri c. Serbia ((eccezioni preliminari) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, §§ 69-77, 25 marzo 2014)). Essa rammenta, in particolare, che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive l’esaurimento dei soli ricorsi che siano relativi alle violazioni contestate, disponibili e adeguati. Un ricorso è effettivo quando è disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, ossia quando è accessibile, può offrire al ricorrente la riparazione delle violazioni da lui dedotte e presenta ragionevoli prospettive di successo (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Recueil des arrêts et décisions 1996 IV, e Demopoulos e altri c. Turchia (dec.) [GC], nn. 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 e 21819/04, § 70, CEDU 2010). Nella sua valutazione circa l’effettività del ricorso indicata dal governo convenuto, la Corte deve dunque tenere conto della natura e delle circostanze della causa per stabilire se questa via di ricorso fornisse al ricorrente un mezzo adeguato di riparazione della violazione denunciata (Łatak c. Polonia (dec.), n. 52070/08, 12 ottobre 2010).
Infine, è opportuno ricordare che l’obbligo di riconoscere una riparazione a livello interno si aggiunge all’obbligo di condurre un’inchiesta approfondita ed effettiva volta ad identificare e sanzionare i responsabili, e non si sostituisce ad esso; le vie di ricorso esclusivamente risarcitorie non possono essere considerate effettive in base a tale disposizione (Sapožkovs c. Lettonia, n. 8550/03, §§ 54-55, 11 febbraio 2014).

b) Applicazione di questi principi

205. Nella fattispecie, il principale argomento avanzato dal Governo riguarda il fatto che i ricorrenti avrebbero omesso di intentare due procedimenti, il primo allo scopo di far eseguire la sentenza dei giudici penali che accordava loro un risarcimento a titolo provvisorio e il secondo per chiedere ai giudici civili di fissare l’importo definitivo di tale risarcimento (paragrafo 202 supra).
206. A questo riguardo, la Corte osserva che, con la sua sentenza del 4 novembre 2009, il tribunale di Milano ha condannato ventitré cittadini americani (tra cui ventidue agenti della CIA e il colonnello Romano) e due cittadini italiani, il sig. Pompa e il sig. Seno, a versare in solido un risarcimento ai ricorrenti, in riparazione delle violazioni dei diritti dell’uomo e delle ingiustizie che questi avevano fatto subire loro. A titolo provvisorio, il tribunale ha accordato una provvisionale di 1.000.000 EUR al ricorrente e di 500.000 EUR alla ricorrente (paragrafo 117 supra). Nella sua sentenza del 15 dicembre 2010, la corte d’appello di Milano ha annullato la condanna di Pompa e Seno a versare un risarcimento ai ricorrenti, ma ha confermato la condanna dei cittadini americani al pagamento di un indennizzo (paragrafo 135 supra). Quanto agli agenti del SISMi, essi non sono stati chiamati a risarcire i ricorrenti, dato che hanno beneficiato dell’annullamento della loro condanna penale in applicazione del segreto di Stato (paragrafo 134 supra).
Si deve osservare che la Corte costituzionale, nella sua sentenza n. 106/209 del 18 marzo 2009, ha sottolineato che in virtù degli articoli 202 c. 6 del CPP, 41 della legge n. 124/2007 e 261 del CP, gli agenti dello Stato non potevano, nemmeno quando erano interrogati in qualità di imputati, divulgare fatti coperti dal segreto di Stato (paragrafo 106 in fine supra). Questo principio dovrebbe anche essere opponibile nell’ambito di un eventuale processo civile intentato dai ricorrenti contro gli agenti italiani al fine di ottenere un risarcimento economico (si veda anche il paragrafo 107 supra).
207. Da quanto sopra esposto deriva che nessuno degli agenti italiani coinvolti nei fatti controversi potrebbe, in realtà, essere dichiarato responsabile dinanzi ai giudici civili italiani per il danno subito dai ricorrenti.
Le uniche persone legalmente responsabili alle quali gli importi già accordati o i risarcimenti successivamente riconosciuti potrebbero essere reclamati sono i ventisei cittadini americani condannati, che hanno lasciato l’Italia in date non precisate, probabilmente all’inizio del 2005, e che da allora sono stati considerati «irreperibili», e poi «latitanti», dalle autorità italiane (paragrafi 38-39 e 42-45 supra).
Nonostante le domande del pubblico ministero o delle autorità giudiziarie in tal senso, il Ministro della Giustizia ha deciso di non chiedere l’estradizione di queste ventisei persone, né la pubblicazione di avvisi di ricerca nei loro confronti (paragrafi 46-48 e 145-146 supra). Anche se i mandati di arresto europei emessi nei confronti di queste persone sono in vigore almeno dall’inizio di gennaio 2006 (paragrafi 49 e 145 supra), a tutt’oggi solo una delle persone condannate è stata arrestata per un breve periodo, in quanto la procedura di estradizione avviata nei suoi confronti era in corso alla data di adozione della presente sentenza (paragrafo 151 supra).
Tenuto conto dell’atteggiamento adottato dalle autorità di esecuzione italiane nei confronti dei cittadini americani condannati, la Corte considera che tali organi abbiano notevolmente compromesso – se non addirittura annientato – le possibilità dei ricorrenti di ottenere un risarcimento dalle persone responsabili.
208. Il Governo ha suggerito anche che la misura conservativa che ha colpito i beni di uno dei condannati poteva permettere ai ricorrenti di ricevere le provvisionali loro accordate (paragrafo 202 supra).
È vero che nel gennaio 2007 una metà della villa piemontese di Lady, il principale condannato, è stata sequestrata per mezzo di una misura conservativa avviata dalla procura di Milano (paragrafo 73 supra). Tuttavia, come osserva il ricorrente, la proprietà in questione alla fine è stata oggetto di pignoramento da parte di un creditore privilegiato, ossia la banca che aveva accordato un mutuo a Lady e alla moglie. Ai ricorrenti non fu riservata alcuna frazione del provento della vendita (paragrafi 73 e 144 supra).
Insomma, il Governo non ha sottoposto elementi o argomenti che possano convincere la Corte che i ricorrenti disponevano di una possibilità reale di ottenere un risarcimento.
209. Pertanto, la Corte rigetta l’eccezione del Governo.

C. L’eccezione relativa all’inosservanza del termine di sei mesi

210. Il Governo sostiene inoltre che, dal momento che non vi è stato esaurimento delle vie di ricorso interne, il ricorso è tardivo.
211. I ricorrenti si oppongono alla tesi del Governo.
212. Nella misura in cui l’eccezione di tardività del ricorso sembra essere, per il Governo, la conseguenza del mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte rammenta che ha rigettato l’eccezione relativa al mancato esaurimento (paragrafi 199-201 supra).
213. In ogni caso, la Corte osserva che, se è vero che il sequestro del ricorrente è avvenuto il 17 febbraio 2003 e che il presente ricorso è stato presentato il 6 agosto 2009, il procedimento nazionale – avviato a seguito dei fatti denunciati dalla ricorrente alcuni giorni dopo il sequestro del marito – riguardava la scomparsa del ricorrente ed ha dunque interrotto il termine di sei mesi che aveva iniziato a decorrere il giorno del sequestro (si veda, mutatis mutandis, El-Masri, sopra citata, §§ 137-148).
214. Di conseguenza, questa eccezione del Governo deve essere rigettata.

II. ACCERTAMENTO DEI FATTI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DA PARTE DELLA CORTE

A. Osservazioni delle parti

1. Il ricorrente

215. Il ricorrente afferma di essere stato vittima di una operazione di consegna straordinaria condotta da agenti della CIA con l’aiuto di agenti dello Stato convenuto. Egli ritiene che le inchieste internazionali e, soprattutto, le indagini avviate nello Stato convenuto abbiano permesso di evidenziare una gran quantità di elementi schiaccianti a conferma delle sue deduzioni. Lamenta la violazione dei suoi diritti sanciti dagli articoli 3, 5, 8 e 13 della Convenzione a causa di atti commessi da agenti dello Stato convenuto e da agenti stranieri operanti sul territorio e sotto la giurisdizione di quest’ultimo.
216. Il ricorrente chiede alla Corte di tenere conto di tutti gli elementi di prova raccolti durante l’inchiesta condotta a livello nazionale.

2. Il Governo

217. Il Governo ammette che il ricorrente è stato rapito a Milano da agenti stranieri con l’aiuto di un carabiniere italiano che ha agito a titolo individuale. Esso riconosce che, secondo i risultati dell’inchiesta, il ricorrente è stato trasportato da Milano fino alla base militare di Aviano e, da lì, condotto in aereo a Ramstein, e poi in Egitto.
218. Il Governo contesta tuttavia qualsiasi implicazione delle autorità italiane, e aggiunge che le prove raccolte nei confronti degli agenti del SISMi hanno dovuto essere scartate a causa del segreto di Stato. Il Governo ritiene che la Corte non possa decidere diversamente, in quanto non è possibile tenere conto di alcun elemento di prova coperto dal segreto di Stato.

B. Valutazione della Corte

1. Principi generali

219. Nelle cause in cui esistono versioni dei fatti discordanti, la Corte si trova inevitabilmente alle prese, quando deve accertare le circostanze del caso, con le stesse difficoltà che qualsiasi giurisdizione di primo grado si trova ad affrontare. Essa rammenta che, per valutare gli elementi di prova, applica il criterio della prova «al di là di ogni ragionevole dubbio». Tuttavia, non ha mai avuto lo scopo di adottare l’approccio degli ordinamenti giuridici nazionali che applicano tale criterio, e ha il compito di decidere non sulla colpevolezza in virtù del diritto penale o sulla responsabilità civile, ma sulla responsabilità degli Stati contraenti rispetto alla Convenzione.
La specificità del compito che le attribuisce l’articolo 19 della Convenzione – assicurare il rispetto da parte delle Alte Parti contraenti del loro impegno che consiste nel riconoscere i diritti fondamentali sanciti da tale strumento – condiziona il suo modo di affrontare le questioni in materia di prove.
Nell’ambito della procedura dinanzi ad essa, non esistono ostacoli procedurali all’ammissibilità di elementi di prova né formule predefinite applicabili alla valutazione degli stessi. Essa adotta le conclusioni che, a suo parere, sono provate dalla libera valutazione di tutti gli elementi di prova, ivi comprese le deduzioni che può trarre dai fatti e dalle osservazioni delle parti. Conformemente alla sua giurisprudenza costante, la prova può risultare da un insieme di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti. Inoltre, il grado di convinzione necessaria per giungere a una conclusione particolare e, a tale riguardo, la ripartizione dell’onere della prova sono intrinsecamente legati alla specificità dei fatti, alla natura della doglianza formulata e al diritto convenzionale in questione. La Corte è anche attenta alla gravità di una constatazione secondo la quale uno Stato contraente ha violato dei diritti fondamentali (El Masri, sopra citata, § 151, e le cause ivi menzionate, e Al Nashiri, sopra citata, §§ 394-395 e le cause ivi menzionate).
220. Peraltro, la Corte rammenta che la procedura prevista dalla Convenzione non si presta sempre ad una applicazione rigorosa del principio affirmanti incumbit probatio (l’onere della prova spetta a chi afferma). Essa rinvia alla propria giurisprudenza relativa agli articoli 2 e 3 della Convenzione secondo la quale, quando i fatti in causa sono noti esclusivamente alle autorità, come nel caso delle persone sottoposte al loro controllo in stato di fermo, qualsiasi danno corporale o decesso sopraggiunto durante tale periodo di detenzione dà luogo a forti presunzioni di fatto. L’onere della prova spetta in questo caso alle autorità, che devono fornire una spiegazione soddisfacente e convincente. In assenza di una tale spiegazione, la Corte ha il diritto di trarre conclusioni che possono essere sfavorevoli per il governo convenuto (Salman c. Turchia [GC], n. 21986/93, § 100, CEDU 2000 VII, Çakıcı c. Turchia [GC], n. 23657/94, § 85, CEDU 1999 IV, El Masri, sopra citata, § 152 e Al Nashiri, sopra citata, § 396 e le cause ivi menzionate).

2. Applicazione di questi principi

a) Sulla questione di stabilire se la Corte può tenere conto di tutti gli elementi del fascicolo

221. In primo luogo, la Corte è chiamata a esaminare l’argomento del Governo secondo il quale essa deve limitare la propria valutazione agli elementi del fascicolo non coperti dal segreto di Stato. Poiché i giudici nazionali hanno concluso che agli agenti italiani del SISMi non potesse essere imputata alcuna responsabilità penale a causa del segreto di Stato, la Corte sarebbe tenuta a conformarsi a questa conclusione.
222. Per quanto riguarda la responsabilità per i fatti controversi, la Corte osserva che i giudici nazionali hanno stabilito che l’operazione di consegna straordinaria era imputabile:
a) a ventisei agenti americani, tutti condannati a pene della reclusione e a versare delle provvisionali ai ricorrenti;
b) a sei agenti dei servizi segreti italiani (SISMi), di cui uno è deceduto nel corso del procedimento e gli altri cinque hanno beneficiato dell’annullamento della condanna a seguito dell’applicazione del segreto di Stato alle prove che gravavano su di loro;
c) a un carabiniere, il sig. Pironi, condannato nell’ambito di un procedimento separato (paragrafi 74, 112-116, 134, 137-140 e 142-143 supra).
223. La Corte osserva poi che le confessioni del carabiniere Pironi non sono coperte dal segreto di Stato. Quest’ultimo ha dichiarato che «l’operazione» era stata concordata tra la CIA e il SISMi (paragrafi 56, 69 e 74 supra).
224. Inoltre, vi sono stati dei tentativi di mettere l’inchiesta su una falsa pista sia da parte della CIA che del SISMi (paragrafi 31, 61 e 114 supra). Il giornalista che ha contribuito alla diffusione delle false informazioni è stato condannato per favoreggiamento personale nell’ambito di un procedimento separato, nel quale non è stato applicato il segreto di Stato (paragrafi 61 e 74 supra).
225. Due agenti del SISMi (il sig. Seno e il sig. Pompa, condannati per favoreggiamento personale) hanno aiutato gli imputati del SISMi a sottrarsi all’inchiesta (paragrafi 116 e 135-136 supra).
La Corte osserva anche che alcuni agenti del SISMi, accusati di concorso nel sequestro del ricorrente (paragrafo 59 supra), hanno dichiarato che il SISMi era implicato nell’operazione di consegna straordinaria. Inoltre, le intercettazioni telefoniche (paragrafo 60 supra) e la registrazione di una conversazione tra due agenti del SISMi (paragrafo 64 supra) hanno confermato l’implicazione degli agenti italiani. Peraltro, alcuni documenti riguardanti il sequestro del ricorrente sono stati sequestrati il 5 luglio 2006 nella sede del SISMi a Roma (paragrafo 63 supra). Questi elementi di prova sono serviti come base alla corte d’appello di Milano per condannare i cinque agenti del SISMi (sentenza del 12 febbraio 2013, paragrafi 124-125 supra).
226. Peraltro, la Corte osserva incidentalmente che le informazioni di cui sopra sono state ampiamente diffuse dalla stampa e su internet prima che fosse invocato il segreto di Stato (paragrafo 65 supra). Il presidente del Consiglio lo ha invocato solo il 26 luglio 2006 (paragrafo 68 supra).
227. Alla luce di quanto sopra esposto, e rammentando che, nell’ambito del procedimento dinanzi ad essa, non esistono ostacoli procedurali all’ammissibilità di elementi di prova e che essa adotta le conclusioni che, a suo parere sono provate dalla libera valutazione di tutti gli elementi di prova, comprese le deduzioni che essa può trarre dai fatti e dalle osservazioni delle parti (El-Masri, sopra citata, § 151, Al Nashiri, sopra citata, § 394 e paragrafo 219 supra), la Corte terrà conto nella propria valutazione di tutte le circostanze del caso di specie, come esposte dai ricorrenti e completate dalle informazioni di pubblico dominio, nonché di tutti gli elementi di prova a sua disposizione, in particolare le constatazioni degli inquirenti e dei giudici italiani.

b) Sull’esistenza di punti controversi tra le parti in merito ai fatti

228. La Corte osserva anzitutto che, contrariamente alle cause sopra citate El-Masri, Husayn (Abu Zubaydah) e Al Nashiri, nella fattispecie i fatti di causa sono stati oggetto di una ricostruzione da parte dei giudici nazionali.
229. Inoltre tali fatti, così come sono stati esposti dal ricorrente, non sono stati contestati, in sostanza, dal Governo.
Quest’ultimo non ha in alcun modo messo in discussione la ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici nazionali e non ha presentato alcun argomento relativo al ruolo e alle attività della CIA in Italia.
In particolare, il Governo ha ammesso che il ricorrente era stato rapito a Milano da agenti stranieri, con l’aiuto di un carabiniere italiano. Ha riconosciuto che, secondo i risultati dell’inchiesta, il ricorrente era stato condotto da Milano fino alla base militare di Aviano e che, da lì, era stato trasportato in aereo verso Ramstein, e poi in Egitto. Tuttavia, il Governo ha escluso che tali fatti fossero imputabili – direttamente o indirettamente – alle autorità italiane, sostenendo che l’operazione era stata interamente organizzata ed eseguita dagli agenti della CIA, con l’aiuto di un carabiniere italiano, che aveva agito a titolo individuale (paragrafo 239 infra).
230. Di conseguenza, l’unica questione in contestazione è quella di stabilire se, al momento dei fatti, le autorità italiane sapessero che il ricorrente era vittima di una operazione di «consegna straordinaria» e se fossero implicate nell’esecuzione di tale operazione.

c) Sulla questione di stabilire se vi sia stata consegna straordinaria

231. I fatti di causa, come ricostruiti dai giudici nazionali, si possono riassumere come segue.
Il 20 febbraio 2003 la ricorrente segnalò a un commissariato di polizia di Milano la scomparsa del marito. Il 26 febbraio 2003 una certa sig.ra R. fu sentita dalla polizia (paragrafi 28-29 supra).
Nell’aprile e maggio 2004, gli inquirenti intercettarono alcune conversazioni telefoniche tra la ricorrente e il marito, sentirono un testimone che aveva parlato al telefono con quest’ultimo (paragrafo 33 supra), e si procurarono il memorandum redatto dal ricorrente (paragrafi 10-22 supra).
I risultati dell’inchiesta contenuti nelle memorie presentate dal pubblico ministero alle udienze del 23 e del 30 settembre 2009 (paragrafo 112 supra), nonché l’accertamento dei fatti compiuto dal tribunale di Milano e dalla corte di appello di Milano (paragrafi 28-75, 82-87, 89-96, 112-118, 124-125 e 138-139 supra) confermano che il sequestro del ricorrente era accertato. Da questi elementi risulta chiaramente che, il 17 febbraio 2003, il ricorrente era stato rapito a Milano da un «commando» composto da agenti della CIA e da Pironi, un membro del gruppo operativo speciale di Milano, che avevano fatto salire il ricorrente in un furgone, lo avevano condotto all’aeroporto di Aviano, imbarcato su un aereo Lear Jet 35, che era decollato alle ore 18.20 per la base di Ramstein e, alla fine, messo a bordo di un Jet Executive Gulfstream, che era decollato alle ore 20.30 diretto verso il Cairo (paragrafo 112 supra).
Grazie soprattutto a un controllo delle comunicazioni telefoniche intercorse nelle zone di pertinenza, gli inquirenti riuscirono a reperire un certo numero di carte SIM telefoniche potenzialmente sospette. Delle verifiche delle comunicazioni telefoniche, il controllo incrociato dei numeri chiamati e chiamanti di tali carte SIM, il controllo delle carte di credito utilizzate, degli spostamenti in auto noleggiate o in aereo o dei soggiorni in hotel permisero agli inquirenti di giungere all’identificazione dei reali utenti delle carte telefoniche. Una delle carte SIM in questione fu ritrovata in Egitto nelle due settimane successive al sequestro (paragrafi 36-37 supra).
232. In conclusione, dal fascicolo risulta chiaramente, e il Governo lo ammette, che il ricorrente è stato rapito in Italia, in presenza di un carabiniere italiano. Quest’ultimo rientrava pertanto nella giurisdizione dell’Italia e, al momento del sequestro, era presente un agente dello Stato. L’aereo, decollato da Aviano in direzione di Ramstein in Germania, ha sorvolato lo spazio aereo italiano. Il Governo non ha contestato in alcun modo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici nazionali e non ha presentato alcun argomento relativo al ruolo e alle attività della CIA in Italia.
233. Gli inquirenti e i magistrati italiani hanno stabilito che era «evidente che una operazione come quella condotta dagli agenti della CIA a Milano, secondo uno schema «avallato» dai servizi [segreti] americani non poteva avere luogo senza che il corrispondente servizio dello Stato [territoriale] ne fosse almeno informato» (paragrafo 62 supra) e che «l’esistenza di una autorizzazione a rapire Abu Omar, data da altissimi responsabili della CIA a Milano (...), lasciava presumere che le autorità italiane fossero a conoscenza dell’operazione o addirittura che ne fossero complici» (paragrafo 112 supra).
La Corte condivide le loro conclusioni.
234. Sulla questione di stabilire se vi sia stata consegna straordinaria, la Corte attribuisce importanza anche ai rapporti e alla giurisprudenza pertinente di organi internazionali e stranieri che, già all’epoca dei fatti, nel 2002-2003, costituivano delle fonti attendibili che rendevano conto di pratiche utilizzate o tollerate dalle autorità americane e che erano manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (paragrafi 172-173 supra, con i riferimenti ai documenti che descrivono le fonti pubbliche pertinenti riportati nelle cause El Masri, Al Nashiri e Husayn (Abu Zubaydah)).
235. Considerati gli elementi sopra descritti, la Corte ritiene accertato che le autorità italiane sapessero che il ricorrente era vittima di una operazione di «consegna straordinaria», che è iniziata con il sequestro dell’interessato in Italia ed è proseguita con il suo trasferimento fuori dal territorio italiano. Le deduzioni dei ricorrenti e gli elementi del fascicolo sono sufficientemente convincenti ed accertati al di là di ogni ragionevole dubbio.

III. LA RESPONSABILITÀ DELLE AUTORITÀ NAZIONALI

A. Osservazioni delle parti

1. Il ricorrente

236. Il ricorrente afferma che la responsabilità dello Stato convenuto entra in causa sotto vari profili, per i motivi seguenti:
a) i maltrattamenti che dice di avere subito al momento del suo sequestro a Milano;
b) la mancata adozione da parte delle autorità di misure idonee a evitargli di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione al momento della sua presa in carico da parte dell’equipe di consegna della CIA;
c) la mancata adozione da parte delle autorità di misure idonee a impedire la sua privazione della libertà arbitraria in Italia e il suo trasferimento in Egitto ai fini di detenzione. Il ricorrente considera che anche la sua scomparsa prolungata durante la sua successiva detenzione in Egitto sia imputabile al governo italiano;
d) i maltrattamenti che egli afferma di avere subito durante la sua detenzione in Egitto, in quanto le autorità italiane avrebbero intenzionalmente lasciato che egli fosse rapito da agenti americani, poi egiziani, mentre esistevano dei motivi seri per pensare che egli corresse un rischio reale di essere sottoposto a maltrattamenti.
237. Il ricorrente osserva anche che le autorità italiane lo hanno lasciato nelle mani degli agenti della CIA nell’ambito di una operazione di cui non potevano non essere al corrente e che lo esponeva a un rischio reale di tortura. Egli pertanto rimprovera alle autorità di avere così acconsentito al suo trasferimento in Egitto, mentre beneficiava di uno status di rifugiato.

2. Il Governo

238. Il Governo contesta qualsiasi implicazione delle autorità italiane. A suo parere, gli agenti della CIA hanno agito a loro insaputa nel territorio italiano. Esso rammenta che il ricorrente è stato immediatamente allontanato dal territorio italiano il giorno stesso del sequestro per essere trasferito in Germania, poi in Egitto. Esso spiega che l’aeroporto dal quale l’aereo è decollato è nelle mani delle forze americane e non è mai stato conosciuto per essere un luogo di transito nell’ambito del programma americano di consegne straordinarie.
239. L’esito del procedimento penale intentato a livello nazionale confermerebbe del resto l’assenza di responsabilità delle autorità italiane. Il Governo osserva che tale procedimento ha portato ad accertare la responsabilità esclusiva degli agenti americani e quella del carabiniere Pironi, che ha agito a titolo individuale.

B. Principi applicabili per valutare la responsabilità delle autorità italiane

240. La Corte osserva anzitutto che i motivi di ricorso del ricorrente riguardano dei fatti avvenuti sul territorio italiano e poi all’estero, in Germania e, alla fine, in Egitto, in luoghi di detenzione sconosciuti, dopo il suo trasferimento dall’Italia si veda anche Al Nashiri, sopra citata, §§ 451-459).

1. Sulla responsabilità dello Stato riguardante gli eventi che hanno avuto luogo sul suo territorio

241. A questo riguardo, la Corte rammenta che la responsabilità dello Stato convenuto è chiamata in causa, rispetto alla Convenzione, in caso di atti commessi sul suo territorio da agenti di uno Stato estero con l’approvazione formale o tacita delle sue autorità (Ilaşcu e altri c. Moldavia e Russia [GC], n. 48787/99, § 318, CEDU 2004 VII: El Masri, sopra citata, § 206 e Al Nashiri, sopra citata, § 452).

2. Sulla responsabilità dello Stato riguardante i fatti successivi al sequestro in Italia e al trasferimento all’estero del ricorrente nell’ambito dell’operazione di «consegna straordinaria»

242. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, la decisione di uno Stato contraente di rinviare un fuggiasco – e a fortiori il rinvio stesso – può sollevare un problema rispetto all’articolo 3, e dunque può chiamare in causa la responsabilità di detto Stato rispetto alla Convenzione, quando vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che l’interessato, se rinviato verso il paese di destinazione, correrà un rischio reale di essere sottoposto a un trattamento contrario a tale disposizione (Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 91, serie A n. 161, Saadi c. Italia [GC], n. 37201/06, §§ 125-126, CEDU 2008, Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, § 67, CEDU 2005-I, El Masri, sopra citata, § 212 e Al Nashiri, sopra citata, §§ 453-454).
243. Nel contesto delle cause simili relative ad operazioni di «consegna straordinaria» El Masri, Al Nashiri e Husayn (Abu Zubaydah) (sopra citata) la Corte ha sottolineato anche che, quando è accertato che lo Stato che rinvia sapeva, o avrebbe dovuto sapere, all’epoca dei fatti che la persona rinviata dal territorio era oggetto di una «consegna straordinaria» – nozione che indica il «trasferimento extragiudiziario di una persona dalla giurisdizione o dal territorio di uno Stato a quello di un altro Stato, per fini di detenzione e di interrogatorio al di fuori del sistema giuridico ordinario, misura che comporta un rischio reale di tortura o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti» –, la possibilità di una violazione dell’articolo 3 è seria e deve essere considerata come un elemento intrinseco del trasferimento (El Masri, sopra citata, § 218, Al Nashiri, sopra citata, § 454, e Husayn (Abu Zubaydah, sopra citata, § 451).
244. Inoltre, lo Stato contraente contravverrebbe all’articolo 5 della Convenzione se rinviasse il ricorrente, o rendesse possibile tale rinvio, verso uno Stato in cui l’interessato fosse esposto a un rischio reale di violazione flagrante di tale disposizione (Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, n. 8139/09, § 233, CEDU 2012 (estratti), El Masri, sopra citata, § 239).
Parimenti, tale rischio è inerente quando un ricorrente è stato sottoposto a una «consegna straordinaria», misura che implica una detenzione «al di fuori del sistema giuridico ordinario» e che « disattendendo deliberatamente le garanzie del processo equo è totalmente incompatibile con lo stato di diritto e i valori tutelati dalla Convenzione » (Al Nashiri, sopra citata, § 454, e Husayn (Abu Zubaydah), sopra citata, § 452).
245. Se, per appurare una tale responsabilità, non si può evitare di valutare la situazione nel paese di destinazione sulla base delle esigenze della Convenzione, ciò non significa comunque accertare o provare la responsabilità di tale paese ai sensi del diritto internazionale generale, della Convenzione, o ad altro titolo. Se una responsabilità esiste o può essere chiamata in causa dal punto di vista della Convenzione, si tratta di quella dello Stato contraente che esegue in rinvio, per un atto che ha come risultato diretto quello di esporre qualcuno a dei maltrattamenti proibiti o ad altre violazioni della Convenzione (El Masri, sopra citata, § 212, e Al Nashiri, sopra citata, § 457, e le cause ivi menzionate).
246. Per determinare se esistano motivi seri e comprovati per credere a un rischio reale di violazioni della Convenzione, la Corte si appoggia su tutti gli elementi che le sono forniti o, se necessario, che si procura d’ufficio. Essa deve esaminare le conseguenze prevedibili del rinvio del ricorrente nel paese di destinazione, tenuto conto della situazione generale in tale paese e delle circostanze specifiche del caso dell’interessato.
Nel controllare l’esistenza di tale rischio, bisogna riferirsi prioritariamente ai fatti di cui lo Stato contraente in causa era o doveva essere a conoscenza al momento del rinvio, ma ciò non impedisce alla Corte di tenere conto di ulteriori informazioni; queste possono servire a confermare o invalidare il modo in cui la Parte contraente interessata ha giudicato la fondatezza dei timori di un ricorrente (El Masri, sopra citata, §§ 213-214, e Al Nashiri, sopra citata, § 458, e le cause ivi menzionate).

3. Conclusione

247. Alla luce di questi principi la corte esaminerà le doglianze dei ricorrenti e valuterà in quale misura i fatti in questione siano imputabili allo Stato italiano.

IV. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAL RICORRENTE

248. Il ricorrente deduce una violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa dei trattamenti che afferma di avere subito nell’ambito dell’operazione di consegna straordinaria, a partire dal suo sequestro a Milano e durante il successivo periodo di detenzione. Egli contesta alle autorità italiane di non avere impedito il suo sequestro, anche se erano a conoscenza del programma della CIA e malgrado l’esistenza di un rischio accertato di trattamenti contrari all’articolo 3. Inoltre, invocando gli articoli 3 e 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente sostiene che l’inchiesta condotta dalle autorità nazionali non è stata effettiva ai fini di tali disposizioni. Denuncia infine l’assenza di un reato di tortura nel diritto nazionale.
249. L’articolo 3 della Convenzione recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»
250. Il Governo si oppone alla tesi del ricorrente.
251. La Corte esaminerà anzitutto la doglianza del ricorrente relativa all’assenza di un’inchiesta effettiva riguardo ai dedotti maltrattamenti (El Masri, sopra citata, § 181 e Al Nashiri, sopra citata, § 462).

A. Il profilo procedurale dell’articolo 3 della Convenzione

252. I due ricorrenti lamentano una violazione dell’articolo 3 nel suo aspetto procedurale (paragrafo 311 infra). A questo riguardo, hanno presentato le seguenti osservazioni comuni.

1. Osservazioni delle parti

a) I ricorrenti

253. I ricorrenti ritengono che, in caso di violazione dell’articolo 3 della Convenzione è indispensabile a livello nazionale stabilire la verità, identificare i responsabili e infliggere loro delle sanzioni proporzionate alla gravità dei maltrattamenti perpetrati. Ora, essi sottolineano che, nel caso di specie, le autorità nazionali non hanno condannato gli agenti del SISMi, malgrado sussistessero elementi di prova a loro carico, in quanto tali prove avevano dovuto essere rimosse dal fascicolo a causa del segreto di Stato.
254. Per i ricorrenti, la decisione dell’esecutivo di opporre il segreto di Stato, mentre gli elementi di prova erano conosciuti dagli inquirenti, dai giudici nazionali, dalla stampa e dal grande pubblico, non si può spiegare con la necessità di preservare il loro carattere confidenziale e con il bisogno di salvaguardare gli interessi di uno Stato democratico. I ricorrenti osservano che l’esecutivo non ha adottato misure volte a eliminare le fonti di informazioni, dimostrando in tal modo di acconsentire alla divulgazione di tali informazioni. Aggiungono che il segreto di Stato è stato esteso a tutti i documenti e a tutti gli elementi di prova, impedendo così al giudice nazionale di selezionare gli elementi di prova che potevano rientrare nella sicurezza dello Stato e quelli che riguardavano la condotta criminale individuale.
Secondo i ricorrenti, è evidente che la condotta dell’esecutivo era volta unicamente a impedire che fossero scoperte le responsabilità penali individuali dei funzionari italiani. L’esecutivo infatti avrebbe inizialmente espresso la volontà di collaborare con l’autorità giudiziaria e avrebbe dichiarato di essere estraneo all’operazione di consegna straordinaria. Successivamente, una volta raccolti tutti gli elementi che chiamavano in causa la responsabilità del SISMi, l’esecutivo si sarebbe rifiutato di collaborare con l’autorità giudiziaria.
I ricorrenti concludono che il governo italiano ha voluto assicurare l’impunità degli imputati, cosa che, a loro parere, non è accettabile rispetto alla Convenzione.
255. I ricorrenti osservano inoltre che i ventisei agenti americani condannati in contumacia a pene della reclusione non sono mai stati oggetto di una domanda di estradizione da parte del ministero della giustizia italiano. Ne consegue, secondo loro, che gli agenti della CIA in questione circolano liberamente e che le autorità italiane non hanno fatto quanto necessario per ottenere l’esecuzione delle decisioni di condanna.
256. Per i ricorrenti, questo produce la conseguenza sul piano economico che essi non hanno potuto ottenere il pagamento delle provvisionali che sono state accordate loro dai giudici nazionali. Gli interessati osservano a tale riguardo che non servirebbe a nulla intentare un procedimento civile negli Stati Uniti, in quanto i cittadini americani in questione beneficiano di immunità. Peraltro, sostengono che l’Italia non ha mai proposto loro alcun risarcimento.

b) Il Governo

257. Il Governo ritiene che lo Stato abbia soddisfatto l’obbligo positivo – che deriva dall’articolo 3 della Convenzione – di condurre un’inchiesta indipendente, imparziale e approfondita. Esso afferma che le autorità hanno adottato tutte le misure che avrebbero permesso l’identificazione e la condanna dei responsabili del sequestro del ricorrente a una pena proporzionata al reato commesso nonché al risarcimento delle vittime. Esso rammenta, a tale riguardo, che i giudici nazionali hanno condannato ventisei agenti americani a pene detentive e hanno accordato al ricorrente una provvisionale di un milione di euro e alla ricorrente una provvisionale di mezzo milione di euro sull’importo definitivo del risarcimento.
258. Il Governo ritiene pertanto che il non luogo pronunciato nei confronti degli agenti italiani del SISMi (e, successivamente, l’annullamento della loro condanna) non abbia pregiudicato l’effettività dell’inchiesta e che l’applicazione del segreto di Stato nel caso di specie era legittima e necessaria. Ciò sarebbe del resto confermato dalle sentenze della Corte costituzionale.
Il Governo spiega che la legge n. 124/2007 non ha cambiato in maniera sostanziale le norme preesistenti in materia di segreto di Stato e non ne ha modificato né la definizione né l’oggetto. Lo scopo sarebbe lo stesso che in precedenza, con la sola eccezione che si parla ora di protezione della sicurezza nazionale invece di protezione dello Stato democratico. Questi cambiamenti, in ogni caso, non hanno inciso sull’effettività dell’inchiesta, ossia sul modo di indagare, raccogliere e valutare gli elementi di prova. La Corte costituzionale ha indicato dei principi ai quali l’autorità giudiziaria ha dovuto conformarsi. Non vi è stato un uso retroattivo del segreto di Stato.
259. Quanto al fatto che le autorità nazionali non hanno chiesto l’estradizione degli Americani condannati, il Governo osserva che, conformemente alla prassi del ministero della Giustizia, soltanto i condannati a pene severe, più pesanti di quelle inflitte ai condannati nella presente causa, sono oggetto di domande di estradizione. In altre parole, nella fattispecie i termini necessari per chiedere l’estradizione e realizzarla sarebbero stati troppo lunghi rispetto alla pena da scontare. Pertanto, sarebbe stato inutile indirizzare le domande di estradizione al governo degli Stati Uniti. Il Governo contesta che, agendo in questo modo, le autorità abbiano cercato di garantire l’impunità de facto dei condannati. Esso spiega che le stesse hanno agito in maniera trasparente e legittima, nel rispetto delle disposizioni nazionali in materia di estradizione. Al riguardo, osserva che tutti i condannati hanno beneficiato della legge n. 241 del 31 luglio 2006 (indulto) che prevedeva una riduzione generalizzata di tre anni sulle pene inflitte per i reati commessi prima del 2 maggio 2006. Tutti gli Americani avrebbero dunque beneficiato di una riduzione di pena di tre anni, il che avrebbe riportato le loro pene definitive a quattro anni, ossia al di sotto dei limiti fissati dal Ministro della Giustizia per chiedere l’estradizione.
Il Governo spiega che Lady è stato condannato con la sentenza della corte d’appello di Milano del 15 dicembre 2010 a una pena di nove anni di reclusione e che, il 12 dicembre 2012, il ministero della Giustizia ha chiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale. Poiché Lady è stato arrestato a Panama, il ministero della Giustizia avrebbe inviato una lettera con cui chiedeva la sua estradizione il 19 settembre 2013. Ma a questa domanda non sarebbe stato dato seguito, in quanto le autorità di questo paese hanno lasciato partire l’interessato, che è tornato negli Stati Uniti.
Quanto al colonnello Joseph Romano, condannato a cinque anni di reclusione, il Governo osserva che egli ha beneficiato di una grazia presidenziale, misura che costituisce una decisione discrezionale e incontestabile che spetta al Presidente della Repubblica.
Il Governo osserva inoltre che vi è stato un ordine di esecuzione delle condanne emesso dal Procuratore generale di Milano, e che è stato emesso un mandato d’arresto internazionale che è circolato nei paesi dell’Unione europea grazie al sistema informativo Schengen. Non sarebbe stata compiuta alcuna azione allo scopo di ostacolare o impedire la ricerca degli Americani in vista del loro arresto. Questi ordini di arresto sarebbero ancora in vigore. Per il Governo, tuttavia, queste misure non avranno alcuna incidenza fintanto che gli agenti condannati rimangono fuori dall’Europa.
260. In ogni caso, rimarrebbe inalterato il diritto dei ricorrenti di ottenere la liquidazione definitiva del risarcimento nell’ambito di un procedimento civile successivo. Infatti secondo il Governo il procedimento penale avviato a carico dei responsabili dei fatti ha concluso in particolare che si sono verificate le violazioni della Convenzione denunciate dai ricorrenti, in quanto questi avevano precisato nel loro atto di costituzione di parte civile che contestavano la violazione della libertà personale, del diritto all’integrità fisica e psichica e alla vita privata e famigliare. All’esito di tale procedimento, i ricorrenti hanno ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione del danno subito. Pertanto, afferma il Governo, l’inchiesta condotta a livello nazionale risponde alle esigenze dell’articolo 3 della Convenzione.

2. Valutazione della Corte

a) Ricevibilità

261. Constatando che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.

b) Merito

i. Principi generali

262. La Corte rammenta che, quando un individuo sostiene in maniera difendibile di avere subito, da parte della polizia o di altri servizi analoghi dello Stato, o in conseguenza di atti commessi da agenti stranieri operanti con il consenso o la connivenza dello Stato, un trattamento contrario all’articolo 3, quest’ultima disposizione, in combinato disposto con il dovere generale imposto allo Stato dall’articolo 1 della Convenzione di «riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà enunciati (…) [nella] Convenzione», richiede, per implicazione, che vi si una inchiesta ufficiale effettiva. Tale inchiesta deve poter condurre all’identificazione e, se del caso, alla punizione dei responsabili e all’accertamento della verità. Se così non fosse, nonostante la sua importanza fondamentale, il divieto generale della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti sarebbe inefficace in pratica, e sarebbe possibile in alcuni casi per gli agenti dello Stato calpestare, godendo di una quasi-impunità, i diritti delle persone sottoposte al loro controllo (Al Nashiri, sopra citata, § 485, e le cause ivi menzionate, e El-Masri, sopra citata, § 182).
263. I principi pertinenti riguardanti gli elementi di «una inchiesta ufficiale effettiva», che la Corte ha recentemente richiamato nella sua sentenza resa nella causa Cestaro (sopra citata), sono i seguenti:
i) Anzitutto, perché sia effettiva e permetta di identificare e di perseguire i responsabili, un’inchiesta deve essere avviata e condotta con celerità.
Inoltre, l’esito dell’inchiesta e del procedimento penale cui essa dà avvio, così come la sanzione pronunciata e le misure disciplinari adottate, risultano determinanti. Essi sono fondamentali se si vuole preservare l’effetto dissuasivo del sistema giudiziario vigente e il ruolo che esso è tenuto ad esercitare nella prevenzione delle violazioni del divieto di maltrattamenti;
ii) Quando le indagini preliminari hanno comportato l’avvio di un’inchiesta dinanzi ai giudici nazionali, è tutto il procedimento, ivi compresa la fase di giudizio, che deve soddisfare gli imperativi del divieto posto da tale disposizione. Così, le autorità giudiziarie nazionali non devono in alcun caso mostrarsi disposte a lasciare impunite delle aggressioni contro l’integrità fisica e morale delle persone. Ciò è indispensabile per mantenere la fiducia del pubblico e garantire la sua adesione allo Stato di diritto, nonché per prevenire ogni accenno di tolleranza di atti illegali o di possibile collusione nella loro perpetrazione;
iii) Quanto alla sanzione penale per i responsabili di maltrattamenti, la Corte rammenta che non ha il compito di pronunciarsi sul grado di colpevolezza della persona in causa o di determinare la pena da infliggere, in quanto queste materie rientrano nella competenza esclusiva dei tribunali penali interni.
Tuttavia, in virtù dell’articolo 19 della Convenzione, e conformemente al principio che vuole che la Convenzione garantisca diritti non teorici o illusori ma concreti ed effettivi, la Corte deve assicurarsi che lo Stato adempia come si deve all’obbligo di tutelare i diritti delle persone che rientrano nella sua giurisdizione. Di conseguenza, la Corte deve mantenere la sua funzione di controllo e intervenire nel caso esista una evidente sproporzione tra la gravità dell’atto e la sanzione inflitta. Altrimenti, il dovere che hanno gli Stati di condurre un’inchiesta effettiva perderebbe molto del suo senso;
iv) La valutazione dell’adeguatezza della sanzione dipende pertanto dalle circostanze particolari della causa determinata;
v) La Corte ha anche dichiarato che, in materia di tortura o di maltrattamenti inflitti da parte di agenti dello Stato, l’azione penale non dovrebbe estinguersi per effetto della prescrizione, così come l’amnistia e la grazia non dovrebbero essere tollerate in questo ambito;
vi) Lo stesso vale per la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena e nel caso di un indulto (Cestaro, sopra citata, §§ 205-208, e i riferimenti ivi citati).

ii. Applicazione di questi principi

264. In via preliminare, la Corte ritiene che, considerata la formulazione dei motivi di ricorso del ricorrente (paragrafo 248 supra), convenga esaminare la questione dell’assenza di una inchiesta effettiva sui maltrattamenti dedotti in rapporto al profilo procedurale dell’articolo 3 della Convenzione (Dembele c. Svizzera, n. 74010/11, § 33, 24 settembre 2013, con i riferimenti ivi citati, e Cestaro, sopra citata, § 129).
265. La Corte osserva che, contrariamente alle cause sopra citate El-Masri, Husayn (Abu Zubaydah) e Al Nashiri, i giudici nazionali nel caso di specie hanno condotto una inchiesta approfondita che ha permesso loro di ricostruire i fatti. Essa si complimenta per il lavoro dei giudici nazionali che hanno fatto il possibile per tentare di «stabilire la verità».
266. Considerati i principi sopra sintentizzati e, in particolare, l’obbligo che incombe sullo Stato di identificare e, se del caso, sanzionare adeguatamente gli autori di atti contrari all’articolo 3 della Convenzione, la Corte ritiene che la presente causa sollevi in sostanza due questioni:
l’annullamento della condanna degli agenti italiani del SISMi e l’assenza di strumenti idonei a dare esecuzione alle condanne pronunciate contro gli agenti americani.
267. Al contrario di quanto ha dichiarato in altre cause (si vedano, ad esempio, Batı e altri c. Turchia, nn. 33097/96 e 57834/00, §§ 142-147, CEDU 2004 IV (estratti); Erdal Aslan c. Turchia, nn. 25060/02 e 1705/03, §§ 76-77, 2 dicembre 2008; Abdülsamet Yaman c. Turchia, n. 32446/96, §§ 57-59, 2 novembre 2004 e Hüseyin Şimşek c. Turchia, n. 68881/01, §§ 68-70, 20 maggio 2008), la Corte osserva che, se gli agenti del SISMi hanno beneficiato dell’annullamento della loro condanna, ciò non è avvenuto perché l’inchiesta non è stata approfondita, non ha portato all’identificazione dei responsabili o la prescrizione del reato ha ostacolato il corso della giustizia, o per altri motivi inerenti alla negligenza degli inquirenti o delle autorità giudiziarie. La Corte non può nemmeno contestare ai giudici nazionali di non aver misurato la gravità dei fatti ascritti agli imputati (Saba c. Italia, n. 36629/10, §§ 79-80, 1 luglio 2014 e Cestaro, sopra citata, § 223) o, peggio ancora, di avere utilizzato de facto le disposizioni legislative e repressive del diritto nazionale per evitare qualsiasi condanna effettiva degli agenti di polizia sottoposti a giudizio (Zeynep Özcan c. Turchia, n. 45906/99, § 43, 20 febbraio 2007). Le sentenze di appello e di cassazione, in particolare, dimostrano una fermezza esemplare e non giustificano in alcun modo i fatti in questione.
268. In questo contesto, la Corte osserva che gli elementi di prova che alla fine sono stati scartati dai giudici nazionali in quanto la Corte costituzionale aveva indicato che erano tutti coperti dal segreto di Stato erano sufficienti per condannare gli imputati. Del resto, ciò si evince dalla sentenza di condanna della Corte d’appello di Milano del 12 febbraio 2013 (paragrafo 124 supra).
La Corte osserva inoltre che le informazioni che chiamano in causa la responsabilità degli agenti del SISMi erano state ampiamente diffuse dalla stampa e su internet (paragrafo 65 supra); essa ritiene pertanto che le stesse fossero di dominio pubblico. La Corte non comprende in che modo l’uso del segreto di Stato una volta che le informazioni controverse erano state divulgate potesse servire allo scopo di preservare la riservatezza dei fatti. Tenuto conto di questi elementi, la Corte ritiene che la decisione del potere esecutivo di applicare il segreto di Stato a informazioni che erano già ampiamente note al pubblico abbia prodotto l’effetto di evitare la condanna degli agenti del SISMi.
269. Pertanto, malgrado il lavoro degli inquirenti e dei magistrati italiani sia di grande qualità, l’inchiesta non ha risposto, su questo punto, alle esigenze della Convenzione.
270. Quanto agli agenti americani condannati, la Corte osserva che il Governo ha ammesso di non avere mai chiesto l’estradizione degli interessati. Ha indicato di avere emesso dei mandati d’arresto europeo e un solo mandato di arresto internazionale, nel 2013, nei confronti di Lady, che tuttavia non è andato a buon fine (paragrafi 146 e 259 supra).
271. Peraltro, il Presidente della Repubblica ha accordato la grazia a tre dei condannati (paragrafi 148 e 150 supra), tra cui Lady, a cui era stata inflitta una condanna a una pena più severa in proporzione del suo grado di responsabilità nell’operazione di consegna straordinaria.
272. La Corte osserva, ancora una volta, che malgrado il lavoro degli inquirenti e dei magistrati italiani, che ha permesso di identificare i responsabili e di pronunciare delle condanne nei loro confronti, le condanne in questione sono rimaste prive di effetto, a causa dell’atteggiamento dell’esecutivo, che ha esercitato il suo potere di opporre il segreto di Stato, e del Presidente della Repubblica. Come ha rilevato la Corte di cassazione nella sua sentenza del 24 febbraio 2014, le autorità non avevano «abbassato il sipario nero del segreto, quando sapevano invece che gli agenti accusati stavano per rivelare i fatti» (paragrafo 133 supra).
Nel caso di specie, il principio legittimo del «segreto di Stato», evidentemente, è stato applicato allo scopo di impedire che i responsabili dovessero rispondere delle loro azioni. Di conseguenza l’inchiesta, seppur effettiva e approfondita, e il processo, che ha portato all’identificazione dei colpevoli e alla condanna di alcuni di loro, non hanno avuto l’esito naturale che, nella fattispecie, era «la punizione dei responsabili» (paragrafo 262 supra). Alla fine vi è stata dunque impunità. Ciò è ancora più deplorevole in una situazione come quella del caso di specie, che riguarda due paesi – l’Italia e gli Stati Uniti – che hanno firmato un trattato di estradizione nel quale hanno acconsentito a estradare (paragrafo 171 supra). Dato che la sorte di una decisione di condanna dipende dall’elemento procedurale dell’articolo 3 (paragrafo 263 supra), la Corte ritiene che l’inchiesta nazionale non abbia risposto, nemmeno su questo punto, alle esigenze della Convenzione.
273. Infine, quanto all’argomento dei ricorrenti secondo il quale la legislazione penale italiana applicata nella fattispecie sarebbe inadeguata rispetto all’esigenza di sanzionare gli atti di tortura lamentati dal ricorrente, la Corte ritiene che l’assenza di disposizioni specifiche nel codice penale non abbia inciso sull’impunità dei responsabili nel caso in questione, poiché tale impunità deriva dall’atteggiamento delle autorità dell’esecutivo italiano e del Presidente della Repubblica (paragrafi 145-150 supra; si veda anche, a contrario, Cestaro, sopra citata, § 225).
274. Tenuto conto di quanto precede, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione sotto il profilo procedurale.

B. Il profilo materiale dell’articolo 3 della Convenzione

275. Il ricorrente afferma di essere stato vittima di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione nell’ambito della consegna straordinaria di cui è stato oggetto.
276. Il Governo si oppone a questa tesi.

1. Osservazioni delle parti

277. Il ricorrente sostiene che, nell’ambito della sua consegna straordinaria, è stato oggetto di torture psicologiche e fisiche, a decorrere dal suo sequestro. Egli rinvia al proprio memorandum per quanto riguarda la descrizione delle condizioni di cattività. Quanto ai trattamenti subiti durante il trasporto da Milano alla base militare di Aviano, il ricorrente dichiara di essere stato incappucciato, aggredito, forse drogato, di avere avuto un malore e di non essere stato curato. Un trattamento simile gli sarebbe stato riservato nelle basi americane e durante i voli. Il suo sequestro e il suo trasferimento in Egitto avrebbero avuto luogo al di fuori di qualsiasi ambito legale e controllo giudiziario.
Il ricorrente rimprovera alle autorità italiane di avere acconsentito al suo sequestro da parte della CIA, mentre invece non potevano ignorare il rischio accertato di tortura. In tal modo esse avrebbero consentito al suo trasferimento in Egitto, mentre egli beneficiava di uno status di rifugiato e in presenza di un rischio accertato di maltrattamenti e di sparizione prolungata.
278. Il Governo ribadisce la tesi secondo la quale le autorità nazionali non sono implicate nell’operazione di consegna straordinaria. Egli afferma che, in ogni caso, il ricorrente non ha subito maltrattamenti in Italia. Aggiunge che né la firma né la data del memorandum del ricorrente sono state autenticate. Infine, ritiene che non esista alcun elemento a riprova delle sue contestazioni per quanto riguarda i trattamenti subiti.

2. Valutazione della Corte

a) Sulla ricevibilità

279. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

b) Sul merito

i. Principi generali

280. L’articolo 3 della Convenzione, come la Corte ha detto più volte, sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Esso non prevede eccezioni, e in ciò contrasta con la maggior parte delle clausole normative della Convenzione, e secondo l’articolo 15 § 2 non sono previste deroghe a tale disposizione, nemmeno in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione (Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94, § 95, CEDU 1999-V, e Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 119, CEDU 2000 IV). La Corte ha affermato che, anche nelle circostanze più difficili, come la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, la Convenzione vieta in maniera assoluta la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti, quali che siano le azioni compiute dalla vittima (El Masri, sopra citata, § 195; Al Nashiri, sopra citata, § 507).
281. Per rientrare nelle previsioni dell’articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale minimo dipende dall’insieme degli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici e psichici nonché, a volte, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 162, serie A n. 25, e Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 67, CEDU 2006 IX). Tra gli altri fattori da considerare vi sono lo scopo per il quale è stato inflitto il trattamento nonché l’intenzione o la motivazione che l’hanno ispirato (si vedano, tra le altre, Aksoy c. Turchia, 18 dicembre 1996, § 64, Recueil 1996-VI; Egmez c. Cipro, n. 30873/96, § 78, CEDU 2000 XII; e Krastanov c. Bulgaria, n. 50222/99, § 53, 30 settembre 2004; El Masri, sopra citata, § 196 e Al Nashiri, sopra citata, § 508).
282. Per stabilire se una determinata forma di maltrattamento debba essere qualificata come tortura la Corte deve tenere presente la distinzione che opera l’articolo 3 tra questa nozione e quella di trattamento inumano o degradante. Questa distinzione sembra essere stata stabilita dalla Convenzione per contrassegnare con una particolare infamia quei trattamenti inumani deliberati che provocano sofferenze molto gravi e crudeli (Aksoy, sopra citata, § 62). Oltre alla gravità dei trattamenti, la nozione di «tortura» implica un elemento intenzionale, riconosciuto nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, entrata in vigore il 26 giugno 1987, che precisa che il termine «tortura» si estende a qualsiasi atto con il quale vengono intenzionalmente inflitti a una persona un dolore o delle sofferenze acute allo scopo, soprattutto, di ottenere dalla stessa informazioni, di punirla o di intimidirla (articolo 1) (İlhan c. Turchia [GC], n. 22277/93, § 85, CEDU 2000 VII; El Masri, sopra citata, § 197 e Al Nashiri, sopra citata, § 508).
283. In combinato disposto con l’articolo 3, l’obbligo che l’articolo 1 della Convenzione impone alle Alte Parti contraenti di garantire a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione impone loro di adottare misure idonee ad impedire che tali persone siano sottoposte a tortura o trattamenti inumani o degradanti, anche ad opera di privati (Z e altri c. Regno Unito [GC], n. 29392/95, § 73, CEDU 2001 V). La responsabilità dello Stato può dunque essere chiamata in causa quando le autorità non hanno adottato misure ragionevoli per impedire che si materializzasse un rischio di maltrattamenti di cui erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza (Mahmut Kaya c. Turchia, n. 22535/93, § 115, CEDU 2000 III; El Masri, sopra citata, § 198; Al Nashiri, sopra citata, § 509).

ii. Applicazione di questi principi

284. La Corte rammenta di avere concluso che alcune autorità italiane sapevano che il ricorrente era vittima di una operazione di «consegna straordinaria» (paragrafo 235 supra). Resta da determinare se il trattamento al quale egli è stato sottoposto ricada nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione e, in caso affermativo, in quale misura debba essere imputato alle autorità nazionali.
285. Per quanto riguarda il sequestro del ricorrente in mezzo alla strada, a Milano, la Corte osserva che le dichiarazioni del testimone oculare che ha riferito il sequestro del ricorrente fanno sorgere un dubbio circa la questione di stabilire se siano state commesse delle violenze sulla persona dell’interessato. In ogni caso, la Corte condivide la valutazione fatta dalla corte d’appello di Milano secondo la quale «[o]gni considerazione circa l’utilizzo o meno della violenza in quel preciso momento è irrilevante». Come osserva la corte d’appello di Milano «è ovvio che egli, circondato improvvisamente da diverse persone con fare deciso, invitato a salire sul furgone lì presente e aperto, consapevole di non poter contare sull’intervento di alcuno (…), si sia determinato a salire senza opporre resistenza, nella certezza dell’assoluta inutilità della stessa» (paragrafo 138 supra).
A questo proposito, la Corte rammenta che l’articolo 3 non si riferisce esclusivamente al dolore fisico ma anche alle sofferenze morali che derivano dalla creazione di uno stato di angoscia e di stress con mezzi diversi da violazioni dell’integrità fisica (El Masri, sopra citata, § 202 e Husayn (Abu Zubaydah), sopra citata, § 510).
Non vi sono dubbi che il sequestro del ricorrente, secondo un protocollo messo a punto dalla CIA per le operazioni di consegna straordinaria (paragrafo 160 supra, con i riferimenti ai documenti che descrivono le procedure utilizzate dalla CIA, esposte nelle cause Al Nashiri e Husayn (Abu Zubaydah)), implicava l’uso combinato di tecniche che non hanno mancato di infondere nell’interessato un sentimento di stress emozionale e psicologico. Secondo tali documenti il sequestro, di per sé, si prefiggeva di «minare la condizione fisica e psicologica di un detenuto prima del suo primo interrogatorio» (Husayn (Abu Zubaydah), sopra citata, § 61).
286. La detenzione che ne è seguita, compreso il trasferimento a bordo di un aereo verso una destinazione sconosciuta, effettuata sempre secondo un protocollo utilizzato dalla CIA in questo tipo di operazioni (paragrafi 11-12 e 172-173 supra, e Al Nashiri, sopra citata, § 64), ha sicuramente posto il ricorrente in una situazione di totale vulnerabilità. Egli ha vissuto senza dubbio in uno stato di angoscia permanente a causa dell’incertezza relativa al suo futuro.
287. Nelle sue dichiarazioni indirizzate alla procura di Milano, il ricorrente ha descritto precisamente le condizioni del suo sequestro e della sua detenzione in Egitto nonché i trattamenti subiti, in particolare le sedute di interrogatorio violento (paragrafi 10-19 supra). Nella sua sentenza, il tribunale di Milano ha preso atto di tali fatti (paragrafi 112-113 supra). Inoltre, da un certificato medico sottoposto dal ricorrente e datato 9 giugno 2007, risulta che l’interessato soffriva di disturbi post traumatici e presentava ancora all’epoca dei segni di lesioni visibili (paragrafi 26-27 supra).
La Corte ha già dichiarato che il trattamento simile riservato a un detenuto di estrema importanza, ai sensi del programma di «consegna straordinaria» della CIA, doveva essere definito tortura ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione (El Masri, sopra citata, § 211; Al Nashiri, sopra citata, §§ 511-516; e Husayn (Abu Zubaydah, sopra citata, §§ 504-511).
Nonostante ciò, la Corte non ritiene necessario esaminare ciascuno degli aspetti del trattamento riservato al ricorrente in occasione del suo sequestro, durante il suo trasferimento fuori dal territorio italiano e nel corso della detenzione che ne è seguita, né delle condizioni fisiche nelle quali l’interessato è stato detenuto. Tenendo conto degli effetti cumulativi del trattamento al quale è stato sottoposto – descritto in dettaglio nelle sue dichiarazioni scritte, confermate da un certificato medico e considerate attendibili dai giudici italiani –, la Corte li giudica sufficienti per considerare che il trattamento in questione ha raggiunto il livello di gravità richiesto dall’articolo 3 (paragrafi 281-282 supra).
288. La Corte ritiene che non sia più necessario determinare se, all’epoca, le autorità italiane sapessero o avrebbero dovuto sapere che il sequestro del ricorrente a Milano da parte della CIA e il suo trasferimento fuori dall’Italia perseguiva specificamente lo scopo di consegnarlo alle autorità egiziane, con la relativa probabilità che subisse duri interrogatori che implicavano atti di tortura e che fosse detenuto segretamente. Come è stato accertato dai giudici italiani, «l’esistenza di una autorizzazione a prelevare Abu Omar, data da massimi responsabili della CIA a Milano (...), lasciava presumere che le autorità italiane fossero a conoscenza dell’operazione, se non ne erano addirittura complici » (paragrafo 113 supra). Era quantomeno prevedibile per le autorità italiane, che collaboravano con gli agenti della CIA, che il sequestro del ricorrente da parte della CIA fosse il preludio di gravi maltrattamenti vietati dall’articolo 3, anche se la forma esatta dei maltrattamenti inflitti al ricorrente durante l’ultima fase poteva non essere inizialmente nota alle autorità.
A questo riguardo, la Corte osserva anche brevemente che il SISMi era stato informato, al più tardi il 15 maggio 2003, del fatto che il ricorrente «si trovava detenuto in Egitto e [era stato] sottoposto ad interrogatori da parte dei servizi segreti egiziani» poco dopo il suo trasferimento dall’Italia (paragrafo 63 supra).
Pertanto, dato che l’operazione di «consegna straordinaria» nell’ambito del programma per detenuti di alta importanza della CIA era nota alle autorità italiane e queste ultime hanno cooperato attivamente con la CIA durante la fase iniziale dell’operazione, ossia il sequestro del ricorrente e il suo trasferimento fuori dall’Italia, la Corte ritiene che le autorità italiane sapessero, o avrebbero dovuto sapere, che tale operazione esponeva il ricorrente a un rischio accertato di trattamento vietato dall’articolo 3.
In queste circostanze, l’eventualità di una violazione dell’articolo 3 era particolarmente elevata e avrebbe dovuto essere considerata intrinseca al trasferimento (paragrafo 243 supra). Di conseguenza, lasciando che la CIA operasse il trasferimento del ricorrente fuori dal loro territorio, le autorità italiane lo hanno esposto a un rischio serio e prevedibile di maltrattamenti e di condizioni di detenzione contrarie all’articolo 3 della Convenzione (paragrafo 242 supra e Al Nashiri, sopra citata, § 518).
289. Ai sensi degli articoli 1 e 3 della Convenzione, le autorità italiane erano pertanto tenute ad adottare misure adeguate affinché il ricorrente, sottoposto alla loro giurisdizione, non subisse atti di tortura o trattamenti o pene inumani e degradanti. Ora, ciò non è avvenuto e lo Stato convenuto deve essere considerato direttamente responsabile della violazione dei diritti del ricorrente per questo motivo, in quanto i suoi agenti si sono astenuti dall’adottare le misure che sarebbero state necessarie nelle circostanze del caso per impedire il trattamento contestato (El Masri, sopra citata, § 211 e Al Nashiri, sopra citata, § 517).
Questo era ancor più vero se si considera, come ha rilevato il ricorrente, che egli beneficiava dello status di rifugiato in Italia (paragrafi 8 e 277 supra).
Peraltro, il governo italiano non ha chiesto assicurazioni idonee a evitare che il ricorrente subisse maltrattamenti e non ha pertanto dissipato i dubbi a questo proposito (El Masri, sopra citata, § 219). Gli elementi emersi dopo il trasferimento del ricorrente hanno confermato l’esistenza di tale rischio (paragrafo 63 supra).
290. In queste condizioni, la Corte ritiene che, permettendo alle autorità americane di rapire il ricorrente sul territorio italiano nell’ambito del programma di «consegne straordinarie», le autorità italiane abbiano consapevolmente esposto l’interessato a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
291. Pertanto, vi è stata violazione del profilo materiale dell’articolo 3 della Convenzione.

V. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAL RICORRENTE

292. Il ricorrente lamenta di essere stato privato della libertà e detenuto al di fuori di qualsiasi ambito legale, in violazione dell’articolo 5 della Convenzione.
Tale disposizione recita:
«1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:
a) se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;
b) se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso;
d) se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa allo scopo di sorvegliare la sua educazione oppure della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente;
e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione.
2. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico.
3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata a garanzie che assicurino la comparizione dell’interessato all’udienza.
4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.
5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione.»

A. Osservazioni delle parti

1. Il ricorrente

293. Il ricorrente osserva di essere stato rapito e privato della libertà in Italia, poi trasportato in aereo in Germania e in Egitto, al di fuori di qualsiasi ambito legale e in assenza di controllo giudiziario. Egli considera che la sua scomparsa prolungata durante la sua successiva detenzione in Egitto abbia comportato anche una violazione dell’articolo 5 della Convenzione. Inoltre, egli sostiene che non vi è stata un’inchiesta effettiva in merito alle sue deduzioni riguardanti la detenzione cui è stato sottoposto in seguito ad una operazione condotta congiuntamente da agenti italiani e agenti americani, tenuto conto del non luogo pronunciato nei confronti degli agenti del SISMi (e, successivamente, l’annullamento della loro condanna) e del fatto che il Ministro della Giustizia non ha mai chiesto l’estradizione dei cittadini americani condannati.

2. Il Governo

294. Il Governo contesta queste tesi. Riprendendo in sostanza gli argomenti sviluppati sotto il profilo dell’articolo 3, esso osserva che alle autorità italiane non può essere attribuita alcuna responsabilità, tenuto conto del fatto che il procedimento condotto a livello nazionale si è concluso con l’accertamento della responsabilità esclusiva degli agenti americani, e che il carabiniere Pironi, condannato nell’ambito di un altro procedimento, ha agito a titolo individuale.

B. Valutazione della Corte

1. Ricevibilità

295. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

2. Merito

a) Principi generali

296. La Corte osserva anzitutto l’importanza fondamentale delle garanzie di cui all’articolo 5 per assicurare agli individui in una democrazia il diritto di non essere sottoposti a detenzioni arbitrarie da parte delle autorità. Per questo motivo essa non smette di sottolineare nella sua giurisprudenza che qualsiasi privazione della libertà deve osservare le disposizioni di merito e di procedura della legislazione nazionale ma anche conformarsi allo scopo stesso dell’articolo 5: proteggere l’individuo contro il libero arbitrio (Chahal c. Regno Unito, 15 novembre 1996, § 118, Recueil 1996 V). L’importanza della protezione accordata all’individuo contro il libero arbitrio è attestata dal fatto che l’articolo 5 § 1 contiene una lista esaustiva delle circostanze nelle quali un individuo può essere legalmente privato della sua libertà, rimanendo inteso che tali circostanze richiedono una interpretazione stretta poiché si tratta di eccezioni a una garanzia fondamentale della libertà individuale (El Masri, sopra citata, § 230 e Al Nashiri, sopra citata, § 527).
297. Si deve sottolineare inoltre che gli autori della Convenzione hanno rafforzato la protezione dell’individuo contro le privazioni arbitrarie della sua libertà sancendo un insieme di diritti materiali concepiti per ridurre al minimo il rischio di libero arbitrio, prevedendo che gli atti di privazione della libertà devono essere sottoposti a un controllo giurisdizionale indipendente e che la responsabilità delle autorità deve poter essere ricercata. Le esigenze dei paragrafi 3 e 4 dell’articolo 5, che pongono l’accento sull’aspetto celerità e sul controllo giurisdizionale, rivestono un’importanza particolare al riguardo. Un pronto intervento giudiziario permette di scoprire e prevenire misure che possono mettere in pericolo la vita dell’interessato o gravi maltrattamenti che violano le garanzie fondamentali di cui agli articoli 2 e 3 della Convenzione (Aksoy, sopra citata, § 76). In questo caso sono in gioco la protezione della liberà fisica degli individui e la sicurezza delle persone in un contesto che, in assenza di garanzie, potrebbe sradicare la preminenza del diritto e rendere inaccessibili ai detenuti le forme più rudimentali di protezione giuridica (El Masri, sopra citata, § 231 e Al Nashiri, sopra citata, § 528).
298. Le inchieste riguardanti i reati di natura terroristica pongono indubbiamente le autorità dinanzi a problemi particolari. Ciò non significa tuttavia che le autorità abbiano carta bianca, rispetto all’articolo 5, per arrestare e porre in stato di fermo dei sospetti al riparo da qualsiasi controllo effettivo da parte dei tribunali interni e, in ultima istanza, da parte degli organi di controllo della Convenzione, ogni volta che esse ritengono che vi sia un reato terroristico (El Masri, sopra citata, § 232 e Al Nashiri, sopra citata, § 529).
La Corte sottolinea a questo proposito che la detenzione non riconosciuta di un individuo costituisce una negazione totale di queste garanzie e una violazione estremamente grave dell’articolo 5. Le autorità, quando catturano un individuo, devono essere sempre in grado di indicare dove si trova. Per questo motivo si deve considerare che l’articolo 5 pone per le stesse l’obbligo di adottare delle misure effettive per ovviare il rischio di scomparsa e condurre un’inchiesta rapida ed efficace quando vengono investite di una denuncia plausibile secondo la quale una persona è stata fermata e non è mai più stata rivista (Kurt c. Turchia, 25 maggio 1998, §§ 123-124, Recueil 1998-III, El Masri, sopra citata, § 233, e Al Nashiri, sopra citata, § 529).

b) Applicazione di questi principi

299. Nella fattispecie è dimostrato che, il 17 febbraio 2003, il ricorrente è stato rapito sul territorio italiano da una squadra di agenti stranieri, che è stato trasportato all’aeroporto di Aviano lo stesso giorno e che una equipe della CIA lo ha condotto in Egitto, attraverso la base di Ramstein. L’interessato è così scomparso e nessuno ha avuto sue notizie fino alla fine del mese di aprile 2004, quando è stato liberato dopo il suo periodo di detenzione in segreto. Poi, tra maggio 2004 e febbraio 2007, è stato detenuto dalla polizia egiziana, senza incriminazione.
300. Il carattere illecito della privazione della libertà del ricorrente è stato accertato dai giudici nazionali, che hanno stabilito che il ricorrente, fin dal primo istante, era stato oggetto di una detenzione non riconosciuta, assolutamente in contrasto con le garanzie sancite dall’articolo 5 della Convenzione, il che costituisce una violazione particolarmente grave del suo diritto alla libertà e alla sicurezza sancito da tale disposizione (paragrafi 10-21, 90, 113, 139 e 142 supra, e El Masri, sopra citata, § 237).
301. Peraltro, la detenzione di persone sospettate di terrorismo nell’ambito del programma di «consegne straordinarie» realizzato dalle autorità americane è già stata giudicata arbitraria in cause simili (El Masri, sopra citata, §§ 103,106, 113, 119, 123 e 239; Al Nashiri, sopra citata, §§ 530-532; e Husayn (Abu Zubaydah), sopra citata, §§ 524-526).
302. Nell’ambito dell’esame del motivo di ricorso proposto dal ricorrente sotto il profilo materiale dell’articolo 3, la Corte ha già dichiarato che l’Italia sapeva che il ricorrente era stato trasferito fuori dal suo territorio nell’ambito di una «consegna straordinaria» e che le autorità italiane, permettendo alla CIA di rapire il ricorrente sul territorio italiano, lo hanno consapevolmente esposto a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 3 (paragrafo 290 supra). Essa ritiene che queste conclusioni siano valide anche nel contesto della doglianza del ricorrente relativa all’articolo 5 della Convenzione e che la responsabilità dell’Italia venga chiamata in causa per quanto riguarda sia il suo sequestro che l’intera detenzione successiva alla sua consegna alle autorità americane (El Masri, sopra citata, § 239 e Al Nashiri, sopra citata, § 531).
303. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 5 della Convenzione.

VI. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAL RICORRENTE

304. Il ricorrente lamenta anche la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, che recita:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. »

A. Osservazioni delle parti

305. Per il ricorrente, la prova che ha subito presenta un carattere totalmente arbitrario e costituisce una grave violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e famigliare sancito dall’articolo 8. Egli afferma che, per più di un anno, è stato detenuto in isolamento, in contatto soltanto con quelli che lo sorvegliavano e lo interrogavano, e separato dalla sua famiglia, che non avrebbe avuto alcuna informazione sulla sua sorte. Secondo l’interessato, tale situazione ha avuto un effetto devastante sulla sua integrità fisica e psicologica. Inoltre, egli è stato successivamente reincarcerato senza incriminazione nell’ambito della legge antiterrorismo egiziana (paragrafi 23-25 supra).
306. Il Governo contesta questa tesi e ribadisce che alle autorità italiane non può essere attribuita alcuna responsabilità.

B. Valutazione della Corte

1. Ricevibilità

307. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

2. Merito

308. La nozione di «vita privata» è ampia e non si presta ad una definizione esaustiva; essa può, a seconda delle circostanze, comprendere l’integrità morale e fisica della persona. La Corte riconosce inoltre che questi aspetti della nozione si estendono a situazioni di privazione della libertà. L’articolo 8 protegge anche il diritto allo sviluppo personale e il diritto di iniziare e intrattenere rapporti con altri esseri umani e con il mondo esterno. Nessuno deve essere trattato in un modo che comporti una perdita di dignità, in quanto la dignità e la libertà dell’uomo costituiscono l’essenza stessa della Convenzione». Inoltre, per i membri di una stessa famiglia, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita famigliare. La Corte rammenta che l’articolo 8 tende sostanzialmente a premunire l’individuo da ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici (El Masri, sopra citata, § 230 e Al Nashiri, sopra citata, §§ 527-532, e i riferimenti menzionati nelle due sentenze).
309. Considerate le sue conclusioni relative alla responsabilità dello Stato convenuto rispetto agli articoli 3 e 5 della Convenzione (paragrafi 290 e 302 supra), la Corte ritiene che le azioni e le omissioni di quest’ultimo abbiano chiamato in causa la sua responsabilità anche ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Alla luce dei fatti accertati, essa considera che l’ingerenza nell’esercizio da parte del ricorrente del suo diritto al rispetto della vita privata e famigliare non fosse «prevista dalla legge».
310. Pertanto, essa conclude che, nel caso di specie, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

VII. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DEDOTTA DALLA RICORRENTE

A. Osservazioni delle parti

311. La ricorrente sostiene di essere essa stessa vittima di un trattamento inumano e degradante a causa della scomparsa del marito durante il periodo in cui quest’ultimo si è trovato tra le mani degli agenti stranieri implicati nell’operazione di consegna straordinaria. A questo proposito, essa si basa sulle considerazioni fatte dalla corte d’appello di Milano nella sentenza del 15 dicembre 2010 (paragrafo 139 supra), e invita la Corte a dichiarare che la sofferenza da lei provata implica la responsabilità dello Stato convenuto dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione.
Inoltre, essa ritiene che l’inchiesta condotta dalle autorità nazionali non sia stata effettiva (si vedano anche i paragrafi 253-256 supra).
312. Il Governo si oppone a questa tesi (si vedano anche i paragrafi 257-260 supra).

B. Valutazione della Corte

1. Ricevibilità

313. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

2. Merito

a) Profilo materiale

314. Secondo la giurisprudenza della Corte, la sofferenza patita da un individuo a seguito della scomparsa o della perdita di un parente dovuta ad un’azione delle autorità dello Stato può sollevare un problema sotto il profilo dell’articolo 3. Ad esempio, nella causa Kurt c. Turchia la Corte ha dichiarato che la sofferenza di una madre in seguito alla scomparsa di un figlio aveva raggiunto la soglia di gravità prevista per ricadere nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione (si veda Kurt, sopra citata, §§ 130-134).
La causa Kurt, tuttavia, non ha stabilito un principio generale secondo il quale tutti i membri della famiglia di una persona «scomparsa» sarebbero in quanto tali vittime di un trattamento contrario all’articolo 3. La questione di stabilire se un membro della famiglia sia in tal modo vittima dipende dall’esistenza di fattori particolari che attribuiscono alla sofferenza del ricorrente una dimensione e un carattere distinti dallo smarrimento affettivo che si può considerare inevitabile per i parenti di una vittima di violazioni gravi dei diritti umani. Tra questi fattori vi saranno la prossimità del legame famigliare – in questo contesto, deve essere attribuito un certo peso al legame genitore-figlio –, le circostanze particolari della relazione, la misura in cui un famigliare è stato testimone dei fatti in questione, la sua partecipazione ai tentativi di ottenere informazioni sulla persona scomparsa, e il modo in cui le autorità hanno reagito a tali domande.
Inoltre, l’essenza di una tale violazione non risiede tanto nel fatto della «scomparsa» del famigliare quanto piuttosto nelle reazioni e nel comportamento delle autorità di fronte alla situazione segnalata alle stesse. È soprattutto rispetto a quest’ultimo elemento che un parente può sostenere di essere direttamente vittima del comportamento delle autorità (Çakıcı, sopra citata, § 98 e Imakaïeva c. Russia, n. 7615/02, § 164, CEDU 2006 XIII (estratti)).
315. Nel caso di specie la ricorrente è la moglie della persona scomparsa. Al momento del sequestro, il 17 febbraio 2003, viveva con il ricorrente a Milano. È lei che ha allertato le forze di polizia a proposito della scomparsa del marito. La ricorrente è riuscita ad avere notizie del marito solo il 20 aprile 2004, ossia più di quattordici mesi dopo il sequestro (paragrafi 10, 28 e 33 supra). L’interessata è rimasta dunque nell’angoscia, in quanto sapeva che il marito era stato privato della libertà e non le è stata data alcuna informazione ufficiale sulla sorte di quest’ultimo.
316. Certamente, la polizia – la «Digos» – e la procura di Milano hanno reagito tempestivamente, in particolare aprendo un’inchiesta e sentendo dei testimoni (paragrafi 28-30 supra). Tuttavia, in un primo momento esse sono state ingannate in merito al luogo in cui si trovava il ricorrente e alla sua sorte dagli agenti della CIA. Questi ultimi hanno dichiarato agli agenti della Digos che il ricorrente si sarebbe trovato nei Balcani (paragrafi 31 e 114 supra). Come la Corte ha già osservato, è evidente che i servizi italiani di sicurezza – SISMi – sono stati informati sin dall’inizio del fatto che il ricorrente era detenuto in Egitto ed era sottoposto a interrogatori da parte dei servizi segreti egiziani. Malgrado ciò, hanno occultato questa informazione alla polizia e al pubblico ministero. Il documento pertinente è stato aggiornato al più tardi nel mese di luglio 2005, a seguito della perquisizione della sede del SISMi a Roma ordinata dalla procura (paragrafi 63, 114 e 288 supra). A causa di questa manipolazione intenzionale di una informazione cruciale relativa al sequestro del ricorrente e delle tattiche ostruzionistiche del SISMi, che agiva in cooperazione con i suoi omologhi della CIA, la ricorrente non ha potuto ottenere per un lungo periodo alcuna spiegazione su cosa fosse accaduto al marito.
317. Come hanno riconosciuto i giudici italiani la ricorrente, a causa della scomparsa del marito, ha subito un danno morale importante dovuto in particolare alla rottura improvvisa della sua relazione coniugale e all’offesa alla sua integrità psicologica e a quella del marito. La condotta ingiustificata delle autorità italiane e la sofferenza che ne è derivata per la ricorrente sono state considerate dai giudici italiani sufficientemente serie per motivare l’attribuzione all’interessata di una provvisionale dell’importo di 500.000 EUR (paragrafo 139 supra). Nonostante il fatto che, per i motivi sopra esposti (paragrafi 206-208 e 269-273 supra), le sentenze siano rimaste prive di effetto e i risarcimenti non siano stati versati, la valutazione operata dai giudici italiani rimane valida nel contesto del motivo di ricorso esaminato. In effetti la Corte condivide la loro valutazione.
Per la Corte l’incertezza, i dubbi e l’apprensione provati dalla ricorrente per un periodo prolungato e continuo le hanno causato una sofferenza mentale grave e dell’angoscia. Considerata la sua conclusione secondo la quale non solo la scomparsa del ricorrente ma anche il fatto che la ricorrente è stata privata di notizie riguardanti la sorte del marito per un periodo prolungato sono imputabili alle autorità nazionali, la Corte ritiene che la ricorrente abbia subito un trattamento vietato dall’articolo 3.

b) Profilo procedurale

318. Per quanto riguarda il profilo procedurale dell’articolo 3, esaminando i motivi di ricorso sollevati dal ricorrente a questo titolo, la Corte ha già concluso che l’inchiesta condotta nell’ambito della presente causa, per quanto effettiva e profonda, e il processo, che ha portato all’individuazione dei colpevoli e alla condanna di alcuni di loro, non hanno avuto l’esito ad essi naturale che, nella fattispecie, era «la punizione dei responsabili» (paragrafo 272 supra).
319. La Corte non vede alcuna ragione per discostarsi da questa conclusione per quanto riguarda il motivo di ricorso sollevato dalla ricorrente.
320. Pertanto, vi è stata violazione del profilo materiale e del profilo procedurale dell’articolo 3 della Convenzione in capo alla ricorrente.

VIII. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DALLA RICORRENTE

A. Osservazioni delle parti

321. La ricorrente afferma che la prova che ha subito costituisce una violazione della sua vita privata e famigliare, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, e sottolinea che, per più di un anno, è rimasta senza notizie del marito e in preda all’angoscia. La stessa aggiunge che le vicissitudini, oggetto del ricorso, hanno compromesso gravemente la vita famigliare.
322. Il Governo si oppone a questa tesi e ribadisce che i fatti contestati non sono imputabili alle autorità italiane e che nulla può essere rimproverato a queste ultime.

B. Valutazione della Corte

1. Ricevibilità

323. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

2. Merito

324. La Corte rammenta di avere concluso che sussiste una responsabilità dello Stato convenuto a titolo dell’articolo 8 per quanto riguarda la scomparsa del ricorrente e che l’ingerenza nella vita privata e famigliare dell’interessato non era prevista dalla legge (paragrafo 309 supra).
325. Essa ritiene che la scomparsa del ricorrente, imputabile alle autorità italiane, si traduca anche in una ingerenza nella vita privata e famigliare della ricorrente. Tale ingerenza non era prevista dalla legge.
326. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione in capo alla ricorrente.

IX. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAI RICORRENTI

327. I ricorrenti lamentano anche di non aver avuto a disposizione, per far valere i loro diritti derivanti rispettivamente dagli articoli 3, 5, 8 e 3, 8 della Convenzione, alcun ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione, che recita:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (...) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

A. Osservazioni delle parti

1. I ricorrenti

328. Al di là del loro motivo di ricorso basato sul profilo procedurale dell’articolo 3 o sugli articoli 5 e 8 della Convenzione i ricorrenti, sotto il profilo dell’articolo 1, rimproverano alle autorità di non avere chiesto l’arresto e l’estradizione dei condannati. Inoltre, essi lamentano che i giudici penali abbiano dovuto pronunciare un non luogo nei confronti degli agenti del SISMi, in seguito all’imposizione del segreto di Stato. I ricorrenti affermano di non avere avuto a disposizione alcun ricorso per contestare tali decisioni, che hanno assicurato l’impunità agli agenti italiani del SISMi e agli agenti americani e che, inoltre, hanno prodotto l’effetto di privarli di qualsiasi possibilità concreta di ottenere il pagamento del risarcimento che era stato accordato loro a livello nazionale.

2. Il Governo

329. Il Governo si oppone a questa tesi, e ribadisce che l’inchiesta condotta dai giudici nazionali deve essere considerata effettiva ai sensi della Convenzione, che gli agenti americani sono stati condannati e che il segreto di Stato è stato giustamente opposto per quanto riguarda gli agenti italiani. I giudici hanno accordato ai ricorrenti delle provvisionali sui risarcimenti e, anche da questo punto di vista, non si può rimproverare nulla alle autorità nazionali.

B. Valutazione della Corte

1. Ricevibilità

330. La Corte rileva che questa parte del ricorso è legata a quella esaminata sotto il profilo procedurale dell’articolo 3 della Convenzione (paragrafi 252-274 e 318-320 supra), e deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

2. Merito

a) Principi generali

331. La Corte rammenta che l’articolo 13 garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di avvalersi dei diritti e delle libertà della Convenzione, così come questi possono esservi sanciti. Questa disposizione ha dunque come conseguenza quella di esigere un ricorso interno che autorizzi l’istanza nazionale competente a esaminare il contenuto del motivo di ricorso fondato sulla Convenzione e ad offrire la riparazione appropriata, anche se gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per quanto riguarda la modalità con cui conformarsi agli obblighi posti da tale disposizione. La portata dell’obbligo che deriva dall’articolo 13 varia in funzione della natura del motivo di ricorso che il ricorrente fonda sulla Convenzione. Tuttavia, il ricorso richiesto dall’articolo 13 deve essere «effettivo» in pratica come in diritto, in particolare nel senso che il suo esercizio non deve essere ostacolato in maniera ingiustificata da atti od omissioni delle autorità dello Stato convenuto. Quando un individuo formula un’accusa difendibile di maltrattamenti cui è stato sottoposto da parte di agenti dello Stato, la nozione di «ricorso effettivo», ai sensi dell’articolo 13, implica, oltre al versamento di una indennità, laddove questa sia dovuta, delle indagini approfondite ed effettive idonee a condurre all’identificazione e alla punizione dei responsabili e che comportino un accesso effettivo del denunciante alla procedura di inchiesta (Aksoy, sopra citata, §§ 95 e 98; El Masri, sopra citata, § 255, e Al Nashiri, sopra citata, § 546 e i riferimenti ivi citati).
332. La Corte rammenta inoltre che le esigenze dell’articolo 13 vanno oltre l’obbligo che gli articoli 3 e 5 pongono a carico di uno Stato contraente di condurre un’inchiesta effettiva sulla scomparsa di una persona di cui è dimostrato che è detenuta in tale Stato e del cui benessere, di conseguenza, lo stesso Stato è responsabile (Kurt, sopra citata, § 140; El Masri, sopra citata, § 256; e Al Nashiri, sopra citata, § 548).
333. Per la Corte, tenuto conto della natura irreversibile del danno che può essere causato in caso di materializzazione del rischio di maltrattamenti e vista l’importanza che essa attribuisce all’articolo 3, la nozione di ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 richiede un esame indipendente e rigoroso di tutti i motivi di ricorso secondo i quali esistono seri motivi per credere all’esistenza di un rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 (Jabari c. Turchia, n. 40035/98, § 50, CEDU 2000-VIII). Questo esame non deve tenere conto di quanto l’interessato abbia potuto fare per giustificare una espulsione né della minaccia per la sicurezza nazionale eventualmente percepita dallo Stato che ordina l’espulsione (Chahal, sopra citata, § 151; El Masri, sopra citata, § 257; e Al Nashiri, sopra citata, § 549).

b) Applicazione di questi principi

334. La Corte ha stabilito che l’inchiesta condotta dalle autorità nazionali – la polizia, la procura e le autorità giudiziarie – che verteva sulle contestazioni, presentate dai ricorrenti, relative a restrizioni della loro libertà personale e lesioni della loro integrità fisica e psichica e della loro vita privata e famigliare è stata privata di qualsiasi effettività a causa dell’apposizione del segreto di Stato da parte dell’esecutivo (paragrafi 272-274 supra). Essa ha già concluso che sussisteva una responsabilità dello Stato convenuto per le violazioni accertate dei diritti di cui i ricorrenti sono titolari ai sensi degli articoli 3, 5 e 8 della Convenzione (paragrafi 274, 291, 303, 310, 320 e 326 supra). I motivi di ricorso presentati dagli interessati sotto il profilo di tali disposizioni erano dunque «difendibili» ai fini dell’articolo 13.
Di conseguenza, i ricorrenti avrebbero dovuto essere in grado, ai fini dell’articolo 13, di esercitare dei ricorsi concreti ed effettivi tali da permettere di individuare e punire i responsabili, di accertare la verità e di accordare una riparazione.
335. Per le ragioni esposte ai paragrafi 264-274 supra, non si può considerare che il procedimento penale abbia avuto, in fin dei conti, un carattere effettivo ai sensi dell’articolo 13, per quanto riguarda i motivi di ricorso presentati dal ricorrente sotto il profilo degli articoli 3, 5 e 8 della Convenzione (si vedano El Masri, sopra citata, § 259 e Al Nashiri, sopra citata, § 550).
336. Come il Governo stesso ammette, non era possibile utilizzare le prove coperte dal segreto di Stato e non era utile chiedere l’estradizione degli agenti americani condannati (paragrafi 258-259 supra).
Quanto alle conseguenze sul piano civile, come ha indicato ai paragrafi 206-208 supra, la Corte ha concluso che era praticamente escluso, nelle circostanze del caso di specie, che i ricorrenti avessero la possibilità di ottenere un risarcimento.
337. In definitiva, la Corte è portata a concludere che vi è stata violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3, 5 e 8 della Convenzione per quanto riguarda il ricorrente, e violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 8 della Convenzione per quanto riguarda la ricorrente.

X. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAI RICORRENTI

338. I ricorrenti lamentano che il procedimento condotto dalle autorità italiane non è stato equo a causa dell’apposizione del segreto di Stato e del non luogo pronunciato nei confronti degli agenti del SISMi. Essi sottolineano che, in questo modo, la possibilità di ottenere il risarcimento è stata ridotta a nulla.
339. Il Governo si oppone a questa tesi.
340. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.
341. La Corte ritiene tuttavia che questo motivo di ricorso sia unito a quello che i ricorrenti hanno basato sull’elemento procedurale dell’articolo 3 della Convenzione, in quanto riguarda soltanto un aspetto specifico dello svolgimento di un procedimento che, secondo la Corte, non risponde al criterio di effettività richiesto dalla Convenzione (paragrafi 264-274 supra).
342. In conclusione, la Corte ritiene che non sia opportuno esaminare questo motivo di ricorso separatamente sotto il profilo dell’articolo 6.

XI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

343. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
344. I ricorrenti, che disponevano di un termine che scadeva il 13 giugno 2012 per presentare le loro domande di equa soddisfazione, le hanno sottoposte il 13 giugno 2012.

A. Danno

345. I ricorrenti affermano che, a seguito della decisione dell’esecutivo di opporre il segreto di Stato nei confronti degli agenti italiani del SISMi e della posizione della Corte costituzionale a tale riguardo, essi sono stati privati della possibilità di intentare un’azione di risarcimento. In proposito, essi precisano che gli agenti americani beneficiano negli Stati Uniti dell’immunità. Quanto agli agenti italiani, il segreto di Stato opposto dall’esecutivo ostacolerebbe qualsiasi azione civile o penale.
346. Sottolineando l’enorme sofferenza che hanno patito e le ripercussioni che quest’ultima ha avuto sul piano fisico e psichico, i ricorrenti ritengono di avere subito un danno molto grave, il che sarebbe del resto confermato dagli importi delle provvisionali accordate loro dai giudici nazionali (paragrafi 117 e 139 supra), ossia 1.000.000 euro (EUR) per il ricorrente e 500.000 EUR per la ricorrente. Dinanzi alla Corte, il ricorrente chiede la somma di 10.000.000 EUR e la ricorrente la somma di 5.000.000 EUR.
347. Il Governo si oppone alle richieste dei ricorrenti, e afferma che le domande di equa soddisfazione non sono state depositate entro i termini fissati e, pertanto, non possono essere tenute in considerazione dalla Corte. Aggiunge che i ricorrenti non hanno precisato se le somme in questione siano richieste a titolo di danno materiale o morale. A suo parere, le richieste degli interessati non sono suffragate da elementi di prova e, in ogni caso, le loro pretese sono sproporzionate.
348. La Corte rileva che i ricorrenti non hanno specificato le loro pretese; essi hanno fatto riferimento soltanto all’enorme sofferenza alla quale sono stati confrontati e alle ripercussioni fisiche e psichiche da loro subite. Secondo la Corte, nel caso di specie deve essere preso in considerazione soltanto il danno morale.
A questo riguardo, essa considera che i ricorrenti hanno subito un danno morale certo dovuto alle violazioni constatate. Tenuto conto delle circostanze della causa e, in particolare, del fatto che le provvisionali accordate dai giudici nazionali non sono state loro versate, la Corte, deliberando in via equitativa, ritiene opportuno accordare al ricorrente la somma di 70.000 EUR e alla ricorrente la somma di 15.000 EUR a questo titolo, più l’importo dovuto a titolo di imposta.

B. Spese

349. I ricorrenti chiedono ciascuno la somma di 100.653 EUR, di cui 89.470 EUR a titolo di onorari, per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
350. Il Governo si oppone alle richieste dei ricorrenti e osserva che gli importi richiesti sono sproporzionati.
351. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte considera ragionevole la somma di 30.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte e la accorda congiuntamente ai ricorrenti.

C. Interessi moratori

352. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta le eccezioni sollevate dal Governo;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dei profili materiale e procedurale dell’articolo 3 della Convenzione in capo al ricorrente;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 5 della Convenzione per l’intero periodo di detenzione del ricorrente;
  5. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione in capo al ricorrente;
  6. Dichiara che vi è stata violazione dei profili materiale e procedurale dell’articolo 3 della Convenzione in capo alla ricorrente;
  7. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione in capo alla ricorrente;
  8. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con gli articoli 3, 5 e 8 della Convenzione in capo al ricorrente e violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 8 della Convenzione in capo alla ricorrente;
  9. Dichiara non doversi esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 della Convenzione;
  10. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 70.000 EUR (settantamila euro) al ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 15.000 EUR (quindicimila euro) alla ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. 30.000 EUR (trentamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  11. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 23 febbraio 2016, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere

George Nicolaou
Presidente