Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 gennaio 2016 - Ricorso n. 55744/09 - Duilio e Giuliana Rasman e Maria Albina Veliscek c. Italia

© Ministero della Giustizia, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e da Rita Carnevali, assistente linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 55744/09
Duilio e Giuliana RASMAN e Maria Albina VELISCEK

contro l’Italia

 


La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 26 gennaio 2016 in un comitato composto da:
Kristina Pardalos, presidente,
Paul Mahoney,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 13 ottobre 2009,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

  1. I ricorrenti, Duilio Rasman, Maria Albina Veliscek e Giuliana Rasman sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1930, 1938 e 1960 residenti a San Dorligo della Valle Dolina (Trieste). Dinanzi alla Corte sono rappresentati dall’avvocato Claudio De Filippi, del foro di Milano.

    Le circostanze del caso di specie
     
  2. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
  3. I ricorrenti sono rispettivamente i genitori e la sorella del sig. R.R., affetto, all’epoca dei fatti, da schizofrenia paranoide.
  4. Il 27 ottobre 2006 i vicini di R.R. chiamarono la polizia perché quest’ultimo era nudo su un balcone e, in forte stato di alterazione mentale, gettava dei petardi.
  5. Due poliziotti, Maurizio M. e G.D.B., si recarono sul posto. Dapprima tentarono di calmare R.R. comunicando con lui attraverso il balcone dei vicini e la porta del suo appartamento e chiedendogli di poter entrare.
  6. Poi, di fronte al rifiuto di R.R., i poliziotti chiamarono dei colleghi di rinforzo e i pompieri al fine di forzare la porta. Essi si rivolsero anche al centro di salute mentale del luogo chiedendo informazioni sullo stato di salute di R.R.
  7. Qualche minuto dopo arrivarono sul posto altri due poliziotti, Mauro M. e F.G.
  8. Prima che il centro di salute mentale informasse i poliziotti del fatto che R.R. era un loro paziente, considerato che quest’ultimo si rifiutava di aprire e di fronte alle minacce violente profferite nei loro confronti, gli agenti forzarono la porta. Aggrediti da R.R., i poliziotti lo immobilizzarono in seguito a una violenta colluttazione e gli legarono mani e piedi con del fil di ferro. A turno, e talvolta insieme, mentre R.R. era disteso pancia a terra, tre dei quattro poliziotti si posizionarono sul suo corpo appoggiandosi con le ginocchia e proseguirono questi atti anche dopo che l’uomo era stato immobilizzato. In stato di insufficienza respiratoria dovuta alla posizione ed alla pressione esercitata sulla sua schiena, R.R. morì per asfissia.
  9. I quattro poliziotti intervenuti nell’operazione furono rinviati a giudizio.
  10. Il procuratore della Repubblica richiese che Mauro M. e Maurizio M. fossero condannati alla pena di nove mesi di reclusione e che F.G. e G.D.B. fossero condannati a sei mesi di reclusione.
  11. I ricorrenti si costituirono parte civile nel processo. I poliziotti ottennero di poter beneficiare del giudizio abbreviato.
  12. Con sentenza del 29 gennaio 2009, il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Trieste condannò Mauro M, Maurizio M. e G.D.B. alla pena di sei mesi di reclusione, tenendo conto della riduzione della pena derivante dal beneficio del giudizio abbreviato nonché delle circostanze attenuanti, in quanto il casellario giudiziale degli imputati era vergine. In particolare il tribunale rilevò che gli agenti avevano agito nell’esercizio delle loro funzioni forzando la porta dell’appartamento allo scopo di evitare ulteriori comportamenti pericolosi di R.R. nei confronti di terze persone e di se stesso. In merito alla circostanza secondo la quale gli agenti avrebbero fatto irruzione nell’appartamento di R.R. prima di acquisire le informazioni sul suo stato di salute, il tribunale fece valere che dette informazioni, anche se fossero state acquisite, non avrebbero potuto influenzare il loro comportamento in alcun modo, visto che lo stato di alterazione di R.R. era evidente.
  13. Il tribunale constatò che l’appoggio sul corpo di R.R. mentre era disteso pancia a terra era durato più di cinque minuti, che quest’ultimo aveva già perduto molta energia nel corso della colluttazione con i quattro poliziotti e che era in uno stato di agitazione. Da ciò concluse che gli agenti avrebbero dovuto prevedere le conseguenze letali delle loro azioni.
  14. Il tribunale assolse infine F.G., risultando che quest’ultima era uscita dall’appartamento mentre era in corso l’immobilizzazione di R.R.
  15. Il tribunale condannò gli imputati al pagamento di 20.000 EUR in favore di ciascuna delle parti lese a titolo di provvisionale.
  16. Mauro M., Maurizio M., G.D.B. e i ricorrenti interposero appello. I ricorrenti chiesero la condanna di F.G. in ragione della sua responsabilità per omissione di soccorso nella presa in carico del loro parente. Inoltre essi sostennero che i poliziotti non avevano acquisito informazioni sullo stato di salute di R.R. prima del loro intervento e che nel caso di specie non si presentava nessuna circostanza di urgenza o di pericolo. L’irruzione nell’appartamento di R.R. era pertanto illegittima. I ricorrenti chiesero anche di aumentare la somma che in ambito civile era stata loro riconosciuta a titolo di provvisionale come risarcimento del danno subito.
  17. Con sentenza del 7 settembre 2010, la corte d’appello di Trieste confermò la sentenza di primo grado. Riguardo alla responsabilità penale di F.G., notò che quest’ultima non era stata rinviata a giudizio per la dedotta omissione di soccorso, pertanto questa parte della domanda era inammissibile. Per quanto riguarda il danno subito in ambito civile, la corte d’appello rilevò che la somma accordata era equa e che, comunque, i ricorrenti avrebbero potuto avviare un procedimento civile separato al fine di quantificare il danno subito. Per quanto riguarda il resto delle doglianze dei ricorrenti, la corte d’appello ripropose gli argomenti del tribunale di Trieste.
  18. I ricorrenti presentarono ricorso per cassazione riproponendo i motivi di ricorso sollevati dinanzi alla corte d’appello. La Corte di cassazione respinse il ricorso con sentenza depositata il 6 settembre 2012 che confermava gli argomenti esposti nelle decisioni di primo grado e in appello.

    MOTIVI DI RICORSO
     
  19. Nel formulario di ricorso, presentato dopo la sentenza di primo grado, i ricorrenti lamentavano la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione.
  20. Essi affermavano che le indagini erano state condotte in maniera superficiale e che il tribunale avrebbe dovuto valutare in maniera diversa alcuni elementi risultanti dall’inchiesta, in particolare la circostanza che gli agenti di polizia non avevano acquisito informazioni sullo stato di salute di R.R prima del loro intervento e che nel caso di specie non sussisteva alcuna circostanza di urgenza o di pericolo.
  21. Inoltre, secondo i ricorrenti, «alcuni testimoni» erano stati sentiti direttamente dagli agenti di polizia autori dei fatti.
  22. Essi denunciarono anche il fatto che le pene alle quali gli agenti di polizia erano stati condannati erano troppo lievi tenuto conto dei fatti di causa, e che anche F.G. avrebbe dovuto essere condannata.
  23. Su richiesta della cancelleria il 15 ottobre 2014 allo scopo di ottenere un aggiornamento dei fatti di causa, i ricorrenti inviarono vari documenti relativi allo svolgimento del procedimento, ossia le sentenze della corte d’appello e della Corte di cassazione. Tuttavia, essi omisero di formulare, anche in maniera sintetica, le loro doglianze con riguardo alle fasi successive del procedimento interno.

    IN DIRITTO
  24. I ricorrenti denunciano, sotto vari profili, il procedimento penale avviato a seguito del decesso del loro parente. Invocano a questo titolo gli articoli 2 e 3 della Convenzione.
  25. Libera di qualificare giuridicamente i fatti di causa (Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil des arrêts et décisions 1998 I), la Corte ritiene che questo ricorso debba essere analizzato unicamente dal punto di vista del profilo procedurale dell’articolo 2 della Convenzione. Nelle parti pertinenti, tale disposizione recita:
    «1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. (...)»
  26. La Corte rammenta che, considerato il loro carattere sostanziale, gli articoli 2 e 3 della Convenzione contengono un obbligo procedurale di condurre un’inchiesta effettiva per quanto riguarda le dedotte violazioni dell’elemento materiale di tali disposizioni (Ergi c. Turchia, 28 luglio 1998, § 82, Recueil 1998 IV, Assenov e altri c. Bulgaria, 28 ottobre 1998, §§ 101 106, Recueil 1998 VIII, e Mastromatteo c. Italia [GC], n. 37703/97, § 89, CEDU 2002 VIII e Giuliani e Gaggio c. Italia [GC], n.23458/02, § 298, CEDU 2011 (estratti)). In effetti, una legge che vieta in maniera generale agli agenti dello Stato di procedere ad omicidi arbitrari sarebbe in pratica inefficace se non esistesse una procedura che permetta di controllare la legalità del ricorso alla forza omicida da parte delle autorità dello Stato. L’obbligo di proteggere il diritto alla vita che impone tale disposizione, in combinato disposto con il dovere generale che incombe allo Stato in virtù dell’articolo 1 della Convenzione di «riconosce[re] a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà enunciati [nel]la Convenzione», implica ed esige che sia condotta una forma di inchiesta efficace quando il ricorso alla forza, in particolare da parte di agenti dello Stato, ha comportato la morte di un uomo (McCann e altri c. Regno Unito, 27 settembre 1995, § 161, serie A n. 324).
  27. Inoltre, l’inchiesta deve essere effettiva nel senso che deve permettere di determinare se il ricorso alla forza fosse giustificato o meno nelle circostanze del caso (si veda, ad esempio, Kaya c. Turchia, 19 febbraio 1998, § 87, Recueil 1998-I) nonché di identificare e – se del caso – sanzionare i responsabili (Oğur c. Turchia ([GC], n. 21594/93, § 88, CEDU 1999 III). Non si tratta di un obbligo di risultato, ma di mezzi.
  28. Venendo al caso di specie, la Corte constata che i ricorrenti mettono in discussione soprattutto la sentenza resa in primo grado.
  29. Pur definendo l’inchiesta «superficiale», i ricorrenti non indicano alcuna lacuna o ritardo nello svolgimento della stessa.
  30. Per quanto riguarda la fase giurisdizionale, la Corte osserva anzitutto che, al momento dell’invio dei documenti chiesti dalla cancelleria riguardanti gli sviluppi del procedimento successivi alla sentenza di primo grado, i ricorrenti hanno omesso di formulare, anche in maniera sintetica, le loro doglianze tenuto conto della fase del procedimento successiva alla sentenza di primo grado.
  31. Anche a voler supporre che i motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti rispetto al procedimento di primo grado possano essere riproposti al procedimento di appello e in cassazione, la Corte osserva in ogni caso che il ricorso è irricevibile per i motivi seguenti.
  32. Essa osserva anzitutto che nel caso di specie permangono dei dubbi circa la qualità di vittime dei ricorrenti. Il procedimento penale da essi intentato si è infatti concluso con la condanna degli imputati e questi ultimi hanno ottenuto una somma a titolo di provvisionale per la riparazione dei danni subiti in sede civile (Göktepe c. Turchia (dec.), n. 64731/01, 26 aprile 2005). I ricorrenti avrebbero anche potuto intentare un’azione civile separata allo scopo di ottenere la quantificazione definitiva del danno. Questi ultimi tuttavia non hanno fornito informazioni in merito ad una tale procedura.
  33. Per quanto riguarda gli aspetti specifici del procedimento penale denunciati dai ricorrenti, la Corte osserva quanto segue. Quanto alla dedotta necessità di acquisire informazioni sullo stato di salute di R.R prima dell’intervento degli agenti, con la sua sentenza del 7 ottobre 2010, confermata dalle sentenze di appello e di cassazione, il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Trieste ha osservato che le informazioni in questione, benché acquisite, non avrebbero potuto influenzare in alcun modo il comportamento degli agenti, dato che lo stato di alterazione di R.R. era evidente. Non vi sono elementi che permettano alla Corte di discostarsi da questa conclusione.
  34. Inoltre, la Corte osserva che la circostanza che «alcuni testimoni», la cui identità del resto non è stata precisata, sarebbero stati sentiti direttamente dagli agenti di polizia autori dei fatti, non è stata provata (si veda, a contrario, Scavuzzo-Hager e altri c. Svizzera, n. 41773/98, §§ 81 82, 7 febbraio 2006).
  35. Quanto al carattere presumibilmente troppo lieve della pena applicata a tre dei coimputati e all’assoluzione di F.G., la Corte osserva che Mauro M., Maurizio M. e G.D.B., avendo ottenuto di poter beneficiare del giudizio abbreviato che comporta la riduzione di un terzo della pena principale, nonché delle circostanze attenuanti, sono stati condannati a una pena di sei mesi di reclusione e al pagamento di 20.000 EUR in favore di ciascuna delle vittime a titolo di provvisionale. Inoltre, F.G. è stata assolta in quanto non era presente nell’appartamento nel momento in cui R.R. era stato immobilizzato.
  36. Alla luce di queste considerazioni la Corte ritiene che le decisioni interne siano state debitamente motivate e non siano arbitrarie. Inoltre, non vi sono elementi che permettano di concludere che, nella fattispecie, le indagini condotte dalle autorità nazionali mancassero della effettività richiesta dall’articolo 2 della Convenzione.
  37. Questo ricorso deve pertanto essere rigettato in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 18 febbraio 2016.

André Wampach
Cancelliere aggiunto

Kristina Pardalos
Presidente