Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'8 dicembre 2015 - Ricorsi 63426/13 - Mihail-Alin Podoleanu c. Italia

© Ministero della Giustizia, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 63426/13
Mihail-Alin PODOLEANU

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita l’8 dicembre 2015 in una Camera composta da:

Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
Guido Raimondi,
Kristina Pardalos,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Paul Mahoney,
Aleš Pejchal,
Robert Spano, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 12 agosto 2013,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

  1. Il ricorrente, sig. Mihail-Alin Podoleanu, è un cittadino rumeno nato nel 1988 e attualmente detenuto nell’istituto penitenziario di Milano. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. A. Baldi, del foro di Tortona (Alessandria).

    A. Le circostanze del caso di specie
     
  2. I fatti di causa, come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.
  3. Il ricorrente fu accusato di varie rapine a mano armata e sottoposto a custodia cautelare.

    1. Il procedimento di primo grado per la rapina a mano armata commessa a Bereguardo
     
  4. Uno di questi procedimenti riguardava i reati di rapina aggravata, sequestro di persona e porto d’armi illegale, che il ricorrente avrebbe commesso il 30 gennaio 2010 nel comune di Bereguardo (Pavia) in concorso con un certo X e un’altra persona.
  5. Il 4 giugno 2010, su richiesta della procura, il giudice per le indagini preliminari (di seguito il «GIP») di Pavia adottò il cosiddetto giudizio immediato, una procedura semplificata che, ai sensi dell’articolo 453 del codice di procedura penale (di seguito il «CPP»), può essere applicata quando la prova [della commissione del reato] appare evidente.
  6. Il 22 giugno 2010 il ricorrente chiese di essere giudicato secondo il giudizio abbreviato, una procedura semplificata che comporta, in caso di condanna, una riduzione di pena. Tale procedura si basa sull’ipotesi che la causa possa essere decisa allo stato degli atti all’udienza preliminare; in linea di principio, le parti devono basare le loro arringhe sui documenti presenti nel fascicolo della procura (paragrafi 26-27 infra).
  7. Il 24 giugno 2010 la procura interrogò X. Quest’ultimo ammise la propria colpevolezza con riguardo ai fatti a lui ascritti e fece delle dichiarazioni accusatorie a carico dei suoi coimputati, tra i quali il ricorrente. Lo stesso giorno la procura trasmise il verbale di tale interrogatorio alla cancelleria del GIP di Pavia.
  8. Il 16 luglio 2010 si tenne un’udienza in camera di consiglio dinanzi al GIP di Pavia. In tale occasione, l’avvocato del ricorrente osservò che la procura aveva prodotto del materiale probatorio, ossia il verbale dell’interrogatorio di X, dopo il deposito della richiesta di giudizio abbreviato del suo cliente. Poiché tale procedura si caratterizzava per una decisione «allo stato degli atti», l’avvocato del ricorrente chiese che il materiale prodotto tardivamente dalla procura non fosse utilizzato per decidere sulla fondatezza delle accuse.
  9. Con una ordinanza resa il 16 luglio 2010 il GIP di Pavia rigettò la domanda dell’avvocato del ricorrente, osservando che il ritardo con il quale era stato effettuato l’interrogatorio in questione non era dovuto a una negligenza della procura, ma alla circostanza che X aveva chiesto di essere sentito solo il 9 giugno 2010. Peraltro, l’udienza preliminare era stata fissata solo nel luglio 2010; secondo il GIP, solo a partire da quest’ultima data la domanda di adozione del giudizio abbreviato del ricorrente poteva essere considerata ammissibile.
  10. Il GIP osservò inoltre che il ricorrente aveva chiesto l’adozione del giudizio abbreviato senza essere a conoscenza dell’interrogatorio di X, la cui importanza ai fini della decisione sulla colpevolezza dell’imputato era «evidente». Se avesse visto tale documento, il ricorrente avrebbe potuto scegliere una strategia difensiva diversa. Di conseguenza, il termine per la presentazione, da parte del ricorrente, di eventuali domande di adozione del giudizio abbreviato o di applicazione di una pena negoziata con il pubblico ministero doveva necessariamente essere riaperto fino al 3 settembre 2010.
  11. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 16 luglio 2010. Non presentò dinanzi al GIP nessuna nuova richiesta di adozione del giudizio abbreviato o di altre procedure semplificate.
  12. L’udienza preliminare si tenne il 9 settembre 2010. In tale occasione il GIP applicò a X la pena di due anni e due mesi di reclusione, che l’interessato aveva patteggiato con la procura.
  13. Con una sentenza resa il 9 settembre 2010, depositata il 14 settembre 2010, il GIP di Pavia condannò il ricorrente a una pena di dieci anni di reclusione e 1.665 euro (EUR) di multa.
  14. Il GIP osservò che, a carico del ricorrente, gravavano gli elementi seguenti: - le dichiarazioni della coppia che è stata vittima della rapina a mano armata, perpetrata da tre uomini incappucciati; - la circostanza che, durante un controllo di polizia, erano stati trovati del nastro adesivo, dei guanti e un passamontagna all’interno dell’automobile del ricorrente; - il fatto che il 9 febbraio 2010 il ricorrente e X erano stati arrestati in flagranza di reato durante la perpetrazione, con modalità simili, di un’altra rapina a mano armata; - il fatto che il ricorrente aveva ammesso la propria colpevolezza per quanto riguarda la rapina a mano armata del 9 febbraio 2010 e altri due episodi simili; - le circostanze che, il 30 gennaio 2010, il cellulare del ricorrente si trovasse nel comune di Bereguardo, e che, poco prima della perpetrazione della rapina a mano armata, l’interessato e X si erano scambiati delle telefonate. Secondo il GIP, questi gravi indizi erano «definitivamente confermati» dalle dichiarazioni fatte da X dinanzi al pubblico ministero il 24 giugno 2010. In tale occasione, fornendo dettagli precisi e attendibili, X aveva ammesso la propria responsabilità per la rapina a mano armata di Bereguardo e aveva affermato di agire in concorso con il ricorrente e una terza persona.
  15. Era vero che il ricorrente ammetteva la propria colpevolezza per altre rapine a mano armata, ma non per quella di Bereguardo. Tuttavia, ciò si poteva spiegare con il fatto che, probabilmente, egli considerava che gli indizi a suo carico fossero insufficienti e sperava di poter ottenere un’assoluzione. Del resto, il GIP osservò che i fatti erano gravissimi, che erano stati commessi in danno di una coppia anziana e che la violenza perpetrata era andata ben oltre quanto necessario per intimidire le vittime. Peraltro, il ricorrente non aveva mostrato alcun segno di pentimento, il che impediva di accordargli il beneficio delle circostanze attenuanti. La pena doveva dunque essere fissata nella misura di quindici anni di reclusione e 2.500 EUR di multa. Tale pena doveva essere ridotta di un terzo (e dunque diminuita a dieci anni di reclusione e 1.665 EUR di multa) in quanto il ricorrente aveva optato per il giudizio abbreviato.

    2. L’appello
     
  16. Il ricorrente interpose appello avverso la sua condanna.
  17. L’11 gennaio 2011, mentre il procedimento di appello era pendente, la Corte di cassazione accolse il ricorso del ricorrente (paragrafo 11 supra) e annullò l’ordinanza del 16 luglio 2010.
  18. La Corte di cassazione osservò che l’ordinanza in questione aveva implicitamente revocato l’ammissione del ricorrente al giudizio abbreviato, facendo in tal modo regredire il procedimento a uno stadio anteriore, cosa che, secondo la giurisprudenza dell’Alta giurisdizione italiana, non era permessa. L’ordinanza del GIP era illegittima anche perché violava il principio secondo il quale le scelte di procedura, anche se fatte in maniera unilaterale, erano irrevocabili. Ora, se il ricorrente non poteva revocare la sua domanda di essere giudicato secondo il rito abbreviato, lo stesso divieto si applicava al giudice, che non poteva invitare l’imputato a tornare sulla sua scelta.
  19. Il 30 settembre 2011 si tenne un’udienza dinanzi alla corte d’appello di Milano. In tale occasione la procura chiese una nuova audizione di X. Il ricorrente non si oppose alla richiesta, e X fu sentito all’udienza del 28 novembre 2011 in presenza del ricorrente e dei rappresentanti delle parti. La difesa ebbe l’occasione di porre delle domande al testimone.
  20. Con una sentenza resa il 28 novembre 2011, il cui testo fu depositato il 27 dicembre 2011, la corte d’appello di Milano confermò la condanna inflitta al ricorrente dal GIP di Pavia.
  21. La corte d’appello osservò che il ricorrente affermava che l’interrogatorio di X del 24 giugno 2010 non poteva essere utilizzato nei suoi confronti. Al riguardo, egli invocava, tra l’altro, la sentenza della Corte di cassazione dell’11 gennaio 2011 (paragrafi 17-18 supra). Tuttavia, il testimone in questione era stato interrogato all’udienza del 28 novembre 2011 (paragrafo 19 supra), e aveva confermato di avere commesso la rapina a mano armata di Bereguardo in concorso con il ricorrente e un’altra persona. Del resto, la corte d’appello ritenne che gli elementi a carico indicati dal GIP di Pavia (paragrafo 14 supra) permettessero di provare la colpevolezza del ricorrente al di là di ogni ragionevole dubbio.

    3. Il ricorso per cassazione
     
  22. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione, affermando che l’annullamento, da parte della Corte di cassazione, dell’ordinanza del 16 luglio 2010, aveva determinato una regressione del procedimento dinanzi al GIP, il che implicava la nullità della condanna pronunciata nei suoi confronti. Secondo il ricorrente, la decisione della corte d’appello di ordinare una nuova audizione di X non poteva rimediare ai vizi di procedura che si erano verificati in primo grado. Peraltro, i giudici di appello non avevano tenuto debitamente conto delle contraddizioni nelle quali era incorso X durante l’interrogatorio del 28 novembre 2011.
  23. Con una sentenza resa il 20 febbraio 2013, depositata il 20 giugno 2013, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente.
  24. La Corte di cassazione osservò che la sua sentenza dell’11 gennaio 2011 (paragrafi 17-18 supra) riguardava soltanto la revoca implicita dell’accettazione della domanda di giudizio abbreviato del ricorrente. In compenso, quest’altra sentenza non esaminava la legittimità dell’acquisizione al fascicolo dibattimentale dell’interrogatorio di X del 24 giugno 2010. Successivamente, il processo si era correttamente svolto secondo le regole del rito abbreviato, e non era ravvisabile alcuna nullità.
  25. Del resto, il ricorrente lamentava le modalità dell’audizione di X in appello, senza tuttavia indicare le disposizioni che sarebbero state violate e i diritti specifici della difesa che non sarebbero stati rispettati. La Corte di cassazione sottolineò che l’esame in contraddittorio di un testimone al dibattimento era il momento determinante per far notare le eventuali lacune della sua testimonianza.

    B. Il diritto interno pertinente

    1. Il giudizio abbreviato
     
  26. Il giudizio abbreviato è disciplinato dagli articoli 438 e 441 – 443 del CPP, e si basa sull’ipotesi che la causa possa essere definita allo stato degli atti all’udienza preliminare. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano state formulate le conclusioni all’udienza preliminare. In caso di adozione del giudizio abbreviato, l’udienza si svolge in camera di consiglio ed è dedicata alle arringhe delle parti. In linea di principio, le parti devono basarsi sugli atti presenti nel fascicolo del pubblico ministero anche se, in via eccezionale, possono essere ammesse prove orali. In particolare, l’articolo 438 c. 5 del CPP prevede che:
    «L'imputato (…) può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria. (…).»
  27. Se il giudice decide di condannare l’imputato, la pena inflitta è ridotta di un terzo (articolo 442 c. 2). Le disposizioni interne pertinenti sono descritte nella sentenza Hermi c. Italia ([GC], n. 18114/02, §§ 27-28, CEDU 2006 XII; si vedano anche Fera c. Italia, n. 45057/98, §§ 30-34, 21 aprile 2005, e Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 27-28, 17 settembre 2009).

    2. Il reato «continuato»
     
  28. L’articolo 81 c. 2 del codice penale (il «CP»), prevede delle disposizioni particolari per la determinazione della pena per i reati cosiddetti «continuati». In particolare, si applica la «pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo» a chi «chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge».
  29. Per degli elementi di diritto internazionale e comparato (anche di diritto italiano) in materia di reato «continuato», si veda Rohlena c. Repubblica Ceca [GC], n. 59552/08, §§ 28-40, 27 gennaio 2015.

    MOTIVI DI RICORSO
     
  30. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta una mancanza di equità del procedimento penale intentato a suo carico e una mancanza di imparzialità da parte dei giudici nazionali.
  31. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta di non avere potuto disporre, nel diritto italiano, di un ricorso effettivo per far valere i suoi motivi di ricorso relativi all’articolo 6.

    IN DIRITTO

    A. Motivi di ricorso relativi all’articolo 6 della Convenzione
     
  32. Il ricorrente considera che il procedimento penale intentato nei suoi confronti non sia stato equo e che i giudici nazionali non fossero imparziali.
    Invoca l’articolo 6 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
    «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale indipendente e imparziale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (...).
    2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
    3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:
    (...) ;
    d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
    (...).»
  33. La Corte rammenta che le esigenze dei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 6 della Convenzione rappresentano degli aspetti particolari del diritto a un processo equo sancito dal paragrafo 1 di tale disposizione (si vedano, tra molte altre, Allenet de Ribemont c. Francia, 10 febbraio 1995, § 35, serie A n. 308; Van Geyseghem c. Belgio [GC], n. 26103/95, § 27, CEDU 1999-I; e Fatullayev c. Azerbaijan, n. 40984/07, § 159, 22 aprile 2010). Pertanto, essa esaminerà le doglianze del ricorrente dal punto di vista del combinato disposto di questi due testi.
  34. La Corte rammenta anche che, quando esamina un motivo di ricorso relativo all’articolo 6 della Convenzione, deve in sostanza cercare di stabilire se il procedimento penale abbia rivestito un carattere equo (Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, § 84, CEDU 2010). Per farlo, essa deve esaminare il procedimento nella sua totalità.
  35. Nella presente causa, la Corte ritiene necessario esaminare anzitutto le diverse doglianze del ricorrente separatamente e procedere poi a una considerazione complessiva del procedimento (si veda, mutatis mutandis e ad esempio, Sampech c. Italia (dec.), n. 55546/09, § 73, 19 maggio 2015).

    1. Il motivo di ricorso relativo all’utilizzo dell’interrogatorio di X del 24 giugno 2010
     
  36. Il ricorrente afferma in primo luogo che l’inclusione nel fascicolo dibattimentale di un atto (l’interrogatorio di X) compiuto dopo la presentazione della sua domanda di essere ammesso al giudizio abbreviato ha pregiudicato l’imparzialità dei tribunali nazionali. A questo riguardo, egli osserva che ancor prima di esaminare il fascicolo, nella sua ordinanza del 16 luglio 2010, il GIP di Pavia aveva indicato che l’importanza dell’interrogatorio di X per la decisione sulla colpevolezza dell’imputato era «evidente» (paragrafo 10 supra).
  37. Il ricorrente osserva inoltre che la sua condanna in primo grado si basava, in misura determinante, sulle dichiarazioni di X, un testimone che egli non aveva potuto interrogare o far interrogare. Nell’ambito del procedimento di appello, in cui X è stato interrogato tenendo conto delle sue dichiarazioni precedenti, non si sarebbe posto rimedio a questo inconveniente. Le sue affermazioni, inoltre, sarebbero state valutate in maniera unilaterale e nell’ottica di condannare il ricorrente, il che avrebbe comportato una violazione del principio della presunzione di innocenza.
  38. La Corte rammenta anzitutto che l’ammissibilità delle prove è di competenza delle norme di diritto interno e dei giudici nazionali (Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 162, CEDU 2010, con i riferimenti ivi citati). Inoltre, essa non ha il compito di esaminare gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione nazionale, salvo se e nella misura in cui tali errori possano aver pregiudicato i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione (García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I, e Khan c. Regno Unito-Uni, n. 35394/97, § 34, CEDU 2000-V), e che, in linea di principio, sono i giudici interni a dover valutare i fatti e interpretare e applicare il diritto interno (Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 62, 20 novembre 2012, e Plesic c. Italia (dec.), n. 16065/09, § 33, 2 luglio 2013). Il compito della Corte non consiste nello stabilire se alcuni elementi di prova siano stati ottenuti illegittimamente ma nell’esaminare se tale «illegittimità» abbia comportato la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione (si vedano, tra molte altre, Ramanauskas c. Lituania [GC], n. 74420/01, § 52, CEDU 2008; Sepil c. Turchia, n. 17711/07, § 30, 12 novembre 2013; e Sampech, decisione sopra citata, § 98).
  39. La Corte non è dunque chiamata a pronunciarsi sulla regolarità, nel diritto italiano, dell’utilizzo del verbale di interrogatorio di X del 24 giugno 2010 o delle modalità di audizione di questo stesso testimone in appello. Essa deve invece verificare se il procedimento penale condotto contro il ricorrente sia stato equo (si vedano, tra molte altre, Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, del 23 aprile 1997, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1997-III), verificando se gli effetti degli atti in discussione abbiano pregiudicato i diritti della difesa al punto di violare l’articolo 6 della Convenzione.
  40. Ora, nel caso di specie il ricorrente ha avuto l’opportunità di far interrogare X per il tramite del suo rappresentante all’udienza del 28 novembre 2011, tenuta dinanzi alla corte d’appello di Milano. Nulla fa pensare che siano state imposte restrizioni all’avvocato del ricorrente per quanto riguarda le domande che egli desiderava porre al testimone in questione. La difesa, dunque, ha beneficiato del diritto a un esame in contraddittorio dell’elemento di prova a carico costituito dalle dichiarazioni di X. Al riguardo, conviene anche osservare che il ricorrente non si è opposto all’audizione di X richiesta dalla procura in appello (paragrafo 19 supra).
  41. La Corte osserva per di più che, nella fattispecie, il ricorrente ha chiesto e ottenuto di essere giudicato secondo il rito abbreviato. Questa procedura presenta dei vantaggi innegabili per l’imputato: in caso di condanna, quest’ultimo beneficia di una importante riduzione della pena e la procura non può interporre appello avverso le sentenze di condanna che non modificano la qualificazione giuridica del reato (Hermi, sopra citata, § 78; Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 6 novembre 2007; e Scoppola (n. 2), sopra citata, § 134). Tuttavia, il rito abbreviato è accompagnato da un’attenuazione delle garanzie procedurali offerte dal diritto interno, in particolare per quanto riguarda la pubblicità del dibattimento, la possibilità di chiedere la produzione di elementi di prova e di ottenere la convocazione dei testimoni (Kwiatkowska c. Italia (dec.), n. 52868/99, 30 novembre 2000). In effetti, nell’ambito del rito abbreviato, la produzione di nuove prove in linea di principio è esclusa e la decisione deve essere presa, salvo eccezioni, sulla base dei documenti presenti nel fascicolo del pubblico ministero (Hermi, sopra citata, § 87).
  42. La Corte rammenta che, se è vero che gli Stati contraenti non sono costretti dalla Convenzione a prevedere delle procedure semplificate (Hany, decisione sopra citata), rimane comunque il fatto che, quando tali procedure esistono e vengono adottate, i principi del processo equo impongono di non privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi ad esse connessi (Scoppola (n. 2), sopra citata, § 139).
  43. La Corte è del parere che, nel caso di specie, il ricorrente non abbia subito una privazione di questo tipo. In effetti, non solo il GIP di Pavia ha applicato la riduzione di pena derivante dalla scelta processuale dell’imputato (paragrafo 15 supra), ma, nonostante egli abbia implicitamente rinunciato al diritto di interrogare i testimoni a carico (paragrafo 41 supra), la difesa ha avuto l’opportunità di porre delle domande a X durante l’udienza del 28 novembre 2011 (paragrafo 40 supra; si veda anche, a contrario, la sentenza resa nella causa Scoppola (n. 2), sopra citata, §§ 134-144, in cui la Corte ha concluso che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione in quanto il ricorrente era stato privato di un beneficio fondamentale sancito dalla legge e che era all’origine della sua scelta di essere giudicato secondo il rito abbreviato, ossia la non applicazione della pena dell’ergastolo).
  44. Per quanto riguarda le accuse del ricorrente relative a una mancanza di imparzialità dei giudici nazionali, la Corte osserva che non vi sono elementi nel fascicolo dai quali risulti un partito preso da parte dei tribunali nazionali. L’affermazione del GIP secondo la quale l’importanza dell’interrogatorio di X era «evidente» costituisce, secondo la Corte, un semplice apprezzamento della potenziale forza probatoria di uno degli elementi di prova a carico versati agli atti, e non contiene alcuna anticipazione in merito alla credibilità che avrebbe potuto essere attribuita al testimone in questione.
  45. Infine la Corte non rileva alcuna apparenza di violazione del principio della presunzione di innocenza, in quanto il ricorrente non è mai stato presentato come colpevole prima che fosse pronunciata la sua condanna (si veda, mutatis mutandis e a fortiori, Marziano c. Italia, n. 45313/99, §§ 28-32, 28 novembre 2002).
  46. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    2. Motivo di ricorso relativo alla dedotta impossibilità di invocare le disposizioni in materia di reato «continuato»
     
  47. Il ricorrente lamenta inoltre di non avere potuto invocare le disposizioni in materia di reato «continuato» (paragrafo 28 supra) dinanzi ai giudici di merito, dato che la rapina a mano armata di Bereguardo è stata giudicata separatamente dalle altre rapine a mano armata a lui ascritte. In effetti, il pubblico ministero ha deciso di procedere dinanzi a giudici diversi per fatti analoghi che, secondo il ricorrente, erano legati da un medesimo «disegno criminoso ». Ciò ha portato a infliggere più pene invece di una pena unica, e avrebbe reso a posteriori inefficace e pregiudizievole la scelta dell’imputato di essere giudicato secondo il rito abbreviato.
  48. Il ricorrente riconosce che potrà chiedere l’applicazione dell’articolo 81 c. 2 del CP nella fase dell’esecuzione. Tuttavia, in quest’ultima fase, il reato «più grave» sarebbe determinato non rispetto ai fatti delittuosi ma in funzione della pena che è stata inflitta dal giudice di merito. Ora, nella fattispecie, la condanna che gli è stata inflitta per l’episodio di Bereguardo lo avrebbe sanzionato per le sue scelte processuali e per avere esercitato il suo diritto di rimanere in silenzio. Si tratta della «più grave» delle condanne che gli sono state inflitte per le nove rapine a mano armata di cui è stato giudicato colpevole. Il ricorrente sottolinea anche di essere stato condannato a dieci anni di reclusione, mentre il suo presunto complice X ha ottenuto una pena negoziata di due anni e due mesi di reclusione (paragrafo 12 supra).
  49. Per quanto riguarda quest’ultimo punto la Corte osserva che, a differenza del ricorrente, X ha deciso di ammettere la propria colpevolezza per la rapina a mano armata commessa a Bereguardo e ha aiutato le autorità a identificare i suoi complici. Inoltre, ha scelto di patteggiare una pena con il pubblico ministero. La sua situazione sembra dunque diversa da quella del ricorrente. In ogni caso, il fatto che altre persone siano state trattate con maggiore indulgenza non implica necessariamente che la pena inflitta al ricorrente fosse arbitraria o manifestamente sproporzionata (si veda, mutatis mutandis e nell’ambito dell’articolo 11 della Convenzione, Kudrevičius e altri c. Lituania [GC], n. 37553/05, § 181, 15 ottobre 2015).
  50. La Corte osserva ancora che le doglianze del ricorrente riguardano il fatto che le numerose rapine a mano armata di cui era accusato sono state giudicate separatamente, il che gli avrebbe impedito di invocare le disposizioni in materia di reato «continuato» dinanzi ai giudici di merito. Ciò sarebbe dovuto alle scelte operate dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari.
  51. La Corte rammenta che, se l’articolo 6 ha come finalità principale, sotto il profilo penale, di assicurare un processo equo dinanzi a un «tribunale» competente per decidere sulla «fondatezza dell’accusa», da questo non deriva che tale disposizione non contempli le fasi precedenti alla fase del giudizio. Perciò l’articolo 6 – soprattutto il paragrafo 3 dello stesso – può svolgere un ruolo prima che venga adito il giudice di merito se, e nella misura in cui, la sua inosservanza iniziale rischi di compromettere gravemente l’equità del processo (Imbrioscia c. Svizzera, 24 novembre 1993, § 36, serie A n. 27, e Salduz c. Turchia [GC], n. 36391/02, § 50, CEDU 2008).
  52. Nella fattispecie, la Corte non vede in che modo la scelta della procura di procedere separatamente per i diversi episodi di rapina a mano armata di cui il ricorrente era sospettato abbia potuto recare pregiudizio ai diritti della difesa e compromettere l’equità globale del procedimento. Peraltro, essa ha appena concluso che l’interessato non è stato privato dei benefici inerenti al giudizio abbreviato e che ha avuto una opportunità sufficiente di far interrogare il suo principale accusatore, X (paragrafi 40 e 43 supra). È opportuno osservare inoltre che il ricorrente è stato accusato di reati commessi in momenti e luoghi diversi. La sola circostanza che si trattasse di reati dello stesso tipo non implica che la Corte possa censurare in qualsiasi modo la scelta della procura di procedere separatamente per tali fatti.
  53. Ad abundantiam, la Corte osserva che l’interessato stesso ammette che potrà chiedere l’applicazione della sanzione per il reato «continuato» nella fase dell’esecuzione delle pene che gli sono state inflitte. L’affermazione dell’interessato, secondo la quale il trattamento che potrebbe ottenere in questa ultima fase sarebbe meno favorevole (paragrafo 48 supra), è di carattere puramente speculativo.
  54. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    3. Conclusione
     
  55. La Corte ha esaminato le diverse affermazioni del ricorrente con riguardo a una dedotta mancanza di equità del suo processo e a una presunta violazione del principio della presunzione di innocenza, senza rilevare alcuna apparenza di violazione dei diritti sanciti dall’articolo 6 della Convenzione. Pertanto, essa non può che giungere alla conclusione che, considerato nella sua totalità, il procedimento penale in questione è stato equo.
  56. Di conseguenza, tutti i motivi di ricorso relativi all’articolo 6 della Convenzione sono manifestamente infondati e devono essere rigettati in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    B. Motivo di ricorso relativo all’articolo 13 della Convenzione
     
  57. Il ricorrente ritiene di non avere potuto disporre di un ricorso effettivo per far valere le sue doglianze relative all’articolo 6, e considera che il suo appello e il suo ricorso per cassazione siano stati rigettati a causa della presenza illegittima, nel fascicolo del giudice, dell’interrogatorio di X, che avrebbe condizionato i giudici interessati.
    L’interessato invoca l’articolo 13 della Convenzione, che recita:
    «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
  58. La Corte osserva che il ricorrente ha avuto la possibilità, di cui si è avvalso, di interporre appello e di presentare ricorso per cassazione avverso la sua condanna da parte del GIP di Pavia. Inoltre, ha presentato ricorso per cassazione contro l’ordinanza del GIP del 16 luglio 2010, con la quale era stata rigettata la sua opposizione all’uso dell’interrogatorio di X del 24 giugno 2010 (paragrafi 9-11 supra). Nell’ambito di questi ricorsi, il ricorrente ha potuto sollevare tutte le eccezioni da lui ritenute utili per quanto riguarda la presenza, secondo lui illegittima, dell’interrogatorio in questione nel fascicolo del giudice. È vero che, alla fine, la corte d’appello e la Corte di cassazione hanno ritenuto che l’acquisizione del verbale di questo interrogatorio non comportasse alcuna nullità. Tuttavia, l’efficacia di un ricorso, ai fini dell’articolo 13 della Convenzione, non dipende dalla certezza di un esito favorevole (si veda, tra molte altre, Pine Valley Developments Ltd e altri c. Irlanda, 29 novembre 1991, § 66, serie A n. 222).
  59. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 14 gennaio 2016.

André Wampach
Cancelliere aggiunto

Mirjana Lazarova Trajkovska
Presidente