Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 8 dicembre 2015 - Ricorso n. 34376/13 - Luigi Monaco c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dal Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 34376/13

Luigi MONACO
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita l’8 dicembre 2015 in una camera composta da:

Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Paul Mahoney,
Aleš Pejchal,
Armen Harutyunyan, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra citato presentato il 21 maggio 2013,

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

  1. Il ricorrente, signor Luigi Monaco, è un cittadino italiano nato nel 1982 e residente a Napoli. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. G. Pasquariello, del foro di Caserta.

    A. Le circostanze del caso di specie
     
  2. I fatti di causa, così come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.

    1. La condotta del ricorrente e l’adozione del primo decreto del rettore
     
  3. Nel febbraio 2009 il ricorrente era uno studente presso la facoltà di psicologia dell’università di Napoli. Egli desiderava ottenere la convalida di tre esami per poter sostenere la sua tesi di laurea nella sessione di marzo 2009. Pertanto, chiese di incontrare la preside della facoltà di psicologia, X, senza riuscirvi.
  4. Il 25 febbraio 2009 il ricorrente si presentò al rettorato chiedendo di poter parlare con X e, ricevendo un rifiuto, ebbe un alterco con una impiegata della segreteria, Y.
  5. Il 10 marzo 2009 il ricorrente chiese che venisse fissata una sessione straordinaria per permettergli di discutere la sua tesi di laurea. Il 31 marzo 2009 il consiglio di facoltà respinse questa richiesta osservando che non vi era alcun regolamento che autorizzasse la fissazione di una sessione in favore di un solo studente.
  6. Il ricorrente inviò quindi delle e-mail a X il cui testo non è stato prodotto dinanzi alla Corte. Secondo la versione del ricorrente, egli si era limitato a manifestare il suo malcontento; le espressioni utilizzate non riguardavano l’istituzione universitaria e non erano tali da denigrare la dignità e il prestigio di quest’ultima. Erano invece rivolte a X in quanto persona e senza riferimento alle funzioni che quest’ultima esercitava.
  7. Il 19 maggio 2009 si svolse una riunione della commissione disciplinare dell’università, composta da un delegato del rettore, da un professore universitario e da una rappresentante degli studenti, Z, in cui venne deciso di convocare il ricorrente, X, Y e altre due persone (paragrafi 9 e 10 infra). Le audizioni furono fissate per l’11 giugno 2009.
  8. Il ricorrente ricevette una lettera, datata 22 maggio 2009, in cui l’Università di Napoli precisava che era accusato di aver aggredito verbalmente Y e un’altra persona e di aver inviato, il 7 e il 19 aprile 2009, delle e-mail a X e ad altri professori, contenenti espressioni minacciose e ingiuriose, di natura tale da ledere la dignità e il prestigio dell’istituzione universitaria. Inoltre, il ricorrente fu informato che era stata istituita una commissione disciplinare che avrebbe dovuto esaminare i fatti e, se necessario, infliggere le sanzioni adeguate. Il ricorrente fu invitato a presentarsi dinanzi alla commissione disciplinare l’11 giugno 2009. Il ricorrente poteva recarsi presso la segreteria della facoltà di psicologia e chiedere di avere accesso al fascicolo che lo riguardava; aveva anche la possibilità di presentare memorie scritte e documentazione.
  9. Il giorno stabilito il ricorrente non si presentò. La commissione disciplinare ordinò di inserire nel fascicolo la memoria che l’interessato aveva depositato il 10 giugno 2009. X fu sentita dalla commissione e produsse copia di 25 e-mail che il ricorrente le aveva inviato nel periodo compreso fra il 24 novembre 2005 e il 25 maggio 2009. Y inviò un fax indicando che non poteva comparire per un impedimento. Un’altra persona fu sentita in qualità di parte lesa.
  10. Il 17 giugno 2009 la commissione disciplinare sentì un testimone, W. Quest’ultimo dichiarò che il 25 febbraio 2009 era presente e aveva sentito il ricorrente aggredire verbalmente Y utilizzando espressioni offensive e minacciose. W aveva quindi invitato il ricorrente a uscire. Y inviò un fax alla commissione disciplinare comunicando che non era in grado di comparire. Il fax conteneva delle dichiarazioni che integravano quelle contenute nella denuncia che Y aveva depositato il 26 febbraio 2009.
  11. Con una delibera del 17 giugno 2009, la commissione disciplinare propose di infliggere al ricorrente la sanzione disciplinare dell’esclusione dall’università, ai sensi dell’articolo 37 del regolamento didattico di Ateneo – paragrafo 29 infra). La commissione disciplinare giudicò che il ricorrente aveva avuto un comportamento aggressivo, minaccioso e ingiurioso nei confronti di X, Y e dell’istituzione universitaria in quanto tale. Questo comportamento si era articolato in parecchi episodi e palesava, in maniera profonda e reiterata, un atteggiamento ostile verso tutti i rappresentanti dell’istituzione universitaria. Peraltro, nella sua memoria, il ricorrente riconosceva di essere l’autore delle e-mail e confermava l’episodio di aggressione verbale nei confronti di Y. In questa stessa memoria, il ricorrente continuava ad offendere i rappresentanti dell’università e accusava Y, i professori, il personale amministrativo e la commissione disciplinare di aver tenuto un comportamento scorretto. L’insieme di queste condotte era di una «gravità estrema», fatto che giustificava l’irrogazione della sanzione più severa, e ciò anche a prescindere dal fatto che il ricorrente fosse stato oggetto, il 25 febbraio 2008, di una interdizione temporanea dal corso di studio della durata di due mesi (si veda paragrafo 28 infra).
  12. Con decreto n. 1823 del 20 luglio 2009 (di seguito il «primo decreto del rettore»), il rettore dell’università di Napoli inflisse al ricorrente la sanzione proposta dalla commissione disciplinare.

    2. Il ricorso al TAR e la domanda di sospensione dell’esecuzione del primo decreto del rettore
     
  13. Il ricorrente presentò al tribunale amministrativo regionale (di seguito il «TAR») della Campania un ricorso volto ad ottenere l’annullamento del primo decreto del rettore. Inoltre, chiese la sospensione dell’esecuzione della misura contestata.
  14. Con ordinanza del 28 ottobre 2009, il TAR decise di sospendere l’esecuzione del decreto in causa unicamente perché non fissava alcun limite temporale all’esclusione del ricorrente. Il TAR osservò che il ricorso del ricorrente non appariva prima facie infondato e che ai sensi dell’articolo 16, comma 2, del regio decreto n. 1071 del 20 giugno 1935 (paragrafo 28 infra), la sanzione più grave che poteva essere inflitta ad uno studente universitario era quella dell’esclusione temporanea. Ora, basandosi su una disposizione del regolamento manifestamente incompatibile con l’articolo 16, comma 2, sopra citato, il primo decreto del rettore aveva applicato una esclusione senza limite temporale, fatto che appariva illegittimo.
  15. Il ricorrente interpose appello avverso l’ordinanza del TAR. Con decisione del 25 giugno 2010, il Consiglio di Stato respinse questo appello osservando che, nell’attesa della decisione sul merito del ricorso del ricorrente, era opportuno mantenere la situazione esistente.

    3. L’adozione del secondo decreto del rettore
     
  16. Nel frattempo, il 7 dicembre 2009, il ricorrente era stato riammesso all’università.
  17. Il 2 febbraio 2010 il rettore dell’università di Napoli decise di convocare nuovamente la commissione disciplinare al fine di fissare i limiti temporali della sanzione disciplinare di cui il ricorrente era stato oggetto. La commissione disciplinare si riunì il 9 febbraio 2010. Il ricorrente non fu invitato a partecipare a questa riunione. Facendo riferimento alla motivazione della sua deliberazione del 17 giugno 2009 (paragrafo 11 supra) e all’articolo 16 del regio decreto n. 1071 del 1935 (paragrafo 28 infra), la commissione disciplinare propose di infliggere al ricorrente la sanzione disciplinare dell’esclusione dall’università per una durata di tre anni.
  18. Con decreto n. 242 del 17 febbraio 2010 (di seguito «il secondo decreto del rettore»), il rettore dell’università di Napoli inflisse al ricorrente la sanzione proposta dalla commissione disciplinare.
  19. Il ricorrente propose allora un nuovo ricorso dinanzi al TAR chiedendo l’annullamento del secondo decreto del rettore e il risarcimento per i danni subiti.

    4. La sentenza del TAR
     
  20. Con sentenza n. 22679 del 2010, il TAR della Campania dichiarò improcedibile per mancanza di interesse il ricorso volto all’annullamento del primo decreto del rettore (paragrafi 12-13 supra), e rigettò il ricorso volto all’annullamento del secondo (paragrafi 18-19 supra). Il ricorrente non ha prodotto dinanzi alla Corte la copia di questa sentenza.

    5. L’appello dinanzi al Consiglio di Stato
     
  21. Il ricorrente interpose appello sostenendo, tra l’altro, che il procedimento che si era svolto dinanzi alla commissione disciplinare non era stato equo, che i diritti della difesa erano stati violati e che la decisione di infliggergli la sanzione dell’esclusione non era stata debitamente motivata, che tale decisione si basava su errori di fatto e di diritto e configurava un eccesso di potere.
  22. L’interessato chiese di nuovo la sospensione dell’esecuzione dei decreti del rettore. Con ordinanza del 2 marzo 2011, il Consiglio di Stato rigettò tale richiesta osservando, in particolare, che le doglianze del ricorrente apparivano prima facie infondate e che il rettore sembrava aver debitamente motivato la gravità della condotta ascritta all’interessato.
  23. Con sentenza del 26 giugno 2012, depositata il 5 marzo 2013, il Consiglio di Stato rigettò l’appello del ricorrente.
  24. Il Consiglio di Stato osservò innanzitutto che il secondo decreto del rettore si riferiva esplicitamente all’ordinanza del TAR del 28 ottobre 2009 (paragrafo 14 supra), e che la commissione disciplinare era stata convocata al fine di «precisare la durata» della sanzione inflitta al ricorrente. Pertanto dal fascicolo risultava che l’università di Napoli condivideva l’opinione del TAR secondo la quale una esclusione di durata indeterminata non era conforme alla legge. Poiché il secondo decreto del rettore aveva sostituito il primo, il ricorrente non aveva più interesse ad ottenere l’annullamento del primo decreto, che aveva leso i suoi diritti per una durata ben inferiore a tre anni.
  25. Dal momento che il ricorrente lamentava che il secondo decreto del rettore era stato adottato senza riaprire l’istruzione del caso e senza dargli una nuova possibilità di partecipare al procedimento, il Consiglio di Stato osservò che era legittimo «conservare» gli atti compiuti nel quadro dell’adozione del primo decreto del rettore. In effetti, il secondo procedimento era volto unicamente a rimediare al vizio, rilevato dal TAR, riguardante la durata della sanzione. Giacché gli altri atti del primo procedimento non erano irregolari, la riapertura dell'istruzione sarebbe stata incompatibile con i principi di economia e di rapidità dell'azione amministrativa. Ad ogni modo, il ricorrente era stato informato in tempo utile della fissazione della riunione della commissione disciplinare del 9 febbraio 2010 e del suo oggetto. Anche se non era stato formalmente invitato a parteciparvi (paragrafo 17 supra), il ricorrente manteneva la possibilità di agire per presentare la sua difesa. Inoltre, la durata della sanzione poteva dipendere soltanto dalla gravità della condotta contestata. Ora, il ricorrente aveva già esposto i suoi argomenti in merito a ciò nell'ambito del primo procedimento.
  26. Il Consiglio di Stato notò che il ricorrente lamentava anche la composizione della commissione disciplinare. In particolare l'interessato sosteneva che Z, che faceva parte della commissione in quanto rappresentante degli studenti, aveva conseguito la laurea nel dicembre 2009; quindi, non possedeva più la qualità di «studente» nel febbraio 2010, quando la commissione era stata nuovamente convocata dal rettore. Il Consiglio di Stato scartò questa doglianza, osservando che non era in discussione il fatto che la commissione nominata nel marzo 2009 fosse regolarmente costituita. Ora, le funzioni di quest'ultima non erano terminate all'epoca dell'adozione del primo decreto del rettore; al contrario, la commissione era stata nuovamente convocata per rimediare all’illegittimità indicata dal TAR nella sua ordinanza del 28 ottobre 2009 (paragrafo 14 supra). In queste circostanze, non era importante che Z avesse perduto una condizione - la sua qualità di studente - necessaria al momento della sua nomina in quanto membro della commissione
  27. Infine, dal momento che il ricorrente sosteneva che gli era stata inflitta una sanzione disciplinare senza una motivazione sufficiente e affermava che la sua condotta era diretta contro dei privati cittadini, e non contro l'istituzione universitaria, il Consiglio di Stato rammentò che spettava all'amministrazione valutare la gravità del comportamento contestato. Il giudice amministrativo poteva intervenire soltanto se vi era stato eccesso di potere a causa del carattere manifestamente illogico della decisione, della sua natura contraddittoria o in virtù di un travisamento dei fatti pertinenti. Tuttavia nel caso di specie non sussisteva nessuno di questi vizi. A tale proposito, il Consiglio di Stato osservò che il secondo decreto del rettore si riferiva al parere espresso dalla commissione disciplinare nella sua delibera del 17 giugno 2009 (paragrafo 11 supra), relativa ai comportamenti tenuti dal ricorrente nei confronti di più persone in connessione con le funzioni che queste ultime esercitavano in seno all'università.

    B. Il diritto interno pertinente
     
  28. I commi 1 e 2 dell'articolo 16 del regio decreto n. 1071 del 20 giugno 1935 sono così formulati:
    «1. La giurisdizione disciplinare sugli studenti spetta al rettore o direttore, al senato accademico ed ai consigli di facoltà o scuola, e si esercita anche per fatti compiuti dagli studenti fuori della cerchia dei locali e stabilimenti universitari, quando essi siano riconosciuti lesivi della dignità e dell'onore, senza pregiudizio delle eventuali sanzioni di legge
    2. Le sanzioni che possono applicarsi, al fine di mantenere la disciplina scolastica, sono le seguenti:
    a) ammonizione;
    b) interdizione temporanea da uno o più corsi;
    c) sospensione da uno o più esami di profitto per una delle due sessioni [d’esame];
    d) esclusione temporanea dall'università con conseguente perdita delle sessioni di esami.»
  29. Il regolamento didattico dell’ateneo di Napoli è stato adottato con decreto rettorale n. 3676 del 13 settembre 2001. Il suo articolo 37, intitolato «sanzioni disciplinari a carico degli studenti» è così formulato:
    «La giurisdizione disciplinare sugli studenti spetta al Rettore e si esercita anche per fatti compiuti dagli studenti al di fuori dalle sedi universitarie quando essi siano riconosciuti lesivi della dignità e dell’onore dell’istituzione universitaria senza pregiudizio delle eventuali sanzioni di legge.»

    MOTIVI DI RICORSO
     
  30. Invocando l'articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta la mancanza di equità del procedimento disciplinare a suo carico.
  31. Invocando l'articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta l'assenza di un ricorso effettivo per rivendicare i suoi diritti.
  32. Invocando l'articolo 7 della Convenzione il ricorrente sostiene che la sanzione che gli è stata inflitta non era prevista dalla legge.
  33. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, il ricorrente denuncia una ingerenza ingiustificata nel suo diritto al rispetto della corrispondenza.
  34. Invocando l'articolo 10 della Convenzione, il ricorrente afferma che la sanzione disciplinare di cui è stato oggetto costituisce una lesione del suo diritto alla libertà di espressione.

    IN DIRITTO

    A. Motivi di ricorso relativi all'articolo 6 della Convenzione

     
  35. Il ricorrente considera che il procedimento a suo carico non è stato equo.
    Egli invoca l'articolo 6 §§ 1, 2 e 3 della Convenzione.
    Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione è così formulata:
    «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, (…) da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (...).
    2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
    3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:
    a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
    b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
    c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta (...);
    d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
    (...).»

    1. Le affermazioni del ricorrente
  36. Il ricorrente afferma che la commissione disciplinare non era composta in maniera conforme alla legge. Egli nota che Z, che vi faceva parte in quanto rappresentante degli studenti, aveva terminato gli studi nel dicembre 2009 e dunque non possedeva più la qualità di studente al momento della riunione del 9 febbraio 2010 (paragrafo 17 supra).
  37. Il ricorrente ritiene anche di non aver beneficiato di un esame sereno e imparziale della sua causa. Si riferisce al «clima» nel quale si è svolto il procedimento disciplinare e afferma che il principio della parità delle armi non è stato rispettato. In particolare, il ricorrente si sarebbe scontrato con l'ostruzionismo del personale universitario, avrebbe subito «pressioni materiali e morali», e non avrebbe potuto richiedere la convocazione di testimoni né ascoltare quelli che lo accusavano. Il procedimento che si è svolto dinanzi ai giudici amministrativi non sarebbe stato equo, in quanto il TAR e il Consiglio di Stato potevano soltanto esaminare i documenti della causa, senza avere la facoltà di convocare testimoni. Inoltre, le parti non potevano partecipare personalmente all’udienza.
  38. Secondo il ricorrente, le autorità nazionali non hanno debitamente tenuto conto del fatto che il primo decreto del rettore aveva applicato una sanzione (l'esclusione senza limiti temporali) non prevista dalla legge. Inoltre, nell'ambito del procedimento che ha portato all'adozione del secondo decreto del rettore, egli non è stato convocato dinanzi alla commissione disciplinare e, di conseguenza, non ha potuto presentare le sue difese in merito all'opportunità e alla misura della sanzione.
  39. Infine, il ricorrente lamenta il fatto che la commissione disciplinare ha sentito un solo testimone, senza permettere all’«accusato» o al suo rappresentante di fare domande a W o agli altri «accusatori», e che, per decidere sul merito della contestazione disciplinare, senza essere autorizzata dal loro autore, ha utilizzato delle e-mail private indirizzate ad alcuni professori. Del resto, qualsiasi contestazione fatta sarebbe, nel merito, priva di fondamento.

    2. La valutazione della Corte

    a) Sull'applicabilità dell'articolo 6 della Convenzione

     
  40. In via preliminare la Corte osserva che il procedimento in causa non verteva sul merito di un'accusa in materia penale a carico del ricorrente (si veda, ad esempio e mutatis mutandis, Di Giovanni c. Italia, n. 51160/06, § 35, 9 luglio 2013). Per giungere a questa conclusione, la Corte ha tenuto conto dei criteri derivanti dalla sua giurisprudenza, ossia la qualificazione giuridica della misura contestata nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il grado di severità della «sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). La Corte si limita ad osservare che i fatti ascritti al ricorrente rientravano in ambito disciplinare, che la sanzione inflitta era volta manifestamente a mantenere l'ordine e la disciplina in seno all'università e che il ricorrente non rischiava di incorrere in una pena privativa della libertà o di natura pecuniaria. Pertanto, i paragrafi 2 e 3 dell'articolo 6 della Convenzione sono inapplicabili nella fattispecie. La Corte deve invece stabilire se sia possibile applicare l'articolo 6 § 1 sotto il profilo civile.
  41. La Corte osserva che ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del regio decreto n. 1071 del 1935 (paragrafo 28 supra), il procedimento disciplinare a carico del ricorrente prevede la possibilità di applicare diverse sanzioni che vanno dalla semplice ammonizione alla sospensione da uno o più esami o, anche, all'esclusione temporanea dall'università. Alla fine all'interessato è stata inflitta quest'ultima sanzione. In queste condizioni, la Corte considera che, tenuto conto delle sanzioni che potevano essere pronunciate dal rettore, nel caso di specie era in gioco il diritto del ricorrente di proseguire gli studi universitari che egli aveva iniziato presso la facoltà di psicologia dell'Università di Napoli (si veda, mutatis mutandis, Di Giovanni, sopra citata, § 36).
  42. Ora, nella causa Emine Araç c. Turchia (n. 9907/02, §§ 15-25, CEDU 2008), la Corte ha giudicato che il diritto della ricorrente, utente di un servizio pubblico, a proseguire gli studi superiori presso la facoltà di teologia rientrava nei diritti della persona dell'interessata e aveva dunque un carattere civile (si veda anche la sentenza nella causa Kök c. Turchia (n. 1855/02, § 36, 19 ottobre 2006), in cui la Corte ha concluso per l’applicabilità dell'articolo 6 ad una controversia riguardante l'annullamento del rigetto di una istanza di ammissione alla specializzazione in medicina. Secondo la Corte, non vi sono elementi per arrivare a conclusioni diverse nella presente causa. Del resto, la Corte sottolinea che per la regolarità del procedimento disciplinare era previsto un ricorso giudiziario, che è stato esercitato dal ricorrente. Nel caso di specie, dunque, è stata sollevata una «contestazione» relativa a un «diritto di carattere civile», esaminata dai giudici amministrativi.
  43. Pertanto, nel caso di specie può essere applicato il profilo civile dell'articolo 6.

    b) Sulla questione di stabilire se il procedimento sia stato conforme all'articolo 6 della Convenzione

    i. Sulla composizione della commissione disciplinare

     
  44. La Corte esaminerà prima di tutto l’affermazione del ricorrente secondo la quale la commissione disciplinare, organo che è intervenuto nel processo che ha portato all'irrogazione della sanzione disciplinare, non era composta in maniera conforme alla legge (paragrafo 36 supra).
  45. Nelle circostanze della presente causa, la Corte non ritiene necessario esaminare se nel caso di specie la commissione disciplinare possa essere considerata come un «tribunale» che ha deciso in merito alla contestazione sui diritti di carattere civile del ricorrente. In effetti pur supponendo che sia così, le doglianze del ricorrente sono in ogni caso prive di fondamento, per le ragioni esposte qui di seguito.
  46. La Corte rammenta che in virtù dell'articolo 6 § 1, un «tribunale» deve sempre essere «costituito per legge». Questa espressione riflette il principio dello Stato di diritto, insito in tutto il sistema della Convenzione e dei suoi protocolli. In effetti, un organo che non sia stato costituito conformemente alla volontà del legislatore, sarebbe necessariamente privo della legittimità richiesta in una società democratica per esaminare la causa del privato cittadino. L'espressione «costituito per legge» riguarda non soltanto la base legale dell'esistenza stessa del tribunale, ma anche la sua composizione in ogni causa (Lavents c. Lettonia, n. 58442/00, § 114, 28 novembre 2002). Pertanto la «legge» indicata da questa disposizione è non soltanto la legislazione relativa alla costituzione e alla competenza degli organi giudiziari, ma anche qualsiasi altra disposizione del diritto interno il cui mancato rispetto renda irregolare la partecipazione di uno o più giudici all'esame della causa. Si tratta soprattutto delle disposizioni relative ai mandati, alle incompatibilità e alla ricusazione dei magistrati (si veda Coëme e altri c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 99, CEDU 2000-VII).
  47. Il mancato rispetto, da parte di un tribunale, delle disposizioni sopra citate, comporta in linea di principio la violazione dell'articolo 6 § 1. Di conseguenza la Corte ha competenza per pronunciarsi sul rispetto delle norme del diritto interno su questo punto. Tuttavia, visto il principio generale secondo il quale spetta in primo luogo ai giudici nazionali stessi interpretare la legislazione interna, la Corte ritiene di dover mettere in discussione la loro valutazione soltanto in caso di una violazione flagrante di questa legislazione (Lavents, sopra citata, ibidem; Coëme e altri, sopra citata, § 98 in fine; e Paviglianiti, Polimeni, Lucini e 3 altri c. Italia (dec.), nn. 40994/02, 42097/02 e 42743/02, 12 febbraio 2004).
  48. La Corte osserva che nel caso di specie non è stato contestato che Z possedesse la qualità richiesta - ossia, quella di studente - quando è stata nominata membro della commissione disciplinare in quanto rappresentante degli studenti; inoltre la Corte ha avviato l'esame della causa a carico del ricorrente. Facendo uso del suo diritto di interpretare il diritto interno, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la commissione disciplinare, nominata ad hoc per esaminare la causa del ricorrente, avesse terminato il suo mandato soltanto nel febbraio 2010, quando aveva proposto di infliggere la sanzione dell'esclusione dall'Università per una durata di tre anni (paragrafo 17 supra). Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, la circostanza che Z abbia ottenuto la laurea nel dicembre 2009 non poteva incidere retroattivamente sulla validità della sua nomina (paragrafo 26 supra).
  49. La Corte osserva che dinanzi ad essa il ricorrente non ha indicato le disposizioni interne che sarebbero state violate dall'interpretazione seguita dal Consiglio di Stato. Secondo la Corte, tale interpretazione non può essere considerata arbitraria o irragionevole, e il fatto che Z abbia fatto parte della commissione disciplinare dopo dicembre 2009 non configura una violazione flagrante della legislazione nazionale (si veda, mutatis mutandis, Paviglianiti, Polimeni, Lucini e 3 altri, decisione sopra citata).
  50. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    ii. Sull'equità del procedimento

     
  51. La Corte rileva che la prima questione che si pone nel caso di specie è quella di stabilire se il procedimento che si è svolto dinanzi alla commissione disciplinare sia stato «equo» ai sensi della sua giurisprudenza in materia.
  52. La Corte rammenta che, nelle controversie relative ai diritti e agli obblighi di carattere civile, gli imperativi inerenti alla nozione di «processo equo» non necessariamente sono gli stessi di quelli nelle cause riguardanti delle accuse in materia penale. Tanto è vero che, per i primi, mancano clausole dettagliate simili ai paragrafi 2 e 3 dell'articolo 6. Pertanto, e benché queste disposizioni abbiano una certa pertinenza al di fuori degli stretti limiti del diritto penale, gli Stati contraenti fruiscono di una ampiezza maggiore nell'ambito del contenzioso civile rispetto ai procedimenti penali (Dombo Beheer B.V. c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1993, § 32, serie A n. 274).
  53. Tuttavia, alcuni principi legati alla nozione di «processo equo» nelle cause di carattere civile derivano dalla giurisprudenza della Corte. Così, l’esigenza della «parità delle armi», nel senso di un «giusto equilibrio» tra le parti, vale in linea di principio sia nell’ambito civile che in quello penale; essa implica l'obbligo di offrire ad ogni parte una possibilità ragionevole di presentare la propria causa - compresi i mezzi di prova - in condizioni che non la pongano in una situazione di netto svantaggio rispetto al suo avversario (si veda, tra molte altre, Adorisio e altri c. Paesi Bassi, nn. 47315/13, 48490/13 e 49016/13, § 88, 9 aprile 2015).
  54. La Corte rammenta anche che uno degli elementi di un procedimento equo ai sensi dell'articolo 6 § 1 è il diritto a un procedimento in contraddittorio, che implica che ciascuna parte del processo, penale o civile, deve in linea di principio avere la facoltà di conoscere e discutere i documenti o le osservazioni presentati al giudice per influenzare la sua decisione (Mantovanelli c. Francia, 18 marzo 1997, § 33, Recueil des arrêts et décisions 1997 II; Pellegrini c. Italia, n. 30882/96, § 44, CEDU 2001 VIII; e Adorisio e altri, decisione sopra citata, § 89).
  55. Spetta alle autorità nazionali vigilare affinché, in ciascuna causa, vengano rispettate le condizioni di un «processo equo» (Dombo Beheer B.V., sopra citata, § 33).
  56. La Corte osserva che la commissione disciplinare ha informato il ricorrente degli addebiti disciplinari a suo carico e l'ha convocato per la riunione dell'11 giugno 2009, nel corso della quale le persone coinvolte nel caso, e soprattutto X, dovevano essere sentite. L'interessato è stato anche informato che poteva consultare il fascicolo che lo riguardava presso la segreteria della facoltà di psicologia (paragrafi 7-8 supra). Il ricorrente ha deciso volontariamente di non recarsi alla riunione dell'11 giugno 2009 (paragrafo 9 supra). Non ha neanche partecipato a quella del 17 giugno 2009, dedicata all’audizione di un testimone, W (paragrafo 10 supra). Nulla permette di pensare che, se il ricorrente si fosse presentato alle riunioni in questione, gli sarebbe stato vietato di porre domande a X o a W.
  57. È vero che il ricorrente non è stato formalmente convocato per la riunione della commissione disciplinare del 9 febbraio 2010, fissata nell'ambito del procedimento per l'adozione del secondo decreto del rettore (paragrafo 17 supra). Tuttavia, il Consiglio di Stato ha notato (paragrafo 25 supra) che il ricorrente era stato informato in tempo utile della fissazione della riunione in questione e del suo oggetto e manteneva la possibilità di agire per presentare la sua difesa. Ad ogni modo, è opportuno notare che il procedimento che ha portato all'adozione del secondo decreto del rettore era volto unicamente a rimediare al vizio, rilevato dal TAR, riguardante la durata dell'esclusione inflitta al ricorrente. Questa durata non poteva che dipendere dalla gravità della condotta addebitata. Ora, su questo punto il ricorrente ha potuto presentare le sue argomentazioni nella memoria scritta del 10 giugno 2009, che è stata esaminata dalla commissione disciplinare (paragrafi 9 e 11 supra).
  58. In tali circostanze, la Corte ritiene che il procedimento svoltosi dinanzi alla commissione disciplinare non possa essere giudicato iniquo. Per di più rileva che il ricorrente ha avuto la possibilità, di cui si è avvalso, di impugnare i decreti del rettore dinanzi al TAR e di interporre appello avverso la sentenza di quest'ultimo dinanzi al Consiglio di Stato. I giudici amministrativi erano competenti non soltanto per pronunciare la sospensione delle misure contestate, ma anche per esaminare se il procedimento svoltosi dinanzi alla commissione disciplinare fosse stato conforme alla legge e se decreti del rettore configurassero un eccesso di potere a causa del loro carattere manifestamente illogico, della loro natura contraddittoria o di un travisamento dei fatti pertinenti (paragrafo 27 supra). Il ricorrente ha così potuto sottoporre i decreti contestati ad organi giudiziari che hanno esercitato un «controllo giurisdizionale sufficiente» ai sensi della giurisprudenza della Corte (si vedano, soprattutto e mutatis mutandis, Crompton c. Regno Unito, n. 42509/05, §§ 71-79, 27 ottobre 2009, e Sigma Radio Television Ltd c. Cipro, nn. 32181/04 e 35122/05, §§ 152-169, 21 luglio 2011). A tale riguardo, è opportuno rammentare che il ruolo dell'articolo 6 non è quello di garantire l'accesso a un tribunale che potrebbe sostituire il proprio parere a quello delle autorità amministrative (Sigma Radio Television Ltd, sopra citata, § 153).
  59. È vero che il ricorrente lamenta il fatto che il TAR e il Consiglio di Stato non avevano la facoltà di convocare dei testimoni. Tuttavia, non risulta dal fascicolo che il ricorrente abbia chiesto la convocazione e l'audizione di testimoni dinanzi alla commissione disciplinare, e dinanzi alla Corte l'interessato non ha indicato i testimoni la cui audizione sarebbe stata rifiutata e le ragioni per le quali la loro testimonianza sarebbe stata decisiva per l'esito della sua causa. Di conseguenza egli non ha sostenuto il suo motivo di ricorso (si veda, mutatis mutandis, Grande Stevens e altri c. Italia, nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10, § 150, 4 marzo 2014).
  60. Del resto, è opportuno osservare che le affermazioni del ricorrente in merito al «clima» sfavorevole nel quale si sarebbe svolto il procedimento disciplinare, all'«ostruzionismo» del personale dell'università e alle «pressioni» di cui l'interessato sarebbe stato vittima, non sono fondate su alcun elemento oggettivo e non possono, in quanto tali, essere prese in considerazione dalla Corte.
  61. Dal momento che il ricorrente lamenta il fatto che il primo decreto del rettore gli aveva inflitto una sanzione (l’esclusione senza limiti temporali) non prevista dalla legge, la Corte rileva che questa irregolarità è stata rilevata dal TAR e che, nel suo secondo decreto, il rettore si è conformato alle considerazioni del giudice amministrativo e ha indicato la durata dell'esclusione in tre anni. Ciò ha privato il ricorrente della qualità di «vittima» rispetto ai fatti sopra menzionati.
  62. Infine, per quanto riguarda l'uso delle e-mail private e l'affermazione del ricorrente secondo la quale ogni addebito rivolto nei suoi confronti era privo di fondamento, la Corte rammenta che l’ammissibilità delle prove è prevista dalle norme del diritto interno e compete ai giudici nazionali (Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 162, CEDU 2010, e Sampech c. Italia (dec.), n. 55546/09, § 98, 19 maggio 2015). Inoltre, non le spetta esaminare errori di fatto o di diritto asseritamente commessi da una giurisdizione interna, a meno che e nella misura in cui questi errori potrebbero aver leso i diritti e le libertà salvaguardati dalla Convenzione (García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I, e Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 34, CEDU 2000-V), e spetta in linea di principio ai giudici nazionali valutare i fatti e interpretare e applicare il diritto interno (Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 62, 20 novembre 2012, e Plesic c. Italia (dec.), n. 16065/09, § 33, 2 luglio 2013). Nel caso di specie, la Corte non vede come l'uso, per la decisione sul merito degli addebiti disciplinari, delle e-mail di cui il ricorrente stesso ammetteva di essere l'autore (paragrafo 11 supra), avrebbe potuto ledere l'equità del procedimento
  63. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    B. Motivo di ricorso relativo all'articolo 13 della Convenzione
     
  64. Il ricorrente lamenta di non aver avuto a disposizione, a livello nazionale, un ricorso effettivo per far valere i suoi diritti.
    Invoca l'articolo 13 della Convenzione, così formulato:
    «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
  65. La Corte nota che i motivi di ricorso presentati dal ricorrente relativamente all'articolo 13 coincidono in larga misura con quelli relativi all'articolo 6. Tenuto conto delle conclusioni alle quali è giunta sul terreno di questo ultimo articolo, rispetto all'articolo 13 della Convenzione non si pone nessuna questione distinta. La Corte rammenta anche che, quando il diritto rivendicato è un diritto di carattere civile, l'articolo 6 § 1 costituisce una lex specialis rispetto all'articolo 13, le cui garanzie sono assorbite da quest'ultima (si vedano, tra molte altre, Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, 19 dicembre 1997, § 41, Recueil 1997-VIII; Cordova c. Italia (n. 2), n. 45649/99, § 71, CEDU 2003; e Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 145, 9 maggio 2003).
  66. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    C. Motivo di ricorso relativo all'articolo 7 della Convenzione
     
  67. Il ricorrente considera che vi è stata violazione del principio nullum crimen sine lege. Secondo lui, le decisioni interne rese nei suoi confronti non menzionavano in maniera precisa la condotta che gli era addebitata né le parole o le frasi asseritamente ingiuriose. Ciò gli avrebbe impedito di difendersi e di valutare se la sanzione era adeguata. Quest'ultima sarebbe, al contrario, vaga e arbitraria
    Il ricorrente invoca l'articolo 7 della Convenzione, così formulato:
    «1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al tempo in cui il reato è stato commesso.
    2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.»
  68. Prima di tutto la Corte constata che le disposizioni di questo articolo non sono applicabili al caso di specie in quanto la controversia non rientra in alcun modo nella materia penale (si veda, mutatis mutandis, Di Giovanni, sopra citata, § 89).
  69. Ne consegue che questo motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 § 4.

    D. Motivo di ricorso relativo all'articolo 8 della Convenzione
     
  70. Il ricorrente osserva che l'Università di Napoli e i suoi professori hanno divulgato le sue e-mail private. Ciò avrebbe violato il suo diritto al rispetto della corrispondenza, come garantito dall'articolo 8 della Convenzione. Questa disposizione recita:
    «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
  71. La Corte osserva innanzitutto che dai documenti prodotti dinanzi ad essa non risulta che il ricorrente abbia chiaramente ed esplicitamente sollevato le sue doglianze relative all'articolo 8 della Convenzioni dinanzi ai giudici nazionali. Tuttavia, nelle circostanze particolari del caso di specie, essa non ritiene necessario esaminare se l'interessato abbia esaurito le vie di ricorso che aveva a disposizione nel diritto italiano in quanto questo motivo è in ogni caso irricevibile per le ragioni seguenti.
  72. La Corte nota di non poter sottoscrivere la tesi del ricorrente secondo la quale le comunicazioni in questione erano di natura strettamente privata; in effetti, l'interessato, agendo nella sua qualità di studente, ha inviato delle e-mail alla preside della facoltà di psicologia in relazione a ciò che egli considerava un malfunzionamento dell'amministrazione universitaria (ossia, il rigetto della sua domanda di fissazione di una sessione straordinaria). Inoltre, il ricorrente non ha affermato dinanzi alla Corte che le sue e-mail contenessero una clausola di riservatezza o che era stato specificato che si trattava di comunicazioni da non divulgare prima che egli avesse espresso il suo consenso. Egli non ha neanche indicato una qualsiasi disposizione interna che avrebbe impedito la divulgazione contestata. Peraltro, è opportuno rammentare che la Corte ha avuto l'opportunità di precisare che il diritto al rispetto della corrispondenza non si applica ai documenti già pervenuti al loro destinatario (L. e H. c. Finlandia (dec.), n. 25657/94, 8 giugno 1999, e Ostrovar c. Moldavia (dec.), n. 35207/03, 22 marzo 2005; si vedano anche G., S. e M. c. Austria, n. 9614/81, decisione della Commissione del 12 ottobre 1983, Décisions et rapports (DR) 34, pag. 119, e A.D. c. Paesi Bassi, n. 21962/93, decisione della Commissione dell’11 gennaio 1994, DR 76-B, pag. 157).
  73. In queste circostanze, la Corte ritiene che la divulgazione delle e-mail del ricorrente non consenta di rilevare alcuna parvenza di violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
  74. Ne consegue che questo motivo è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    E. Motivo di ricorso relativo all'articolo 10 della Convenzione
     
  75. Il ricorrente considera che la sanzione disciplinare che gli è stata inflitta ha violato il suo diritto alla libertà di espressione.
    Egli invoca l'articolo 10 della Convenzione così formulato:
    «1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
    2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.»
  76. Il ricorrente afferma che gli studenti universitari hanno il diritto di criticare l'istituzione alla quale sono iscritti e che hanno l'aspettativa legittima che quest'ultima eserciti le sue funzioni con efficacia e imparzialità. Aggiunge che le norme amministrative e legislative pertinenti non erano chiare, fatto che avrebbe permesso alle autorità nazionali di tenere dei comportamenti arbitrari.
  77. Prima di tutto la Corte osserva che dai documenti prodotti dinanzi ad essa non risulta che il ricorrente abbia chiaramente ed esplicitamente sollevato le sue doglianze relative all'articolo 10 della Convenzione dinanzi ai giudici nazionali. Tuttavia, nelle circostanze particolari del caso di specie, essa non ritiene necessario esaminare se l'interessato abbia esaurito le vie di ricorso che aveva disponibili nel diritto italiano, in quanto questo motivo era in ogni caso irricevibile per le ragioni seguenti.
  78. La Corte nota che la sanzione disciplinare di cui il ricorrente è stato oggetto era «prevista dalla legge», ossia dall'articolo 16 del regio decreto n. 1071 del 20 giugno 1935 (paragrafo 28 supra) e dall'articolo 37 del regolamento didattico dell'ateneo di Napoli (paragrafo 29 supra). Questi testi erano accessibili e, secondo la Corte, redatti con sufficiente precisione per permettere a ciascuno - avvalendosi eventualmente di consulenti illuminati - di prevedere, ad un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che potevano derivare da un determinato atto (si veda, fra molte altre, Sunday Times c. Regno Unito (n. 1), 26 aprile 1979, § 49, serie A n. 30).
  79. Per quanto riguarda la giustificazione della sanzione, la Corte rileva che il ricorrente non ha prodotto dinanzi ad essa una copia delle e-mail che ha inviato a X e ad altri professori. L'interessato non ha neanche descritto in dettaglio dinanzi alla Corte il comportamento che avrebbe tenuto nei confronti degli impiegati dell'Università di Napoli. Di conseguenza non ha permesso alla Corte di valutare la proporzionalità della sanzione contestata e non ha debitamente sostenuto il suo motivo relativo all'articolo 10 della Convenzione.
  80. Ad abundantiam, la Corte osserva che il ricorrente non è stato sanzionato per aver criticato l'istituzione universitaria, ma per avere offeso la dignità e il prestigio di quest'ultima inviando a X delle e-mail dal contenuto minaccioso e ingiurioso e aggredendo verbalmente Y. La prima circostanza risultava dalle copie delle e-mail prodotte da X e di cui il ricorrente dichiarava di essere l'autore, mentre la seconda era stata confermata da un testimone oculare dei fatti, W. L'applicazione della sanzione disciplinare aveva lo scopo legittimo di proteggere la reputazione e i diritti altrui ed è stata motivata dalle modalità, giudicate inammissibili, in cui si è espresso il ricorrente, e non dal fatto in sé di aver criticato una istituzione.
  81. In queste condizioni, la Corte non può rilevare alcuna parvenza di violazione dell'articolo 10 della Convenzione.
  82. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 14 gennaio 2016.

André Wampach
Cancelliere aggiunto

Presidente
Päivi Hirvelä