Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 17 novembre 2015 - Ricorso n. 28976/05 - Preite c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

CAUSA PREITE c. ITALIA

(Ricorso n. 28976/05)

SENTENZA

STRASBURGO
17 novembre 2015

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Preite c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita in una camera composta da:

Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Ledi Bianku,
Krzysztof Wojtyczek,
Faris Vehabović,
Yonko Grozev, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 20 ottobre 2015,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 28976/05) proposto contro la Repubblica italiana con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Guido Preite («il ricorrente»), aveva adito la Corte il 26 luglio 2005 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
    Poiché il ricorrente era deceduto il 1° gennaio 2012, i suoi quattro eredi – la moglie Anna Conte e i tre figli della coppia Vito, Paolo e Anna Preite – hanno dichiarato che intendevano continuare il procedimento dinanzi alla Corte. La sig.ra Anna Conte è deceduta il 17 agosto 2013, per cui gli altri tre ricorrenti hanno informato la Cancelleria di essere gli eredi di quest’ultima. Per motivi di ordine pratico, la presente sentenza continuerà ad indicare il sig. Guido Preite come «il ricorrente» sebbene tale qualità debba essere oggi attribuita ai suoi tre eredi.
  2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. C. Ventura, del foro di Bari. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente aggiunto, N. Lettieri, e dal suo co-agente, P. Accardo.
  3. Il ricorrente afferma, sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione, di aver subito una ingerenza non giustificata nel diritto al rispetto dei suoi beni e una violazione del diritto a un processo equo.
  4. Il 25 aprile 2008 il ricorso è stato comunicato al Governo.

    IN FATTO

    I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
  5. Il ricorrente era proprietario di un terreno, sito in Taurisano (nella regione Puglia), classificato dal piano urbanistico comunale del 1973 come facente parte della «zona agricola speciale E3».
    Il 18 aprile 1989 il terreno fu occupato dall’amministrazione pubblica, che aveva deciso di costruirvi un mercato coperto e una piazza. Con un decreto emesso il 5 maggio 1992 furono espropriati 8.586 metri quadrati.
  6. Il progetto di costruzione del mercato riguardava anche il terreno limitrofo, appartenente al sig. Osvaldo Preite, che fu anch’esso espropriato.
  7. Il 25 marzo 1992 il ricorrente citò il comune di Taurisano dinanzi alla corte d’appello di Lecce allo scopo di ottenere una indennità di espropriazione adeguata, corrispondente al valore di mercato del terreno, ai sensi della legge n. 2359/1865. Il comune era rappresentato dal commissario incaricato della gestione finanziaria della città a seguito della dichiarazione di dissesto della stessa.
  8. Il 14 agosto 1992 entrò in vigore la legge n. 359 dell’8 agosto 1992 (recante «Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica») che, nel suo articolo 5bis, prevedeva nuovi criteri per calcolare l’indennità di espropriazione dei terreni. Tale legge si applicava espressamente ai procedimenti pendenti e disponeva che, per determinare se un terreno fosse edificabile, si doveva tenere conto delle possibilità legali ed effettive di edificare (si veda il diritto interno pertinente).
  9. Nel corso del procedimento, la corte d’appello di Lecce incaricò un perito di valutare il terreno. Secondo il perito, il terreno del ricorrente era edificabile, per la sua situazione e la sua vocazione edificatoria, anche se il piano urbanistico in vigore dal 1973 lo aveva classificato come agricolo. Il suo valore al metro quadrato era, al momento della sua occupazione, di 65.000 lire italiane (ITL; 33,57 euro (EUR)).
  10. In seguito, la corte d’appello incaricò un secondo perito, il quale considerò che, al momento dell’occupazione, il terreno in questione valeva 51.700 ITL (26,70 EUR) al metro quadrato.
  11. L’amministrazione convenuta argomentò che le due perizie di cui sopra dovevano essere scartate, in quanto non rispondevano ai criteri stabiliti dall’articolo 5bis della legge n. 359 dell’8 agosto 1992 per quanto riguarda la valutazione della natura di un terreno. La nuova legge imponeva infatti che, per valutare la natura di un terreno, poteva essere utilizzata solo l’indicazione contenuta nel piano urbanistico, escludendo dunque che si potesse valutare in concreto la natura del terreno risultante al momento della perizia. Poiché il piano urbanistico non classificava il terreno controverso come edificabile ma come «agricolo speciale», tale terreno doveva essere considerato agricolo, e dava luogo a una indennità pari a 3.500 ITL (1,81 EUR) al metro quadrato. Tale valore risultava dai criteri di calcolo per i terreni agricoli fissati dalla legge n. 865 del 1971. A sostegno delle sue tesi, l’amministrazione fece riferimento alla perizia d’ufficio che era stata effettuata nell’ambito del procedimento intentato dal vicino del ricorrente.
  12. Con una sentenza resa il 10 luglio 2000 la corte d’appello considerò che dovesse essere applicato il ragionamento seguito dal perito nominato nell’ambito del procedimento riguardante il vicino e decise di indennizzare il terreno del ricorrente in quanto terreno agricolo, dato che lo stesso non era classificato come edificabile dal piano urbanistico. La corte accordò una indennità di espropriazione di 3.500 lire italiane al metro quadrato (1,81 EUR), per i motivi sopra citati, ai sensi dell’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992.
  13. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione.
  14. Con una sentenza resa il 25 marzo 2005 la Corte di cassazione respinse il ricorso, affermando che l’articolo 5bis della legge n. 359/1992, nel suo comma 3, prevedeva una distinzione rigida tra i terreni classificati come edificabili e gli altri. Di conseguenza, i terreni classificati come agricoli ma non utilizzati in agricoltura dovevano essere indennizzati come se fossero sfruttati per fini agricoli. Pertanto, ai sensi del comma 4 di tale disposizione, doveva essere accordato un importo corrispondente al valore agricolo medio delle aree agricole della regione.
  15. Con la sentenza n. 181 del 2011 la Corte costituzionale dichiarò che l’articolo 5bis della legge n. 359/1992 era incompatibile con la Costituzione, in quanto l’indennità di esproprio per i terreni non classificati come edificabili era determinata sulla base di un calcolo astratto. Non poteva esservi un indennizzo adeguato che prescindesse dal valore di mercato del terreno, e quest’ultimo dipendeva dalle caratteristiche reali del bene. Bisognava pertanto basare l’indennità di esproprio su una valutazione in concreto dei terreni.
  16. Il ricorrente non ha potuto avvalersi di questa sentenza della Corte costituzionale, in quanto il procedimento da lui intentato si era già concluso al momento in cui è stata pronunciata la sentenza n. 181 del 2011 sopra indicata.
  17. Il vicino del ricorrente ha potuto avvalersi della sentenza della Corte costituzionale, in quanto il procedimento che lo riguardava era ancora pendente alla data in cui è stata resa la sentenza. Il 6 giugno 2013 la Corte di cassazione ha perciò rinviato il fascicolo alla corte d’appello di Bari, affinché essa si conformasse alla sentenza della Corte costituzionale. In una perizia del 2 ottobre 2014 il perito nominato dalla corte d’appello ha potuto valutare in concreto il terreno del vicino, ed ha stimato che al momento dell’espropriazione (1992) il suo valore era di 20,50 EUR al metro quadrato.

    II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
  18. La legge n. 2359/1865, nel suo articolo 39, prevedeva che, in caso di espropriazione di un terreno, l’indennità da versare doveva corrispondere al valore di mercato del terreno al momento dell’esproprio.
  19. La legge n. 865/1971 (completata dall’articolo 4 del decreto-legge n. 115/1974, convertito nella legge n. 247/1974, nonché dall’articolo 14 della legge n. 10/1977) introdusse nuovi criteri: l’indennizzo per tutti i terreni, agricoli o edificabili, doveva essere calcolato come se si trattasse di un terreno agricolo.
  20. Con la sentenza n. 5 del 25 gennaio 1980 la Corte Costituzionale dichiarò l’incostituzionalità della legge n. 865/1971, in quanto trattava in maniera identica due situazioni molto diverse, ossia prevedeva lo stesso tipo di indennizzo per i terreni edificabili e per i terreni agricoli. In seguito a tale sentenza, l’articolo 39 della legge n. 2359/1865 divenne nuovamente efficace.
  21. Il Parlamento adottò la legge n. 385 del 29 luglio 1980, che reintrodusse i criteri che erano appena stati dichiarati incostituzionali, ma questa volta in via provvisoria. La legge disponeva infatti che la somma versata era un acconto che doveva essere completato da un indennizzo, che sarebbe stato calcolato sulla base di una legge da adottare che prevedesse dei criteri di indennizzo specifici per i terreni edificabili.
  22. Con la sentenza n. 223 del 15 luglio 1983 la Corte costituzionale dichiarò l’incostituzionalità della legge n. 385/1980, in quanto quest’ultima subordinava l’indennizzo in caso di esproprio di un terreno edificabile all’adozione di una legge futura, e reintroduceva, anche se soltanto in via provvisoria, dei criteri di indennizzo già dichiarati incostituzionali. A questo proposito, la Corte costituzionale rammentò che il legislatore doveva tenere conto del fatto che una legge dichiarata illegittima cessava immediatamente di produrre i suoi effetti, e sottolineò la necessità di elaborare delle norme che garantissero il serio ristoro dei soggetti espropriati. A seguito della sentenza n. 223 del 1983, l’articolo 39 della legge n. 2359/1865 divenne nuovamente efficace.
  23. La legge n. 359 dell’8 agosto 1992 («Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica») introdusse, nel suo articolo 5bis, una misura «provvisoria, eccezionale ed urgente», per il risanamento della finanza pubblica, in vigore fino all’adozione di misure strutturali. Tale norma si applicava alle espropriazioni in corso e a tutti i relativi procedimenti pendenti. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 13 agosto 1992, l’articolo 5bis della legge n. 359/1992 entrò in vigore il 14 agosto 1992. Tale disposizione prevedeva due modalità distinte per il calcolo dell’indennizzo per i terreni edificabili, da una parte (commi 1 e 2), e per le aree agricole, dall’altra (comma 4).
  24. Per decidere in merito all’indennizzo di un terreno, l’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992 imponeva di determinare in via preliminare la natura del terreno (edificabile o agricolo). A questo riguardo, il comma 3 dell’articolo 5bis prevedeva che «per la valutazione delle edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio».
  25. L’interpretazione di tale disposizione non era univoca quando si trattava di determinare la natura dei terreni che, pur essendo classificati come agricoli dal piano urbanistico, non erano utilizzati per l’agricoltura e presentavano caratteristiche che ne evidenziavano la vocazione edificatoria. Con la sentenza n. 172 del 23 aprile 2001, le sezioni unite della Corte di cassazione precisarono che solo i terreni classificati come edificabili dal piano urbanistico potevano essere considerati edificabili ai fini dell’indennità di esproprio. Di conseguenza, le aree non classificate come edificabili dal piano urbanistico dovevano essere indennizzate alla stregua dei terreni agricoli utilizzati in agricoltura, ai sensi del comma 4 dell’articolo 5bis, senza tenere conto delle reali caratteristiche del bene e della sua vocazione edificatoria.
  26. Ai sensi del comma 4 dell’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992, per calcolare l’indennità di espropriazione nel caso di un terreno classificato come agricolo ma non coltivato, doveva essere applicato lo stesso criterio utilizzato per indennizzare un terreno sfruttato in agricoltura, sulla base di un calcolo astratto e forfettario che portava a una somma corrispondente al valore agricolo medio dei terreni della regione.
  27. Il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001, modificato con il decreto-legge n. 302/2002), entrato in vigore il 30 giugno 2003, ha codificato le disposizioni esistenti e i principi giurisprudenziali in materia di espropriazione. L’articolo 40 del Testo unico ha ripreso in sostanza i criteri di fissazione dell’indennità di espropriazione previsti dall’articolo 5bis della legge n. 359/1992 per i terreni non edificabili, mentre l’articolo 37 del Testo unico ha ripreso quelli relativi ai terreni edificabili.
  28. Con la sentenza n. 181 del 2011, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992, per quanto riguarda i criteri utilizzati per calcolare l’importo dell’indennizzo in caso di espropriazione di terreni non classificati come edificabili, che si applicavano indipendentemente dalle caratteristiche reali del bene espropriato. L’Alta Giurisdizione ha ritenuto che, per essere adeguato, un indennizzo doveva essere correlato al valore di mercato del terreno, il che era possibile unicamente se il terreno in questione era valutato in concreto.
  29. Con la sentenza n. 348 del 2007 la Corte Costituzionale aveva peraltro già dichiarato incostituzionale l’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992, per quanto riguarda i criteri utilizzati per calcolare l’importo dell’indennizzo in caso di espropriazione di terreni edificabili. L’indennità da versare in caso di esproprio di un terreno edificabile era infatti calcolata secondo una formula che portava a un importo pari al 30% del valore di mercato, che poteva in alcuni casi arrivare al 50%.

    IN DIRITTO

    I. OSSERVAZIONE PRELIMINARE
  30. La Corte osserva anzitutto che il ricorrente è deceduto il 1° gennaio 2012. I suoi quattro eredi – la moglie Anna Conte e i loro tre figli Vito, Paolo e Anna Preite – hanno espresso la volontà di proseguire il procedimento dinanzi alla Corte. Poiché la sig.ra Anna Conte è deceduta il 17 agosto 2013, i tre figli del ricorrente hanno fatto sapere di essere gli eredi della stessa e hanno confermato la volontà di proseguire il procedimento.
  31. Il Governo, informato della situazione, non ha sollevato obiezioni.
  32. La Corte ritiene che gli eredi del ricorrente e della moglie, tenuto conto dell’oggetto della presente causa, possano sostenere di avere un interesse sufficiente per giustificare la prosecuzione dell’esame del ricorso e, di conseguenza, riconosce loro la qualità per sostituirsi a lui nella presente causa (si vedano, ad esempio, X c. Francia, 31 marzo 1992, § 26, serie A n. 234-C, p. 89; La Rosa e Alba c. Italia (n. 1), n. 58119/00, §§ 47-48, 11 ottobre 2005).

    II. SULLA RICHIESTA DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO DAL RUOLO CONFORMEMENTE ALL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE
  33. Il 27 gennaio 2014 il Governo ha presentato alla Corte una dichiarazione unilaterale chiedendo la cancellazione della causa come contropartita del versamento di una somma (38.000 EUR) e del riconoscimento della violazione del diritto al rispetto dei beni ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione.
  34. Il ricorrente si è opposto a questa proposta, osservando che l’importo offerto era ampiamente inferiore al valore del terreno controverso, risultante dalle perizie d’ufficio effettuate nel corso del procedimento nonché dalla perizia d’ufficio del 2 ottobre 2014 riguardante il terreno del vicino.
  35. La Corte riafferma che, in alcune circostanze, può essere indicato cancellare un ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto anche se il ricorrente desidera che l’esame della causa prosegua. Tuttavia, saranno le circostanze particolari della causa che permetteranno di determinare se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente affinché la Corte concluda che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione non esige che essa prosegua l’esame della causa ai sensi dell’articolo 37 § 1 in fine (si vedano, tra altre, Tahsin Acar c. Turchia (eccezioni preliminari) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003 VI; Melnic c. Moldavia, n. 6923/03, § 22, 14 novembre 2006).
  36. Dopo avere esaminato i termini della dichiarazione del Governo e valutato nel complesso le circostanze della causa, la Corte ritiene che la dichiarazione in questione non offra una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo non richiede che si continui a esaminare il ricorso (Przemyk c. Polonia, n. 22426/11, § 39, 17 settembre 2013; Rossi e Variale c. Italia, n. 2911/05, 3 giugno 2014).
  37. Pertanto, la Corte respinge la richiesta presentata dal Governo al fine di ottenere la cancellazione del ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione e, di conseguenza, proseguirà l’esame della causa nel merito.

    III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
  38. Il ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’indennità di espropriazione, che è stata calcolata senza tenere conto delle reali caratteristiche del terreno, ai sensi dell’articolo 5bis, comma 4, della legge n. 359 del 1992. Egli sostiene che vi è stata una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

    A. Sulla ricevibilità
  39. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B. Sul merito
    1. Argomenti delle parti
  40. Il ricorrente afferma che l’indennità di espropriazione da lui ricevuta non è adeguata in quanto notevolmente inferiore al valore di mercato del terreno. Ciò deriva dal fatto che l’indennità in questione non è stata calcolata in funzione delle reali caratteristiche del terreno, ma sulla base di un calcolo astratto. In effetti, il terreno controverso era classificato come «agricolo speciale», ma non era sfruttato per fini agricoli. Situato al centro della città, a duecento metri dalla piazza principale, aveva vocazione edificatoria. Del resto, è stato utilizzato dal comune per costruirvi un’area commerciale (mercato coperto). I giudici nazionali hanno fissato l’indennizzo come se il terreno fosse sfruttato in agricoltura, e hanno accordato una somma corrispondente al valore agricolo medio dei terreni della regione, ai sensi dell’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992. Il solo criterio preso in considerazione è stato la classificazione del terreno operata dal piano urbanistico del 1973, e non è stata attribuita alcuna rilevanza agli sviluppi successivi sia sul piano urbanistico che fattuale.
    Il ricorrente si rallegra per la sentenza n. 181 del 2011 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità della modalità di calcolo dell’indennità di espropriazione per i terreni non classificati come edificabili, prevista dall’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992. Egli osserva, tuttavia, che non ha potuto avvalersi di tale sentenza, in quanto il suo procedimento si era già concluso nel 2011.
    Il ricorrente deplora l’atteggiamento del Governo che, malgrado la sentenza della Corte Costituzionale, ribadisce i propri argomenti secondo i quali il terreno deve essere considerato e indennizzato come un terreno agricolo. Egli chiede alla Corte di tenere conto del fatto che, anche rispetto al diritto interno, la situazione di cui ha sofferto è ormai illegittima. Al riguardo, egli osserva che il suo vicino ha potuto utilmente appellarsi alla sentenza della Corte Costituzionale dinanzi ai giudici nazionali e ottenere una nuova perizia d’ufficio, in base alla quale il terreno, tenuto conto delle sue caratteristiche reali, che sono le stesse del terreno del ricorrente, valeva 20,50 EUR al metro quadrato al momento dell’espropriazione.
  41. Il Governo osserva che l’espropriazione era conforme alla legge e perseguiva uno scopo legittimo di pubblica utilità. L’unico punto in discussione è quello relativo all’indennità di espropriazione. Ora, la questione dell’indennizzo rientra nel margine di apprezzamento degli Stati, e la Corte non è competente per determinare la natura del terreno controverso e rimettere in discussione la classificazione urbanistica del bene.
    Secondo il Governo i giudici nazionali hanno, giustamente, indennizzato il terreno come agricolo, senza tenere conto delle sue reali caratteristiche. Il Governo chiede alla Corte di fondare il suo ragionamento, anche ai fini dell’equa soddisfazione, sul fatto che il terreno, essendo classificato come agricolo dal piano urbanistico, non deve essere indennizzato tenendo conto della sua vocazione edificatoria, e gli edifici costruiti dalla pubblica amministrazione non possono incidere in alcun modo. A sostegno della sua tesi, il Governo ha depositato un parere dell’Agenzia delle entrate, secondo il quale il ricorrente avrebbe dovuto percepire 38.000 EUR in più rispetto alla somma percepita a titolo di indennità di espropriazione, trattandosi di un terreno agricolo. Per determinare il valore probabile del terreno in questione al momento dell’esproprio, sarebbe dunque inopportuno tenere conto delle perizie d’ufficio disposte nell’ambito del procedimento del ricorrente o della perizia d’ufficio eseguita sul fondo del vicino, tanto più che il procedimento relativo a quest’ultimo è ancora pendente.

    2. Valutazione della Corte
  42. La Corte constata anzitutto che le parti concordano nell’affermare che vi è stata «privazione dei beni» ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
  43. Come ha precisato più volte, la Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte: «la prima, che si esprime nella prima frase del primo comma ed è di carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che compare nella seconda frase dello stesso comma, prevede la privazione della proprietà e la subordina ad alcune condizioni; quanto alla terza, presente nel secondo comma, essa riconosce agli Stati il potere, tra l’altro, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale (...). Non si tratta comunque di norme prive di rapporto tra loro. La seconda e la terza si riferiscono ad esempi particolari di violazioni del diritto di proprietà; pertanto, esse devono essere interpretate alla luce del principio sancito dalla prima» (si veda, tra altre, la sentenza James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A n. 98, che riprende in parte i termini dell’analisi che la Corte ha sviluppato nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A n. .52, p. 24; si vedano anche le sentenze I Santi Monasteri c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 56, serie A n. 301-A, p. 31, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-II, e Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, § 106, CEDU 2000 I).
  44. Una ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (si veda, tra altre, Sporrong e Lönnroth, sopra citata, § 69, p. 26). L’intenzione di assicurare un tale equilibrio si rispecchia nella struttura dell’intero articolo 1 del Protocollo n. 1, e quindi anche nella seconda frase, che deve essere analizzata alla luce del principio sancito dalla prima. In particolare, deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito da ogni misura applicata dallo Stato, ivi comprese le misure che privano una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.A. e altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 38, serie A n. 332, p. 23; Ex-Re di Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, §§ 89-90, CEDU 2000-XII; Sporrong e Lönnroth, sopra citata, § 73, p. 28).
  45. Vigilando sul rispetto di tale esigenza, la Corte riconosce allo Stato un ampio margine di apprezzamento sia nella scelta delle modalità di attuazione di tali misure che nel decidere se le conseguenze delle stesse siano giustificate, nell’interesse generale, dalla preoccupazione di raggiungere l’obiettivo della legge in questione (Chassagnou e altri c. Francia [GC], nn. 25088/94, 28331/95 e 28443/95, § 75, CEDU 1999-III). Non per questo essa può rinunciare al suo potere di controllo, in virtù del quale le compete verificare che l’equilibrio richiesto sia stato mantenuto in maniera compatibile con il diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni, ai sensi della prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Jahn e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, § 93, CEDU 2005).
  46. Al fine di determinare se la misura controversa rispetti il «giusto equilibrio» voluto e, in particolare, non faccia pesare sui ricorrenti un onere sproporzionato, si devono prendere in considerazione le modalità di indennizzo previste dalla legislazione interna. A questo riguardo, la Corte ha già dichiarato che, senza il versamento di una somma ragionevolmente rapportata al valore del bene, una privazione della proprietà costituisce normalmente una misura eccessiva. Un’assenza totale di indennizzo non si giustifica dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 se non in circostanze eccezionali (I Santi Monasteri, § 71, p. 35, Ex-Re di Grecia e altri, § 89, sentenze sopra citate). Questa disposizione non garantisce in tutti i casi il diritto a una riparazione integrale (James e altri, sopra citata, § 54, p. 36; Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 182, CEDU 2004-V).
  47. Se è vero che in numerosi casi di espropriazione lecita, come l’espropriazione isolata di un terreno in vista della costruzione di una strada o per altre finalità di «utilità pubblica», solo un indennizzo integrale può essere considerato ragionevolmente rapportato al valore del bene; ciò nondimeno tale regola presenta delle eccezioni (Ex-Re di Grecia e altri c. Grecia [GC] (equa soddisfazione), n. 25701/94, § 78, 28 novembre 2002). Degli obiettivi legittimi «di pubblica utilità», come quelli perseguiti da misure di riforma economica o di giustizia sociale, possono militare in favore di un rimborso inferiore all’intero valore di mercato (Scordino c. Italia (n. 1), [GC], n. 36813/97, §§ 93-97, CEDU 2006 V).
  48. Nella fattispecie, non viene contestato che l’ingerenza in questione rispettasse la condizione di legalità e perseguisse uno scopo legittimo di pubblica utilità. Pertanto, rimane da stabilire se, nell’ambito di una privazione della libertà legittima, il ricorrente abbia dovuto sopportare un onere sproporzionato ed eccessivo.
  49. Il ricorrente lamenta che l’indennizzo del suo terreno – non utilizzato per fini agricoli – sia stato calcolato in funzione dell’articolo 5bis, commi 3 e 4, della legge n. 359 del 1992, ai sensi dei quali l’indennità di espropriazione di un terreno classificato come agricolo dal piano urbanistico deve corrispondere al valore medio di rendimento agricolo dei terreni della regione.
  50. La Corte rammenta che non ha il compito di controllare in astratto la legislazione controversa; essa deve limitarsi per quanto possibile a esaminare i problemi sollevati dal ricorrente nell’ambito della causa che è stata chiamata a esaminare. A tal fine, nel caso di specie, essa deve esaminare la legge sopra menzionata nella misura in cui il ricorrente lamenta le ripercussioni della stessa sui suoi beni (I Santi Monasteri, sopra citata, § 55). Alla Corte non spetta nemmeno il compito di esaminare la classificazione o la stima del terreno applicate dall’amministrazione e poi dai giudici nazionali, salvo a dimostrare che l’indennità versata a questo titolo non è legata al valore reale del bene (Lallement c. Francia, n. 46044/99, § 20, 11 aprile 2002).
  51. Nella fattispecie, la Corte osserva che i giudici nazionali non hanno tenuto conto del valore di mercato del terreno. Il loro calcolo non si è infatti basato sulla situazione del terreno e sulle sue caratteristiche reali, cosicché il terreno è stato indennizzato come se fosse stato sfruttato in agricoltura. Questo sistema, che non tiene minimamente conto della diversità delle situazioni, ignorando le differenze risultanti in particolare dalla configurazione dei luoghi, e non permette pertanto di calcolare una indennità di espropriazione rapportata al valore di mercato di un terreno, ha del resto portato la Corte Costituzionale a concludere per l’incompatibilità delle disposizioni pertinenti con la Costituzione.
    Dalle circostanze sopra descritte risulta che l’indennità di espropriazione versata al ricorrente è ampiamente inferiore al valore di mercato del terreno in questione. L’importo definitivo dell’indennizzo è stato fissato in 1,81 EUR al metro quadrato, mentre il valore di mercato del terreno stimato alla data dell’occupazione era rispettivamente di circa 33 EUR o di circa 26 EUR al metro quadrato, e questo secondo le perizie d’ufficio disposte nell’ambito del procedimento intentato dal ricorrente. Peraltro, il terreno di proprietà del vicino del ricorrente ed espropriato nello stesso periodo, per lo stesso progetto pubblico, è stato valutato 20,50 EUR al metro quadrato al momento dell’esproprio.
  52. Si tratta nella fattispecie di un caso di esproprio isolato, che non si colloca in un contesto di riforma economica, sociale o politica e non è riconducibile ad altre circostanze particolari. Di conseguenza la Corte non scorge alcuno scopo legittimo «di pubblica utilità» che possa giustificare un rimborso così inferiore al valore di mercato.
  53. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte ritiene che l’indennizzo accordato al ricorrente non sia stato adeguato, tenuto conto del suo esiguo importo e dell’assenza di motivi di pubblica utilità che possano giustificare un risarcimento così inferiore al valore di mercato del bene. Di conseguenza l’interessato ha dovuto sostenere un onere sproporzionato ed eccessivo che non può essere giustificato da un interesse generale legittimo perseguito dalle autorità (Scordino c. Italia (n. 1), sopra citata, §§ 99-103).
  54. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

    IV. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
  55. Il ricorrente afferma di avere subito una violazione del suo diritto a un processo equo sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nei suoi passaggi pertinenti, dispone:
    «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».
  56. Il Governo contesta questa tesi.

    A. Sulla ricevibilità
  57. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B. Sul merito
  58. Il ricorrente lamenta che i giudici nazionali non hanno valutato il suo terreno in concreto e che hanno fondato le loro decisioni su un ragionamento astratto ai sensi della legge n. 359 del 1992. Inoltre, essi si sono basati sulla stima del fondo del vicino, invece di tenere conto delle perizie d’ufficio disposte nell’ambito del procedimento intentato dal ricorrente.
  59. Il Governo osserva che questi motivi di ricorso sono assimilabili a quelli sollevati sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
  60. La Corte ritiene che i motivi di ricorso del ricorrente a questo proposito siano assimilabili a quello sollevato da quest’ultimo, sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, per lamentare il carattere inadeguato dell’indennità di espropriazione e le modalità di calcolo della stessa. Considerate le conclusioni formulate al paragrafo 54 supra, la Corte non ritiene necessario esaminare separatamente sotto il profilo dell’articolo 6 questa parte del ricorso.

    V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  61. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

    A. Danno
  62. Per quanto riguarda il danno materiale, il ricorrente chiede in primo luogo una somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato del terreno al momento dell’esproprio e l’indennità ottenuta a livello nazionale, indicizzata e maggiorata di interessi. Per determinare il valore del bene nel 1992, egli chiede alla Corte di basarsi sulla prima perizia d’ufficio o, in subordine, sulla seconda perizia d’ufficio.
  63. Osservando poi che l’amministrazione pubblica ha sfruttato il potenziale edificabile del suo terreno costruendovi in particolare delle aree commerciali che, secondo lui, hanno fruttato al comune 1.500.000 euro (EUR), il ricorrente chiede inoltre il versamento di 500.000 EUR.
  64. Per quanto riguarda il danno morale, il ricorrente chiede il versamento di 200.000 EUR, dato che si tratta dell’ennesima espropriazione da lui subita.
  65. Il Governo si oppone alle pretese del ricorrente e sostiene che quest’ultimo non ha diritto a una somma superiore a quella proposta nella dichiarazione unilaterale, ossia 38.000 EUR, in quanto il terreno controverso è classificato come agricolo dal piano urbanistico. Inoltre, il costo di costruzione degli immobili edificati dal comune non può essere oggetto di risarcimento. In ogni caso, si dovrà detrarre la somma già ottenuta dal ricorrente a livello nazionale.
  66. Per quanto riguarda il danno morale, il Governo ritiene che le richieste del ricorrente siano sproporzionate.
  67. La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre fine alla stessa ed eliminarne le conseguenze in modo tale da ripristinare, per quanto possibile, la situazione preesistente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).
  68. Nella fattispecie, per quanto riguarda l’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ha affermato che l’ingerenza in questione soddisfaceva alla condizione di legalità e non era arbitraria (paragrafo 48 supra). L’atto del governo italiano che essa ha considerato contrario alla Convenzione era una espropriazione che sarebbe stata legittima se fosse stato versato un indennizzo adeguato, e nella fattispecie un tale indennizzo doveva corrispondere al valore di mercato del bene (paragrafi 51-52 supra). Ispirandosi ai criteri generali enunciati nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Scordino c. Italia (n. 1) sopra citata, §§ 93-98; Stornaiuolo c. Italia, n. 52980/99, § 61, 8 agosto 2006; Mason e altri c. Italia (equa soddisfazione), n. 43663/98, § 38, 24 luglio 2007; Gigli Costruzioni S.r.l. c. Italia, n. 10557/03, § 81, 1° aprile 2008; Mandola c. Italia, n. 38596/02, § 33, 30 giugno 2009; Zuccalà c. Italia, n. 72746/01, § 40, 19 gennaio 2010), la Corte ritiene che l’indennità di espropriazione adeguata nel caso di specie avrebbe dovuto corrispondere al valore di mercato del bene al momento della privazione dello stesso.
  69. Per determinare il valore probabile del terreno nel 1992, epoca dell’esproprio, la Corte dispone di tre perizie d’ufficio. Le prime due riguardano il procedimento intentato dal ricorrente e hanno valutato il terreno al momento dell’occupazione, ossia nel 1989, rispettivamente in circa 33 EUR e in circa 26 EUR al metro quadrato (paragrafo 11 supra). La terza, più recente, disposta nell’ambito del procedimento intentato dal vicino del ricorrente, ha valutato il terreno in 20,50 EUR al metro quadrato all’epoca dell’esproprio, ossia nel 1992 (paragrafo 17 supra).
  70. Dato che la terza perizia è l’unica ad aver determinato il valore del terreno del vicino all’epoca dell’esproprio, la Corte ritiene opportuno basarsi su questa, tenuto conto delle similitudini esistenti tra il terreno del ricorrente e quello del suo vicino. Essa parte dunque dal principio che il terreno controverso valeva 20,50 EUR al metro quadrato nel 1992.
  71. Di conseguenza, la Corte accorda una somma corrispondente alla differenza tra il valore del terreno all’epoca dell’esproprio, ossia 20,50 EUR al metro quadrato, e l’indennità ottenuta a livello nazionale, ossia 1,81 EUR al metro quadrato, più indicizzazione e interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento del terreno. Secondo la Corte, tali interessi devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato sul capitale progressivamente rivalutato.
  72. Tenuto conto di tali elementi, e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente la somma di 420.000 EUR, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per il danno materiale.
  73. Per quanto riguarda il danno morale, deliberando in via equitativa, la Corte accorda 10.000 EUR, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.

    B. Spese
  74. Producendo i relativi documenti giustificativi, il ricorrente chiede anche la somma di 15.513,32 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e la somma di 35.950,03 EUR per quelle sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.
  75. Il Governo sostiene che tali richieste sono eccessive e ingiustificate.
  76. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma complessiva di 20.000 EUR e la accorda al ricorrente.

    C. Interessi moratori
  77. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Respinge la richiesta di cancellazione dal ruolo del ricorso;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  4. Dichiara non doversi esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 della Convenzione;
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 420.000 EUR (quattrocentoventimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale;
      2. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. 20.000 EUR (ventimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 17 novembre 2015, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere

Päivi Hirvelä
Presidente