Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 ottobre 2015 - Ricorso n. 39393/09 - Investissements dynamiques et prudents s.a. (idep) e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 39393/09

INVESTISSEMENTS DYNAMIQUES ET PRUDENTS S.A. (IDEP) E ALTRI

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita il 20 ottobre 2015 in una camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Faris Vehabović,
Yonko Grozev, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 16 luglio 2009,

Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dalle società ricorrenti,

Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1.  La lista delle parti ricorrenti e dei loro rappresentanti è riportata in allegato.
2.  Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dai suoi co-agenti, P. Accardo e G.M. Pellegrini.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti di causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

1.  Il fallimento del gruppo S.

4. Le società ricorrenti sono creditrici delle tre società che compongono il Gruppo Saccarifero Veneto (di seguito il «gruppo S.») che, all’inizio degli anni ’80, era un importante gruppo industriale italiano.

5. Poiché il gruppo versava in difficoltà economiche, con tre sentenze emesse il 21 dicembre 1983 il tribunale di Padova rigettò la domanda delle società del gruppo S. di essere ammesse al regime di amministrazione controllata e dichiarò che si trovavano in stato di insolvenza. Le società suddette furono dunque amministrate da un commissario ad hoc, M., ai sensi della legge n. 95 del 1979 (detta «legge Prodi»).

6. Secondo le ricorrenti, le condizioni per la nomina del commissario non erano soddisfatte; inoltre, quest’ultimo avrebbe agito in maniera arbitraria e poco accorta, vendendo a prezzi troppo bassi gli stabilimenti industriali del gruppo S. e provocando ulteriori perdite finanziarie (che ammontavano, secondo le ricorrenti, a circa 225 miliardi di lire italiane (ITL – circa 116.202.802 euro (EUR)) nel 1986).

2.  Il procedimento penale

7. Dopo avere presentato invano una denuncia dei confronti di M., il 10 luglio 2002 le ricorrenti chiesero alla procura di Padova di compiere delle indagini per verificare se altre persone fossero coinvolte nei fatti, delittuosi a loro avviso, che avevano caratterizzato la liquidazione del patrimonio del gruppo S.

8. Le ricorrenti effettuarono anche privatamente delle indagini, i cui risultati furono comunicati alla procura. Esse affermano che tali indagini furono particolarmente difficili, dato l’ostruzionismo sia degli amministratori delle società coinvolte che del ministro per le attività produttive. La procura di Padova ordinò allora al ministero di produrre alcuni documenti. Secondo le ricorrenti, da tali documenti risulta che, in occasione della vendita di alcuni stabilimenti industriali, M. aveva dichiarato di essere in possesso del parere favorevole del comitato di sorveglianza del gruppo S., mentre tale parere era stato «sospeso». Inoltre, ci sarebbero state numerose e gravi irregolarità nelle scritture contabili del gruppo S.

9. Sulla base di questi elementi, la procura avviò delle indagini per diversi episodi di falsità in atti, peculato e presa di interesse privato nei confronti di M. e di altri tre persone. Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore, l’8 dicembre 2005, della legge n. 251 del 5 dicembre 2005 (detta anche «legge Cirielli»), che aveva abbreviato alcuni termini di prescrizione, tutti questi reati erano ormai prescritti.

10. Il 1° febbraio 2006 la procura chiese dunque l’archiviazione delle accuse. Nello stesso tempo eccepì l’incostituzionalità di varie disposizioni della legge n. 251 del 2005.

11. Il 7 febbraio 2006 le ricorrenti formarono opposizione avverso la domanda di archiviazione.

12. Il 17 luglio 2006 il giudice dell’udienza preliminare (di seguito il «GUP») di Padova sospese il procedimento e sollevò dinanzi alla Corte costituzionale un incidente di costituzionalità.

13. Il GUP osservò anzitutto che la questione era rilevante in quanto l’applicazione della legge n. 251 del 2005 avrebbe portato alla prescrizione di reati che, in caso contrario, avrebbero potuto essere ancora perseguiti.

14. Secondo il GUP il sistema introdotto dalla suddetta legge era irragionevole. In particolare, l’articolo 6 non teneva conto, allo scopo di calcolare il termine di prescrizione, di alcune circostanze aggravanti e delle circostanze attenuanti, e quindi non permetteva di modulare il tempo necessario per prescrivere dei fatti rispetto alla gravità e alla complessità della condotta criminale. Inoltre, i termini di prescrizione erano stati ridotti per reati che il GUP considerava gravi e il sistema degli atti interruttivi della prescrizione sembrava scontrarsi con il principio dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

15. Il GUP osservò inoltre che la legge n. 251 del 2005 conteneva una disposizione transitoria, ossia l’articolo 10 comma 3, che recita:
«Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione.»

16. L’articolo derogava al principio tempus regit actum, prevedendo che i nuovi termini di prescrizione non si applicassero né ai processi pendenti in primo grado in cui vi fosse stata la dichiarazione di apertura del dibattimento né ai processi pendenti in appello o dinanzi alla corte di cassazione. Poiché, secondo il GUP e la giurisprudenza interna, la prescrizione faceva parte del diritto penale materiale e non del diritto penale procedurale, sarebbe opportuno chiedersi se la disposizione transitoria in questione garantisse l’interesse dello Stato di punire le condotte criminali e quello delle vittime dei reati di conoscere con certezza il termine per intentare un’azione civile di risarcimento. Il fatto di applicare i nuovi termini di prescrizione ai processi nei quali, come nel caso di specie, non vi era ancora stata una dichiarazione di apertura del dibattimento non sembrava tenere debitamente conto di quest’ultimo interesse.

17. Le ricorrenti si costituirono nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale e presentarono le loro conclusioni all’udienza pubblica del 1° aprile 2008, affermando che la legge n. 251 del 2005 era incostituzionale.

18. Con la sentenza n. 324 resa il 30 luglio 2008, depositata il 1° agosto 2008, la Corte costituzionale dichiarò l’incidente di costituzionalità sollevato dal GUP parzialmente inammissibile e parzialmente infondato.

19. La Corte costituzionale osservò in particolare che una eventuale dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 6 della legge n. 251 del 2005 avrebbe violato il divieto di modificare le disposizioni del diritto penale materiale a svantaggio dell’imputato. Peraltro, contrariamente a quanto affermava il GUP, la prescrizione non poteva essere assimilata a una forma di amnistia, e la decisione di tenere conto, nel calcolo del termine di prescrizione, soltanto di alcune circostanze aggravanti non era irragionevole e rientrava nel margine di apprezzamento del legislatore.

20. L’incidente di costituzionalità era inoltre irricevibile nella parte riguardante la disposizione transitoria dell’articolo 10, comma 3 (paragrafo 15 supra), per i motivi seguenti. In primo luogo, la questione era stata sollevata in maniera oscura e troppo generica. In secondo luogo, era vero che la prescrizione faceva parte del diritto penale materiale; la disposizione transitoria contestata derogava dunque al principio della retroattività della legge penale più favorevole. Ora, con la sentenza n. 393 del 2006, la Corte costituzionale l’aveva dichiarata incostituzionale limitatamente alle parole: «(...) dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché (...) ». La Corte costituzionale aveva considerato in particolare che la scelta di fissare al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento il termine per beneficiare delle disposizioni più favorevoli della legge n. 251 del 2005 era irragionevole, in quanto l’apertura del dibattimento non era in alcun modo idonea a correlarsi significativamente ad un istituto di carattere generale come la prescrizione (si veda, in particolare, Previti c. Italia (dec.), n. 1845/08, §§ 31-32, 12 febbraio 2013). Il GUP, invece, considerava l’articolo 10 comma 3 incostituzionale in quanto non derogava sufficientemente al principio di retroattività della legge penale più favorevole, il che era in contraddizione con la giurisprudenza della Corte costituzionale.

21. Quest’ultima indicò inoltre che non condivideva la tesi delle ricorrenti secondo la quale la sentenza n. 393 del 2006 si era limitata a censurare la scelta riguardante l’apertura del dibattimento senza affermare che si poteva derogare al principio della retroattività della legge penale più favorevole soltanto per proteggere interessi di analogo rilievo.

22. Il 5 agosto 2008 le prime tre ricorrenti chiesero la correzione della sentenza della Corte costituzionale. Esse lamentavano che l’Alta giurisdizione italiana non aveva trattato alcune delle questioni che le erano state sottoposte, in particolare quella riguardante un’eventuale violazione, da parte dell’articolo 10 comma 3 della legge n. 251 del 2005, degli interessi delle vittime del reato. In particolare, la Corte costituzionale avrebbe dovuto precisare se la protezione di tali interessi potesse giustificare una deroga al principio della retroattività della legge penale più favorevole.

23. Il 30 settembre 2008 il presidente della Corte costituzionale ordinò che il fascicolo fosse trasmesso agli archivi della cancelleria. Lo stesso osservò che le prime tre ricorrenti chiedevano, in sostanza, un riesame dei motivi a sostegno della sentenza n. 324 del 30 luglio 2008. Ora, ai sensi dell’articolo 137 comma 3 della Costituzione, tale sentenza non poteva essere oggetto di alcun ricorso. In ogni caso una domanda in tal senso, formulata da parti private, era inammissibile.

24. Con una ordinanza resa il 27 marzo 2009, notificata alle ricorrenti il 20 aprile 2009, il GUP di Padova, avendo preso atto della sentenza della Corte costituzionale, archiviò le accuse a carico di M. e dei suoi presunti complici, per intervenuta prescrizione dei fatti costitutivi dei reati.

25. Il GUP osservò che, nella sua ordinanza del 17 luglio 2006 (paragrafi 12-16 supra), aveva chiaramente espresso i propri dubbi circa la costituzionalità della legge n. 251 del 2005, in particolare rispetto ad una eventuale violazione dei diritti delle vittime dei reati. La Corte costituzionale aveva ritenuto che tali questioni fossero in parte inammissibili e in parte infondate, il che impediva di riesaminarle.

B.  Il diritto interno pertinente

26. L’articolo 2947 del codice civile (il «CC») recita:

«1.  Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

2.  Per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni.

3.  In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.»

27. Dinanzi alla Corte, il Governo ha prodotto due sentenze della Corte di cassazione precisando che:

a) quando le persone affette da infezioni di tipo Hbc, Hcv e Hiv contratte a seguito di trasfusioni di sangue hanno chiamato in causa la responsabilità dell’amministrazione per omessa vigilanza sulla distribuzione di sangue, l’azione civile di risarcimento non era soggetta alla prescrizione stabilita dalla legge penale per i reati di epidemia colposa e lesioni colpose. I termini di prescrizione delle azioni civili sono di cinque anni per le vittime delle lesioni colpose e di dieci anni per coloro che desiderano ottenere un risarcimento per l’omicidio colposo dei loro famigliari (nella fattispecie, basandosi sul principio secondo il quale il regime della prescrizione civile deve essere quello vigente al momento del fatto, la Corte di cassazione ha applicato le norme in materia di prescrizione anteriori all’entrata in vigore della legge n. 251 del 5 dicembre 2005; si veda la sentenza n. 581 delle sezioni unite, 11 gennaio 2008);

b) la responsabilità del Ministero della Sanità pubblica per il danno provocato da trasfusioni di sangue infetto è di natura extracontrattuale. Pertanto, quando non sussistono gli elementi costitutivi di illeciti penali (epidemia colposa e lesioni colpose), l’azione di risarcimento è soggetta alla prescrizione quinquennale prevista dal primo paragrafo dell’articolo 2947 del CC. In caso di decesso della persona infettata, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito dalla persona interessata quando era ancora in vita, in quanto si tratta di un danno provocato da lesioni colpose, reato che all’epoca dei fatti si prescriveva in cinque anni. Invece, la prescrizione è decennale per il danno subito dai parenti della vittima, dal momento che il decesso equivale a un omicidio colposo, reato che all’epoca dei fatti si prescriveva in dieci anni (si veda la sentenza n. 7553 della terza sezione della Corte di Cassazione, 15 maggio 2012).

MOTIVO DI RICORSO

28. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, le ricorrenti lamentano una violazione dei loro diritti di accesso a un tribunale e a un processo equo.

IN DIRITTO

29. Le ricorrenti contestano l’archiviazione, per intervenuta prescrizione, delle accuse mosse contro M. e i suoi presunti complici e l’impossibilità che ne sarebbe derivata di intentare un’azione civile di risarcimento. Esse lamentano una violazione dei loro diritti di accesso a un tribunale e a un processo equo, sanciti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, tale disposizione recita:

«1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

30. Il Governo si oppone alla tesi delle ricorrenti.

A.  Le eccezioni del Governo

1.  L’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

a)  L’eccezione del Governo

31. Il Governo eccepisce anzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Esso osserva che la legge n. 251 del 2005 ha modificato soltanto il termine di prescrizione in materia penale, e non avrebbe invece influito in alcun modo sul termine di prescrizione per intentare un’azione civile di risarcimento. Pertanto, le ricorrenti avevano ancora la possibilità di proporre un’azione di questo tipo contro gli amministratori del gruppo S., anche dopo la decisione di non luogo a procedere in materia penale, cosa che non hanno fatto.

b)  La replica delle ricorrenti

32. Le ricorrenti osservano che il procedimento giudiziario nazionale ha avuto una durata anomala e ritengono che non si possa imporre loro di intentare un’azione civile dopo che è stata resa una decisione di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione in materia penale. Le ricorrenti rammentano che non hanno potuto costituirsi parti civili nell’ambito del procedimento penale, in quanto all’esito delle indagini preliminari non è stato chiesto il rinvio a giudizio. Esse non hanno dunque potuto ottenere una decisione del giudice penale che dichiarasse il loro diritto di essere risarcite per il danno subito.

2.  L’eccezione relativa alla tardività del ricorso

a)  L’eccezione del Governo

33. Il Governo eccepisce inoltre che il ricorso è stato presentato tardivamente, osservando che qualsiasi dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione deriverebbe dall’entrata in vigore della legge Cirielli. Sarebbe perciò opportuno fissare il punto di partenza del termine di sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione all’8 dicembre 2005 o, al più tardi, nell’agosto 2008, data in cui è stata depositata la sentenza con cui la Corte costituzionale ha rigettato l’incidente di costituzionalità sollevato dal GUP di Padova (paragrafo 18 supra). Il ricorso, presentato nel luglio 2009, sarebbe pertanto tardivo.

b)  La replica delle ricorrenti

34. Le ricorrenti sostengono che il termine di sei mesi è iniziato a decorrere il 20 aprile 2009, data della notifica della decisione interna definitiva, ossia l’ordinanza del GUP di Padova del 27 marzo 2009 (paragrafo 24 supra).

3.  Valutazione della Corte

35. Nelle circostanze particolari della presente causa la Corte non ritiene necessario pronunciarsi sulle questioni di stabilire se le ricorrenti abbiano esaurito le vie di ricorso che il diritto italiano metteva a loro disposizione, e se abbiano rispettato il termine di sei mesi previsto all’articolo 35 § 1 della Convenzione, in quanto il ricorso è comunque irricevibile per i seguenti motivi.

B.  Le altre osservazioni delle parti

1.  Le ricorrenti

36. Le ricorrenti affermano che la Corte costituzionale non ha esaminato la costituzionalità della legge n. 251 del 2005 rispetto alla questione della protezione dei diritti delle vittime. In effetti tale legge, congiuntamente all’articolo 2947 comma 3 del CC (paragrafo 26 supra), avrebbe ridotto non soltanto il termine di prescrizione dei reati, ma anche il termine per intentare un’azione civile di risarcimento nei confronti del colpevole. Nella fattispecie, tale termine è passato da ventidue anni e sei mesi a dodici anni e sei mesi. Poiché all’epoca dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, erano trascorsi più di dodici anni e mezzo dalla perpetrazione dei fatti delittuosi, le ricorrenti sarebbero state private della possibilità non solo di ottenere la condanna in materia penale delle persone responsabili, ma anche di citarle dinanzi al giudice civile per chiedere un risarcimento. Questo corrisponderebbe a una violazione del loro diritto di accesso a un tribunale, e il fatto di modificare retroattivamente per via legislativa il termine di prescrizione sia in materia penale che civile avrebbe pregiudicato i principi della preminenza del diritto, del processo equo e della parità delle armi.

37. Le ricorrenti contestano l’affermazione del Governo secondo la quale il termine di prescrizione dell’azione civile sarebbe autonomo e indipendente rispetto a quello di prescrizione del reato (paragrafo 39 infra). Esse citano, senza produrla, una giurisprudenza della corte di cassazione (terza sezione penale, sentenze nn. 4740 del 22 maggio 1996 e 872 del 17 gennaio 2008) che interpreta l’articolo 2947 comma 3 del CC nel senso che la prescrizione del reato comporta la prescrizione dell’azione civile. La giurisprudenza citata dal Governo al paragrafo 39 infra sarebbe stata sviluppata solo dopo l’entrata in vigore della legge Cirielli, allo scopo di razionalizzare il sistema giuridico. Le ricorrenti ne deducono che tale legge non è pertinente nella fattispecie.

38. Secondo le ricorrenti, sarebbe impossibile dire se avrebbero potuto avvalersi della nuova giurisprudenza per intentare un’azione civile di risarcimento. In effetti, in Italia i precedenti giurisprudenziali non sono vincolanti, e anche la giurisprudenza della Corte di cassazione sarebbe soggetta a continui mutamenti, il che potrebbe essere contrario al principio della certezza del diritto. Peraltro, il GUP e la procura di Padova avevano espresso il parere che l’azione civile fosse ormai prescritta per intervenuta prescrizione dei reati ai sensi della legge Cirielli.

2.  Il Governo

39. Il Governo osserva che, ai sensi dell’articolo 2947 comma 3 del CC, l’azione civile per la riparazione dei danni provocati da un reato deve essere intentata entro un termine corrispondente al termine di prescrizione del reato in questione, se tale termine è superiore a cinque anni. La Corte di cassazione ha chiarito che il termine di prescrizione da prendere in considerazione al riguardo è quello vigente al momento della perpetrazione del reato; se, come nel caso di specie, una legge successiva stabilisce un termine più breve, tale legge non può comunque influire sul termine previsto per intentare un’azione civile di risarcimento ai sensi dell’articolo 2947 comma 3 del CC (si vedano, in particolare, la sentenza delle sezioni unite n. 581 dell’11 gennaio 2008, e la sentenza della terza sezione n. 7553 del 15 maggio 2012 – paragrafo 27 supra). Questa interpretazione si basa sui principi secondo i quali: a) la prescrizione civile deve essere calcolata dal momento del fatto che ha provocato il danno (articolo 2947 comma 1 del CC); b) la legge civile non ha effetto retroattivo (articolo 11 delle disposizioni preliminari al CC); e c) l’applicabilità della legge più favorevole al reo riguarda soltanto la materia penale (articolo 2 del codice penale). La legge n. 251 del 2005 non ha derogato a questi principi. Peraltro, la giurisprudenza sopra citata è posteriore alla legge Cirielli, e fa espressamente riferimento a quest’ultima per escludere che abbia potuto incidere sul termine di prescrizione di un’azione civile di risarcimento.

40. Il Governo sottolinea anche che un’azione di questo tipo è autonoma e indipendente rispetto al processo penale. Essa può essere presentata dinanzi al giudice penale o dinanzi al giudice civile e può essere trasferita dal secondo al primo; se un tale trasferimento non è avvenuto, essa continua dinanzi al giudice civile.

41. Sulla base di quanto sopra esposto, il Governo afferma che la legge Cirielli ha modificato il termine di prescrizione in maniera retroattiva solo per quanto riguarda il procedimento penale che era in corso nei confronti degli amministratori del gruppo S. Essa non ha invece influito in alcun modo sul termine di prescrizione dell’azione civile di risarcimento che le ricorrenti avrebbero voluto intentare nei confronti delle stesse persone. Secondo il Governo, questo sarebbe sufficiente per concludere che il ricorso è manifestamente infondato.

42. Il Governo osserva infine che qualsiasi azione civile beneficia della proroga dell’interruzione della prescrizione. Pertanto il giudice civile può pronunciarsi anche se in materia penale vi è stato un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

C.  Valutazione della Corte

43. La Corte rammenta che il «diritto a un tribunale», di cui il diritto di accesso – ossia il diritto di adire un tribunale in materia civile – costituisce un aspetto, non è assoluto, ma può dare luogo a limitazioni implicitamente ammesse. Queste ultime non possono tuttavia restringere l’accesso ad un tribunale, che spetta all’individuo, in maniera o in misura tali da pregiudicare il diritto in questione nella sua stessa essenza. Inoltre, esse si conciliano con l’articolo 6 § 1 della Convenzione solo quando perseguono uno scopo legittimo e quando sussiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (si vedano, tra molte altre, Khalfaoui c. Francia, n. 34791/97, §§ 35-36, CEDU 1999-IX, e Papon c. Francia, n. 54210/00, § 90, 25 luglio 2002; si veda anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c. Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A n. 294-B).

44. Nella fattispecie, le ricorrenti lamentano l’impossibilità di intentare un’azione civile di risarcimento nei confronti di M. e dei suoi presunti complici. Secondo le interessate, tale impossibilità deriverebbe dalla legge Cirielli, che ha ridotto i termini di prescrizione per alcuni reati, in combinato disposto con l’articolo 2947 comma 3 del CC. Ai sensi di tale disposizione «se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga [di cinque anni], questa si applica anche all'azione civile».

45. La tesi delle ricorrenti si basa dunque sull’ipotesi che la riduzione del termine di prescrizione dei reati ascritti a M. e ai suoi presunti complici abbia influito anche sul termine per intentare un’azione civile di risarcimento per questi stessi fatti.

46. Tuttavia, la Corte non può che constatare che questa ipotesi viene smentita dalla giurisprudenza citata dal Governo, che ha chiarito che una legge che riduce il termine di prescrizione in materia penale entrata in vigore dopo la perpetrazione del reato non influiva in alcun modo sul termine per proporre un’azione civile di risarcimento (paragrafi 27 e 39 supra). In particolare, la Corte di cassazione ha escluso che la legge Cirielli abbia ridotto il termine di prescrizione dell’azione civile per fatti che si sono verificati, come nel caso di specie, prima della sua entrata in vigore.

47.; Le ricorrenti non hanno contestato l’esistenza della giurisprudenza citata dal Governo e si sono limitate ad affermare, in sostanza, che questa era stata il risultato di un capovolgimento giurisprudenziale e che altre sentenze andavano in senso opposto (paragrafo 37 supra). La Corte osserva tuttavia che le decisioni citate dalle ricorrenti provengono da una sezione della Corte di cassazione e non dalle sezioni unite, e sono anteriori al rigetto, da parte della Corte costituzionale, dell’incidente di costituzionalità sollevato dal GUP di Padova. Inoltre, a differenza del Governo, le ricorrenti non hanno prodotto dinanzi alla Corte la giurisprudenza che citano nelle loro osservazioni. La Corte osserva peraltro che i principi enunciati dalle sezioni unite nella sentenza dell’11 gennaio 2008 sono stati confermati dalla Corte di cassazione il 15 maggio 2012 (paragrafo 27 supra), il che induce a credere che si tratti, ormai, di una interpretazione consolidata.

48. In virtù di questa interpretazione, la legge Cirielli non pregiudica in alcun modo la possibilità, per le ricorrenti, di intentare entro il termine di ventidue anni e sei mesi a decorrere dalla data di perpetrazione dei reati, un’azione civile di risarcimento nei confronti di M. e dei suoi presunti complici. Nella fattispecie, le ricorrenti non hanno tentato questa via di ricorso (paragrafo 32 supra).

49. Poiché l’esistenza dell’ostacolo dedotto dalle ricorrenti è smentita dalla giurisprudenza prodotta dal Governo, la Corte non ravvisa, nella fattispecie, alcuna apparenza di violazione del diritto di accesso al giudice civile in capo alle interessate o, in generale, dei principi del processo equo.

50. Di conseguenza il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 12 novembre 2015.

Päivi Hirvelä
Presidente

Françoise Elens-Passos   
Cancelliere

ALLEGATO

  1. INVESTISSEMENTS DYNAMIQUES ET PRUDENTS S.A. (IDEP) è una società per azioni belga con sede a Bruxelles; dinanzi alla Corte è rappresentata dall’avv. V. Fasce del foro di Genova;
  2. PATRONATO PICCOLI AZIONISTI INDUSTRIA ZUCCHERI (PAIZ) è una società italiana con sede a Genova; dinanzi alla Corte è rappresentata dall’avv. S. Greco del foro di Cagliari;
  3. PRIMA IDEP S.P.R.L. è una società belga con sede a Bruxelles; dinanzi alla Corte è rappresentata dall’avv. V. Poli del foro di Milano;
  4. SOCIETE GENERALE DE SUCRERIES S.A. è una società per azioni belga con sede a Bruxelles; dinanzi alla Corte è rappresentata dall’avv. B. Rossini, del foro di Milano.