Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 ottobre 2015 - Ricorso n. 29733/06 - Gerarda Nardone c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 29733/06
Gerarda NARDONE
contro l’Italia


La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita il 20 ottobre 2015 in un comitato composto da:

  • Nona Tsotsoria, presidente,
  • Paul Mahoney,
  • Faris Vehabović, giudici,
  • e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 14 luglio 2006,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

  1. La ricorrente, sig.ra Gerarda Nardone, è una cittadina italiana nata nel 1948 e residente a Benevento Dinanzi alla Corte è stata rappresentata dall’avvocato D. Pizzillo, del foro di Benevento.
  2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri, e dal suo agente P. Accardo.

    A.  Le circostanze del caso di specie

  3. La ricorrente era proprietaria di un terreno di 2.400 m² situato a Calvi e registrato in catasto al foglio 20, particella 132.
  4. Il 2 aprile 1990 il comune di Calvi approvò un progetto di costruzione di case popolari che dovevano essere realizzate sul terreno della ricorrente.
  5. Con un provvedimento del 31 marzo 1992, il comune autorizzò una impresa di costruzioni privata a occupare d’urgenza il terreno, per un periodo di cinque anni, in vista della realizzazione dell’opera pubblica. L’occupazione materiale del terreno ebbe luogo l’11 giugno 1992 e i lavori iniziarono il 1° agosto 1994.
  6. Il 3 aprile 1995 il comune, rilevando che il progetto di costruzione era stato approvato sulla base di un piano urbanistico la cui validità era scaduta, ordinò la sospensione dei lavori. In seguito, con provvedimento del 2 giugno 1995, l’amministrazione annullò il permesso di costruire precedentemente concesso all’impresa.
  7. Quest’ultima si rivolse al tribunale amministrativo regionale della Campania che annullò il provvedimento del 2 giugno 1995 e dichiarò la legittimità del permesso di costruire.
  8. Con atto del 4 ottobre 1997 la ricorrente citò il comune e l’impresa di costruzioni dinanzi al tribunale di Benevento. Essa sosteneva che l’occupazione del suo terreno era illegittima e ne chiedeva la restituzione oltre al pagamento di un risarcimento.
  9. Con sentenza del 5 settembre 2007, il tribunale di Benevento dichiarò che la proprietà del terreno era passata all’amministrazione per effetto dell’espropriazione indiretta. Il tribunale sottolineò tuttavia che, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo sull’articolo 1 del Protocollo n. 1, che è vincolante per i tribunali nazionali, l’espropriazione indiretta confligge con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, e comporta l’obbligo per l’amministrazione di versare agli interessati un risarcimento pari al valore venale del terreno espropriato. Pertanto, il tribunale accordò alla ricorrente un risarcimento di 46.481,12 EUR, corrispondenti al valore venale del terreno, più rivalutazione e interessi.
  10. La società cooperativa contestò l’importo di questo indennizzo e presentò appello avverso questa sentenza alla corte d’appello di Napoli lamentando che il tribunale di Benevento non aveva applicato l’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, modificato dalla legge n. 662 del 1996.
  11. Con sentenza del 10 novembre 2010, la corte d’appello di Napoli respinse l’appello della società e confermò la sentenza del tribunale di Benevento. Essa constatò che la decisione del giudice di primo grado era stata adottata in conformità con la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, la corte sottolineò che, nel frattempo, la Corte costituzionale italiana aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996.

    B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

  12. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009 (§§ 16-48).
  13. La Corte osserva che con le sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte Costituzionale ha stabilito che la legge interna deve essere compatibile con la Convenzione secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996.
  14. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 349, ha rilevato che l’insufficienza dell’indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contraria all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e di conseguenza all’articolo 117 della Costituzione italiana, il quale prevede l’osservanza degli obblighi internazionali. Da quando è stata emessa questa sentenza, la suddetta disposizione non può più essere applicata nell’ambito dei procedimenti nazionali ancora pendenti.
  15. A seguito delle sentenze della Corte Costituzionale sono intervenute delle modifiche legislative nel diritto interno. L’articolo 89 c. 2 lett. e) della legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che, in caso di espropriazione indiretta, il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, in quanto non è ammessa nessuna riduzione
  16. Tale disposizione è applicabile a tutti i procedimenti pendenti al 1o gennaio 2008, ad eccezione di quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento sia stata accettata o sia divenuta definitiva.

    MOTIVO DI RICORSO

  17. Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1, la ricorrente lamenta di essere stata privata del suo terreno secondo modalità incompatibili con il diritto al rispetto dei suoi beni.

    IN DIRITTO

  18. La ricorrente sostiene di essere stata privata del suo terreno secondo modalità incompatibili con l’articolo 1 del Protocollo n.1 alla Convenzione, così formulato:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

    1.  Argomenti delle parti

  19. Il Governo ha eccepito la mancanza della qualità di «vittima» della ricorrente, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, in quanto essa aveva ottenuto dai giudici interni il riconoscimento ad un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato, e la somma era stata rivalutata e maggiorata degli interessi.
  20. La ricorrente si oppone a questa tesi.

    2.  Valutazione della Corte
     
  21. La Corte rammenta di aver già esaminato analoghe eccezioni in altre cause concernenti delle espropriazioni indirette. In queste cause, essa era giunta alla conclusione che il semplice fatto che la ricorrente avesse ricevuto un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno espropriato non fosse di per sé sufficiente a privarla della sua qualità di «vittima», sebbene ciò potesse rilevare sul terreno dell’articolo 41 (De Angelis e altri c. Italia, n. 68852/01, § 57, 21 dicembre 2006; Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, § 62, CEDU 2000 VI; De Sciscio c. Italia, n. 176/04, § 53, 20 aprile 2006). Al riguardo essa rammenta che una decisione o una misura favorevole al ricorrente è sufficiente in linea di principio a privarlo della sua qualità di «vittima» solo qualora le autorità nazionali abbiano riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, e successivamente riparato la violazione della Convenzione (si vedano Guerrera e Fusco c. Italia, n. 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Recueil 1996-III, p. 846, § 36).
  22. La Corte rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali riparare la dedotta violazione della Convenzione. A tale proposito, la questione di stabilire se un ricorrente possa ritenersi vittima della violazione denunciata si pone in tutte le fasi della procedura prevista dalla Convenzione e implica essenzialmente che la Corte esamini ex post facto la situazione della persona interessata (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, §§ 70-72, CEDU 2006 V).
  23. La Corte ribadisce che le spetta innanzitutto verificare se le autorità abbiano riconosciuto, almeno in sostanza, la violazione di un diritto protetto dalla Convenzione (Cocchiarella c. Italia sopra citata, § 84).
  24. Innanzitutto la Corte rammenta che il tribunale di Benevento ha ritenuto che l’espropriazione indiretta del terreno della ricorrente fosse contraria all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte, e comportasse una violazione del diritto di proprietà della ricorrente e un obbligo per l’amministrazione di riparare la violazione. Il tribunale condannò pertanto l’amministrazione a versare alla ricorrente un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno, più rivalutazione e interessi a partire dalla data della perdita della proprietà.
  25. La Corte rileva poi che la corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del tribunale di Benevento evidenziando che, con le sentenze nn. 348 e 349, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, in quanto confliggente con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione come interpretata dalla giurisprudenza della Corte.
  26. La Corte ritiene che i giudici interni abbiano esplicitamente constatato la violazione del diritto di proprietà della ricorrente. Inoltre, essa considera che il risarcimento riconosciuto dal tribunale di Benevento e confermato dalla corte d’appello di Napoli, conforme ai criteri di calcolo stabiliti dalla Corte nella sentenza Guiso Gallisay (sopra citata, § 105), costituisca una riparazione appropriata e sufficiente.
  27. Alla luce di queste considerazioni, la ricorrente non può considerarsi vittima della violazione dedotta ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si vedano Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, 12 febbraio 2013; Holzinger c. Austria (n. 1), n. 23459/94, § 21, CEDU 2001 I).
  28. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in virtù dell’articolo 35 § 4.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 12 novembre 2015.

Fatoş Aracı
Cancelliere aggiunto

Presidente
Nona Tsotsoria