Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 ottobre 2015 - Ricorso n. 44121/09 - Sante e Umberto Mandelli c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 44121/09
Sante e Umberto MANDELLI
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita il 20 ottobre 2015 in una camera composta da:

  • Päivi Hirvelä, presidente,
  • Guido Raimondi,
  • George Nicolaou,
  • Nona Tsotsoria,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Faris Vehabović,
  • Yonko Grozev, giudici,
  • e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 10 agosto 2009,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle in risposta presentate dai ricorrenti,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

  1. I ricorrenti, sig. Sante Mandelli e sig. Umberto Mandelli, sono cittadini italiani nati rispettivamente nel 1932 e 1940. Il primo ricorrente risiede a Rivergaro e il secondo a Ponte dell’Olio (Piacenza). Dinanzi alla Corte sono stati rappresentati dall’avvocato M.D. Donini, del foro di Modena.
  2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

    A.  Le circostanze del caso di specie
     
  3. I fatti di causa, così come sono stati esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
  4. I ricorrenti furono accusati di alcuni episodi di bancarotta fraudolenta, reato previsto dagli articoli 216 e 223 del regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942 (di seguito la «legge fallimentare» ¬ si vedano i paragrafi 24 e 25 infra). In particolare, secondo il punto a) del capo di imputazione, in quanto membri del consiglio di amministrazione della società per azioni X, avrebbero distratto o occultato «una somma non inferiore a 53 miliardi di lire [ITL – circa 27.372.215 euro (EUR)], pari alla differenza tra il prezzo pagato dall'intermediario della [società] controllata Z per l'acquisizione del 50% della società a responsabilità limitata Y (…) e il valore massimo attribuibile alla suddetta quota-parte». Questa operazione sarebbe stata effettuata utilizzando un prestito bancario.
  5. Secondo il punto o) del capo d'imputazione, i ricorrenti avrebbero occultato la somma di 70 miliardi di ITL (circa 36.151.982 EUR) ottenuta grazie ad una garanzia legata al prestito bancario di cui al punto a).
  6. Secondo la tesi dell'accusa, la metà della società a responsabilità limitata Y valeva in realtà poco più di 16 miliardi ITL; i ricorrenti e i loro presunti complici avevano dichiarato di averla pagata la somma, ritenuta eccessiva, di 70 miliardi ITL, e avevano distratto la differenza.
  7. I ricorrenti furono rinviati a giudizio dinanzi al tribunale di Piacenza.
  8. Con sentenza del 26 febbraio 2004, il tribunale di Piacenza condannò i ricorrenti a quattro anni di reclusione ciascuno per gli episodi di bancarotta descritti ai punti a) e o) del capo d'imputazione, concesse loro le circostanze attenuanti che ritenne prevalenti sulle circostanze aggravanti. Il tribunale applicò inoltre ai ricorrenti le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici per una durata di cinque anni e dell'interdizione dall'esercizio di attività commerciali per una durata di dieci anni. I ricorrenti furono prosciolti rispetto ad uno dei capi di imputazione e ottennero un non doversi procedere per prescrizione rispetto ai restanti capi d'imputazione.
  9. I ricorrenti furono infine condannati a risarcire il danno subito dalla parte civile, il cui ammontare sarebbe stato stabilito nell'ambito di un procedimento civile separato.
  10. In particolare, il tribunale osservò che, nonostante l’ammontare elevato, il prestito in causa era stato concesso in pochi giorni e con modalità sospette. Peraltro la società Y non esercitava alcuna attività produttiva e possedeva quote-parti di altre società in stato di dissesto finanziario; essa era stata acquisita dai ricorrenti a un prezzo cinque volte superiore a quello che era stato pagato dai venditori 16 mesi prima. Questo prezzo di acquisto era dunque ingiustificato ed incompatibile con la logica del mercato. Peraltro, in conseguenza di una serie di partecipazioni incrociate nel capitale di alcune società, vi era una sostanziale coincidenza tra venditori e. acquirenti. La difesa aveva tentato di sostenere che gli accusati non si erano appropriati di alcuna somma, ma avevano semplicemente tentato di eludere le imposte; tuttavia, alla luce degli elementi inseriti nel fascicolo, il tribunale ritenne che questa spiegazione non fosse convincente.
  11. Il pubblico ministero e i ricorrenti interposero appello. In particolare i ricorrenti sostenevano che il punto centrale della causa era il valore della società Y: se veniva provato che il prezzo per acquistarne la metà era il prezzo di mercato, le azioni penali nei loro confronti avrebbero dovuto essere abbandonate. Ora, a tale proposito vi era una divergenza molto significativa tra la valutazione del perito della procura (16,6 miliardi ITL) e quella dei periti della difesa (62 miliardi ITL). Il tribunale di Piacenza aveva rigettato la richiesta di disporre una perizia d’ufficio; i ricorrenti chiesero venisse disposta in appello, ritenendola assolutamente necessaria per la decisione sulla fondatezza dell'accusa. I ricorrenti riproposero inoltre la loro argomentazione con la quale spiegavano che le anomalie della contestata operazione finanziaria costituivano un tentativo di evasione fiscale.
  12. Con sentenza del 14 marzo 2008, depositata il 12 giugno 2008, la corte d'appello di Bologna aumentò la pena inflitta ai ricorrenti a quattro anni e sei mesi di reclusione ciascuno. Questo aumento era dovuto al fatto che la corte d’appello ritenne che le circostanze attenuanti fossero controbilanciate dalle circostanze aggravanti.
  13. La corte d'appello osservò che gli imputati non contestavano i fatti così come erano stati stabiliti dal giudice di primo grado. Si limitavano ad affermare che nel 1992, la società per azioni Y non era in stato di dissesto finanziario. Tuttavia, questa affermazione, come pure la tesi dell'evasione fiscale e quella secondo cui l'acquisizione era volta a consolidare la strategia industriale del gruppo X, erano smentite da alcuni dati. Inoltre, alcuni elementi indicavano che le società coinvolte nell'operazione appartenevano in realtà ai ricorrenti in quanto persone fisiche e non al gruppo X.
  14. Secondo la corte d'appello, l'acquisizione della società Y era chiaramente finalizzata a sottrarre ai creditori una parte dell'attivo del gruppo X, e ciò era sufficiente per configurare il reato di bancarotta, indipendentemente dal valore di mercato della società Y. Pertanto non era necessaria una perizia. In effetti, in una situazione di grave dissesto finanziario, i ricorrenti avevano deciso di acquisire la metà di una società, l'altra metà della quale apparteneva già al gruppo X. Da una parte essi avevano sottoscritto un prestito e una cauzione a titolo oneroso e, dall'altra, avevano privato gli amministratori delle garanzie personali alle quali erano tenuti. Questo comportamento non poteva che essere interpretato come un tentativo di sottrarre beni ai creditori in vista del fallimento del gruppo X.
  15. La corte d'appello osservò inoltre che, anche se la condotta delittuosa era costituita dall'acquisizione in quanto tale, e non dalla differenza tra il prezzo pagato e il prezzo di mercato di questa acquisizione, non vi era stata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Questo principio impediva di trasformare, sostituire o modificare i fatti materiali oggetto del capo di imputazione, pregiudicando i diritti della difesa. Nel caso di specie non era così, perché la condotta in causa consisteva nell'acquisizione della metà della società Y. Ora, i ricorrenti avevano avuto ampie possibilità di difendersi rispetto a tutti gli aspetti di tale condotta.
  16. I ricorrenti proposero ricorso per cassazione deducendo una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e richiesero una perizia per stabilire il valore della società Y e la situazione finanziaria del gruppo X.
  17. Con sentenza del 18 novembre 2008, depositata il 20 febbraio 2009, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d'appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il ricorso dei ricorrenti.
  18. In particolare, la Corte di cassazione osservò che era vero che secondo il punto a) del capo di imputazione, la distrazione di una somma di denaro derivava dalla differenza tra il prezzo versato per acquistare la metà della società Y e il suo valore di mercato. Era anche vero che la corte d’appello aveva ritenuto che la frode nei confronti dei creditori consistesse nell’acquisizione della società Y stessa, indipendentemente dall’esistenza di una sproporzione del prezzo. Rimaneva comunque il fatto che nel corso del processo, la natura dell’acquisizione in causa era stata ampiamente dibattuta e che una parte della motivazione della corte d’appello era soltanto una risposta alle argomentazioni della difesa che sosteneva che all’epoca dei fatti il gruppo X non era in dissesto finanziario. In queste circostanze, non era possibile rilevare alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Una violazione di questo tipo presupponeva in effetti una radicale trasformazione della condotta nei suoi elementi essenziali, in modo da creare una incertezza sull’oggetto dell’accusa e un reale pregiudizio per i diritti della difesa.
  19. La Corte di cassazione rammentò anche che la bancarotta fraudolenta era un reato di pericolo e non un reato di danno; pertanto vi era bancarotta quando un’operazione finanziaria di distrazione metteva a rischio il soddisfacimento delle pretese creditorie. Il fatto che non fosse stato stabilito l’importo del pregiudizio provocato in concreto non impediva la condanna dell’imprenditore.
  20. Del resto, la corte d’appello aveva motivato in maniera convincente tanto l’esistenza di un grave dissesto finanziario del gruppo X quanto le anomalie che viziavano l’operazione che era sfociata nell’acquisizione della metà della società Y. Non era necessario disporre una perizia per stabilire il valore di mercato della suddetta società perché gli argomenti giuridici utilizzati per dimostrare che il prezzo pagato era eccessivo erano del tutto ragionevoli.
  21. La Corte di cassazione scartò la tesi dei ricorrenti secondo la quale l’acquisizione in causa era semplicemente una operazione incauta, e ritenne che, tenuto conto della connessione esistente tra le condotte descritte ai punti a) e o) del capo di imputazione, si trattasse al contrario di una operazione illecita volta a ridurre il patrimonio del gruppo X.
  22. La Corte di cassazione sottolineò che ai sensi della sua giurisprudenza, la distrazione di fondi poteva essere realizzata anche con una cauzione, e che nella fattispecie, quest’ultima sembrava essere stata data senza contropartita. La corte d’appello aveva correttamente ritenuto che una fattura dell’importo di 1.800.000.000 ITL (circa 929.622 EUR) prodotta dai ricorrenti fosse fittizia. Inoltre, lo scopo della fideiussione in oggetto era quello di liberare i ricorrenti dalle garanzie personali che li vincolavano.
  23. La Corte di cassazione ritenne infine che il rifiuto di disporre una perizia d’ufficio per stabilire il valore della società Y non comportasse alcuna nullità, perché spettava al giudice decidere sulla utilità di un simile mezzo di prova.

    B.  Il diritto interno pertinente

    1.  Il reato di bancarotta fraudolenta
     
  24. Il reato di bancarotta fraudolenta è previsto dagli articoli 216 e 223 della legge fallimentare.
  25. Nelle loro parti pertinenti al caso di specie, queste disposizioni recitano (si veda anche Vianello c. Italia (dec.), n. 27516/09, § 6, 9 settembre 2014):
    Articolo 216 comma 1
    «È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che:
    1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
    2)  (...).»
    Articolo 223
    «Si applicano le pene stabilite nell'art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
    Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell'art. 216, se:
    1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile;
    2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.»

    2.  Il principio di correlazione tra accusa e sentenza
     
  26. Il principio in questione è enunciato nell’articolo 521, commi 1 e 2, del codice di procedura penale («il CPP»), così formulato:
    «1.  Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza.
    2.  Il giudice dispone (...) la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (...).»
  27. L’articolo 522, comma 1, del CPP stabilisce che:
    «L’inosservanza delle disposizioni previste in questo capo è causa di nullità».

    MOTIVI DI RICORSO
     
  28. Invocando l’articolo 6 § 3 a) e b) della Convenzione, i ricorrenti lamentano una mancanza di equità del procedimento penale a loro carico, soprattutto a causa di una modifica del capo di imputazione.

    IN DIRITTO
  29. I ricorrenti ritengono che il procedimento penale di cui sono stati oggetto non sia stato equo.
    Denunciano la violazione dell’articolo 6 § 3 a) e b) della Convenzione. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 6 è così formulato:
    «1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...)da un tribunale indipendente (...) il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (...).
    (...).
    3.  In particolare, ogni accusato ha diritto di::
    a)  essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
    b)  disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
    (...). »
  30. Il Governo si oppone a questa tesi.

    A.  Argomenti delle parti

    1.  I ricorrenti

     
  31. I ricorrenti osservano che nel capo di imputazione veniva loro ascritto di aver acquistato la società Y ad un prezzo sproporzionato (70.000.000.000 ITL anziché 16.000.000.000 ITL), e di aver distratto la differenza (53.000.000.000 ITL). Il pubblico ministero aveva precisato queste cifre, ma non aveva invece indicato che l’acquisizione della società Y fosse di per sé illegittima. I ricorrenti si sono difesi rispetto a questa accusa in primo e in secondo grado, tentando di dimostrare che il prezzo pagato era proporzionato al valore di mercato della società Y; su questo punto hanno prodotto cinque perizie redatte da periti di fiducia e hanno richiesto una perizia di ufficio.
  32. Tuttavia, nella sentenza del 14 marzo 2008, la corte d’appello di Bologna li ha condannati per un fatto che essi ritengono diverso, ossia l’acquisizione della società Y in sé indipendentemente dal suo valore di mercato. I ricorrenti ritengono quindi di essere stati vittime di una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, nonché dei diritti della difesa.
  33. I ricorrenti precisano che denunciano una modifica delle circostanze fattuali della condotta loro ascritta, e non un cambiamento della qualificazione giuridica di questa condotta. Essi notano che prima della pronuncia della sentenza d'appello, nessuno aveva evocato la possibilità che l'acquisizione della società Y fosse di per sé illegittima, indipendentemente dal prezzo di acquisto. Il cambiamento operato dalla corte d'appello di Bologna non era dunque in alcun modo prevedibile. Fanno notare che la Corte di cassazione non era competente a esaminare le questioni di fatto e che tutte le eccezioni degli imputati volte a rivendicare un processo equo sono state respinte.
  34. I ricorrenti sostengono che se avessero saputo di essere accusati dell'acquisizione in sé, la loro linea difensiva sarebbe stata diversa. In particolare, producendo altre testimonianze e altre perizie, avrebbero tentato di dimostrare che quando era stata decisa l'acquisizione, lo stato di dissesto finanziario del gruppo X non era ancora evidente e non poteva essere intuito dagli accusati. L'operazione non avrebbe avuto lo scopo di distrarre delle somme di denaro, ma era volta a includere la società Y nel gruppo X, al fine di rafforzarlo, e non di indebolirlo. Inoltre essi avrebbero sostenuto che i costi per l'acquisizione di una società non potevano configurare una bancarotta e che, in ogni caso, si trattava di un fatto molto meno grave di quello indicato nel capo di imputazione.
  35. Secondo i ricorrenti, la giurisprudenza interna prodotta dal Governo, nella quale si afferma che una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza si verifica soltanto quando i fatti sono radicalmente diversi rispetto a quelli descritti nel capo d'imputazione (paragrafo 38 infra), sarebbe formalistica e manifestamente contraria all'articolo 6 della Convenzione. Inoltre sarebbe smentita da altre decisioni giudiziarie, più attente a sanzionare ogni pregiudizio effettivo dei diritti della difesa (si vedano, in particolare, Corte di cassazione, sentenze nn. 3161 del 13 dicembre 2007, 18589 del 29 aprile 2011 e 1625 del 14 gennaio 2013).

    2.  Il Governo
     
  36. Il Governo osserva che ai sensi degli articoli 521 e 522 del CPP (paragrafi 26-27 supra), il giudice può dare una qualificazione giuridica delle circostanze fattuali descritte nel capo d'imputazione diversa rispetto a quella enunciata dal pubblico ministero. A pena di nullità il giudice deve restituire il fascicolo al pubblico ministero se accerta che i fatti sono «ontologicamente diversi» da come descritti nel capo d'imputazione. Secondo il Governo, nel caso di specie, non si è verificata nessuna delle situazioni enunciate dall'articolo 521 sopra citato: i ricorrenti sono stati condannati per lo stesso reato (bancarotta fraudolenta) indicato dal pubblico ministero, e la corte d'appello di Bologna non ha modificato i «fatti materiali» di cui erano accusati, ossia la distrazione fraudolenta degli attivi del gruppo X nell'ambito dell'acquisizione della società Y. Al contrario, sono cambiati alcuni aspetti fattuali o dettagli della condotta illecita: la corte d'appello non ha più insistito sulla differenza tra il valore di mercato della società Y e il prezzo pagato per acquisirne la metà; piuttosto essa ha ritenuto che, visto lo stato di insolvenza del gruppo X, l'acquisizione in sé fosse una manovra fraudolenta, ossia un'operazione che avrebbe condotto a una perdita finanziaria prevedibile e a sottrarla alle garanzie per i creditori. Poiché la modifica ha interessato soltanto la portata della distrazione di fondi, e dunque aspetti secondari della condotta, il «nucleo» degli elementi fattuali dell'accusa iniziale non è stato modificato.
  37. Secondo il Governo, i ricorrenti non sono stati colti «di sorpresa», e la sentenza d'appello non era imprevedibile per loro. A tale riguardo sottolinea che non è stato modificato nessuno degli elementi intrinseci dell'accusa originale (ossia, la distrazione di fondi, lo stato di dissesto finanziario del gruppo X, l'acquisizione sospetta della società Y, il rischio per i creditori e l'elemento intenzionale del dolo). I ricorrenti dovevano sapere che la distrazione di fondi poteva riguardare l'operazione di acquisizione nella sua globalità, non soltanto il carattere sproporzionato del prezzo d'acquisto.
  38. Conformemente alla giurisprudenza interna in materia (il Governo cita, tra l'altro, le sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 16 del 19 giugno 1966 e n. 36551 del 15 luglio 2010), la Corte di cassazione ha considerato che nel caso di specie non vi era stato «cambiamento della imputazione», in quanto non si era verificata nessuna radicale trasformazione della modalità operativa nei suoi elementi essenziali, tale da creare un'incertezza sull'oggetto dell'accusa e un pregiudizio reale per i diritti della difesa (paragrafo 18 supra). Il Governo nota anche che la giurisprudenza citata dai ricorrenti (paragrafo 35 supra) non è pertinente, perché si riferisce a ipotesi di modifica della qualificazione giuridica del reato (mutatio in juris), e non, come nella fattispecie, ad un lamentato cambiamento delle circostanze di fatto (mutatio in facti) della condotta illecita.
  39. Secondo il Governo, i ricorrenti hanno avuto la possibilità di difendersi rispetto a tutti gli aspetti dell'acquisizione della società Y come pure sulla questione di stabilire se all'epoca dei fatti il gruppo X si trovasse in uno stato di dissesto finanziario. Questi elementi sono stati abbondantemente discussi nel corso del processo sulla base di materiale probatorio portato a conoscenza della difesa, e la corte d'appello di Bologna ha sufficientemente motivato la sua conclusione secondo la quale vi erano chiari segni dello stato di insolvenza o di pre-insolvenza del gruppo X.
  40. Il Governo rileva che la questione di una eventuale violazione dei diritti della difesa e del principio di correlazione tra accusa e sentenza è stata esaminata dalla corte d'appello di Bologna e dalla Corte di cassazione. Da ciò deduce che gli interessati avevano a loro disposizione un rimedio effettivo per denunciare un eventuale pregiudizio dei diritti della difesa, e che il motivo di ricorso dei ricorrenti rientrerebbe nella competenza di un «quarto grado di giudizio». Peraltro nel loro ricorso i ricorrenti non hanno in alcun modo indicato le strategie difensive che avrebbero seguito se fossero venuti a conoscenza in tempo utile della ipotizzata modifica del capo d'imputazione. Ciò è stato fatto soltanto nelle loro osservazioni in risposta dinanzi alla Corte (paragrafo 34 supra). Dinanzi alla Corte di cassazione, gli interessati si sono limitati a denunciare il rigetto delle loro richieste di perizie per stabilire il valore della società Y e la situazione finanziaria del gruppo X. Agendo in tal modo, non hanno scelto una nuova linea difensiva, ma in sostanza hanno reiterato richieste già formulate dinanzi ai giudici di primo e secondo grado.
  41. Il Governo nota infine che l’imposizione di una pena più severa in appello era dovuta al bilanciamento tra le circostanze aggravanti e attenuanti e non alla lamentata modifica dell’accusa.

    B.  Valutazione della Corte

    1.  Principi generali

     
  42. La Corte rammenta che le disposizioni dell'articolo 6 § 3 a) della Convenzione traducono la necessità di mettere un'estrema cura nel notificare l’«imputazione» all'interessato. L'atto d'accusa svolge un ruolo determinante nelle azioni penali: a decorrere dalla sua notificazione, la persona indagata è ufficialmente avvisata per iscritto della base giuridica e fattuale degli addebiti che le vengono rivolti (Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 79, serie A n. 168). Peraltro, l'articolo 6 § 3 a) riconosce all'accusato il diritto di essere informato non soltanto dei motivi dell'accusa, ossia dei fatti materiali che sono posti a suo carico e sui quali si basa l'accusa, ma anche, in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a questi fatti (Pélissier e Sassi c. Francia [GC], n. 25444/94, § 51, CEDU 1999-II; Previti c. Italia (dec.), n. 45291/06, § 203, 8 dicembre 2009; e Grande Stevens e altri c. Italia, nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10, § 167, 4 marzo 2014).
  43. La portata di questa disposizione deve essere valutata soprattutto alla luce del diritto più generale a un processo equo garantito del paragrafo 1 dell'articolo 6 della Convenzione (Sadak e altri c. Turchia (n. 1), nn. 29900/96, 29901/96, 29902/96 e 29903/96, § 49, CEDU 2001 VIII, e Drassich c. Italia, n. 25575/04, § 32, 11 dicembre 2007). La Corte considera che in materia penale una notificazione precisa e completa di quanto viene ascritto all’accusato - compresa la qualificazione giuridica che l'autorità giudiziaria potrebbe ritenere a suo carico - è una condizione essenziale dell'equità della procedura (Pélissier e Sassi, sopra citata, § 52, e Grande Stevens e altri, sopra citata, § 168).
  44. Peraltro lo stesso può dirsi in materia civile, in quanto la Corte ha affermato che il giudice deve rispettare il principio del contraddittorio e dare alle parti la possibilità di conoscere e di dibattere qualsiasi questione essenziale per l'esito della procedura (Drassich, sopra citata, § 33; si vedano, ad esempio e in materia di equità delle procedure civili, Clinique des Acacias e altri c. Francia, nn. 65399/01, 65406/01, 65405/01 e 65407/01, § 38, 13 ottobre 2005, e Prikyan e Angelova c. Bulgaria, n. 44624/98, § 52, 16 febbraio 2006).
  45. Certamente, l'ampiezza dell'informazione «dettagliata» prevista dall'articolo 6 § 3 a) della Convenzione varia secondo le circostanze particolari della causa; tuttavia, l'imputato deve in ogni caso disporre di elementi sufficienti per comprendere pienamente quanto gli è stato ascritto in modo da preparare convenientemente la sua difesa. A tale proposito, l’adeguatezza dell'informazione deve essere valutata in relazione al comma b) del paragrafo 3 dell'articolo 6, che riconosce a tutte le persone il diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la propria difesa (Pélissier e Sassi, sopra citata, § 54, e Grande Stevens e altri, sopra citata, § 169). In particolare, l'imputato deve essere debitamente e pienamente informato delle modifiche dell'accusa, comprese quelle che riguardano la sua «causa», e deve disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per reagirvi e organizzare la sua difesa sulla base di ogni nuova informazione o deduzione (Mattoccia c. Italia, n. 23969/94, § 61, CEDU 2000-IX).
  46. La Corte ha anche affermato che, per loro stessa natura, i capi d'imputazione sono formulati in maniera sintetica e le precisazioni relative alla condotta ascritta si evincono normalmente da altri documenti del processo, quali l'ordinanza di rinvio a giudizio e i documenti contenuti nel fascicolo della procura messo a disposizione della difesa. Essa ha precisato che non si può escludere che alcuni dettagli rimangano oscuri anche all'esito del procedimento giudiziario interno (Previti, decisione sopra citata, § 208). Infine, la Convenzione non vieta ai giudici nazionali di precisare, sulla base degli elementi prodotti durante il dibattimento e portati a conoscenza dell'imputato, le modalità di esecuzione del reato che gli viene ascritto (Previti, decisione sopra citata, § 209, e Sampech c. Italia (dec.), n. 55546/09, § 110, 19 maggio 2015).

    2.  Applicazione di questi principi al caso di specie

  47. La Corte rammenta innanzitutto che non le spetta esaminare in abstracto la legislazione e la prassi pertinenti, ma deve verificare se la maniera in cui esse hanno riguardato i ricorrenti abbia infranto la Convenzione (si vedano, tra molte altre e mutatis mutandis, Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993, § 24, serie A n. 257-B, e C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, n. 46967/07, § 78, 24 febbraio 2009). Pertanto la Corte non deve verificare se, come i ricorrenti sembrano suggerire (paragrafo 35 supra), da un punto di vista generale l’interpretazione data dalla Corte di cassazione al principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'articolo 521 del CPP (paragrafo 26 supra) sia incompatibile con l'articolo 6 della Convenzione (si veda, in particolare, D.C. c. Italia (dec.), n. 55990/00, 28 febbraio 2002). In particolare, la Corte non ha il compito di sostituirsi ai giudici interni. In primo luogo spetta alle autorità nazionali, soprattutto alle corti e ai tribunali, interpretare la legislazione interna (si vedano, tra altre, Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, 19 febbraio 1998, § 33, Recueil des arrêts et décisions 1998-I, e Pérez de Rada Cavanilles c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 43, Recueil 1998-VIII). Il ruolo della Corte si limita a verificare che gli effetti di tale interpretazione siano compatibili con la Convenzione (Cordova c. Italia (n. 1), n. 40877/98, § 57, CEDU 2003-I, e Kaufmann c. Italia, n. 14021/02, § 33, 19 maggio 2005). In particolare, essa deve assicurarsi che la procedura considerata nel suo insieme abbia avuto un carattere equo (si veda, ad esempio, Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, 23 aprile 1997, § 50, Recueil 1997-III).
  48. Inoltre la Corte nota che, nel caso di specie, la qualificazione giuridica dei fatti ascritti ai ricorrenti non è stata modificata. Il capo d'imputazione indicava che questi fatti costituivano una bancarotta fraudolenta, e i ricorrenti alla fine sono stati condannati proprio per questo reato. Il Governo lo sottolinea giustamente (paragrafo 36 supra) e i ricorrenti non lo contestano (paragrafo 33 supra). Questo elemento permette di differenziare la presente causa dalle cause in cui vi è stata riqualificazione giuridica dei fatti (si vedano, ad esempio, Pélissier e Sassi, sopra citata; Dallos c. Ungheria, n. 29082/95, CEDU 2001-II; Feldman c. Francia (dec.) n.  53426/99, 6 giugno 2002; e Drassich, sopra citata), nonché dalle cause in cui sono state ritenute a carico degli accusati nuove circostanze aggravanti (si veda, in particolare, De Salvador Torres c. Spagna, 24 ottobre 1996, Recueil 1996-V). Secondo la Corte, il caso di specie si avvicina piuttosto alle cause in cui, nel corso del processo, le autorità hanno apportato modifiche e/o precisazioni sulle modalità relative alla perpetrazione dei reati (si vedano, in particolare, Matoccia, sopra citata; D.C. c. Italia, decisione sopra citata; e Previti, decisione sopra citata, § 209).
  49. La Corte osserva che ai sensi degli articoli 216, comma 1, e 223 della legge fallimentare (paragrafo 25 supra), il reato di bancarotta fraudolenta è costituito, tra l'altro, quando gli amministratori di una società dichiarata in stato di fallimento distraggono o distruggono in tutto o in parte i beni della società, e ciò al fine di portare pregiudizio ai creditori. Ora, secondo il punto a) del capo d'imputazione (paragrafo 4 supra), i ricorrenti, membri del consiglio di amministrazione della società per azioni X, avevano realizzato il risultato vietato dalle disposizioni in questione distraendo o distruggendo una importante somma di denaro, che era pari alla differenza tra il prezzo pagato per acquisire la metà della società Y e il valore di mercato di quest'ultima. Il capo di imputazione poneva dunque l'accento su un aspetto particolare dell'acquisizione della società Y, ossia il prezzo di acquisto verosimilmente eccessivo. Il tribunale di Piacenza ha in sostanza aderito alla tesi della procura: alla luce degli elementi contenuti nel fascicolo, ha ritenuto che questo prezzo fosse ingiustificato ed incompatibile con la logica del mercato (paragrafo 10 supra).
  50. Secondo la Corte, la circostanza per la quale durante le indagini preliminari e durante il processo di primo grado, le autorità avessero concentrato la loro attenzione su un aspetto particolare dell'acquisizione della società Y non significava escludere che un danno per i creditori potesse derivare anche da questa operazione finanziaria vista nella sua globalità. Questo è stato precisamente il punto di vista espresso dalla corte d'appello di Bologna che, avendo esaminato le prove raccolte nel corso del dibattimento e le difese avanzate dai ricorrenti, era giunta alla conclusione che l'acquisizione della società Y si prefiggeva di sottrarre ai creditori una parte dell'attivo del gruppo X in vista del suo fallimento. Per la Corte questo era sufficiente per concretizzare la condotta costitutiva del reato di bancarotta fraudolenta, indipendentemente dal carattere, eccessivo o meno, del prezzo di acquisto (paragrafi 13-14 supra). Decidendo in tal modo, i giudici d'appello non hanno condannato i ricorrenti per fatti diversi rispetto a quelli indicati nel capo d'imputazione, ma hanno preso in considerazione, nel suo insieme, un evento (acquisizione della società Y) che era ivi chiaramente menzionato. La Corte ritiene che ciò non possa essere considerato di per sé contrario all'articolo 6 della Convenzione.
  51. Inoltre, per stabilire se i ricorrenti abbiano avuto la possibilità di presentare le loro difese riguardo a tutti gli aspetti della condotta per la quale sono stati condannati, la Corte osserva che, nel loro ricorso per cassazione, gli interessati non hanno chiaramente indicato le strategie difensive che avrebbero seguito se fossero venuti a conoscenza in tempo utile della possibilità di essere condannati per una bancarotta realizzata proprio con l'acquisizione della società Y. Il Governo lo sottolinea giustamente (paragrafo 40 supra). Al contrario, dinanzi alla Corte, gli interessati hanno precisato che la loro linea difensiva alternativa si sarebbe basata sul tentativo di dimostrare l'impossibilità di accorgersi dello stato di dissesto finanziario del gruppo X e lo scopo non fraudolento dell'acquisizione controversa (paragrafo 34 supra).
  52. La Corte osserva che, per sua stessa natura, il reato di bancarotta fraudolenta presuppone l'esistenza di uno stato di dissesto finanziario; si tratta di un reato di pericolo, costituito quando un'operazione di distrazione mette a rischio il soddisfacimento delle pretese creditorie (paragrafo 19 supra). I ricorrenti, che sono stati rappresentati dall'avvocato durante il procedimento giudiziario, non potevano ignorare ciò. In effetti, come notato dalla Corte di cassazione (paragrafo 18 supra), la difesa ha tentato di sostenere che, all'epoca dei fatti, il gruppo X non era in stato di dissesto. Ora, la natura e lo scopo dell'operazione in causa sono stati sufficientemente discussi nel corso del processo (paragrafi 14, 18 e 20 supra).
  53. Queste considerazioni sono sufficienti alla Corte per concludere che i ricorrenti hanno avuto a disposizione il tempo e le facilitazioni necessarie per preparare le loro difese con riguardo a tutti gli aspetti della condotta per la quale la corte d'appello di Bologna li ha condannati.
  54. Pertanto, la Corte non constata alcuna violazione del diritto, garantito ai ricorrenti dall'articolo 6 § 3 a) e b) della Convenzione, di essere informati della natura e dei motivi dell'accusa formulata contro di loro e di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la loro difesa.
  55. Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,
Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 12 novembre 2015.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere

Päivi Hirvelä
Presidente