Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 ottobre 2015 - Ricorso n. 56635/13 - Costantino Di Silvio c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 56635/13
Costantino DI SILVIO
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione) riunita il 20 ottobre 2015 in una camera composta da:

Päivi Hirvelä, presidente,

  • Guido Raimondi,
  • George Nicolaou,
  • Nona Tsotsoria,
  • Paul Mahoney,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Faris Vehabović, giudici,
  • e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 21 agosto 2013,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

  1. Il ricorrente, il sig. Costantino Di Silvio, è un cittadino italiano, nato nel 1967 e residente a Latina. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dagli avv. G. Marino e C. Bertini del foro di Latina.
  2. I fatti di causa, come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.

    A.  Le circostanze del caso di specie
     
  3. Il 25 febbraio 1997 furono sparati dei colpi di arma da fuoco contro un’automobile di proprietà della moglie di un giudice di Latina, X. Il 3 marzo 1997 la polizia sequestrò una pistola, trovata in possesso di un certo Y. Un perito balistico nominato dalla procura, Z, esaminò la pistola, effettuò delle prove di tiro e confrontò i risultati con i proiettili trovati all’interno dell’automobile danneggiata. Z concluse che si trattava dell’arma che era stata utilizzata per danneggiare l’automobile della moglie del giudice X.
  4. Y chiese di essere giudicato con il giudizio abbreviato, una procedura semplificata che comporta, in caso di condanna, una riduzione di pena (si veda la descrizione del diritto interno pertinente nella sentenza Hermi c. Italia ([GC], n. 18114/02, §§ 27-28, CEDU 2006 XII, e Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 27-28, 17 settembre 2009). La richiesta fu accolta e Y fu condannato in qualità di autore dei fatti il 25 febbraio 1997. La condanna divenne definitiva.
  5. Fu avviata l’azione penale anche nei confronti del ricorrente, sospettato di essere il mandante delle azioni di Y. Egli fu accusato di porto e detenzione di arma da fuoco senza autorizzazione, danneggiamento dei beni altrui e minacce, reati che, secondo la tesi della procura, erano stati commessi in concorso con Y.
  6. Il ricorrente fu rinviato a giudizio dinanzi al tribunale di Perugia. Nel corso del dibattimento, il ricorrente e numerosi testimoni furono interrogati. Il ricorrente era rappresentato da due avvocati di fiducia, A e B.
  7. Con una sentenza emessa il 10 marzo 2006, depositata il 29 maggio 2006, il tribunale di Perugia condannò il ricorrente per porto e detenzione di arma da fuoco senza autorizzazione e danneggiamento dei beni altrui a una pena di due anni e otto mesi di reclusione e di 300 euro (EUR) di multa. Il ricorrente beneficiò di un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per quanto riguarda il reato di minacce.
  8. Sulla base dei documenti acquisiti al fascicolo e delle dichiarazioni rese in udienza dai testimoni, in particolare da W, fidanzata di Y, il tribunale stabilì che: a) Y aveva ricevuto dal ricorrente la pistola utilizzata per danneggiare l’automobile della moglie del giudice X; b) il ricorrente, inserito in un ambiente criminale, nutriva una certa animosità contro il giudice X, che aveva redatto l’ordinanza con la quale egli veniva sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per un periodo di quattro anni; c) il ricorrente aveva preso visione del contenuto dell’ordinanza in questione il 25 febbraio 1997; d) il ricorrente esercitava una certa influenza su un gruppo di giovani delinquenti, tra i quali Y; e e) il ricorrente e Y si erano incontrati in un ristorante poco prima dei fatti delittuosi. Questi elementi bastavano al tribunale per concludere che il ricorrente era il mandante delle azioni di Y.
  9. Il ricorrente interpose appello per il tramite dell’avv. A. Egli affermò, tra l’altro, che le modalità del sequestro della pistola facevano sorgere dei dubbi sul fatto che si trattasse effettivamente dell’arma utilizzata per danneggiare l’automobile della moglie del giudice X.
  10. La prima udienza, fissata per il 21 gennaio 2011, fu rinviata al 17 giugno 2011 su richiesta della difesa, che produsse un certificato medico attestante che il ricorrente era ammalato. Quest’ultimo non si presentò all’udienza del 17 giugno 2011 e fu dichiarato contumace. Il rappresentante della procura e l’avv. A. presentarono quindi le loro difese orali.
  11. Con una sentenza resa il 17 giugno 2011, depositata in cancelleria il 12 dicembre 2011, la corte d’appello di Perugia pronunciò un non luogo a procedere, per intervenuta prescrizione, per il reato di danneggiamento della cosa altrui. Detta corte confermò la condanna del ricorrente per porto e detenzione di arma da fuoco senza autorizzazione e ridusse la pena inflitta a due anni e sei mesi di reclusione e 260 EUR di multa.
  12. La corte d’appello considerò che le critiche mosse dal ricorrente nei confronti della sentenza di primo grado non erano fondate, in quanto il tribunale aveva basato le sue conclusioni su una lettura corretta degli elementi di prova. In particolare, tenuto conto delle testimonianze degli agenti di polizia e di un informatore, nonché della perizia balistica effettuata da Z, era accertato che la pistola sequestrata trovata in possesso di Y era l’arma che aveva sparato contro l’automobile in questione. Peraltro, nulla permetteva di pensare che, come suggeriva il ricorrente, l’arma fosse stata sostituita mentre si trovava in possesso della Prefettura. La corte d’appello considerò anche che le dichiarazioni di W, che permettevano di identificare il ricorrente come la persona che aveva dato la pistola a Y, erano attendibili e non erano state influenzate da fonti esterne.
  13. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione per il tramite dell’avv. A, affermando, tra l’altro, che i giudici di appello non avevano debitamente motivato la sua condanna, e lamentò di non essere stato informato della data del dibattimento di appello. A questo riguardo, egli osservò che il suo difensore, l’avv. A, aveva rifiutato a nome del suo cliente la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza del 17 giugno 2011, avvalendosi in tal modo della facoltà a lui riconosciuta dall’articolo 157 c. 8bis del codice di procedura penale (di seguito il «CPP» – paragrafo 19 infra). Di conseguenza la notifica non era regolare. Il ricorrente affermò anche che il giudice d’appello avrebbe dovuto riaprire l’istruzione e che i reati a lui ascritti erano caduti in prescrizione.
  14. Con una sentenza resa il 27 febbraio 2013, depositata il 12 aprile 2013, la Corte di cassazione cassò senza rinvio la sentenza di appello nella parte in cui condannava il ricorrente per detenzione di arma da fuoco senza autorizzazione, in quanto il reato in questione era ormai caduto in prescrizione. La stessa Corte indicò che la pena da infliggere per il reato di porto d’arma da fuoco senza autorizzazione doveva essere fissata in due anni e quattro mesi di reclusione e 220 EUR di multa. Ritenendo che la corte d’appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, la Corte di cassazione respinse tutti gli altri motivi di ricorso del ricorrente.
  15. In via preliminare, la Corte di cassazione osservò che la sentenza di appello non poteva essere considerata separatamente, ma doveva essere analizzata congiuntamente alla sentenza di primo grado. Poiché queste due decisioni si sviluppavano seguendo le stesse linee logiche e giuridiche, secondo la giurisprudenza consolidata dell’Alta giurisdizione italiana esse formavano un insieme unico e indivisibile.
  16. La Corte di cassazione osservò poi che, ai sensi della sua giurisprudenza, il rifiuto, espresso dal difensore, di ricevere una notifica in nome del suo cliente era valido solo se espresso al momento della sua nomina in qualità di difensore o immediatamente dopo quest’ultima, e ad ogni modo prima della notifica di un atto. Questa interpretazione era conforme allo spirito della legge n. 60 del 2005, che aveva introdotto il comma 8bis dell’articolo 157 del CPP allo scopo di garantire il rispetto del «termine ragionevole» di durata dei procedimenti penali. In effetti, si sarebbero verificati dei ritardi se si fossero obbligate le autorità ad attendere la prima notifica per sapere se il difensore accettasse o meno di ricevere le comunicazioni indirizzate al suo cliente. Era vero che, nel caso di specie, il ricorrente aveva nominato il suo avvocato prima dell’entrata in vigore della legge n. 60 del 2005; rimaneva comunque il fatto che l’avv. A avrebbe dovuto manifestare il proprio rifiuto di ricevere le notifiche a nome del suo cliente al più tardi al momento della comunicazione dell’avviso di fissazione della prima udienza di appello. Invece l’avv. A lo aveva fatto solo al momento della comunicazione della data di fissazione della seconda udienza di appello, dopo il rinvio della prima a causa di una malattia del suo cliente (paragrafo 10 supra). In queste circostanze il suo rifiuto tardivo non era valido, e la notifica dell’avviso di fissazione della seconda udienza di appello era regolare.
  17. L’Alta giurisdizione italiana ritenne infine che i dubbi espressi dal ricorrente per quanto riguarda l’identificazione della pistola fossero soltanto semplici ipotesi inerenti al merito della causa; ora, le doglianze di questo tipo erano inammissibili in cassazione. Peraltro, se vi erano dubbi sulla coincidenza tra l’arma sottoposta a perizia da parte di Z e quella sequestrata a Y, il ricorrente avrebbe dovuto chiedere una nuova perizia dinanzi ai giudici di merito, cosa che non aveva fatto.

    B.  Il diritto interno pertinente
     
  18. L’articolo 157 comma 1 del CPP prevede che la prima notificazione all’imputato non detenuto venga eseguita mediante consegna di copia alla persona. Ove ciò non fosse possibile, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l'imputato esercita abitualmente l'attività lavorativa, mediante consegna a una persona che conviva o, in mancanza, al portiere. I commi successivi dell’articolo 157 sopra citato descrivono le modalità della prima notificazione e i casi in cui essa deve essere rinnovata o in cui è necessario procedere a nuove ricerche dell’imputato.
  19. Il decreto-legge n. 17 del 21 febbraio 2005, convertito (con modifiche) dalla legge n. 60 del 22 aprile 2005, ha introdotto all’articolo 157 del CPP un paragrafo 8bis, che recita:
    «Le notificazioni successive sono eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi dell'articolo 96, mediante consegna ai difensori. Il difensore può dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione. Per le modalità della notificazione si applicano anche le disposizioni previste dall'articolo 148, comma 2bis [che prevede la notificazione con mezzi tecnici idonei].»

    MOTIVO DI RICORSO

  20. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’iniquità del procedimento penale che si è tenuto nei suoi confronti.
  21. Invocando l’articolo 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione, il ricorrente lamenta di non avere beneficiato di un doppio grado di giudizio in materia penale.

    IN DIRITTO

    A.  Motivi di ricorso relativi all’articolo 6 della Convenzione
     
  22. Il ricorrente considera che il procedimento penale di cui è stato oggetto non sia stato equo, e invoca l’articolo 6 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
    «1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...).
    (...)
    3.  In particolare, ogni accusato ha diritto di:
    (...)
    c)  difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
    d)  esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
    (...).»
  23. La Corte rammenta che le esigenze del paragrafo 3 dell’articolo 6 della Convenzione rappresentano degli aspetti particolari del diritto a un processo equo sancito dal paragrafo 1 di tale disposizione. Pertanto, essa esaminerà le doglianze del ricorrente sotto il profilo del combinato disposto di questi due testi (si vedano, tra molte altre, Van Geyseghem c. Belgio [GC], n. 26103/95, § 27, CEDU 1999-I).
  24. Essa rammenta anche che, quando esamina un motivo di ricorso relativo all’articolo 6 della Convenzione, deve essenzialmente cercare di stabilire se il procedimento penale abbia rivestito un carattere equo (Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, § 84, CEDU 2010). Per farlo, essa esamina il procedimento nel suo insieme.
  25. Nella presente causa, la Corte ritiene necessario esaminare in primo luogo le diverse doglianze del ricorrente separatamente, per poi procedere a un esame del procedimento nel suo complesso (si veda, mutatis mutandis e a titolo di esempio, Sampech c. Italia (dec.), n. 55546/09, § 73, 19 maggio 2015).

    1.  Motivo di ricorso relativo all’assenza del ricorrente all’udienza di appello
     
  26. Il ricorrente lamenta di non avere partecipato al processo di appello. Egli afferma di essere stato dichiarato contumace senza essere stato informato della data del dibattimento, che è stata comunicata unicamente al suo avvocato. Ciò è stato fatto in applicazione dell’articolo 157 comma 8bis del CPP, una disposizione che il ricorrente considera contraria alla Convenzione, e che è entrata in vigore solo il 23 febbraio 2005, quando il processo di primo grado era in corso.
  27. La Corte osserva anzitutto che la Corte di cassazione ha ritenuto che le notifiche relative al processo di appello fossero regolari nel diritto italiano. Per giungere a questa conclusione, ha interpretato l’articolo 157 comma 8bis del CPP (paragrafo 19 supra) conformemente alla sua giurisprudenza consolidata. Secondo tale interpretazione, l’avvocato del ricorrente poteva rifiutare di ricevere le notifiche a nome del suo cliente, ma tale rifiuto era valido soltanto se fatto al momento della prima comunicazione relativa al processo d’appello, il che non si era verificato nel caso di specie (paragrafo 16 supra).
  28. A questo riguardo, la Corte rammenta che è competente unicamente per applicare la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e non ha il compito di esaminare gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione nazionale, salvo se e nella misura in cui tali errori possano aver pregiudicato i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione (García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I, e, con riguardo specificamente alla pretesa nullità di una notifica, Somogyi c. Italia, n. 67972/01, § 62, CEDU 2004-IV, e Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 6 novembre 2007).
  29. La Corte non è dunque chiamata a pronunciarsi sulla regolarità, nel diritto italiano, della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza di appello del 17 giugno 2011, eseguita presso l’avvocato del ricorrente. Essa deve invece verificare se il procedimento penale condotto contro il ricorrente sia stato equo (si vedano, tra molte altre, Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, del 23 aprile 1997, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1997-III), esaminando se gli effetti della notifica in questione abbiano pregiudicato i diritti della difesa al punto di violare l’articolo 6 della Convenzione (si veda, in particolare, Hany, decisione sopra citata).
  30. Per di più la Corte osserva che il ricorrente, che ha partecipato al dibattimento dinanzi al tribunale di Perugia, non è stato giudicato in contumacia nel processo di primo grado. Nella presente causa è in discussione soltanto la sua assenza all’udienza d’appello del 17 giugno.
  31. I principi generali in materia di processo in contumacia sono enunciati nella sentenza Sejdovic c. Italia ([GC], n. 56581/00, §§ 81-95, CEDU 2006-II).
  32. Facendo applicazione di questi principi nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente è stato informato dell’avvio dell’azione penale e del dibattimento di primo grado. Evidentemente, ha avuto conoscenza anche della sua condanna da parte del tribunale di Perugia, in quanto ha interposto appello avverso la stessa per il tramite del suo avvocato di fiducia, l’avv. A (paragrafo 9 supra). La sua situazione è pertanto diversa da quella del sig. Sejdovic, che non ricevette mai una notifica ad personam (Sejdovic sopra citata, § 96).
  33. La Corte considera anche accertato che il ricorrente fosse a conoscenza della data inizialmente fissata per il dibattimento di appello, ossia il 21 gennaio 2011. In effetti, egli ha prodotto un certificato medico allo scopo di ottenere il rinvio di tale udienza (paragrafo 10 supra).
  34. In queste circostanze, la Corte ritiene che fosse il ricorrente a dover contattare il suo avvocato di fiducia per sapere se il rinvio richiesto fosse stato accordato e, in caso affermativo, quale data fosse stata fissata per il dibattimento di appello (si veda, mutatis mutandis, Booker c. Italia (dec.), n. 12648/06, 14 settembre 2006). L’interessato avrebbe potuto anche rivolgersi alla cancelleria della corte d’appello per informarsi circa lo svolgimento del suo processo.
  35. Dal fascicolo non emerge se il ricorrente abbia fatto o meno quanto sopra descritto. Risulta invece che, senza addurre alcun impedimento legittimo, l’interessato non si è recato all’udienza del 17 giugno 2011 ed è stato dichiarato contumace. Il suo difensore, l’avv. A, era presente in aula e dai documenti prodotti dinanzi alla Corte non risulta che abbia chiesto un rinvio a nome del suo cliente.
  36. In queste circostanze, la Corte conclude che il ricorrente ha rinunciato, in maniera non equivoca, benché tacita, alla sua facoltà di comparire all’udienza di appello del 17 giugno 2011 (si vedano, mutatis mutandis, Craxi c. Italia, n. 34896/97, § 70, 5 dicembre 2002, e Booker decisione sopra citata).
  37. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    2.  Motivo di ricorso relativo a una dedotta inattendibilità della perizia sull’arma
     
  38. Il ricorrente osserva che in appello e in cassazione la difesa ha sollevato dei dubbi per quanto riguarda la pistola, riferiti sia al modello dell’arma che al suo funzionamento. Egli considera che, in queste circostanze, la Corte di cassazione avrebbe dovuto annullare la sua condanna e rinviare il fascicolo ai giudici di merito, invitandoli a disporre una nuova perizia sulla pistola.
  39. La Corte osserva che una delle prove principali a carico del ricorrente era la pistola sequestrata, trovata in possesso di Y. Ora, secondo una perizia realizzata da Z, un perito nominato dalla procura, l’arma era quella che aveva sparato sull’automobile della moglie del giudice X (paragrafo 3 supra).
  40. La Corte è del parere che, se nutriva dei dubbi sulle conclusioni alle quali era giunto Z, il ricorrente avrebbe dovuto nominare un perito di fiducia, incaricandolo di effettuare degli esami ulteriori sulla pistola, oppure chiedere ai giudici di merito di nominare un perito d’ufficio. Tuttavia, come la Corte di cassazione ha giustamente sottolineato (paragrafo 17 supra), l’interessato non lo ha fatto. La Corte rammenta che per tutto il corso del procedimento giudiziario interno, il ricorrente è stato rappresentato da avvocati di fiducia; pertanto, eventuali lacune nella linea difensiva dell’interessato non possono essere imputate alle autorità nazionali.
  41. Per completezza, la Corte osserva che i giudici nazionali, ai quali spetta in linea di principio valutare gli elementi raccolti e la pertinenza di quelli di cui gli imputati chiedono l’acquisizione (Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna, 6 dicembre 1988, § 68, serie A n. 146), hanno ritenuto che le conclusioni di Z fossero logiche, corrette e corroborate da altri elementi. Pertanto, essi avrebbero potuto anche considerare che non fosse indispensabile convocare Z all’udienza o nominare d’ufficio un altro perito (si veda, ad esempio e mutatis mutandis, Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 18 gennaio 2007).
  42. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    3.  Motivo di ricorso relativo a una mancanza di motivazione delle decisioni giudiziarie

  43. Il ricorrente osserva che la Corte di cassazione ha ritenuto che la sentenza di appello dovesse essere esaminata congiuntamente con la sentenza di primo grado (paragrafo 15 supra). Egli considera che, in questo modo, i giudici nazionali non abbiano adempiuto all’obbligo di motivare le loro decisioni.
  44. La Corte fa riferimento alla propria giurisprudenza enunciata al paragrafo 28 supra per quanto riguarda i limiti della propria competenza (si veda anche S.C. IMH Suceava S.R.L. c. Romania, n. 24935/04, § 31, 29 ottobre 2013), e aggiunge di aver affermato, rispecchiando un principio legato alla buona amministrazione della giustizia, che nelle decisioni giudiziarie devono essere esposti in maniera sufficiente i motivi sui quali sono fondate. La portata di tale obbligo può variare a seconda della natura della decisione e deve essere analizzata tenendo conto delle circostanze di ciascun caso di specie (Ruiz Torija c. Spagna, 9 dicembre 1994, § 29, serie A n. 303-A, e Higgins e altri c. Francia, 19 febbraio 1998, § 42, Recueil 1998-I). Se l’articolo 6 § 1 obbliga i tribunali a motivare le loro decisioni, tale obbligo non può essere inteso nel senso di esigere una risposta dettagliata a ciascun argomento (Van de Hurk c. Paesi Bassi, 19 aprile 1994, § 61, serie A n. 288). Così, rigettando un ricorso, il giudice di appello può, in linea di principio, limitarsi a fare propri i motivi della decisione impugnata (García Ruiz, sopra citata, § 26).
  45. Nel caso di specie, il tribunale e la corte d’appello di Perugia hanno ampiamente indicato, nella motivazione delle loro decisioni, gli elementi a carico del ricorrente, i motivi per cui tali elementi erano sufficienti per provare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e i motivi che hanno condotto i giudici nazionali a scartare gli argomenti della difesa. In queste circostanze, la Corte non scorge alcuna apparenza di violazione del diritto del ricorrente a una motivazione sufficiente della sua condanna. Peraltro, essa non vede in quale modo il fatto che la Corte di cassazione abbia ritenuto che le decisioni di primo e secondo grado dovessero essere esaminate congiuntamente possa cambiare questa conclusione.
  46. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    4.  Conclusione
     
  47. La Corte ha esaminato le varie deduzioni del ricorrente riguardanti una presunta iniquità del suo processo senza rilevare alcuna apparenza di violazione dei diritti sanciti dall’articolo 6 della Convenzione. Pertanto, essa non può che giungere alla conclusione che, considerato nel complesso, il procedimento penale in causa è stato equo.
  48. Di conseguenza, tutti i motivi di ricorso relativi all’articolo 6 della Convenzione sono manifestamente infondati e devono essere rigettati, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

    B.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione
     
  49. Il ricorrente si considera vittima di una violazione del suo diritto a un doppio grado di giudizio in materia penale, e afferma che il fatto che le decisioni di primo e secondo grado siano state esaminate congiuntamente, e dunque come un insieme unico (paragrafo 15 supra), ha reso il suo appello inefficace.
    Il ricorrente invoca l’articolo 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione che recita:
    «1.  Ogni persona dichiarata colpevole da un tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore. L’esercizio di tale diritto, ivi compresi i motivi per cui esso può essere esercitato, è disciplinato dalla legge.
    2.  Tale diritto può essere oggetto di eccezioni per reati minori, quali sono definiti dalla legge, o quando l’interessato è stato giudicato in prima istanza da un tribunale della giurisdizione più elevata o è stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento.»
  50. La Corte osserva che l’articolo 2 del Protocollo n. 7 regola principalmente delle questioni istituzionali, come l’accesso a una corte d’appello o la portata del riesame che può essere effettuato da quest’ultima (Shvydka c. Ucraina, n. 17888/12, § 49, 30 ottobre 2014). Essa rammenta anche che gli Stati contraenti dispongono, in linea di principio, di un ampio potere discrezionale per decidere le modalità di esercizio del diritto previsto dall’articolo 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione. Perciò, l’esame di una dichiarazione di colpevolezza o di una condanna pronunciate da una giurisdizione superiore può riguardare questioni di fatto o di diritto oppure limitarsi alle sole questioni di diritto (Krombach c. Francia, n. 29731/96, § 96, CEDU 2001 II).
  51. Nella fattispecie il ricorrente, condannato in primo grado, ha avuto la possibilità di interporre appello e di presentare ricorso per cassazione con il verdetto di colpevolezza. Due organi giudiziari hanno dunque riesaminato la pertinenza degli elementi a suo carico e la legalità della sua condanna (si veda, mutatis mutandis, Previti c. Italia (dec.), n. 45291/06, § 315, 8 dicembre 2009). In particolare, la corte d’appello era competente per esaminare tutte le questioni di fatto o di diritto pertinenti per decidere in merito alla fondatezza delle accuse. In queste circostanze, la Corte non ravvisa alcuna apparenza di violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 7.
  52. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 12 novembre 2015.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere

Päivi Hirvelä
Presidente