Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 1° settembre 2015 - Ricorso n. 24426/03 - Alfano c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 24426/03

Giovanni ALFANO

contro l’Italia
 

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita il 1° settembre 2015 in una Camera composta da:

Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Nona Tsotsoria,
Krzysztof Wojtyczek,
Faris Vehabović,
Yonko Grozev, giudici,
e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 20 giugno 2003,

Viste le osservazioni presentate dal Governo convenuto,

Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1.; Il ricorrente, sig. Giovanni Alfano, è un cittadino italiano nato nel 1957 e residente a Parma. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. C. Defilippi del foro di Parma. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, I.M. Braguglia, e dal suo ex co-agente, F. Crisafulli.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

L’azione penale

3. Con una sentenza resa l’11 febbraio 2001, la corte d’assise di Napoli condannò il ricorrente, detenuto dal 1997, alla pena dell’ergastolo per omicidio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e altri reati. Con una sentenza resa il 27 giugno 2002 la corte d’assise d’appello della stessa città confermò la sentenza dell’11 febbraio 2001 e inflisse al ricorrente l’isolamento diurno per un periodo di un anno.

L’applicazione del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario

4. Il 4 febbraio 1999, tenuto conto della pericolosità del ricorrente, il Ministro della Giustizia adottò un decreto che gli imponeva, per un periodo di undici mesi, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, comma 2, della legge sull’ordinamento penitenziario n. 354 del 26 luglio 1975 («la legge n. 354/1975»). Tale disposizione permette la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando vi sono motivi di ordine e di sicurezza pubblici che lo esigano. Detto decreto impone le restrizioni seguenti:

  • limitazione delle visite dei familiari (al massimo una al mese della durata di un’ora);
  • divieto di incontrare persone diverse dai familiari;
  • divieto di utilizzare il telefono (al massimo una conversazione telefonica al mese con i familiari – sottoposta a registrazione – e questo soltanto se non vi era alcun incontro con i familiari);
  • divieto di ricevere pacchi, ad eccezione di quelli contenenti biancheria;
  • divieto di organizzare attività culturali, sportive e ricreative;
  • divieto di eleggere rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
  • divieto di esercitare attività artigianali.

5. Inoltre, tutta la corrispondenza del ricorrente doveva essere sottoposta a controllo, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

6. L’applicazione del regime speciale fu poi prorogata varie volte per periodi di sei mesi fino al 28 dicembre 2002, poi di un anno fino al 5 ottobre 2007, visto che l’ultimo decreto trasmesso alla Corte era datato 5 ottobre 2006. Le restrizioni furono tuttavia attenuate, una prima volta, il 28 dicembre 2002, con la soppressione del divieto di organizzare attività culturali, sportive e ricreative e del divieto di esercitare attività artigianali. Inoltre, il decreto del 28 dicembre 2002 impose al ricorrente la limitazione della passeggiata a quattro ore al giorno e il divieto di ricevere o inviare all’esterno somme di denaro oltre un importo determinato.

7. Il ricorrente impugnò alcuni decreti del Ministro della Giustizia dinanzi al tribunale di sorveglianza competente. Egli contestava ogni volta l’applicazione del regime speciale nei suoi confronti e denunciava l’assenza di motivi concreti per la proroga, nonché l’incompatibilità di detto regime con le sue condizioni di salute.

8. Si tratta rispettivamente dei ricorsi seguenti:

  • ricorso proposto in una data non precisata contro il decreto del 23 dicembre 1999 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna, che lo rigettò l’11 maggio 2000 in quanto le condizioni per l’applicazione del regime speciale erano soddisfatte e detta applicazione si giustificava alla luce delle informazioni raccolte ed era compatibile con le condizioni di salute del ricorrente;
  • ricorso proposto in una data non precisata contro il decreto del 22 giugno 2000 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Firenze, che rigettò il ricorso il 30 gennaio 2001 per mancanza di interesse, in quanto il decreto nel frattempo era scaduto;
  • ricorso proposto in una data non precisata contro i decreti del 21 dicembre 2000, 18 giugno 2001 e 18 dicembre 2001, dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna. Con decisione del 12 febbraio 2002, il tribunale rigettò la parte del ricorso riguardante i primi due decreti in quanto presentata tardivamente. Per quanto riguarda la parte del ricorso relativa al decreto del 18 dicembre 2001, il tribunale osservò anzitutto che le condizioni per l’applicazione del regime speciale erano soddisfatte e che tale applicazione era giustificata sulla base delle informazioni raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziarie sulla pericolosità del ricorrente. Inoltre, considerate le condizioni di salute del ricorrente valutate nell’ambito di un rapporto medico redatto d’ufficio, il tribunale osservava che queste ultime erano compatibili con il regime applicato, alla luce delle informazioni raccolte dai medici dell’istituto penitenziario e dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Parma (DAP). Secondo tali informazioni, nel 2000 il ricorrente era stato trasferito nel centro ospedaliero per detenuti di Parma dove aveva ricevuto le cure necessarie. Pertanto, il tribunale rigettò il ricorso sopprimendo tuttavia la limitazione di una sola visita al mese da parte dei familiari del ricorrente, ritenendo che tale attenuazione delle restrizioni fosse sufficiente per garantire la compatibilità delle condizioni di detenzione con lo stato di salute del ricorrente;
  • ricorso proposto in una data non precisata contro il decreto del 12 giugno 2002 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna, che lo rigettò il 3 ottobre 2002, per gli stessi motivi per i quali aveva respinto il ricorso proposto contro il decreto del 18 dicembre 2001, sempre sopprimendo il limite di una sola visita al mese da parte dei familiari del ricorrente;
  • ricorso proposto in una data non precisata contro il decreto del 28 dicembre 2002 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna, che lo rigettò il 17 giugno 2003. Il ricorrente impugnò la decisione di rigetto dinanzi alla Corte di Cassazione, che dichiarò il ricorso inammissibile il 22 gennaio 2004;
  • ricorso proposto in una data non precisata contro il decreto del 23 dicembre 2003 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna, che lo rigettò il 18 marzo 2003, in quanto le condizioni per l’applicazione del regime speciale erano soddisfatte e detta applicazione si giustificava alla luce delle informazioni raccolte;
  • ricorso proposto in una data non precisata contro l’integrazione della motivazione del decreto del 5 ottobre 2006 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna, che dichiarò l’inammissibilità del ricorso il 23 gennaio 2007.

9. Nessuna informazione è pervenuta alla Corte per quanto riguarda il decreto del 28 dicembre 2002 e la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna del 17 giugno 2003 e gli atti di presentazione dei ricorsi.

10. Dal fascicolo non si evince nemmeno se il ricorrente abbia proposto ricorso per cassazione contro le decisioni di rigetto dei tribunali di sorveglianza.

11. Infine, dal fascicolo risulta che il 4 luglio 2006 il tribunale di sorveglianza di Bologna ordinò che l’applicazione della pena dell’isolamento diurno inflitta al ricorrente fosse rinviata per un periodo di un anno a causa delle sue condizioni di salute, conformemente all’articolo 147 del codice penale. Il tribunale considerò che l’imposizione dell’isolamento a un soggetto che si trovava in uno stato di salute grave, come il ricorrente, non fosse compatibile con le esigenze costituzionali di umanità della detenzione.

Lo stato di salute del ricorrente

12. Dai documenti presenti nel fascicolo risulta che il ricorrente è affetto da varie patologie tra le quali una sindrome depressiva, una cirrosi epatica dovuta all’epatite C e un deficit motorio.

13. Durante il periodo oggetto del ricorso, il ricorrente è stato regolarmente seguito da medici specialisti, in particolare da un infettivologo, un neurologo e uno psichiatra. Gli è stata somministrata una cura antipsicotica e una cura per l’’epatite C (in particolare, è stato sottoposto a salassi periodici e ha seguito un regime alimentare personalizzato).

14. Inoltre, nell’agosto 2000, il ricorrente è stato trasferito al centro ospedaliero per detenuti di Parma dove ha seguito dei cicli di fisioterapia per i suoi problemi di motricità.

15. Il 22 febbraio 2006 lo psichiatra che seguiva il ricorrente indicò che una cura antivirale sarebbe stata possibile se l’interessato non si fosse trovato in isolamento. L’isolamento diurno fu sospeso ma la cura non fu comunque somministrata a causa del rifiuto del ricorrente. Il consulente legale del ricorrente non ha più fornito informazioni per quanto riguarda la situazione del suo cliente dal febbraio 2007, ed ha omesso altresì di presentare le richieste di equa soddisfazione del ricorrente ed eventuali osservazioni di replica a quelle del Governo.
Il controllo della corrispondenza

16. La corrispondenza del ricorrente è stata sottoposta a controllo dal 4 febbraio 1999. Tuttavia, il fascicolo non contiene alcuna lettera recante il timbro attestante l’avvenuto controllo.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

17.  La Corte ha fatto una sintesi del diritto e della prassi interni pertinenti per quanto riguarda il regime di detenzione speciale applicato nel caso di specie e per quanto riguarda il controllo della corrispondenza nella sua sentenza Enea c. Italia ([GC], n. 74912/01, §§ 30-42, CEDU 2009).

MOTIVI DI RICORSO

18. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente sostiene che il regime speciale di detenzione al quale è sottoposto costituisce un trattamento inumano e degradante e denuncia delle ripercussioni sul suo stato di salute.

19. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto al rispetto della vita famigliare e una violazione del suo diritto al rispetto della corrispondenza.

20. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, egli lamenta di non disporre di un ricorso interno effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione.

IN DIRITTO

21. Il ricorrente lamenta l’applicazione nei suoi confronti del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis. Egli sostiene che vi è stata una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che recita:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Sull’eccezione del Governo

22. Il Governo eccepisce l’irricevibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 35 § 2 b), in quanto il ricorrente ha presentato le sue doglianze al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti («il CPT») del Consiglio d’Europa.

23. La Corte rammenta che ha già esaminato e rigettato questa eccezione in ricorsi simili (ad esempio, De Pace c. Italia, n. 22728/03, §§ 22-29, 17 luglio 2008, e Gallo c. Italia (dec.), n. 24406/03, 7 luglio 2009). Nel caso di specie, essa non vede alcun motivo per discostarsi da questa conclusione.
Pertanto, l’eccezione formulata dal Governo deve essere rigettata.

Il regime di detenzione previsto dall’articolo 41bis24. 

24. Sul merito, il Governo osserva che le restrizioni imposte al ricorrente dal regime speciale di detenzione non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesto per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.

25. Per quanto riguarda le condizioni di salute del ricorrente, il Governo ritiene che le autorità abbiano messo in atto tutte le misure possibili e necessarie per garantire al ricorrente delle condizioni di vita compatibili con l’articolo 3 e per dispensargli le cure di cui ha avuto bisogno. Il ricorrente ha così beneficiato di un monitoraggio medico regolare, di una terapia farmacologica e di una assistenza psichiatrica. Il regime 41bis non ha impedito un controllo medico costante e adeguato né avrebbe impedito, all’occorrenza, il trasferimento del detenuto all’esterno del carcere.

26. Il ricorrente lamenta di subire trattamenti inumani in quanto è sottoposto alle restrizioni previste dall’articolo 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Egli denuncia le condizioni igieniche e sanitarie del carcere di Parma. Rinvia ai rapporti relativi alla visita del CPT in Italia pubblicati nel 1992 e nel 1995.

27. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è per definizione relativa; essa dipende dall’insieme delle circostanze della causa, soprattutto dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima (Price c. Regno Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII; Piechowicz c. Polonia, n. 20071/07, 17 aprile 2012, § 159; Horych c. Polonia, n. 13621/08, 17 aprile 2012, § 86).

28. Per quanto riguarda le ripercussioni del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis sullo stato di salute del ricorrente, la Corte rinvia alla sentenza Scoppola c. Italia, (n. 50550/06, 10 giugno 2008, §§ 40-44) per i principi applicabili in materia. Essa deve tener conto soprattutto di tre elementi per valutare la compatibilità del mantenimento in carcere di un ricorrente con uno stato di salute preoccupante, ossia: a) la condizione del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate e c) l'opportunità di mantenere la detenzione visto lo stato di salute del ricorrente (Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, § 59, CEDU 2009).

29. La Corte osserva anzitutto che, nel caso di specie, non viene sollevato alcun dubbio sul fatto che il ricorrente soffra di varie patologie. Tuttavia, l’interessato non ha fornito alcun elemento che dimostri che il fatto di averlo sottoposto al regime 41bis lo abbia privato di un controllo medico costante e adeguato. Al contrario, dal fascicolo risulta che il ricorrente è stato regolarmente seguito da specialisti ed ha beneficiato di cure appropriate. Inoltre, nell’agosto 2000 è stato trasferito in un centro ospedaliero per detenuti. Nulla fa pensare che queste cure somministrate dal servizio medico interno dell’istituto penitenziario siano state insufficienti o inadeguate. Peraltro, i magistrati di sorveglianza hanno annullato alcune restrizioni imposte dal regime speciale e ordinato la sospensione dell’isolamento diurno inflitto al ricorrente quando ciò si è rivelato necessario a causa delle sue condizioni di salute.

30. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Corte ritiene che l’applicazione del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis non abbia causato al ricorrente danni fisici o mentali che rientrino nelle previsioni dell’articolo 3. Pertanto, la sofferenza che il ricorrente ha potuto subire non è andata oltre quella che comporta inevitabilmente una determinata forma di trattamento o di pena legittima (Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 120, CEDU 2000 IV, Bastone c. Italia, (dec), n. 59638/00, 18 gennaio 2005, e Gallo c. Italia (dec.), sopra citata)..

31. Pertanto, l’applicazione del regime speciale di detenzione dell’articolo 41bis non ha raggiunto il livello minimo di gravità necessario per rientrare nelle previsioni dell’articolo l’articolo 3 della Convenzione.

32.; Questa parte del ricorso deve dunque essere rigettata in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Le altre doglianze

33. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta le restrizioni imposte alla sua vita famigliare derivanti dall’applicazione del regime 41bis, nonché il controllo della sua corrispondenza. Dal punto di vista dell’articolo 13 della Convenzione, egli lamenta infine di non avere avuto a disposizione dei ricorsi interni effettivi contro le decisioni di applicazione e di proroga del regime speciale di detenzione.

34. Dopo aver esaminato il fascicolo, laddove le doglianze sono state suffragate da elementi di prova, la Corte non ha rilevato alcuna apparenza di violazione delle suddette disposizioni. Essa ritiene dunque che nulla la induca a discostarsi dalle conclusioni tratte nelle cause Bastone c. Italia (dec.), sopra citata, §§ 37, Zagaria c. Italia, n. 58295/00, 27 novembre 2007, § 49, o ancora De Pace c. Italia, sopra citata, § 63). In particolare, per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla violazione del diritto al rispetto della corrispondenza, la Corte constata che il ricorrente non ha sottoposto documenti che dimostrino questa deduzione, come ad esempio lettere recanti il timbro del visto di controllo delle autorità penitenziarie.

Ne consegue che questi motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere rigettati conformemente all’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, a maggioranza,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 24 settembre 2015.

Paivi Hirvela
Presidente

Fatoş Aracı
Cancelliere aggiunto