Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'8 settembre 2015 - Ricorso n. 5159/14 - Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 5159/14

WIND TELECOMUNICAZIONI S.P.A.
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita l’8 settembre 2015 in una Camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Faris Vehabović,
Yonko Grozev, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 30 dicembre 2013,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1. La ricorrente, Wind Telecomunicazioni S.P.A., è una società per azioni italiana con sede a Roma. È rappresentata dinanzi alla Corte dagli avv. A. Guarino e E. Cerchi del foro di Roma, e dagli avv. G.M. Roberti, I. Perego e M. Serpone, con studio in Bruxelles.

2. I fatti di causa, così come esposti dalla ricorrente, si possono riassumere come segue.

3. La ricorrente è una società commerciale operante nel settore delle telecomunicazioni su telefonia fissa e mobile. È il terzo operatore della rete mobile italiana.

4. Con la decisione n. 17131 del 3 agosto 2007 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito l’«AGCM») dichiarò che la ricorrente aveva commesso un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 82 del Trattato CE (attualmente l’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – il TFUE –, entrato in vigore il 1° dicembre 2009).

Tale disposizione recita:
«È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.

Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:

  1. nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;
  2. nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
  3. nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
  4. nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.»

5. Secondo l’AGCM la ricorrente aveva proposto offerte a prezzi molto vantaggiosi per le chiamate verso i clienti Wind. In questo modo, aveva provocato un «effetto club», aumentando il proprio potere di mercato e riducendo quello della concorrenza. In particolare, erano state applicate condizioni differenti a prestazioni equivalenti, infliggendo in tale modo ai partner commerciali della ricorrente uno svantaggio contrario all’articolo 82, secondo comma, lettera c) del Trattato CE. Pertanto, l’AGCM condannò la ricorrente a pagare una multa di 2.000.000 euro (EUR).

6. La ricorrente impugnò la decisione dell’AGCM dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (di seguito il «TAR») del Lazio.

7. Con una sentenza resa il 23 gennaio 2008, depositata il 7 aprile 2008, il TAR rigettò il ricorso della ricorrente.

8. Nel settembre 2008 quest’ultima interpose appello dinanzi al Consiglio di Stato.

9. Essa affermò, tra l’altro, che la condotta contestata rientrava nel campo di applicazione della lettera a), e non della lettera c), del secondo comma dell’articolo 82 del Trattato CE. Inoltre vari dati, relativi alla perdita progressiva, da parte della ricorrente, delle quote di mercato, dimostravano che le offerte Wind non avevano in realtà creato alcun rischio per la concorrenza.

10. La ricorrente chiese anche al Consiglio di Stato di porre alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (CGCE – dal 1° dicembre 2009 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la «CGUE») una questione pregiudiziale allo scopo di stabilire: a) se l’articolo 82 del Trattato CE si opponesse a che un operatore di telefonia avente una quota limitata di mercato formulasse delle offerte «on-net» e «intercom» con prezzi inferiori alla tariffa di terminazione; e b) se il comportamento ascritto alla ricorrente dovesse essere definito una condotta discriminatoria ai sensi della lettera c) del secondo comma dell’articolo 82 del Trattato CE oppure una condotta finalizzata a una compressione dei margini, che rientra nel campo di applicazione della lettera a) dello stesso comma.

11. Con una sentenza resa il 15 marzo 2011, depositata il 20 aprile 2011, il Consiglio di Stato rigettò il ricorso della ricorrente.

12. Esso osservò che, in caso di mercati integrati o collegati, la posizione dominante detenuta su uno dei mercati (per la ricorrente quello dei «servizi di chiamata») poteva essere utilizzata per ottenere benefici in un altro (per la ricorrente quello dei «servizi di comunicazione»). Il Consiglio di Stato fece riferimento, a questo proposito, alla giurisprudenza della CGCE (in particolare alle sentenze Istituto Chemioterapico Italiano S.p.A. e Commercial Solvents Corporation c. Commissione delle Comunità europee, cause unite 6 e 7/73, 6 marzo 1974; SA Centre belge d’études de marché – télémarketing (CBEM) c. SA Compagnie luxembourgeoise de télédiffusion (CLT) e SA Information publicité Benelux (IPB), causa 311/84, 3 ottobre 1985; AKZO Chemie BV c. Commissione delle Comunità europee, causa C-62/86, 3 luglio 1991) e del tribunale di primo grado CE (BPB Industries Plc e British Gypsum Ltd c. Commissione delle Comunità europee, causa T-65/89, 1° aprile 1993). Inoltre, il Consiglio di Stato osservò che l’AGCM aveva contestato alla ricorrente non soltanto di praticare una politica discriminatoria per quanto riguarda il prezzo, ma anche di avere finanziatole offerte proposte ai propri clienti con i profitti realizzati applicando una «tariffa di chiamata» più alta ai suoi concorrenti.

13. La ricorrente presentò ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 c. 8 della Costituzione. Tale disposizione recita:

«Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.»

14. La ricorrente affermò che, dando la propria interpretazione del diritto dell’Unione Europea (di seguito l’«UE») senza porre una questione pregiudiziale alla CGUE, il Consiglio di Stato aveva oltrepassato i limiti della propria giurisdizione.

15. Nell’ultima pagina del suo ricorso, la ricorrente aggiunse la seguente menzione :

«Tuttavia, qualora [la Corte di cassazione] ritenesse necessario chiarire ulteriormente la portata e gli effetti dell’articolo 267 del TFUE, essa potrà, all’occorrenza, interrogare a sua volta la CGUE su questo punto.»

16. L’articolo 267 del TFUE (ex-articolo 234 del Trattato CE), recita:

«La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

  1. sull'interpretazione dei trattati;
  2. sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione.

Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile.»

17. In una memoria del 9 maggio 2013 la ricorrente precisò che chiedeva alla Corte di cassazione di porre alla CGUE la questione pregiudiziale seguente:

«L’articolo 267 del TFUE deve essere interpretato nel senso di attribuire alla CGUE una giurisdizione esclusiva in materia di interpretazione finale delle disposizioni del sistema giuridico dell’UE e, di conseguenza, un giudice nazionale di ultimo grado oltrepassa i limiti della propria giurisdizione quando, al di fuori delle eccezioni precisate dalla CGUE, omette di adire quest’ultima e procede esso stesso a interpretare una disposizione del sistema giuridico dell’UE?»

18. Con una sentenza resa il 14 maggio 2013, depositata il 5 luglio 2013, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso della ricorrente inammissibile.

19. Essa osservò che la ricorrente lamentava che il Consiglio di Stato avesse esaminato la sua causa senza avere prima chiesto alla CGUE se la sua condotta rientrasse nel campo di applicazione della lettera a) o della lettera c) dell’articolo 102 del TFUE e se, per essere costituito, un abuso di posizione dominante dovesse avere una incidenza negativa sulla capacità competitiva dei concorrenti. Secondo la ricorrente, la CGUE non si era ancora chiaramente espressa su queste due questioni, e dando la propria interpretazione del TFUE il Consiglio di stato aveva oltrepassato i limiti della propria giurisdizione, in quanto la CGUE ha una competenza esclusiva in materia di interpretazione del diritto dell’UE.

20. La Corte di cassazione ritenne comunque che la tesi della ricorrente fosse manifestamente infondata, e osservò che gli organi competenti per pronunciarsi sulla legittimità della decisione dell’AGCM erano il TAR e il Consiglio di Stato. La CGUE non era il «giudice» della presente causa, essendo la sua funzione unicamente quella di indicare l’interpretazione di una disposizione (l’articolo 102 del TFUE) pertinente per decidere sulla fondatezza della causa. La «funzione giurisdizionale» consistente nel decidere sulla richiesta della ricorrente di annullamento della decisione dell’AGCM apparteneva dunque al Consiglio di Stato, che non aveva sconfinato sulla sfera di competenza di un altro organo giudiziario.

21. La Corte di cassazione sottolineò che, ai sensi dell’articolo 111 c. 8 della Costituzione, qualsiasi ricorso avverso le decisioni del Consiglio di Stato poteva riguardare soltanto i «limiti esterni» della giurisdizione di tale organo. Pertanto, qualsiasi contestazione riguardante le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale (ad esempio in virtù di presunti errori di diritto o di assenza di motivazione) era inammissibile. La Corte di cassazione aveva peraltro già dichiarato che il rigetto di una domanda di rinvio pregiudiziale alla CGUE rientrava nel potere decisionale del giudice nazionale. Con tale rigetto, il giudice interno non oltrepassava i limiti della propria giurisdizione, ma esprimeva un giudizio (si vedano, in particolare, le sentenze della Corte di cassazione nn. 12/3236, 05/26228 e 05/8882). Nel caso di specie, il Consiglio di Stato aveva ritenuto, in sostanza, che il diritto dell’UE fosse sufficientemente chiaro e che, pertanto, non fosse necessario porre una questione pregiudiziale alla CGUE. L’eventuale violazione, da parte del Consiglio di Stato, delle norme in materia di rinvio pregiudiziale non dava luogo a un difetto di giurisdizione e poteva essere oggetto unicamente di una domanda di risarcimento danni.

MOTIVO DI RICORSO

22. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la ricorrente lamenta una mancanza di equità della procedura relativa al suo ricorso avverso la decisione dell’AGCM.

IN DIRITTO

23. La ricorrente afferma che la procedura relativa al suo ricorso avverso la decisione dell’AGCM n. 17131 del 3 agosto 2007 non è stata equa, e invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti nel caso di specie, recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

A. Il motivo di ricorso relativo al rigetto della domanda di rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato

24. La ricorrente contesta in primo luogo al Consiglio di Stato di avere in sostanza ignorato la sua domanda di rinvio pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’articolo 82 del tratto CE, e questo, a suo parere, in violazione dei principi del processo equo.

25. La Corte deve determinare se questo motivo di ricorso sia stato presentato entro il termine di sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione. Essa osserva a questo riguardo che la ricorrente aveva chiesto al Consiglio di Stato di porre alla CGUE una questione pregiudiziale che riguarda due punti: a) se l’articolo 82 del Trattato CE si opponesse a che un operatore di telefonia che ha una quota limitata del mercato formuli offerte «on-net» e «intercom» con prezzi inferiori alle tariffe di chiamata; b) se il comportamento ascritto alla ricorrente dovesse essere qualificato come condotta discriminatoria ai sensi della lettera c) del secondo comma dell’articolo 82 del Trattato CE oppure come condotta finalizzata a una compressione dei margini, che rientra nel campo di applicazione della lettera a) dello stesso comma (paragrafo 10 supra).

26. La Corte rileva altresì che nella sua sentenza del 15 marzo 2011 (paragrafi 11-12 supra), il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello della ricorrente e rifiutato di porre la questione pregiudiziale richiesta. La sentenza è stata depositata il 20 aprile 2011, ossia più di sei mesi prima della data di presentazione del ricorso (30 dicembre 2013).

27. È vero che, in seguito, la ricorrente ha presentato ricorso per cassazione, affermando che il Consiglio di Stato aveva oltrepassato i limiti della propria giurisdizione (paragrafo 13 supra). Tuttavia, è opportuno rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’obbligo derivante dall’articolo 35 § 1 si limita a quello di fare un uso normale dei ricorsi verosimilmente effettivi, sufficienti ed accessibili (Sofri e altri c. Italia (dec.), n. 37235/97, CEDU 2003-VIII, e Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 45, CEDU 2006-II). Quando il ricorrente non dispone di alcun ricorso effettivo, il termine di sei mesi inizia a decorrere dalla data in cui si sono verificati gli atti o le misure denunciati o dalla data in cui il ricorrente ne viene a conoscenza o ne risente gli effetti o ne subisce i danni (Younger c. Regno Unito (dec.), n. 57420/00, CEDU 2003-I). In effetti, nulla impone a un ricorrente di avvalersi di ricorsi che non sono né adeguati né effettivi (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 67, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV). Di conseguenza l’uso di tali ricorsi incide sulla determinazione della «decisione definitiva» e dunque sul calcolo del punto di partenza del termine di sei mesi (si vedano, ad esempio, Kucherenko c. Ucraina (dec.), n. 41974/98, 4 maggio 1999; Prystavska c. Ucraina (dec.), n. 21287/02, 17 dicembre 2002; e Sapeyan c. Armenia, n. 35738/03, § 21, 13 gennaio 2009).

28. La Corte deve dunque determinare se, nelle circostanze particolari della presente causa, il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 c. 8 della Costituzione fosse un ricorso verosimilmente effettivo per far valere la dedotta inosservanza, da parte del Consiglio di Stato, del suo obbligo di porre alla CGUE una questione pregiudiziale riguardante l’interpretazione dell’articolo 82 del Trattato CE. A questo riguardo, la Corte osserva che, contro la sentenza del Consiglio oggetto di contestazione, era ammesso un ricorso per cassazione soltanto per «motivi inerenti alla giurisdizione». Ora, la giurisprudenza della Corte di cassazione aveva già precisato che il rigetto di una domanda di rinvio pregiudiziale rientrava nel potere decisionale del giudice nazionale, che con un tale rigetto non oltrepassava i limiti della sua giurisdizione (paragrafo 21 supra). Poiché l’esame della Corte di cassazione è limitato al controllo dei «limiti esterni» della giurisdizione del Consiglio di Stato e non essendo contestato che quest’ultimo fosse l’organo competente a pronunciarsi sull’appello avverso la sentenza del TAR del Lazio, la Corte considera che, nelle circostanze particolari della presente causa, il ricorso per cassazione della ricorrente non fosse un «ricorso effettivo» ai sensi della sua giurisprudenza. Pertanto, tale ricorso non può essere preso in considerazione ai fini di stabilire il momento da cui decorre il termine previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.

29.  Ne consegue che la decisione interna definitiva, riguardante il motivo di ricorso della ricorrente relativo al rifiuto di porre alla CGUE una questione pregiudiziale con riguardo all’interpretazione dell’articolo 82 del trattato CE, è la sentenza del Consiglio di Stato del 15 marzo 2011, depositata il 20 aprile 2011, ossia più di sei mesi prima della data di presentazione del ricorso (30 dicembre 2013).
30. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è stato presentato tardivamente e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

B. Il motivo di ricorso relativo a una inosservanza dei principi del processo equo da parte della Corte di cassazione

31. La ricorrente considera inoltre che, affermando che la CGUE non aveva una «giurisdizione esclusiva» stricto sensu, la Corte di cassazione ha violato l’articolo 267 del TFUE. La Corte di cassazione avrebbe inoltre violato i principi del processo equo omettendo di porre alla CGUE una questione pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 267 sopra citato.

32. Nella misura in cui la ricorrente lamenta l’interpretazione data dalla Corte di cassazione all’articolo 267 del TFUE, la Corte rammenta che non ha il compito di esaminare gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione nazionale, salvo se e nella misura in cui tali errori possano aver pregiudicato i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione (si vedano, tra molti altri, García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I; Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 34, CEDU 2000-V; e Rizos e Daskas c. Grecia, n. 65545/01, § 26, 27 maggio 2004), e spetta in linea di principio ai giudici nazionali valutare i fatti e interpretare e applicare il diritto interno (Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 62, 20 novembre 2012, e Plesic c. Italia (dec.), n. 16065/09, § 33, 2 luglio 2013).

33. Nel caso di specie la Corte ha esaminato i motivi di ricorso con cui la ricorrente mette in discussione il carattere sufficiente e pertinente nel diritto dell’UE degli argomenti proposti dalla Corte di cassazione per rigettare il suo ricorso, e non ha rilevato alcuna apparenza di violazione dei principi del processo equo. Conviene altresì rammentare che la missione della Corte è limitata all’applicazione della Convenzione, e che essa non è competente per applicare altri trattati internazionali in quanto tali o vigilare sul rispetto degli stessi (si vedano, mutatis mutandis, Di Giovine c. Portogallo (dec.), n. 39912/98, 31 agosto 1999; Hermida Paz c. Spagna (dec.), n. 4160/02, 28 gennaio 2003; e Occhetto c. Italia (dec.), n. 14507/07, § 54, 12 novembre 2013).

34. Per quanto riguarda il rigetto, da parte della Corte di cassazione, della richiesta della ricorrente di porre alla CGUE una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’articolo 267 del TFUE, la Corte rammenta che, nella sua decisione Vergauwen e altri c. Belgio ((dec.), n. 4832/04, §§ 89-90, 10 aprile 2012), essa ha espresso i principi seguenti (si veda anche Dhahbi c. Italia, n. 17120/09, § 31, 8 aprile 2014):

  • l’articolo 6 § 1 della Convenzione pone a carico dei giudici nazionali un obbligo di motivare rispetto al diritto applicabile le decisioni con le quali essi rifiutano di porre una questione pregiudiziale;
  • quando è chiamata a esaminare da questo punto di vista una dedotta violazione dell’articolo 6 § 1, il compito della Corte consiste nell’assicurarsi che la decisione di rifiuto contestata dinanzi ad essa sia debitamente motivata;
  • se ha il compito di procedere rigorosamente a tale verifica, essa non ha invece il compito di esaminare eventuali errori che sarebbero stati commessi dai giudici nazionali nell’interpretazione o nell’applicazione del diritto pertinente;
  • nell’ambito specifico del terzo comma dell’articolo 267 del TFUE, questo significa che i giudici nazionali le cui decisioni non sono passibili di un ricorso giurisdizionale di diritto interno sono tenuti, quando rifiutano di sottoporre alla CGUE a titolo pregiudiziale una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’UE sollevata dinanzi ad essi, a motivare il loro rifiuto con riguardo alle eccezioni previste dalla giurisprudenza della CGUE. Devono dunque indicare i motivi per i quali considerano che la questione non sia pertinente o che la disposizione del diritto dell’UE in causa sia già stata oggetto di interpretazione da parte della CGUE, o che l’applicazione corretta del diritto dell’UE si imponga con una tale evidenza che non vi è spazio per alcun dubbio ragionevole.

35. Nel caso di specie, sia nel suo ricorso per cassazione (paragrafo 15 supra) che nella sua memoria del 9 maggio 2013 (paragrafo 17 supra), la ricorrente ha chiesto alla Corte di cassazione di porre alla CGUE la questione pregiudiziale di sapere: a) se l’articolo 267 del TFUE dovesse essere interpretato nel senso di attribuire alla CGUE una giurisdizione esclusiva in materia di interpretazione del diritto dell’UE; e b) se un giudice nazionale di ultimo grado oltrepassasse i limiti della propria giurisdizione quando rifiutava di adire la CGUE e dava la propria interpretazione del diritto dell’UE. Poiché le sue decisioni non sono passibili di alcun ricorso giurisdizionale nel diritto interno, la Corte di cassazione aveva l’obbligo di motivare il suo rifiuto di porre la questione pregiudiziale rispetto alle eccezioni sollevate dalla giurisprudenza della CGUE (Dhahbi, sopra citata, § 32).

36. La Corte ha esaminato la sentenza della Corte di cassazione del 14 maggio 2013 senza trovare alcun riferimento esplicito alla domanda di rinvio pregiudiziale formulata dalla ricorrente. Tuttavia, leggendo la motivazione di tale sentenza si evince che la questione pregiudiziale era manifestamente non pertinente nel caso di specie. In effetti, la Corte di cassazione ha chiarito che nell’ambito di un ricorso presentato ai sensi dell’articolo 111 c. 8 della Costituzione, essa doveva limitarsi a controllare il rispetto dei «limiti esterni» della «funzione giurisdizionale » del Consiglio di Stato, e non poteva esaminare la questione di stabilire se, rigettando una domanda di rinvio pregiudiziale, tale organo avesse soddisfatto le condizioni stabilite nel TFUE. Anche in caso di inosservanza di tali condizioni, non sarebbe stato ravvisabile alcun difetto di giurisdizione (paragrafi 20-21 supra). In queste circostanze era evidente che non risultava necessario chiedere alla CGUE di interpretare l’articolo 267 del TFUE, in quanto l’eventuale violazione di tale disposizione da parte del Consiglio di Stato non poteva avere alcuna incidenza sull’esito della causa dinanzi alla Corte di cassazione.

37. Certo, sarebbe stato preferibile che la Corte di cassazione avesse chiarito le linee del suo ragionamento rispetto al rigetto della domanda di rinvio pregiudiziale della ricorrente. Rimane comunque il fatto che, per i motivi indicati al paragrafo precedente, vi è stata nella fattispecie una motivazione implicita di tale rigetto. In effetti, la motivazione della sentenza in questione permette di stabilire che la questione è stata considerata non pertinente (si veda, mutatis mutandis, Vergauwen, sopra citata, § 91, in cui la Corte ha constatato che la Corte costituzionale belga aveva debitamente motivato il suo rifiuto di porre delle questioni pregiudiziali).

38. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte non rileva, nel caso di specie, alcuna apparenza di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

39. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 1° ottobre 2015.

Päivi Hirvelä
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere