Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'8 settembre 2015 - Ricorso n. 56678/09 - Cicnus Srl c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

 

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 56678/09

CICNUS SRL
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell'uomo (quarta sezione), riunita l’8 settembre 2015 in una camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Nona Tsotsoria,
Krzysztof Wojtyczek,
Faris Vehabović,
Yonko Grozev, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 21 ottobre 2009,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dalla ricorrente,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

1. La ricorrente, Cicnus Srl, è una società a responsabilità limitata italiana con sede a Sanremo (Imperia). Dinanzi alla Corte è rappresentata dall’avvocato A. Friederich, con studio a Strasburgo.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, G.M. Pellegrini.

3. I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

4. Il 24 dicembre 1982 la ricorrente acquistò per 20.000.000 di lire (ITL - circa 10.329 euro (EUR)) un terreno che era «edificabile nel rispetto dei parametri previsti dalle norme urbanistiche vigenti» situato nel comune di Sanremo e avente una superficie di 979 metri (m²).

5. Il 5 dicembre 1984 la ricorrente richiese il permesso di costruire un centro commerciale, inclusi uffici e parcheggi, sul suddetto terreno.

6. Con un provvedimento del 16 ottobre 1985, il comune di Sanremo respinse la domanda della ricorrente in quanto il permesso non era conforme alle disposizioni della legge regionale n. 28 del 1976, intitolata «norme in materia di strumenti urbanistici attuativi e di oneri di urbanizzazione».

7. La ricorrente ripresentò la sua domanda sulla base di un nuovo progetto. Con provvedimento del 10 settembre 1988, il comune oppose un secondo rigetto motivato dalle difficoltà di accessibilità del complesso immobiliare.

8. In una data non precisata, la ricorrente presentò una terza domanda di permesso di costruire dopo aver apportato al suo progetto le modifiche e le integrazioni richieste dalla commissione edilizia del comune.

9. Con provvedimento del 17 maggio 1990, il comune rigettò ancora una volta la domanda di permesso di costruire indicando che la documentazione era incompleta.

10. Il 25 settembre 1990 la ricorrente presentò ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale (di seguito il «TAR») della Liguria al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento del 17 maggio 1990.

11. Con sentenza del 17 dicembre 1992, depositata il 21 aprile 1994, il TAR annullò il provvedimento impugnato e ordinò alle autorità amministrative di dare esecuzione alla sua decisione.

12. Il TAR osservò, in particolare, che il rigetto si basava unicamente sull’affermazione secondo la quale la ricorrente non aveva dato seguito alle richieste istruttorie fatte dal comune il 20 dicembre 1989. Tuttavia dal fascicolo risultava che il 29 marzo 1990 la ricorrente aveva depositato i documenti richiesti.

13. Poiché il comune non aveva proposto appello, questa sentenza divenne definitiva.

14. Il 27 maggio 1994 la ricorrente ingiunse al comune di conformarsi alla sentenza del TAR e di rilasciare quindi il contestato permesso di costruire.

15. Con provvedimento del 29 luglio 1994 il comune rifiutò di rilasciare il permesso di costruire perché quest’ultimo era contrario al Piano regolatore generale (di seguito il «PRG»), e perché per la zona in cui si trova il terreno della ricorrente non esisteva alcun piano particolareggiato e specifico.

16. La ricorrente presentò un secondo ricorso dinanzi al TAR per l’annullamento del provvedimento.

17. Con sentenza del 10 dicembre 1999, depositata il 3 marzo 2000, il TAR annullò il provvedimento del 29 luglio 1994 e ordinò alle autorità amministrative di dare esecuzione alla sua decisione.

18. Il TAR osservò che qualsiasi decisione di diniego del rilascio del permesso di costruire costituiva una limitazione del diritto del proprietario di edificare sul suo terreno (jus aedificandi). Pertanto nella decisione dovevano essere indicate le ragioni che ostavano al rilascio dell’autorizzazione nonché le norme e/o i dati tecnici violati dal progetto di costruzione. Il provvedimento del 29 luglio 1994 non conteneva tali indicazioni. In effetti, il progetto della ricorrente, che prevedeva locali commerciali e parcheggi interrati, era conforme al PRG. Le dimensioni e la complessità della struttura che la ricorrente desiderava costruire non erano ragioni valide per negare il permesso di costruire. Infine, il comune non aveva dimostrato che la struttura avrebbe avuto un impatto negativo sul territorio e non era necessario alcun piano particolareggiato.

19. Poiché il comune non aveva proposto appello, questa sentenza divenne definitiva.

20. Il 21 novembre 2001 il comune di Sanremo si dichiarò pronto a rilasciare il premesso di costruire richiesto dalla ricorrente. Tuttavia l’interessata non insistette nella sua istanza e non espletò le formalità amministrative necessarie per ottenere il permesso.

21. Nel 2003 la ricorrente presentò al TAR un ricorso per risarcimento danni. Sostenne che il rigetto reiterato e, a suo parere, infondato delle sue richieste di permesso di costruire le aveva causato un danno economico importante, che quantificava in 7.466.706,12 euro (EUR).

22. Con sentenza del 9 marzo 2006, depositata il 21 aprile 2006, il TAR della Liguria accolse parzialmente l’istanza della ricorrente e ordinò al comune di Sanremo di adottare gli atti necessari entro un termine di 60 giorni.

23. Il TAR considerò che l’istanza della ricorrente era ammissibile in quanto riguardava il periodo che andava dal 1994 al 2000, durante il quale il comune si era illegittimamente e erroneamente rifiutato di rilasciare il permesso di costruire al quale la ricorrente aveva diritto. Il TAR indicò che l’ammontare del risarcimento doveva essere stabilito in una fase successiva.

24. La ricorrente e il comune di Sanremo proposero appello.

25. Con decisione del 20 gennaio 2009 depositata il 21 aprile 2009, il Consiglio di Stato accolse l’appello del comune e rigettò il ricorso della ricorrente.

26. Il Consiglio di Stato osservò che il progetto della ricorrente prevedeva la costruzione di un edificio interrato di sette piani, di cui cinque ad uso commerciale e uso ufficio (per una superficie di 3.825 m²) e due per i parcheggi (per una superficie di 1.650 m²). L’altezza era di 23 metri e la volumetria totale di 18.000 metri cubi (m3). La realizzazione del progetto presupponeva l’eliminazione di una collina situata in prossimità. L’articolo 24 del PRG indicava che ogni zona era sottoposta a uno strumento attuativo unico, che avrebbe dovuto individuare un sistema di viabilità secondaria teso al soddisfacimento delle necessità locali e all’approntamento di adeguate connessioni con la viabilità principale. I servizi urbanisti dovevano essere adeguati e doveva essere predisposto un razionale riassetto delle singole zone. L’ultimo comma del summenzionato articolo 24 permetteva la costruzioni di locali interrati ad uso non residenziale.

27. Nella sentenza del 10 dicembre 1999, il TAR aveva ritenuto che questa norma obbligasse il comune a concedere il permesso richiesto dalla ricorrente e che l’errore dell’amministrazione non fosse giustificabile. Il Consiglio di Stato non condivise questa conclusione. A suo parere, l’articolo 24 del PRG doveva essere letto integralmente, questa norma richiedeva in ogni caso la presenza dei servizi urbanistici necessari e che ogni nuovo edificio fosse inserito armoniosamente nelle zona in cui era costruito. Dunque non si poteva giungere alla conclusione che ogni progetto interrato conferisse automaticamente il diritto di ottenere un permesso di costruire.

28. Il Consiglio di Stato sottolineò anche che nella zona in cui si trovava il terreno della ricorrente, qualsiasi nuova elevazione o ristrutturazione era esclusa, fatto che lasciava pensare che ogni eventuale edificio interrato dovesse essere destinato all’uso tipico di questo genere di immobili (parcheggio, deposito, area per apparecchi tecnici o tecnologici). Peraltro, l’edifico che la ricorrente desiderava costruire non sarebbe stato collegato al sistema di viabilità principale, da qui la necessità di un piano specifico.

29. Alla luce di quanto esposto, il Consiglio di Stato ritenne che non si potesse attribuire alcuna responsabilità al comune di Sanremo. In effetti, secondo una consolidata giurisprudenza, l’annullamento di un atto amministrativo non implicava automaticamente la responsabilità dell’amministrazione; quest’ultima dipendeva da una valutazione caso per caso delle violazioni delle norme dell’azione amministrativa che deriva dai principi costituzionali di imparzialità, efficacia e trasparenza, nonché dalla natura delle norme applicate.

30. Poiché l’amministrazione non era responsabile, alla ricorrente non era dovuto alcun risarcimento danni.

MOTIVO DI RICORSO

31.  Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, la ricorrente denuncia una violazione del diritto al rispetto dei suoi beni.

IN DIRITTO

32.  La ricorrente considera di essere stata vittima di una ingerenza ingiustificata nel diritto al rispetto dei suoi beni.

Essa invoca l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

A.  Argomenti delle parti

1. La ricorrente

33.  Secondo la ricorrente, l’ingerenza di cui è stata vittima, costituita dalle decisioni e dall’atteggiamento delle autorità, equivale a una limitazione alla disponibilità dei suoi beni, in seguito alla quale è rimasta in uno stato di incertezza prolungato in merito alla sorte della sua proprietà, che le ha impedito di sfruttarla. La ricorrente cita, al riguardo, la sentenza Assymomitis c. Grecia, (n. 67629/01, 14 ottobre 2004).

34. La ricorrente osserva di aver dovuto attendere più di sedici anni prima di ottenere il permesso di costruire che richiedeva dal 5 dicembre 1984 (paragrafo 5 supra), e al quale aveva diritto. Se il suo progetto di costruzione del centro commerciale, uffici e parcheggi inizialmente era innovativo, non lo era più quando il comune era finalmente pronto a rilasciare il permesso. Ciò è stato molto pregiudizievole e, nel caso di specie, il perseguimento dell’interesse pubblico non può giustificare l’atteggiamento delle autorità.

35. La ricorrente ritiene che le autorità non abbiano dato esecuzione alle decisioni giudiziarie che le erano favorevoli, e in particolare alle sentenze del TAR del 17 dicembre 1992 e 10 dicembre 1999 (paragrafi 11-12 e 17-18 supra), che a suo parere obbligavano il comune a rilasciarle il permesso. Basandosi sulla sentenza Iatridis c. Grecia (n. 31107/96, CEDU 1999-II), la ricorrente deduce che l’ingerenza denunciata non aveva alcuna base legale.

36. Inoltre, nella sua decisione del 20 gennaio 2009 (paragrafi 25-30 supra), il Consiglio di Stato si sarebbe rifiutato di prendere in considerazione le illegalità commesse dal comune di Sanremo e di indennizzare il danno subìto dalla ricorrente. Quest’ultima, che avrebbe potuto ottenere il permesso di costruire soltanto nel novembre 2001 (paragrafo 20 supra), «quando non aveva più alcuna utilità né pertinenza», sarebbe stata costretta a sopportare un onere eccessivo.

2. Il Governo

37. Innanzitutto il Governo osserva che il diritto di costruire sul proprio terreno (jus aedificandi) non è assoluto in quanto è sottoposto a preventiva autorizzazione, il permesso di costruire. In particolare l’autorità amministrativa deve verificare se il progetto di costruzione sia compatibile con la legislazione urbanistica vigente. L’interesse del proprietario del terreno deve dunque essere valutato in relazione all’interesse pubblico ad un uso ordinato del territorio.

38. Inoltre il Governo espone che una sentenza del TAR che annulla il diniego al rilascio del permesso di costruire non obbliga automaticamente l’autorità amministrativa a rilasciare il permesso in questione. In effetti è possibile vi si oppongano altri ostacoli. Nel caso di specie, nella sentenza del 17 dicembre 1992 (paragrafi 11-12 supra), il TAR della Liguria ha dichiarato che l’affermazione dell’amministrazione, secondo la quale la ricorrente non aveva presentato tutti i documenti necessari, non era corretta. Si trattava dunque di un annullamento del diniego per ragioni formali, fatto che non impediva all’amministrazione di opporre un nuovo diniego per ragioni legate al rispetto delle norme urbanistiche. Nel 1992 il TAR non aveva affermato che la domanda della ricorrente rispettasse tutti i requisiti previsti da queste regole, ed il comune di Sanremo era libero di rigettare una seconda volta la domanda di permesso di costruire a condizione che la ragione invocata non fosse la mancanza dei documenti pertinenti. Secondo il Governo, solo la sentenza del TAR del 10 dicembre 1999 (paragrafi 17-18 supra), che stabiliva che il rifiuto dell’amministrazione non si fondava su alcun motivo valido, obbligava il comune a rilasciare il permesso, cosa che l’amministrazione era pronta a fare nel novembre 2001 (paragrafo 20 supra).

39. Il Governo nota che le prime due domande di permesso sono state rigettate per ragioni che la ricorrente non ha contestato dinanzi ai giudici amministrativi. La terza domanda è stata rigettata perché mancavano dei documenti e la domanda successiva perché il comune riteneva che il progetto della ricorrente contravvenisse alle norme urbanistiche vigenti. A tale riguardo, il Governo osserva che da una lettura della decisione del Consiglio di Stato del 20 gennaio 2009 (paragrafi 25-30 supra) risulta in particolare che il comune eccepiva che il progetto in causa prevedeva uno scavo importante, che poteva modificare l’uso urbanistico della zona coinvolta; pertanto, poteva essere autorizzato soltanto in base ad un piano dettagliato che tuttavia non esisteva.

40. Nella stessa decisione, il Consiglio di Stato non ha criticato l’interpretazione data dal comune all’articolo 24 del PRG, ossia che la citata disposizione autorizzava dei permessi di costruire soltanto per locali interrati di modeste dimensioni (si vedano, i paragrafi 27-28 supra). Secondo il Governo, ne deriverebbe che il rigetto della istanza di permesso di costruire del 29 luglio 1994 era legale, in quanto era basato su una delle possibili interpretazioni dell’articolo 24 sopra citato. Il Consiglio di Stato avrebbe in sostanza considerato che la sentenza del TAR del 10 dicembre 1999 si fondava su una interpretazione erronea della disposizione contestata. Ad ogni modo, il comune era pronto a rilasciare il permesso, e non si può concludere che si sia rifiutato di dare esecuzione a decisioni giudiziarie definitive.

41. Secondo il Governo, la Corte non dovrebbe riesaminare le questioni relative all’interpretazione del diritto di costruire della ricorrente. Ad ogni modo, il motivo di ricorso dell’interessata sarebbe manifestamente infondato perché le decisioni dell’amministrazione erano volte a salvaguardare l’interesse collettivo a un uso ordinato del territorio ed erano fondate sulla legislazione urbanistica pertinente.

B.  Valutazione della Corte

42. La Corte osserva subito che i giudici amministrativi hanno reso più decisioni nella causa della ricorrente. Tra queste decisioni, soltanto quella del Consiglio di Stato è stata depositata in cancelleria meno di sei mesi prima della data di presentazione del ricorso (21 ottobre 2009). Tuttavia, la decisione in questione non aveva ad oggetto l’annullamento dei dinieghi delle domande di permesso di costruire della ricorrente, ma riguardava unicamente l’eventuale diritto al risarcimento danni dell’interessata in ragione di questi reiterati rigetti (paragrafi 25-30 supra). Pertanto, si potrebbe porre la questione di stabilire se il ricorso sia tardivo dal momento che esso verte sul rifiuto di rilasciare i permessi in causa.

43. Tuttavia, nelle particolari circostanze della presente causa, la Corte non ritiene necessario esaminare questa questione perché considera che i diversi procedimenti giudiziari della ricorrente debbano essere visti nella loro globalità e che comunque il ricorso sia irricevibile per le ragioni che seguono.

44. La Corte nota che la ricorrente, dal 5 dicembre 1984 (paragrafo 5 supra), ha richiesto quattro volte il rilascio di un permesso di costruire un centro commerciale sul suo terreno. Essa ha ottenuto quattro dinieghi e avrebbe potuto ottenere il suddetto permesso soltanto nel novembre 2001 (paragrafo 20 supra), ossia dopo circa diciassette anni.

45. La Corte ritiene che i rigetti reiterati delle domande di permesso di costruire e il rilascio tardivo di quest’ultimo costituiscano una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni (si vedano, mutatis mutandis, Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl c. Italia (dec.), n. 75248/01, 13 maggio 2004; Galtieri c. Italia (dec.), n. 72864/01, 24 gennaio 2006; Campanile e altri c. Italia (dec.), n. 32635/05, § 25, 15 gennaio 2013; Contessa e altri c. Italia (dec.), n. 11004/05, § 26, 17 settembre 2013; e D’Alba c. Italia (dec.), n. 58437/09, § 34, 26 maggio 2015). Tale ingerenza rientra nella regolamentazione dell’uso dei beni ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n.1 alla Convenzione (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A n. 52, e Hiltunen c. Finlandia (dec), n. 30337/96, 28 settembre 1999).

46. Resta da stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Hiltunen, decisione sopra citata; Cooperativa La Laurentina c. Italia, n. 23529/94, § 95, 2 agosto 2001; Contessa e altri, decisione sopra citata, § 28; e D’Alba, decisione sopra citata, § 36).

47. A tale riguardo, la Corte ritiene che si debba operare una distinzione tra il rigetto delle prime due domande della ricorrente e il rigetto della terza e quarta domanda.

48. I primi due progetti di sviluppo immobiliare della ricorrente sono stati rigettati dal comune di Sanremo il 16 ottobre 1985 e il 10 settembre 1988 rispettivamente, in quanto non erano conformi alle norme urbanistiche e vi erano difficoltà di accesso al complesso immobiliare progettato (paragrafi 6 e 7 supra). La Corte nota che la ricorrente non ha impugnato queste decisioni dinanzi ai giudici amministrativi, e non ha dunque sottoposto all’esame dei tribunali interni la legittimità e la pertinenza delle ragioni avanzate dal comune. Inoltre, non vi sono elementi che lascino pensare che le decisioni del 16 ottobre 1985 e 10 settembre 1988 fossero manifestamente erronee o arbitrarie. A tale proposito, la Corte rammenta che, in un ambito così complesso e difficile quale quello dei piani regolatori delle città, gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento per condurre la loro politica urbanistica (Elia S.r.l. c. Italia, n. 37710/97, § 77, CEDU 2001-IX; Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002; Saliba c. Malta, n. 4251/02, § 45, 8 novembre 2005; e Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, 21 marzo 2006). Mancando una scelta manifestamente arbitraria o irragionevole, la Corte non può sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali sui mezzi più appropriati per raggiungere, a livello interno, i risultati previsti da questa politica (Galtieri, decisione sopra citata Campanile e altri, decisione sopra citata, § 31; Contessa e altri, decisione sopra citata, § 31).

49. In queste circostanze, la Corte non può scorgere alcuna parvenza di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1 nel rigetto delle prime due domande di permesso di costruire della ricorrente.

50. Per quanto riguarda la terza domanda, la Corte rileva che questa è stata presentata in una data non precisata dopo il mese di settembre 1988 (paragrafo 8 supra), e rigettata per «documentazione incompleta» il 17 maggio 1990 (paragrafo 9 supra). Il 25 settembre 1990 la ricorrente ha presentato al giudice amministrativo un ricorso al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di rigetto (paragrafo 10 supra), e con sentenza del 17 dicembre 1992, depositata il 21 aprile 1994, il TAR della Liguria ha stabilito che la ricorrente aveva prodotto i documenti richiesti dall’amministrazione fin dal 29 marzo 1990 (paragrafi 11-12 supra).

51. La ricorrente sostiene, essenzialmente, che questa sentenza le conferiva il diritto di ottenere il contestato permesso di costruire. La Corte non può condividere questa tesi. Essa rileva che il TAR si è limitato a dire che il motivo invocato dall’amministrazione, ossia l’incompletezza della documentazione, non era valido. Il giudice amministrativo non si è in alcun modo pronunciato sulla questione di stabilire se, nel merito, la domanda di permesso avrebbe dovuto essere accettata. Ne consegue che il quarto rifiuto, opposto dal comune il 29 luglio 1994, e basato sulla incompatibilità del progetto di costruzione con il PRG (paragrafo 15 supra), non era in linea di principio contrario a una decisione giudiziaria definitiva. Il Governo lo sottolinea giustamente (paragrafo 38 supra). Inoltre, nelle intenzioni del comune, la decisione del 29 luglio 1994 era volta a garantire un riassetto razionale e ordinato della città di Sanremo, fatto che secondo la Corte risponde ad un imperativo degli enti locali e ben rientra nell’interesse generale ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 1 del Protocollo n.1.

52. La ricorrente ha poi impugnato questo quarto diniego dinanzi al TAR della Liguria ottenendo vittoria di causa. Nella sua sentenza del 10 dicembre 1999, depositata il 3 marzo 2000 (paragrafi 17-18 supra), il giudice amministrativo ha in effetti ritenuto che il progetto immobiliare della ricorrente non contrastasse, di per sé, con le disposizioni del PRG, debitamente interpretate, e che non era necessario alcun piano dettagliato per rilasciare il permesso in causa. In seguito (il 21 novembre 2001 – paragrafo 20 supra) il comune si è dichiarato pronto a conformarsi alla sentenza del TAR divenuta nel frattempo definitiva. Una volta espletate le formalità amministrative pertinenti, la ricorrente avrebbe potuto quindi ottenere il permesso che sollecitava. Benché lunga e complessa, la procedura amministrativa ha avuto dunque un esito favorevole per l’interessata.

53. La Corte nota anche che al momento dell’acquisto del terreno (il 24 dicembre 1982 – paragrafo 4 supra), la ricorrente non aveva alcuna garanzia di poter realizzare il suo progetto di costruzione di un centro commerciale: In effetti, anche se deve essere considerato come una facoltà insita nel diritto di proprietà, lo jus aedificandi può essere limitato per ragioni di utilità pubblica precise e attuali, tra le quali figura il rispetto delle norme urbanistiche. Peraltro il contratto di compravendita lo indicava esplicitamente. La ricorrente doveva dunque sapere che la realizzazione di un progetto di grande portata, quale la costruzione di un centro commerciale che includeva uffici e parcheggi interrati, era sottoposta alla preventiva valutazione, da parte del comune, della conformità di quest’ultimo con le disposizioni del PRG, e ciò nell’ambito di una procedura ammnistrativa complessa, che poteva portare a dover fare ricorso ai giudici amministrativi (si veda, mutatis mutandis, Contessa e altri, decisione sopra citata, § 30).

54. La Corte osserva che le decisioni di rigetto della domanda di permesso di costruire non hanno comportato un diritto alla compensazione per la ricorrente. In effetti, il ricorso per risarcimento danni dell’interessata è stato rigettato dal Consiglio di Stato, in quanto l’alta giurisdizione italiana aveva ritenuto, essenzialmente, che non potesse essere imputata alcuna responsabilità all’amministrazione, soprattutto tenuto conto della complessità delle disposizioni del PRG che si prestavano a interpretazioni diverse (paragrafi 25-30 supra). Quando è in discussione una misura che regolamenta l’uso dei beni, la mancanza di un indennizzo è uno degli elementi di cui si deve tener conto per stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio, ma tale mancanza di indennizzo non può da sola costituire una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (si vedano le seguenti decisioni sopra citate: Galtieri; Campanile e altri, § 32; Contessa e altri, § 32; e D’Alba, § 38; si vedano anche, mutatis mutandis, Katte Klitsche de la Grange c. Italia, 27 ottobre 1994, §§47-48, serie A n 293-B; Predil Anstalt c. Italia (dec.), n. 31993/96, 14 marzo 2002; e Tiralongo e Carbe c. Italia (dec.), n. 4686/06, § 45, 27 novembre 2012, dove la Corte ha affermato che la mancanza di indennizzo per alcuni divieti di costruire che sono durati cinque anni non era di natura tale da rompere l’equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli del proprietario). Occorre anche tener conto del fatto che il ruolo decisionale affidato ai giudici serve precisamente a dissipare i dubbi che potrebbero sussistere in merito all’interpretazione delle norme (si vedano, mutatis mutandis, Kafkaris c. Cipro [GC], n. 21906/04, § 141, CEDU 2008, e Previti c. Italia (dec), n. 45291/06, § 280, 8 dicembre 2009). Ora, la circostanza per la quale l’amministrazione abbia seguito una di queste interpretazioni, non manifestamente arbitrarie, non può automaticamente conferire al cittadino un diritto al risarcimento, anche quando l’interpretazione in questione è stata in seguito capovolta dal giudice amministrativo.

55.Peraltro, nella misura in cui la proporzionalità di una ingerenza con il diritto di un proprietario al rispetto dei suoi beni può dipendere anche dalla presenza di garanzie procedurali che permettano di vigilare affinché la messa in atto di una politica e i suoi incidenti per il proprietario non siano né arbitrari né imprevedibili (si vedano, mutatis mutandis, Immobiliare Saffi c. Italia, n. 22774/93, § 54, CEDU 1999-V; Campanile e altri, decisione sopra citata, § 34; Contessa e altri, decisione sopra citata, § 33; e D’Alba, decisione sopra citata, § 39), la Corte rileva che nel caso di specie la ricorrente ha potuto presentare al TAR della Liguria un ricorso per l’annullamento delle decisioni con le quali, il 17 maggio 1990 e il 29 luglio 1994, il comune di Sanremo ha rigettato le sue domande di permesso di costruire. Questa autorità giudiziaria era competente ad esaminare la causa in fatto e in diritto e non vi è nulla che provi che essa abbia valutato i fatti e gli elementi di diritto interno in maniera arbitraria. Peraltro, il TAR ha annullato i provvedimenti contestati due volte, accogliendo i ricorsi della ricorrente (paragrafi 11-12 e 17 18 supra).

56. Certamente, i procedimenti interni che hanno portato al rilascio del permesso hanno richiesto numerosi anni. Tuttavia, la Corte rammenta che, dal momento che la dedotta violazione del diritto di proprietà è strettamente connessa alla durata di un procedimento e ne costituisce una conseguenza indiretta, la «legge Pinto» permette di richiedere una decisione che possa inscriversi nella logica della giurisprudenza della Corte per quanto riguarda l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Capestrani c. Italia (dec.), n. 46617/99, 27 gennaio 2005; Recupero c. Italia (dec.), n. 77713/01, 17 marzo 2005; De Filippo c. Italia (dec.), n. 72112/01, 27 marzo 2007; Contessa e altri, decisione sopra citata, § 34; e D’Alba, decisione sopra citata, § 41). Nel caso di specie, la ricorrente ha presentato al TAR e al Consiglio di Stato una richiesta di risarcimento danni per il rigetto reiterato delle sue domande di permesso di costruire (paragrafo 21 supra), ma non ha presentato un ricorso ai sensi della legge «Pinto» (si vedano, mutatis mutandis, Contessa e altri, decisione sopra citata, § 35, e D’Alba, decisione sopra citata, § 42).

57. Infine, la Corte nota che la presente causa si distingue dalla causa Assymomitis (sentenza sopra citata, §§ 52-57), invocata dalla ricorrente (paragrafo 33 supra), dove gli atti e le omissioni dell’amministrazione avevano rimesso in discussione un permesso di costruire già rilasciato, fatto che aveva comportato il fermo dei lavori per sei anni e quattro mesi.

58. Tenuto conto delle particolari circostanze che ruotano attorno alle domande di permesso di costruire della ricorrente, e avendo proceduto ad una valutazione globale dei fatti del caso di specie, la Corte conclude che l’ingerenza in causa non ha infranto il giusto equilibrio che deve essere mantenuto, in materia di regolamentazione dell’uso dei beni, tra l’interesse pubblico e l’interesse privato. In particolare, la ricorrente non è stata .

59. A tale riguardo, la Corte rammenta di aver già considerato conformi all’interesse generale e proporzionate delle restrizioni apportate alla facoltà di costruire imposte, rispettivamente, da un nuovo PRG, per proteggere degli immobili che avevano un valore storico o culturale, per creare degli spazi verdi pubblici e per la costruzione di case popolari (si vedano le seguenti decisioni sopra citate: Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl; Galtieri; Campanile e altri; e D’Alba).

60. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 1° ottobre 2015.

Päivi Hirvelä
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere