Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 1° settembre 2015 - Ricorso n. 20034/11 - Ebe Gigliola Giorgini c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 20034/11
Ebe Gigliola GIORGINI
contro l’Italia


La Corte europea dei diritti dell’uomo (Quarta Sezione), riunita in data 1° settembre 2015 in una Camera composta da:
Päivi Hirvelä, Presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Krzysztof Wojtyczek,
Faris Vehabović, giudici,
e Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di Sezione,
visto il ricorso sopra menzionato presentato in data 9 marzo 2011,
dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

  1. La ricorrente, Sig.ra Ebe Gigliola Giorgini, è una cittadina italiana nata nel 1933 ed è agli arresti domiciliari a Marina di Pietrasanta. È stata rappresentata dinanzi alla Corte dall’avvocato D. Ammannato, del foro di Firenze.
  2. I fatti della causa, così come esposti dalla ricorrente, si possono riassumere come segue.

    A. Le circostanze del caso di specie

    1. Il primo procedimento penale

     
  3. In data 8 aprile 2008 il Tribunale di Forlì condannò la ricorrente per diversi reati che comprendevano l’associazione per delinquere, la truffa aggravata e il maltrattamento.
  4. In data imprecisata ella presentò appello alla Corte di appello di Bologna.
  5. In data 22 giugno 2019 la Corte di appello di Bologna confermò parzialmente la sentenza del Tribunale, ribaltandola parzialmente. La condanna per il reato di associazione per delinquere fu confermata.
  6. In data imprecisata la ricorrente presentò ricorso alla Corte di cassazione.
  7. Ella afferma che in data 4 luglio 2011 il Presidente della Seconda Sezione penale della Corte di cassazione fissò l’udienza per il 15 novembre 2011.
  8. In data 24 ottobre 2011 l’Unione delle Camere Penali italiane indisse uno sciopero di cinque giorni, che doveva svolgersi dal 14 al 18 novembre 2011.
  9. In data 28 ottobre la ricorrente presentò alla Corte  osservazioni scritte integrative.
  10. In data 7 novembre 2011 il difensore della ricorrente aderì formalmente allo sciopero e lo notificò alla Corte di cassazione, avendo ottenuto il consenso della ricorrente per iscritto. Per questo motivo egli non fu presente all’udienza del 15 novembre 2011.
  11. Risulta dal verbale dell’udienza che il Procuratore generale chiese che la Corte di cassazione si astenesse dal rinviare l’udienza a causa dell’assenza del difensore. La Corte accolse la domanda del Procuratore e l’udienza si svolse come previsto.
  12. Con sentenza del 15 novembre 2011 la Corte di cassazione respinse il ricorso della ricorrente.

    2. Il secondo procedimento penale
     
  13. In data 9 giugno 2010 il giudice per le indagini preliminari di Pistoia dispose che la ricorrente fosse posta in custodia cautelare essendovi il sospetto che avesse commesso ulteriori reati che comprendevano il reato di associazione per delinquere, di cui la ricorrente era sospettata di essere il capo, il promotore e l’organizzatore. La ricorrente era inoltre sospettata della commissione del reato di esercizio abusivo della professione medica. In particolare era sospettata di aver fornito consulenze e cure mediche, nonché di aver prescritto medicinali ad adulti e a minori, e di aver adibito la sua abitazione a clinica non autorizzata. Era inoltre sospettata di truffa, aggravata da diversi fattori tra cui lo sfruttamento del dolore e della sofferenza di soggetti vulnerabili e la generazione di timori infondati da cui traeva profitto. Il giudice per le indagini preliminari sottolineò che la ricorrente era stata precedentemente condannata per reati simili.
  14. Risulta dagli atti del fascicolo che la custodia cautelare era stata richiesta per diversi motivi, ovvero le forti prove a suo carico, la gravità dei reati di cui era sospettata, e il significativo rischio che potesse commettere ulteriori reati.
  15. La ricorrente afferma di essere stata trasferita nella Casa circondariale Sollicciano di Firenze in data 11 giugno 2010.

    (a) La prima istanza di modifica dell’ordinanza di custodia
     
  16. In data 21 luglio 2010 il difensore della ricorrente presentò un’istanza al giudice per le indagini preliminari di Pistoia tesa a ottenere la sostituzione della detenzione della ricorrente con una misura detentiva più mite quale gli arresti domiciliari. Argomentò che sia l’età avanzata sia l’asseritamente critico stato di salute erano incompatibili con la detenzione in carcere.
  17. In data imprecisata il giudice dispose che ella fosse visitata da un perito medico indipendente al fine di determinare se ciò fosse vero.
  18. Con ordinanza del 30 luglio 2010 il giudice confermò che la ricorrente sarebbe dovuta rimanere in custodia, in quanto la relazione del perito medico indipendente aveva dichiarato che il suo stato di salute era compatibile con la detenzione.
  19. In data 7 agosto 2010 la ricorrente presentò ricorso al Tribunale di Firenze per due motivi principali. Affermò che benché a norma dell’articolo  275, comma 4, del Codice di procedura penale (si veda il paragrafo 37 infra) la custodia cautelare di persone che avevano oltrepassato l’età di settanta anni era consentita solo se giustificata da motivi eccezionali, nel suo caso non sussisteva alcuno di tali motivi. Ribadì inoltre l’argomento che la sua avanzata età e il suo critico stato di salute erano incompatibili con la detenzione in carcere, affermando di essere affetta da patologie potenzialmente letali che indicò in patologie cardiovascolari, osteoporosi acuta e diabete. Sottolineò inoltre di aver subito importanti interventi chirurgici in precedenza, tra cui una gastrectomia, una mastectomia e un’isterectomia e che soffriva di ansia e di intolleranza al glucosio.
  20. In data 1° ottobre 2010 il Tribunale di Firenze, in qualità di  autorità competente a decidere in materia di misure privative della libertà (tribunale della libertà e del riesame), rigettò il ricorso della ricorrente. Esso ritenne che sussistessero ancora i motivi eccezionali, elencati nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 9 giugno 2010, perché fosse tenuta in custodia cautelare. Sottolineò inoltre che ella era stata precedentemente condannata per reati simili e, appena liberata, aveva ripreso la sua attività criminale. In ordine alla salute della ricorrente, il tribunale si basò sulla perizia medica richiesta dal giudice per le indagini preliminari per concludere che essa non era incompatibile con la detenzione in una struttura penitenziaria. Facendo riferimento a estratti della perizia il tribunale osservò che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, non vi era alcuna prova di un imminente rischio di insufficienza cardiaca congestizia o di altre patologie potenzialmente letali. Proseguì riconoscendo la conclusione del perito che ella aveva precedentemente subito diversi importanti interventi chirurgici, ma che ciò le aveva permesso di curare gravi patologie, ottenendo così un  miglioramento della sua situazione clinica. Basandosi sulla perizia esso concluse inoltre che la fornitura di pasti speciali per soddisfare le sue esigenze nutrizionali e la necessaria terapia farmacologica potevano essere seguite adeguatamente in una struttura penitenziaria. Risulta dall’ordinanza che il tribunale ha esaminato anche le perizie mediche presentate dal pubblico ministero e dal difensore della ricorrente e ha tenuto conto di queste ultime quando è pervenuto alle sue conclusioni.
  21. In data 10 ottobre 2010 la ricorrente presentò ricorso alla Corte di cassazione.
  22. In data 1° dicembre 2010 fu rinviata a giudizio e la prima udienza dinanzi al Tribunale di Pistoia fu fissata per il 22 marzo 2011. Fu formalmente accusata di tutti i reati di cui era sospettata, compresi i reati di associazione per delinquere, esercizio abusivo della professione medica e truffa aggravata (si veda il paragrafo 7 supra).
  23. In data 16 febbraio 2011 la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile.

    (b) La seconda istanza di modifica dell’ordinanza di custodia
     
  24. In data 4 maggio 2011 il difensore della ricorrente presentò un’ulteriore istanza tesa a ottenere la sostituzione della detenzione della ricorrente con gli arresti domiciliari, ribadendo l’argomento secondo il quale sia l’avanzata età sia il suo stato di salute era incompatibili con la detenzione in carcere. Si basò, inter alia, su un certificato medico rilasciato dal medico penitenziario in data 5 aprile 2011, in cui la sua condizione clinica era descritta come “complessa e sfaccettata” e “difficile da gestire” in una struttura penitenziaria regolare.
  25. In data imprecisata il Tribunale di Pistoia dispose un nuovo esame medico al fine di valutare la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione.
  26. In data 5 maggio 2011 esso respinse la richiesta di arresti domiciliari visto il persistente pericolo che la ricorrente potesse commettere ulteriori reati. Il Tribunale dispose tuttavia che fosse trasferita in un centro clinico penitenziario a Pisa al fine di garantire un maggiore controllo medico e la fornitura di ogni cura necessaria, e impedire un ulteriore peggioramento della sua salute. Il tribunale pervenne alle sue conclusioni basandosi su diverse conclusioni del perito, che aveva ritenuto che la gastrectomia eseguita nel 1967 le avesse lasciato degli effetti collaterali a lungo termine, tra cui un insufficiente assorbimento del calcio e della vitamina D. Osservò inoltre con una certa preoccupazione che si era abbassata di statura e aveva perso peso, e che l’osteoporosi era peggiorata nei mesi trascorsi in detenzione. Per gestire in modo efficace la sua condizione e prevenire un peggioramento, il perito osservò che avrebbe avuto bisogno di pasti piccoli e frequenti, di una dieta speciale arricchita da integratori alimentari e di qualche forma di attività fisica. Sottolineò infine una lieve atrofia cerebrale, unita a un leggero disturbo ansioso-depressivo.
  27. In data 10 maggio 2011 la ricorrente presentò ricorso, ribadendo l’incompatibilità della sua età e del suo stato di salute con qualsiasi forma di detenzione, anche in un centro clinico penitenziario.
  28. In data 20 giugno 2011 il Tribunale di Firenze, in qualità di autorità competente a decidere in materia di misure privative della libertà, collocò la ricorrente agli arresti domiciliari. Si basò sulla perizia medica presentata dal perito al Tribunale di Pistoia per concludere che nel suo caso esisteva una “incompatibilità sostanziale” con la detenzione e che date le circostanze era preferibile una misura meno restrittiva, come gli arresti domiciliari.
  29. Dispose l’immediato rilascio della ricorrente e fissò le specifiche condizioni degli arresti domiciliari, compresa la condizione che sarebbe dovuta restare sempre nella sua abitazione, uscire soltanto previo permesso delle autorità, e astenersi dal contattare o dall’interagire con chiunque, a eccezione delle persone con cui era autorizzata a convivere e del personale sanitario.
  30. In data 23 giugno 2011 il pubblico ministero presentò ricorso alla Corte di cassazione.
  31. In data 19 ottobre 2011 la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile.

    (c) La terza istanza di modifica dell’ordinanza di custodia
     
  32. In data 4 giugno 2012 il pubblico ministero chiese che gli arresti domiciliari fossero sostituiti dalla custodia cautelare, in quanto la ricorrente aveva violato le condizioni previste. Provò, tra l’altro, che ella era stata in contatto con diverse persone non autorizzate, tra cui i coimputati nel procedimento penale in corso e diversi suoi “seguaci” e “ammiratori”.
  33. In data imprecisata il Tribunale di Pistoia dispose un nuovo esame medico al fine di determinare se il suo stato di salute fosse compatibile con la detenzione.
  34. In data 6 luglio 2012 il Tribunale di Pistoia accolse la richiesta del pubblico ministero e dispose la custodia cautelare della ricorrente, ordinando che fosse trasferita immediatamente nel centro clinico penitenziario di Pisa. Concluse che ella aveva violato le condizioni degli arresti domiciliari e che la situazione sorta contribuiva a ristabilire la rete che aveva fornito supporto alla sua attività criminale. In ordine alla salute il Tribunale si basò sulla perizia medica che aveva richiesto, che affermava che un adeguato monitoraggio e adeguate cure delle sue patologie, nonché la  fornitura di un’adeguata alimentazione, conforme alle sue speciali esigenze dietetiche, potevano essere svolti in un centro clinico penitenziario. Il perito osservò, in particolare, che la cura dell’osteoporosi della ricorrente per prevenire futuri danni alla sua struttura ossea non sarebbe stata minimamente ostacolata dalla sua detenzione in tale struttura.  Aggiunse che mentre era agli arresti domiciliari ella aveva riportato tre fratture e asserì che il monitoraggio della sua situazione in un centro clinico penitenziario non avrebbe potuto in alcun modo essere considerato inferiore.
  35. In data 22 ottobre 2012 il centro clinico penitenziario di Pisa emise un certificato medico concernente lo stato di salute della ricorrente. Descrisse la sua anamnesi clinica e l’esito di varie visite specialistiche cui  era stata sottoposta in quella struttura nel corso dei mesi precedenti. Un ortopedico aveva confermato la sua avanzata osteoporosi e aveva prescritto delle cure, un cardiologo aveva riferito una buona funzionalità cardiaca,  mentre un oculista aveva raccomandato che si sottoponesse a intervento chirurgico per una cataratta all’occhio sinistro. Il rapporto raccomandava inoltre che la ricorrente effettuasse la colonscopia. Furono espresse preoccupazioni per le difficoltà incontrate nella gestione delle cure e degli accertamenti diagnostici che avevano richiesto il suo trasporto in strutture esterne. Sia l’intervento alla cataratta sia la colonscopia dovettero essere spostati a causa della indisponibilità di agenti di polizia che la accompagnassero nelle strutture esterne. I medici conclusero che il protrarsi della detenzione della ricorrente, benché in un centro clinico penitenziario, avrebbe comportato un peggioramento del suo stato di salute.
  36. In data 18 dicembre 2012 il difensore della ricorrente presentò istanza alla Corte di appello di Firenze chiedendo la sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari. Ribadì tutti gli argomenti sollevati in primo grado e fece riferimento a estratti del rapporto emesso dal centro clinico penitenziario in data 22 ottobre 2012.
  37. La domanda fu accolta il giorno stesso e la ricorrente fu posta agli arresti domiciliari.
  38. Risulta dagli atti del fascicolo che ella è attualmente agli arresti domiciliari mentre pende un procedimento penale a suo carico dinanzi alla Corte di cassazione.

    B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

    L’articolo 274 del Codice di procedura penale italiano
  39. L’articolo 274 prevede che una persona possa essere detenuta nelle more del processo:
    “a)  quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. (...);
    b)  quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione;
    c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quella per cui si procede. (...)”
  40. A norma dell’articolo 275, comma 4, nelle more del processo può essere disposta la custodia cautelare di persone che hanno oltrepassato l’età di settanta anni soltanto qualora circostanze eccezionali giustifichino l’applicazione di tale misura.

    DOGLIANZE
     
  41. La ricorrente ha lamentato che la combinazione della sua avanzata età e del suo  stato di salute rendevano la sua detenzione incompatibile con l’articolo 3 della Convenzione. Ha inoltre lamentato, ai sensi della stessa disposizione, le condizioni della sua detenzione nella Casa circondariale Sollicciano e nel centro clinico penitenziario di Pisa.
  42. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, ella ha lamentato l’iniquità dei procedimenti penali. A sostegno di tale assunto ha affermato di non essere stata assistita da un difensore nel corso dell’udienza del 15 novembre 2011 dinanzi alla Corte di cassazione.
  43. La ricorrente ha inoltre lamentato che la sua condanna a seguito del primo procedimento penale ha comportato la violazione della sua libertà di religione ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione, sostenendo di essere la fondatrice di un’associazione religiosa.

    IN DIRITTO

    A. Sulla dedotta violazione dell’articolo 3 della Convenzione in ragione dell’incompatibilità della detenzione con l’avanzata età e lo stato di salute della ricorrente
     
  44. La ricorrente ha sostenuto che i suoi problemi di salute, uniti alla sua avanzata età, erano di carattere e grado tali da comportare pericolo per la sua vita quando era stata in detenzione. Ha inoltre affermato che i suoi problemi di salute erano stati aggravati dallo stress e dall’umiliazione causati dalla sua reclusione. Ha invocato l’articolo 3 della Convenzione, che recita:
    “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

    1. Ricapitolazione dei principi pertinenti
  45. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte il maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3. La valutazione di tale livello minimo di gravità è relativa; dipende da tutte le circostanze della causa, quali la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima (si veda, inter alia, Price c. Regno Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII; Mouisel c. Francia n. 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX; Naumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004; Davtyan c. Armenia, n. 29736/06, § 79, 31 marzo 2015).
  46. Perché una pena, o un trattamento associato a essa, siano “inumani” o “degradanti”, la sofferenza o l’umiliazione in questione devono in ogni caso eccedere l’inevitabile componente di sofferenza o di umiliazione connessa a una data forma di trattamento o pena legittimi (si vedano Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, CEDU 2006 IX; Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 120, CEDU 2000 IV, e Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, § 56, CEDU 2009).
  47. Le misure che privano una persona della sua libertà possono spesso comportare tale componente di sofferenza o di umiliazione. Non si può tuttavia affermare che l’esecuzione della custodia cautelare sollevi di per sé una questione ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Né che tale articolo possa essere interpretato come se esso preveda l’obbligo generale di rilasciare un detenuto per motivi di salute o di collocarlo in un ospedale civile per consentirgli l’ottenimento di un particolare tipo di cure mediche  (si vedano Papon c. Francia (n. 1) (dec.), n. 64666/01, CEDU 2001 VI; Priebke c. Italia (dec.), n. 48799/99, 5 aprile 2001; si vedano altresì Mouisel, sopra citata, §§ 40-42, e Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, § 55, 2 dicembre 2004).
  48. Ciononostante ai sensi dell’articolo 3 lo Stato deve assicurare che le condizioni di detenzione della persona siano compatibili con il rispetto della sua dignità umana, che le modalità e il metodo di esecuzione della misura non la sottopongano a dolori o privazioni di intensità superiore al livello di sofferenza che discende, inevitabilmente, dalla detenzione, e che, date le esigenze di ordine pratico della reclusione, la sua salute e il suo benessere siano adeguatamente garantiti, tra l’altro, fornendole la necessaria assistenza sanitaria (si vedano Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI e Davtyan c. Armenia, sopra citate, § 81).
  49. La Convenzione non vieta espressamente la detenzione in carcere di persone che hanno raggiunto una determinata età. La Corte ha tuttavia già avuto l’opportunità di rilevare che, in alcune circostanze, la detenzione di una persona anziana per un periodo eccessivamente lungo potrebbe sollevare una questione ai sensi dell’articolo 3. Ciononostante occorre tener conto delle particolari circostanze di ciascuna specifica causa (si veda Priebke (dec.), sopra citata, e Sawoniuk c. Regno Unito (dec.), n. 63716/00, 29 maggio 2001).
  50. Vi sono almeno tre specifici elementi di cui tener conto in relazione alla compatibilità della salute di un ricorrente con la sua permanenza in detenzione: a) la situazione clinica del detenuto; b) l’adeguatezza dell’assistenza sanitaria e delle cure fornite in detenzione; e c) l’opportunità del mantenimento della misura cautelare in considerazione dello stato di salute del ricorrente (si vedano Farbtuhs, n. 4672/02, sopra citata, § 53, 2 dicembre 2004, e Contrada c. Italia (n. 2), n. 7509/08, § 78, 11 febbraio 2014).
  51. Per quanto riguarda infine il livello di prova la Corte ribadisce che le accuse di maltrattamento devono essere suffragate da adeguate prove (si veda Amirov c. Russia, n. 51857/13, 27 novembre 2014). Per valutare tali prove la Corte adotta il livello della prova “oltre il ragionevole dubbio”, ma aggiunge che tale prova può essere desunta dalla coesistenza di conclusioni sufficientemente forti, chiare e concordanti o da analoghe presunzioni di fatto non confutate (si vedano Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 161, Serie A n. 25, e Idalov c. Russia [GC], n. 5826/03, § 95, 22 maggio 2012).

    2. Applicazione dei principi di cui sopra al caso di specie
     
  52. La Corte osserva inizialmente che il maltrattamento lamentato dalla ricorrente consiste nella complessiva incompatibilità, connessa alla sua avanzata età,  della detenzione con il suo stato di salute (aveva settantasette anni quando nel 2010 è stata collocata per la prima volta in custodia cautelare). Non risulta che abbia indicato particolari occasioni in cui le sono state negate cure sanitarie, o specifiche misure che le autorità avrebbero dovuto adottare per garantire la sua salute e il suo benessere.
  53. In ordine alla custodia cautelare della ricorrente nella Casa circondariale Sollicciano (si vedano i paragrafi 16-23 supra), la Corte osserva che il giudice per le indagini preliminari di Pistoia ha chiesto una visita medica da parte di un perito indipendente al fine di valutare la compatibilità della sua salute con la detenzione, e che il perito ha concluso che erano compatibili. La Corte sottolinea che due livelli di giurisdizione interna, vale a dire il giudice per le indagini preliminari e il tribunale di Firenze, avevano valutato attentamente tutte le prove mediche presentate da un perito indipendente e dalle parti, ed erano pervenuti alle loro conclusioni sulla base di tali prove. La Corte di cassazione ha successivamente confermato la decisione del Tribunale di Firenze.
  54. La Corte sottolinea inoltre che, in ordine alla seconda istanza di modifica dell’ordinanza di custodia (si vedano i paragrafi 24-31 supra), il Tribunale di Pistoia ha trasferito la ricorrente in un centro clinico penitenziario al fine di garantire che ricevesse l’assistenza sanitaria e le cure necessarie, e di prevenire un ulteriore peggioramento delle sue condizioni.   Lo ha fatto sollecitamente e sulla base di una perizia medica redatta da un perito indipendente che aveva rilevato un peggioramento della situazione clinica della ricorrente (si veda il paragrafo 26 supra). La Corte rileva inoltre che ella era stata detenuta nel centro clinico penitenziario per un periodo totale inferiore a due mesi, in quanto la sua custodia in tale luogo era stata disposta in data 5 maggio 2011, ma in data 20 giugno 2011 il Tribunale di Firenze aveva disposto il suo rilascio e la sua collocazione agli arresti domiciliari.
  55. La Corte osserva che quando il Tribunale di Pistoia ha nuovamente disposto la custodia cautelare della ricorrente nel luglio del 2012, in ragione delle ripetute violazioni delle condizioni dei suoi arresti domiciliari (si vedano i paragrafi 32-38 supra), ella è stata nuovamente trasferita nel centro clinico penitenziario di Pisa. Il perito indipendente incaricato dal Tribunale di Pistoia della perizia ha dichiarato che la sua situazione poteva essere monitorata adeguatamente in tale centro, dove sarebbe stata sottoposta a controllo medico. La documentazione presentata dimostra inoltre che la sua salute è stata effettivamente monitorata e che è stata visitata da diversi specialisti nel corso della sua detenzione dal luglio al dicembre 2012 (si veda il paragrafo 34 supra). Quando sono state presentate alla Corte di appello di Firenze prove delle difficoltà di gestire le cure ed eseguire gli accertamenti diagnostici questa la ha sollecitamente collocata agli arresti domiciliari.
  56. Per quanto sopra esposto, e sulla base della documentazione presentata, si può affermare che le autorità giudiziarie nazionali hanno basato tutte le loro decisioni concernenti l’emissione di ordinanze di custodia cautelare su prove mediche, e hanno risposto modificando tali ordinanze in conformità alle istanze della ricorrente quando sono state sottoposte alla loro attenzione preoccupazioni sollevate da periti medici.
  57. In conclusione, la Corte accetta che l’avanzata età della ricorrente, unita alla presenza di alcune condizioni cliniche, avrebbe potuto renderla più vulnerabile di un detenuto medio, e che la sua detenzione avrebbe potuto esasperare in qualche misura le sue sensazioni di dolore. Tuttavia sulla base delle prove di cui dispone e tenendo presenti le sollecite ed effettive risposte delle autorità, la Corte non ritiene accertato che ella sia stata sottoposta a maltrattamenti che abbiano raggiunto un livello di gravità sufficiente a farli rientrare nell’ambito dell’articolo 3 della Convenzione. 
  58. Ne consegue che questa doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3, lettera a), e 4 della Convenzione.

    B. Sulla dedotta violazione dell’articolo 3 della Convenzione in ragione del sovraffollamento e dell’inadeguatezza delle condizioni di detenzione della ricorrente
     
  59. La ricorrente ha lamentato ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione le condizioni della sua detenzione nel centro clinico penitenziario di Pisa, dove è stata detenuta dal maggio al giugno 2011 e dal luglio al dicembre 2012. 
  60. Ha affermato in particolare che nel primo periodo di detenzione ha dovuto condividere una piccola cella con quattro detenute. Ha lamentato l’altezza dei soffitti e delle finestre della cella e la mancanza di accesso all’aria aperta. In ordine al secondo periodo di detenzione ha lamentato, molto genericamente, la dimensione della cella e la mancanza di aria fresca.
  61. La Corte osserva che non sono state fornite informazioni sulla dimensione delle celle durante i due periodi di detenzione e non è  stata presentata alcuna documentazione a sostegno (si veda Ananyev e altri c. Russia, nn. 42525/07 e 60800/08, § 122, 10 gennaio 2012).
  62. Alla luce delle considerazioni di cui sopra si deve concludere che le affermazioni della ricorrente non sono corroborate e sono generalmente non suffragate. Conseguentemente esse sono manifestamente infondate ai sensi dell’articolo 35 § 3 lettera a) della Convenzione e devono essere dichiarate irricevibili. 

    C. Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 della Convenzione
     
  63. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, la ricorrente ha lamentato l’iniquità dei procedimenti penali nei suoi confronti in ragione del fatto che non è stata assistita dal suo difensore di fiducia nel corso dell’udienza del 15 novembre 2011 dinanzi alla Corte di cassazione, che aveva rifiutato di rinviare il procedimento. 
  64. La Corte ritiene opportuno esaminare le doglianze di cui sopra ai sensi dell’articolo 6 §§ 1 e 3, lettera c), della Convenzione, le cui parti pertinenti recitano:
    “1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata a suo carico (...)
    “3.  In particolare, ogni accusato ha diritto di:
    (...)
    (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta, e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;  (...)”
  65. La Corte osserva che nei procedimenti in appello e per cassazione le modalità di applicazione dell’articolo 6 § 1 e 3, lettera c), dipendono dalle particolari caratteristiche dei procedimenti in questione (si vedano, mutatis mutandis, Hermi c. Italia [GC], n. 18114/02, § 60, CEDU 2006 XII, e Tripodi c. Italia, 22 febbraio 1994, § 27, Serie A n. 281 B). Si deve tener conto dell’intero procedimento svolto nell’ordinamento giuridico interno, del ruolo che ha in esso il particolare organo di appello, e del modo in cui sono stati effettivamente presentati e tutelati dinanzi a esso gli interessi della ricorrente (ibid., § 27).
  66. La Corte ribadisce inoltre che uno Stato non può essere considerato responsabile di ogni manchevolezza da parte di un difensore nominato al fine del gratuito patrocinio o dall’imputato. Data l’indipendenza della professione legale dallo Stato, la condotta della difesa è essenzialmente una questione tra l’imputato e il suo difensore, sia che questi sia stato nominato in base a un programma di gratuito patrocinio sia che sia remunerato privatamente (si vedano Cuscani c. Regno Unito, n. 32771/96, § 39, 24 settembre 2002; Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 95, CEDU 2006 II; e Plesic c. Italia (dec), n. 16065/09, § 35, 2 luglio 2013).
  67. La Corte osserva che la Corte di cassazione italiana decide in punto di diritto. I suoi procedimenti sono essenzialmente scritti e in udienza il difensore del ricorrente può soltanto presentare argomenti relativi a osservazioni già formulate nel ricorso e memorie.
  68. È anche degno di nota osservare che il difensore della ricorrente ha presentato un ricorso scritto alla Corte di cassazione e ha depositato osservazioni scritte integrative con memoria datata 28 ottobre 2011. Risulta che la Corte di cassazione abbia esaminato tutti i motivi di ricorso sollevati dalla ricorrente e li abbia respinti in modo ragionato e debitamente motivato.
  69. È di ulteriore rilevanza il fatto che la ricorrente abbia liberamente scelto il difensore che la rappresentasse nel procedimento dinanzi alla Corte di cassazione e abbia firmato un consenso scritto alla sua partecipazione allo sciopero. Il suo difensore era infine ampiamente informato della data dell’udienza ma, nonostante tale consapevolezza, sembrerebbe che non abbia intrapreso alcuna azione, quale garantire la sua sostituzione il giorno in questione. Egli avrebbe inoltre dovuto ragionevolmente sapere di non potersi aspettare un rinvio automatico del procedimento a causa della sua assenza (si confronti e si compari con Vamvakas n. Grecia (n. 2), n. 2870/11, 9 aprile 2015).
  70. Per quanto sopra esposto la Corte non può concludere che i diritti della ricorrente siano stati limitati in misura tale da comportare la violazione dei principi dell’equo processo stabiliti dall’articolo 6 della Convenzione.
  71. Ne consegue che anche questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    D. Sulla dedotta violazione dell’articolo 9 della Convenzione
     
  72. La ricorrente ha inoltre lamentato che la sua condanna penale a seguito del primo procedimento penale ha comportato la violazione della sua libertà di religione ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione, che recita:
    “1.  Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.
    2.  La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
  73. Ha affermato di essere la fondatrice della Opera di Gesù Misericordioso, associazione religiosa finalizzata al culto e alla pratica della fede cattolica, mediante la quale esprimeva il proprio credo religioso. In modo vago ha argomentato che la sua condanna penale da parte dei tribunali interni, e la qualificazione dell’associazione come criminale, costituiva, a suo avviso, un’ingiustificata ingerenza nella libertà di manifestare la sua religione con gli altri fedeli.
  74. La Corte ribadisce che, benché la libertà religiosa sia principalmente una questione di coscienza individuale, essa comporta anche la libertà di manifestare la propria religione, individualmente e in privato, o collettivamente, in pubblico e nella cerchia delle persone con cui si condivide la fede. L’articolo 9 elenca le varie forme mediante le quali si possono manifestare la propria religione o il proprio credo, ovvero mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza (si vedano, mutatis mutandis, Cha’are Shalom Ve Tsedek c. Francia [GC], n. 27417/95, § 73, CEDU 2000-VII, e Leyla Şahin c. Turchia [GC], n. 44774/98, § 105, CEDU 2005 XI).
  75. La Corte conclude che la ricorrente non ha elaborato la sua pretesa, e non ha pertanto spiegato con sufficiente chiarezza quali erano gli atti svolti manifestando la sua religione che sono stati qualificati come reati dai tribunali interni e che erano, a suo avviso, tutelati dall’articolo 9.
  76. Per quanto sopra esposto si deve concludere che la pretesa della ricorrente è generalmente non suffragata. Conseguentemente essa è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a), della Convenzione e deve essere dichiarata irricevibile.

Per questi motivi, la Corte all’unanimità 

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in inglese poi notificata per iscritto in data 24 settembre 2015.

Fatoş Aracı,   
Cancelliere aggiunto

Presidente
Päivi Hirvelä