Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 7 luglio 2015 - Ricorso n. 38754/07 - Odescalchi e Lante Della Rovere c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dal Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

CAUSA ODESCALCHI E LANTE DELLA ROVERE C. ITALIA

Ricorso n. 38754/07

SENTENZA

STRASBURGO

7 luglio 2015

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Odescalchi e Lante della Rovere c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (quarta sezione), riunita in una camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Ledi Bianku,
Paul Mahoney,
Krzysztof Wojtyczek,
Yonko Grozev, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 16 giugno 2015,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 38754/07) proposto contro la Repubblica italiana con il quale cinque cittadini di tale Stato, sigg. Carlo, Federico e Innocenzo Odescalchi, sig.ra Giulia Odescalchi e sig.ra Amelia Lante della Rovere, («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 31 agosto 2007 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avvocati N. Paoletti e G. Paoletti, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3. I ricorrenti deducono una violazione del diritto al rispetto dei loro beni, soggetti ad espropriazione e a divieto di costruire.
4. Il 29 agosto 2011 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1954, 1963, 1956, 1963 e 1934 e risiedono a Roma.

A. Le circostanze del caso di specie

6. I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
7. I ricorrenti sono proprietari di un terreno situato a Santa Marinella (Roma), registrato in catasto al foglio 11, particelle 8, 9, 489, 490 e 491. La superficie totale del terreno è di 97.938 metri quadrati.
8. Il 12 luglio 1971 il comune di Santa Marinella adottò un piano regolatore generale (infra PRG) con il quale destinava questo terreno a verde pubblico e, di conseguenza, imponeva il vincolo di inedificabilità assoluta in vista della sua espropriazione. Il PRG fu approvato l’11 febbraio 1975 dalla Regione Lazio ed entrò in vigore in tale data.
9. Conformemente al diritto applicabile, l’autorizzazione all’esproprio prevista dal PRG decadde nel febbraio 1980.
10. Nonostante la suddetta autorizzazione all’esproprio e il relativo divieto di costruire fossero scaduti, il terreno non fu libero da vincoli. In effetti, nell’attesa della decisione del comune di Santa Marinella in merito alla nuova destinazione urbanistica da attribuire al terreno in causa, quest’ultimo fu assoggettato al regime detto delle «zone bianche», previsto dall’articolo 4 della legge n. 10 del 1977 e ai relativi divieti di costruire (si veda paragrafo 25 infra).
11. Poiché il comune di Santa Marinella non aveva preso decisioni in merito alla nuova destinazione del terreno, i ricorrenti misero in mora l’amministrazione e chiesero a quest’ultima di prendere una decisione al riguardo per porre fine all’incertezza che regnava sulla sorte del loro bene e quindi porre fine al regime delle «zone bianche».
12. In assenza di risposta, il 28 novembre 2007 i ricorrenti si rivolsero al tribunale amministrativo regionale del Lazio (infra TAR).
13. Il TAR ordinò al comune di fornire dei documenti che permettessero di valutare la situazione (sentenze brevi 1075/2008 e 5208/2008). In seguito il TAR constatò (sentenza breve 9109/2008) che essendo scaduta l’autorizzazione all’esproprio nel 1980, il terreno in causa fu sottoposto a un divieto di costruire ai sensi della legge n. 10 del 1977 e che questa situazione sarebbe durata fino a che il comune non avesse deciso in merito alla destinazione urbanistica del terreno. La situazione era certamente complessa, ma il comune doveva prendere una decisione sotto forma di una variante parziale o generale al piano urbanistico. Peraltro il TAR richiese al comune una relazione dettagliata sui vincoli paesaggistici riguardanti il terreno, tenuto conto del fatto che quest’ultimo era stato incluso nella zona di speciale conservazione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 357/1997 e del programma «Natura 2000».
14. Con la sentenza breve del 6 marzo 2009, il TAR ordinò al comune di Santa Marinella di prendere una decisione in merito al terreno in questione. Peraltro, nominò un commissario ad acta incaricato di agire nel caso in cui il comune convenuto non avesse deciso entro 60 giorni nonostante l’ordine del tribunale.
15. Il comune di Santa Marinella non eseguì quanto ordinato nonostante la sentenza breve del TAR.
16. Con l’ordinanza collegiale 989/2011, il TAR ordinò al commissario ad acta di prendere una decisione in luogo del comune. Il tribunale rammentò che, in seguito alla scadenza dell’autorizzazione all’esproprio e nell’attesa della decisione dell’amministrazione, il terreno dei ricorrenti era una «zona bianca» sottoposta alla legge n. 10 del 1977; e che i vincoli che derivavano da questa legge non erano assimilati, dalla giurisprudenza, a quelli che derivavano da una autorizzazione all’esproprio di modo che essi non erano indennizzabili. Ne conseguiva che la inedificabilità sostanziale del terreno perdurava da ben oltre il termine di cinque anni che la Corte costituzionale aveva considerato, nella sua giurisprudenza, essere il termine massimo tollerabile. Occorreva dunque rinnovare l’autorizzazione all’esproprio perché è soltanto dopo l’effettivo rinnovo di quest’ultima che poteva sorgere il diritto dei ricorrenti all’indennizzo (Corte di cassazione, sez. I, sentenza n 1754 del 26 gennaio 2007). Per quanto riguarda l’esistenza di altre misure imposte al terreno, il TAR constatò che il piano territoriale non era stato seguito dalle regolamentazioni necessarie, di modo che la eventuale edificabilità del terreno non era annullata dal suddetto piano.
17. Il 15 giugno 2011 il commissario ad acta prese la sua decisione e rinnovò l’autorizzazione all’esproprio di tutto il terreno dei ricorrenti destinando quest’ultimo a verde pubblico. Egli ordinò la pubblicazione della sua decisione e incaricò l’ufficio del piano territoriale di adottare le misure e le decisioni necessarie per dare esecuzione alla sua decisione. Peraltro, chiese al comune di calcolare l’indennizzo al quale i ricorrenti avevano diritto in seguito alla sua decisione di rinnovare l’autorizzazione all’esproprio.
Per giungere alla sua decisione, il commissario tenne conto dei seguenti elementi:

  • tutte le particelle appartenenti ai ricorrenti, la cui superficie totale è di 97.938 metri quadrati, erano state destinate dal PRG (adottato dal comune il 12 luglio 1971 e approvato dalla regione l’11 febbraio 1975) a verde pubblico;l’autorizzazione all’esproprio era scaduta l’11 febbraio 1980 e non era stata rinnovata dal comune; il terreno era stato poi assoggettato al regime delle «zone bianche» ai sensi della legge n. 10 del 1977;
  • conformemente a due decisioni prese il 25 luglio e il 21 dicembre 2007 dalla regione Lazio (piano territoriale paesistico regionale), il 70% del terreno era anche sottoposto a vincoli paesaggistici previsti al fine di salvaguardare i boschi;
  • il terreno era interamente incluso nella zona di speciale conservazione ai sensi delle direttive europee 79/409/CEE e 147/2009/CEE e della legge regionale 700/2008;
  • l'unica parte del terreno a vocazione edificatoria era vicina a terreni già urbanizzati del lato sud;
  • il comune non aveva mostrato la volontà concreta di espropriare il terreno né di decidere sulla nuova destinazione urbanistica dello stesso.

18. Nel settembre 2011 i ricorrenti impugnarono questa decisione dinanzi al TAR sostenendo, in particolare, che essa era motivata in maniera troppo vaga; sottolineando che le decisioni che imponevano i vincoli paesaggistici adottate nel 2007 non erano mai entrate in vigore; e affermando che l'inclusione del terreno in una zona speciale di conservazione ai sensi delle direttive europee non comportava una inedificabilità assoluta, ma introduceva giustamente l'obbligo di valutare l'impatto ambientale di ogni progetto edificatorio. Il procedimento è pendente dinanzi al TAR.
19. Nel 2012, a complemento delle loro domande di equa soddisfazione, i ricorrenti si sono rivolti a un perito che, nella sua relazione, ha attestato quanto segue (12 novembre 2012). Il terreno in causa è situato in una zona «periurbana », ossia tra il centro di Santa Marinella e l'autostrada ed è circondato da terreni edificati e da terreni agricoli. Il terreno non è coltivato e non è boscato, ma è ricoperto da arbusti, cespugli e alberi isolati. Questa vegetazione è spontanea. Secondo i piani tecnici della regione Lazio, la zona in questione è classificata come «0,3 vegetazione codice SA030101 albero isolato.»
20. Risulta peraltro da una relazione tecnica del comune di Santa Marinella – che il commissario ad acta aveva richiesto all’amministrazione – che il terreno dei ricorrenti non è boscato. Una parte del terreno (55.700 metri quadrati) è in stato di abbandono ed è ricoperta da cespugli e da rovi tipici delle zone lasciate a maggese; un’altra parte (43.200 metri quadrati) è ricoperta dalla macchia; 5.700 metri quadrati sono da pascolo. Il terreno, situato tra il centro e l’autostrada, è incluso in un zona fortemente antropizzata che, a causa del rumore, non è adatta per le specie animali selvagge.
21. Dal fascicolo risulta che, all’inizio del 2015, la decisione del commissario ad acta che rinnovava l’autorizzazione all’esproprio non era ancora stata approvata. In questa situazione, il terreno è sottoposto alle «misure conservative» conseguenti alla decisione del commissario ad acta del 15 giugno 2011, vale a dire che non può essere avviata alcuna attività che violi la suddetta decisione.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

22. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono esposti nella causa Scordino c. Italia (n. 2) (n. 36815/97, §§ 25-45, 15 luglio 2004).
23. Ai fini della presente causa, è opportuno precisare che il piano regolatore generale (infra PRG) è un atto di durata indeterminata. La procedura di adozione di un PRG inizia con una decisione dell’amministrazione comunale e termina con l’approvazione da parte della regione. Una volta approvato il PRG è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Se nel tempo l’amministrazione desidera modificarlo con varianti, parziali o generali, anche queste ultime devono essere decise dall’amministrazione comunale e poi approvate dall’organo competente.
Tra la decisione e l’approvazione di un piano urbanistico o una modifica dello stesso, il terreno interessato è sottoposto a «misure conservative», di modo che non vi può essere tollerata alcun tipo di attività se questa è incompatibile con la destinazione decisa.
24. Le limitazioni al diritto di disporre della proprietà, come un divieto di costruire, sono imposte al momento dell’adozione di un piano regolatore. Tale divieto può riguardare una espropriazione («vincolo preordinato all’esproprio»), quando il terreno in questione è destinato ad un uso pubblico o alla realizzazione di edifici o infrastrutture pubblici. Le autorizzazioni all’esproprio decadono se l’espropriazione non ha luogo entro cinque anni o se entro lo stesso termine non viene adottato alcun piano urbanistico particolareggiato.
25. Secondo la giurisprudenza, nel caso in cui il divieto di costruire scada alla fine dei cinque anni, i terreni interessati non recuperano la loro destinazione originale e non sono sistematicamente riservati all’uso cui sono destinati i terreni vicini. La determinazione della nuova destinazione di un terreno richiede un atto positivo dell’amministrazione, come una variante al piano regolatore generale o al piano regolatore particolareggiato. Nell’attesa venga adottato un atto di questo tipo, i terreni interessati sono considerati, conformemente alla giurisprudenza (si vedano in particolare le sentenze dell’adunanza plenaria nn. 7 e 10 del 1984 del Consiglio di Stato) come se fossero delle «zone bianche» sottoposte al regime previsto dall’articolo 4 della legge n. 10 del 1977 (norma poi incorporata nel Decreto del Presidente della Repubblica 380/2001, articolo 9), relativo ai terreni dei comuni che non hanno adottato strumenti urbanistici generali. Ai sensi di questa disposizione – concepita all’origine dal legislatore per i comuni che non si erano dotati di un PRG – quando sono soddisfatte alcune condizioni, ai terreni situati fuori del perimetro dei centri abitati è attribuito un coefficiente di edificabilità molto ridotto (0,03 metri cubi per metro quadrato). Se il terreno è situato nell’ambito dei centri abitati, non sono consentite nuove costruzioni.
26. Anche se non è previsto alcun termine, spetta all’amministrazione comunale approvare rapidamente la nuova destinazione urbanistica del terreno interessato, affinché la situazione esposta al paragrafo 25 supra non si protragga eccessivamente. Quindi, l’amministrazione deve rinnovare l’autorizzazione all’esproprio o, in alternativa, assegnare una nuova destinazione urbanistica al terreno (Corte di cassazione, Sez. I, sentenza n. 8384 del 31 marzo 2008).
27. In caso di inerzia dell’amministrazione, gli interessati possono chiedere all’autorità regionale di intervenire o possono rivolgersi ai giudici amministrativi. Nella sentenza n. 67 del 1990, relativa ad un caso di espropriazione in cui era in causa l’inerzia dell’amministrazione, la Corte costituzionale ha dichiarato che il ricorso che permette di contestare l’inerzia dell’amministrazione dinanzi al tribunale amministrativo è defatigante e non conclusivo con conseguente scarsa efficacia.
Qualora i giudici amministrativi constatino un’inerzia, se l’amministrazione resta comunque inattiva, il proprietario può chiedere un indennizzo. Tuttavia, secondo la giurisprudenza (Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 25513 del 16 dicembre 2010; sez. I, sentenza n. 10362 del 6 maggio 2009; n. 14333 del 26 settembre 2003), il pregiudizio indennizzabile riguarda soltanto la lesione dell’interesse alla certezza sull’uso «razionale» del terreno, e non tiene conto dei divieti di costruire imposti al terreno durante il periodo di inerzia (si veda anche il paragrafo 32 infra).
28. Un’autorizzazione all’esproprio scaduta può essere rinnovata dall’amministrazione comunale. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 179 del 20 maggio 1999, ha dichiarato incompatibile con la Costituzione l’assenza di previsione da parte della legge di una forma di indennizzo nel caso in cui un’autorizzazione all’esproprio o un divieto di costruire fossero rinnovati dall’amministrazione in modo tale da ledere gravemente il diritto di proprietà. Pur lasciando intatta la possibilità per l’amministrazione di reiterare le misure in questione, la Corte costituzionale ha affermato che era necessario che il legislatore prevedesse un forma di indennizzo, e che l’obbligo di indennizzare non riguardasse i primi cinque anni durante i quali era entrata in vigore la prima autorizzazione all’esproprio (periodo di franchigia).
29. Il legislatore italiano ha dato seguito all’invito della Corte costituzionale tramite l’articolo 39 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, entrato in vigore il 30 giugno 2003. Tale disposizione prevede:
«1. In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto
2. Qualora non sia prevista la corresponsione dell'indennità negli atti che determinano gli effetti di cui al comma 1, l'autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l'indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali.
3. Con atto di citazione innanzi alla corte d'appello nel cui distretto si trova l'area, il proprietario può impugnare la stima effettuata dall'autorità. L'opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica dell'atto di stima.
4. Decorso il termine di due mesi, previsto dal comma 2, il proprietario può chiedere alla corte d'appello di determinare l’indennità.
5. Dell'indennità liquidata ai sensi dei commi precedenti non si tiene conto se l'area è successivamente espropriata.»
30. Con la sentenza n. 12185 del 25 maggio 2007 (Rv. 597121), le sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che è devoluta alla giurisprudenza del giudice ordinario la domanda volta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al pagamento dell'indennizzo dovuto per effetto della reiterazione di vincoli sostanzialmente espropriativi, quando non si faccia questione circa la legittimità degli atti amministrativi impositivi di quei vincoli.
31. La giurisprudenza ammette il pagamento di un indennizzo unicamente nel caso sia reiterata formalmente ed effettivamente una autorizzazione all’esproprio, ossia quando la decisione che l’ha prevista sia stata confermata con un atto di approvazione dell'organo competente e sia entrata in vigore. Essa difatti ritiene che il diritto all'indennizzo del ricorrente può sorgere soltanto dopo la effettiva reiterazione di quest'ultima (Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 1754 del 26 gennaio 2007). Così una decisione comunale di reiterare un’autorizzazione all’esproprio non è indennizzabile se non è stata poi approvata dall'organo competente (Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 14774 del 4 settembre 2012).
32. La giurisprudenza esclude, invece, che i divieti di costruire imposti ai terreni dopo la scadenza di un’autorizzazione all’esproprio e fino alla nuova decisione urbanistica dell’amministrazione (regime delle «zone bianche», paragrafo 25 supra) siano indennizzabili (Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 14774 del 4 settembre 2012; sentenza n. 25513 del 16 dicembre 2010; n. 8384 del 31 marzo 2008; n. 14333 del 26 settembre 2003).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

33. I ricorrenti lamentano l'eccessiva durata del divieto di costruire imposto al loro terreno a seguito dell’autorizzazione all’esproprio e nonostante quest’ultima sia scaduta nel 1980. Sostengono che questa situazione, in mancanza di indennizzo, è incompatibile con l'articolo 1 del Protocollo n. 1, così formulato
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
34. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

35. Il Governo solleva un'eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, basata su due punti.
36. In primo luogo, esso fa osservare che i ricorrenti non hanno impugnato dinanzi al tribunale amministrativo le decisioni relative all’autorizzazione all’esproprio entrata in vigore nel 1975.
37. In secondo luogo, il Governo sostiene che i ricorrenti hanno la possibilità di essere indennizzati e chiede alla Corte di rigettare il ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne – come essa ha fatto nella causa Tiralongo e Carbe c. Italia ((dec.), n. 4686/06, 27 novembre 2012).
38. I ricorrenti si oppongono alla tesi del Governo. Essi osservano che il loro motivo di ricorso verte sulla durata e sull’impatto dell’autorizzazione all’esproprio che è scaduta nel 1980 ma indirettamente ha continuato a produrre i suoi effetti in quanto il loro bene è stato assoggettato poi al regime delle «zone bianche». Rinviando alla giurisprudenza nazionale in materia, i ricorrenti sostengono di non avere la possibilità di essere indennizzati. A differenza della causa Tiralongo e Carbe, nel caso di specie non vi è stata «effettiva reiterazione» dell’autorizzazione all’esproprio.
39. Per quanto riguarda il primo punto dell’eccezione, la Corte rammenta di aver già esaminato eccezioni simili e di aver concluso che un procedimento giudiziario volto all’annullamento di un piano urbanistico non può avere incidenza su questo tipo di ricorsi, dal momento che i ricorrenti lamentano la eccesiva durata e le ripercussioni delle limitazioni imposte al loro terreno in assenza di indennizzo (Maioli c. Italia, n. 18290/02, § 33, 12 luglio 2011; Scordino c. Italia (dec.), n. 36813/97, CEDU 2003 IV).
Di conseguenza, l’eccezione sollevata dal Governo deve essere rigettata.
40. Per quanto riguarda il secondo punto dell’eccezione, la Corte ritiene che questo sia strettamente collegato alla sostanza del motivo enunciato sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Essa decide dunque di unire questo punto all’eccezione sul merito.
41. Peraltro, la Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità e lo dichiara dunque ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti dei ricorrenti

42. Innanzitutto i ricorrenti precisano che i loro motivi di ricorso vertono sull’impatto delle misure in materia urbanistica (piano regolatore generale, autorizzazione all’esproprio, divieti di costruire, legge e giurisprudenza che vi fanno riferimento) imposte al loro terreno dagli anni ’70.
Per quanto riguarda i vincoli paesaggistici e ambientali imposti successivamente, i ricorrenti osservano che questi possono coesistere con un’autorizzazione all’esproprio quando lo scopo di quest’ultimo è, come nel caso di specie, la creazione di un parco pubblico. Essi non possono per questo cancellare l’ingerenza che deriva dalle misure urbanistiche. La loro esistenza può eventualmente diminuire il valore del terreno, una volta entrati in vigore, fatto che può ripercuotersi sull’equa soddisfazione. Per quanto riguarda i vincoli forestali imposti in parte al terreno, questi ultimi sarebbero in vigore soltanto dal 2007.
43. I ricorrenti sostengono che la situazione denunciata non è conforme all'articolo 1 del Protocollo n. 1 e sottolineano che l'ingerenza nel diritto al rispetto dei loro beni dura da più di quarant'anni. In effetti, già prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale del 1975 che prevedeva l'autorizzazione all'esproprio e un divieto assoluto di costruire, il loro terreno era sottoposto a misure conservative a decorrere dalla decisione presa dal comune di Santa Marinella nel 1971.
Dopo la scadenza dell'autorizzazione all'esproprio nel 1980, il terreno era stato sottoposto al regime della legge n. 10 del 1977, e al relativo divieto di costruire, sotto il quale è rimasto per molto tempo, in attesa della decisione dell'amministrazione comunale sulla sorte del loro bene.
Infine, mancando da parte dell'organo competente l'approvazione della decisione del commissario ad acta del 15 giugno 2011 che reiterava l'autorizzazione all'esproprio, il terreno è sottoposto alle misure conservative.
44. I ricorrenti affermano che, per l'effetto combinato dei divieti di costruire e dell'incertezza sulla sorte del terreno, il loro diritto di proprietà è stato «congelato» per tutto questo periodo; essi hanno perduto il pieno godimento del terreno, il valore di quest'ultimo è stato ridotto a nulla ed è stato loro impossibile ottenere un indennizzo. A questo proposito, i ricorrenti richiamano la giurisprudenza delle corti nazionali che ha considerato che:
a) i cinque anni durante i quali è stata in vigore l'autorizzazione all'esproprio (1975-1980) non sono indennizzabili, perché si tratterebbe di un «periodo di franchigia»;
b) gli anni in cui il terreno è stato sottoposto al regime delle «zone bianche», ossia ai vincoli imposti dalla legge n 10 del 1977 (dal 1980 al 2011), non sono indennizzabili;
c) gli anni in cui il terreno è stato sottoposto a «misure conservative», ossia in attesa che fosse approvata dall'organo competente una decisione di imporre un permesso di costruire, non sono indennizzabili.
Da ciò risulta che, secondo i parametri utilizzati dalle corti nazionali, l’ingerenza nel loro diritto al rispetto dei beni non è stata mai indennizzabile.
45. Per quanto riguarda i ritardi dell'amministrazione, i ricorrenti rinviano alla giurisprudenza nazionale e sottolineano che la constatazione di inerzia da parte dei giudici amministrativi non permette loro di ottenere un indennizzo per l’ingerenza nel diritto al rispetto dei loro beni.
46. Alla luce di questi elementi, considerata la totale mancanza di indennizzo per il sacrificio loro imposto, i ricorrenti chiedono alla Corte di concludere per la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

2. Argomenti del Governo

47. Il Governo osserva innanzitutto che il terreno è sottoposto a vincoli paesaggistici e che è incluso in una zona speciale di tutela ambientale così, il 70% del terreno non è edificabile in ragione di un vincolo forestale, e questa situazione non è oggetto di controversia.
48. Per quanto riguarda le misure urbanistiche, il Governo sostiene che la situazione denunciata dai ricorrenti è compatibile con l'articolo 1 del Protocollo n. 1. A tale riguardo, fa osservare che la situazione controversa non costituisce una privazione della proprietà e non può essere assimilata a quest'ultima. Inoltre, le limitazioni riguardanti il terreno in questione sono previste dalla legge e rispondono all'interesse pubblico, in quanto si tratta di creare dei parchi pubblici nell'ambito del piano di sviluppo territoriale.
49. Il Governo osserva che, conformemente alla giurisprudenza nazionale, non è dovuto alcun indennizzo per il periodo che va fino al 1980, perché si tratta del periodo di franchigia.
Nel periodo successivo alla scadenza dell'autorizzazione all'esproprio, il terreno non è stato sottoposto a un vincolo di inedificabilità assoluta, vista la possibilità di costruire per un volume di 0,03 metri cubi per metro quadrato. Non si possono quindi trattare allo stesso modo i vincoli che derivano da un'autorizzazione all'esproprio e i vincoli che riguardano le «zone bianche», ed è questa la ragione per la quale non sarebbe stato accordato alcun indennizzo a questo titolo. Su questo punto il Governo invita la Corte a seguire l'opinione dissenziente del giudice Conforti nella sentenza Terazzi S.r.l. c. Italia (n. 27265/95, 17 ottobre 2002).
La decisione del commissario ad acta del 2011 avrebbe dato ai ricorrenti la possibilità di essere indennizzati per la reiterazione dell'autorizzazione all'esproprio, ma gli interessati hanno contestato la decisione in questione. Essi hanno così tenuto un comportamento ambivalente e hanno reso vana la possibilità di ottenere un indennizzo.
50. Il Governo rimprovera poi ai ricorrenti di essere stati inattivi fino al 2007 e ritiene che gli interessati non abbiano motivo per lamentare l'incertezza sulla sorte del loro bene, visto che hanno adito i giudici amministrativi soltanto allora.
51. Inoltre, il Governo osserva che i ricorrenti appartengono a una grande famiglia italiana proprietaria di molti terreni. Per quanto riguarda il terreno oggetto del ricorso, gli interessati rimangono liberi di lasciarlo in legato, darlo, ipotecarlo o venderlo.
52. Tenuto conto di queste considerazioni, il Governo afferma che nel caso di specie non vi è stata rottura del giusto equilibrio.

3. Valutazione della Corte

53. La Corte nota che il ricorso verte sulle misure in materia urbanistica che riguardano il terreno dei ricorrenti. Le parti sono concordi nell’affermare che, in ragione di queste misure, vi è stata ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni.
54. Resta da esaminare se tale ingerenza abbia violato o meno l'articolo 1 del Protocollo n. 1. A tale proposito, la Corte rileva che gli effetti denunciati dai ricorrenti conseguono tutti alla diminuzione della disponibilità del bene in causa. Essi derivano dalle limitazioni apportate al diritto di proprietà e dalle conseguenze di queste ultime sul valore dell'immobile. Pertanto, benché abbia perduto parte della sua sostanza, il diritto in causa non è completamente scomparso. Gli effetti delle misure in questione non sono tali da poterle assimilare ad una privazione della proprietà. La Corte nota a tale riguardo che i ricorrenti non hanno perduto l'accesso al terreno né il dominio su quest'ultimo e che in linea di principio hanno mantenuto dunque la possibilità di vendere il terreno, anche se con maggiore difficoltà.
Pertanto essa ritiene che non vi sia stata espropriazione di fatto e che la seconda frase del primo comma non sia applicabile al caso di specie (Scordino c. Italia (n. 2), sopra citata, § 70; Elia S.r.l. c. Italia, n. 37710/97, § 56, CEDU 2001 IX ; Matos e Silva, Lda., e altri c. Portogallo, 16 settembre 1996, § 89, Recueil des arrêts et décisions 1996 IV).
55. Secondo la Corte le misure contestate non rientrano nel campo della regolamentazione dell'uso dei beni, ai sensi del secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1. In effetti, se è vero che si tratta di divieti di costruire che disciplinano l'uso dei beni (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A n. 52), rimane comunque il fatto che le stesse misure si prefiggevano alla fine l'espropriazione del terreno.
56. Pertanto, la Corte ritiene che la situazione denunciata dai ricorrenti rientri nella prima frase dell'articolo 1 del Protocollo n.1 (Maioli, sopra citata, § 54; Sporrong e Lönnroth, sopra citata, § 65; Elia Srl, sopra citata, § 57; Scordino (n. 2), sopra citata, § 73).
57. La Corte giudica naturale che, in un campo così complesso e difficile quale la pianificazione del territorio, gli Stati contraenti godano di un ampio margine di apprezzamento per condurre la loro politica urbanistica. Ritiene certo che l'ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni rispondesse alle esigenze dell'interesse generale. Non può però sottrarsi al suo dovere di controllo. La Corte deve dunque esaminare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo (Sporrong e Lönnroth, sopra citata, § 69; e Phocas c. Francia, 23 aprile 1996, § 53, Recueil 1996-II, p. 542).
58. A tale proposito, la Corte constata che il terreno dei ricorrenti è stato sottoposto a divieto di costruire in vista della sua espropriazione in virtù del piano regolatore generale entrato in vigore nel 1975. Nel 1980, essendo scaduta l'autorizzazione all'esproprio, il terreno era stato sottoposto al regime delle «zone bianche» e alle limitazioni del diritto di edificare previsto dalla legge n. 10 del 1977. Nel giugno 2011 il commissario ad acta ha preso la decisione di reiterare l'autorizzazione all'esproprio ma questa decisione non è entrata in vigore, di modo che il terreno ricade sotto «le misure di salvaguardia» (paragrafo 23 supra) della suddetta decisione nell'attesa che questa venga eventualmente approvata.
59. Indipendentemente dal fatto che le limitazioni riguardanti il terreno derivano da un atto amministrativo o dall'applicazione della legge, risulta che il terreno in causaèe stato sottoposto a divieto di costruire in maniera continuata (Terazzi S.r.l., sopra citata, § 83; Elia S.r.l., sopra citata, § 76; Rossitto c. Italia, n. 7977/03, § 38, 26 maggio 2009). L'ingerenza contestata che ne deriva dura da più di quarant'anni, se si prende come punto di partenza la data di entrata in vigore del piano regolatore generale del 1975, e da quasi quarantaquattro anni se si parte dalla decisione comunale che prevedeva la sua adozione (paragrafo 8 supra).
60. La Corte ritiene che, durante tutto il periodo interessato, i ricorrenti siano rimasti in una totale incertezza per quanto riguarda la sorte della loro proprietà: l'amministrazione non ha espropriato durante il periodo di validità dell'autorizzazione all'esproprio. Una volta scaduta quest'ultima nel 1980, il terreno poteva essere oggetto di una nuova autorizzazione all'esproprio in qualsiasi momento.
Il diritto interno permette agli interessati di denunciare l'inerzia dell'amministrazione quando, come nel caso di specie, trascorrono anni senza che venga presa una decisione in merito alla sorte di un terreno. Questa possibilità non sembra aver posto rimedio all'incertezza che ha riguardato il terreno degli interessati, e la Corte rammenta peraltro che la Corte costituzionale (paragrafo 27 supra) aveva affermato che « il ricorso che permette di contestare l’inerzia dell’amministrazione dinanzi al tribunale amministrativo è defatigante e non conclusivo con conseguente scarsa efficacia.»
61. In seguito, la Corte ritiene che l'esistenza di divieti di costruire per tutto il periodo interessato abbia ostacolato il pieno godimento del diritto di proprietà dei ricorrenti e abbia accentuato le ripercussioni dannose sulla situazione di quest'ultimi indebolendo considerevolmente, tra l'altro, le possibilità di vendere il terreno
62. Inoltre, la Corte constata che i ricorrenti non hanno ricevuto indennizzi. A tale proposito, essa ritiene utile rammentare che ai sensi della giurisprudenza delle corti nazionali (paragrafi 31, 32 supra), soltanto il periodo successivo al rinnovo dell'autorizzazione all'esproprio, una volta entrata in vigore, è linea di principio indennizzabile ai sensi dell'articolo 39 del Testo unico.
Ne consegue che l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne unita all'esame sul merito deve essere rigettata perché, contrariamente alla situazione fattuale della causa Tiralongo e Carbe dove l'autorizzazione all'esproprio era stata effettivamente rinnovata più volte, nel caso di specie non sussiste nessuna possibilità di indennizzo, in particolare per le seguenti ragioni:

  1. il periodo che va dal 1975 al 1980, durante il quale l'autorizzazione all'esproprio prevista dal piano regolatore generale è stata in vigore, è considerato come un periodo di franchigia non indennizzabile;
  2. il periodo precedente l'entrata in vigore del suddetto piano regolatore, che va dal 1971 al 1975, interessato dalle misure conservative, non è neanch’esso indennizzabile;
  3. il periodo che va dal 1980 al 2011, durante il quale il terreno era stato sottoposto al regime delle «zone bianche», non è neanch’esso indennizzabile;
  4. il periodo a partire da giugno 2011 non è indennizzabile perché l'autorizzazione all'esproprio decisa dal commissario ad acta non è entrata in vigore.

63. Le circostanze della causa, in particolare l'incertezza e l'inesistenza di ricorsi interni effettivi che possano rimediare alla situazione denunciata, combinate con l'ostacolo al pieno godimento del diritto di proprietà e alla mancanza di indennizzo, inducono la Corte a considerare che i ricorrenti hanno dovuto sostenere un onere speciale ed eccessivo rompendo il giusto equilibrio che deve essere mantenuto tra, da una parte, le esigenze dell'interesse generale e, dall'altra parte, la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni.
64. In conclusione vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

65.Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno materiale

66. I ricorrenti sostengono di aver subito un danno materiale derivante dalla indisponibilità del terreno a decorrere dal 12 luglio 1971. Secondo loro, questo danno ammontava, nel 2012, a 2.784.600 euro (EUR), più indicizzazione e interessi. Questa somma equivarrebbe al 20% del valore che la parte edificabile del terreno avrebbe se fosse stata edificata.
In via sussidiaria i ricorrenti chiedono alla Corte di riconoscere una somma corrispondente all'interesse legale che si applica al valore che il terreno aveva nel 1971. Il valore della parte edificabile del terreno corrispondente al 40% della superficie complessiva, era di 173.000 EUR nel 1971.
67. I ricorrenti si sono rivolti a un perito il quale ha depositato la sua relazione nel novembre 2012. Il perito non ha potuto utilizzare il metodo comparativo, che si baserebbe sul raffronto del terreno con altri terreni simili vicini che sono stati venduti. Tenendo conto della situazione del terreno nel 2012, il perito ha considerato che 4 ettari su 10 erano edificabili.
68. Il Governo si oppone al riconoscimento di qualsiasi indennizzo e contesta, peraltro, il criterio del 20% utilizzato dai ricorrenti per quantificare il danno materiale. Inoltre, osserva che il 70% del terreno è inedificabile in ragione di un vincolo forestale che sarebbe preesistente all'entrata in vigore del piano territoriale regionale del 2007. L'affermazione dei ricorrenti secondo la quale sono edificabili 40.000 metri quadrati di terreno sarebbe priva di fondamento. Infine, non spetta ai ricorrenti dire se il loro terreno fosse edificabile.
69. La Corte rammenta che una sentenza che costata una violazione comporta per lo Stato convenuto l'obbligo giuridico di porvi fine e di cancellarne le conseguenze in maniera da ripristinare per quanto possibile la situazione precedente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).
Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, spetta allo Stato convenuto realizzarla, in quanto la Corte non ha la competenza né la possibilità pratica di compierla. Se, al contrario, il diritto nazionale non consente o consente solo imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l'articolo 41 abilita la Corte ad accordare, eventualmente, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra adeguata (Brumarescu c. Roumanie (equa soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDU 2000-I).
70. La Corte ha dichiarato che l'ingerenza in causa rispondeva alle esigenze dell'interesse generale (paragrafo 69 supra). Per quanto riguarda l'indennizzo da fissare nel caso di specie, questo non dovrà riflettere l'idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell'ingerenza in causa (Papamichalopoulos e altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, §§ 36 e 39, serie A n. 330 B, p. 59; Ex-re di Grecia e altri c. Grecia [GC] (equa soddisfazione), n. 25701/94, § 78, 28 novembre 2002), in assenza di una constatazione di illegalità.
71. La Corte ritiene poi che le circostanze della causa non consentano di valutare precisamente il danno materiale. Il tipo di pregiudizio di cui si tratta presenta un carattere intrinsecamente aleatorio, fatto che rende impossibile un calcolo preciso delle somme necessarie per la sua riparazione (Lallement c. Francia (equa soddisfazione), n. 46044/99, § 16, 12 giugno 2003; Sporrong e Lönnroth c. Svezia (articolo 50), 18 dicembre 1984, § 32, serie A n. 88).
72. Secondo la Corte, deve essere accordata una somma che tenga conto della indisponibilità del terreno a decorrere dal 1975, ossia dopo l'approvazione del piano regolatore generale che riguarda il terreno dei ricorrenti e lo rende indisponibile (Maioli, sopra citata, § 80; Scordino (n. 2), sopra citata, § 120; Elia S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 37710/97, §§ 22-23, 22 luglio 2004). Il punto di partenza del ragionamento deve essere il valore che credibilmente il terreno aveva a quest’epoca, e quindi la Corte scarta le pretese dei ricorrenti dal momento che queste sono fondate sul valore attuale o attualizzato del terreno (Scordino (n. 2), sopra citata, § 121). Una volta determinato il valore del terreno nel 1975, la Corte considera che in assenza di altri elementi, il pregiudizio che deriva dall'indisponibilità del terreno durante il periodo considerato possa essere compensato dal versamento di una somma corrispondente all'interesse legale durante tutto questo periodo applicato al controvalore del terreno così determinato (si veda Terazzi S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 27265/95, § 37, 26 ottobre 2004; Elia S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), sopra citata, § 25).
73. Per stimare il valore del terreno nel 1975, la Corte può soltanto basarsi sugli elementi in suo possesso, fra cui la relazione del perito presentata dai ricorrenti, che attestava il fatto che il 40% del terreno valeva, nel 1971, 173.000 EUR. Essa tiene conto, tra l'altro, del fatto che il perito si è concentrato sulla edificabilità di una parte del terreno; che la sua valutazione si basa sullo stato dei luoghi nel 2012; che il valore che ha stimato si basa su un calcolo teorico (paragrafo 67 supra); che anche il commissario ad acta nella sua decisione del giugno 2011 aveva indicato che una parte del terreno era edificabile (paragrafo 17 supra).
74. Tenuto conto della diversità degli elementi che devono essere considerati ai fini del calcolo del pregiudizio nonché della natura della causa, la Corte giudica opportuno fissare in via equitativa una somma globale che tenga conto dei diversi elementi sopra citati (mutatis mutandis, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 26, 28 maggio 2002). Alla luce di queste considerazioni, la Corte accorda 1.000.000 EUR.

B. Danno morale

75. I ricorrenti chiedono 20.000 EUR ciascuno per il danno morale.
76. Il Governo si oppone al riconoscimento di un indennizzo.
77. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte considera che la violazione della Convenzione ha procurato ai ricorrenti un torto morale derivante dall'incertezza della situazione in causa (Scordino (n. 2), sopra citata, § 127).
78. La Corte assegna ai ricorrenti congiuntamente la somma di 5.000 EUR.

C. Spese

79. I ricorrenti chiedono il versamento di 12.000 EUR - somma calcolata sulla base del tariffario nazionale - per le spese relative alla procedura che si è svolta dinanzi alla Corte.
80. Il Governo si oppone al riconoscimento di qualsiasi somma.
81. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel presente caso, tenuto conto del fatto che i ricorrenti non hanno prodotto fatture o note di onorari, la Corte rigetta la domanda.

D. Interessi moratori

82. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÁ,

  1. Rigetta il primo punto dell'eccezione preliminare del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne;
     
  2. Unisce all’esame sul merito il secondo punto dell'eccezione preliminare del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e lo rigetta;
     
  3. Dichiara il ricorso ricevibile;
     
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
     
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare congiuntamente ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 1.000.000 EUR (un milione di euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danni materiali;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danni morali;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
       
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 7 luglio 2015, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere

Päivi Hirvelä
Presidente