Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 luglio 2015 - Ricorso n. 9056/14 - Akinnibosun c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

CAUSA AKINNIBOSUN c. ITALIA

(Ricorso n. 9056/14)

SENTENZA

STRASBURGO

16 luglio 2015

 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Akinnibosun c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita in una camera composta da:

Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Krzysztof Wojtyczek,
Faris Vehabović, giudici,
e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 23 giugno 2015,
Emette la seguente decisione, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 9056/14) proposto contro la Repubblica italiana con cui un cittadino nigeriano, il sig. Eyitope Akinnibosun («il ricorrente»), ha adito la Corte il 30 dicembre 2013 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. L. Garrisi del foro di Lecce. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora e dal suo co-agente, Gianluca Mauro Pellegrini.

3. Il 20 febbraio 2014 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

5. Di nazionalità nigeriana, il ricorrente partì dalla Libia, dove viveva con la moglie e i due figli, a bordo di una imbarcazione sulla quale portò sua figlia A., nata nel 2006. Arrivò in Italia nel settembre 2008.

6. Una volta arrivato in territorio italiano, presentò una domanda di protezione internazionale. In data non precisata, la Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato gli rilasciò un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

7. Il ricorrente e sua figlia furono accolti dal comune di Trepuzzi. Inseriti in un progetto per la protezione dei rifugiati, essi beneficiarono di un aiuto materiale, psicologico e di assistenza giuridica.

8. Durante lo stesso periodo i servizi sociali iniziarono a osservare da vicino il rapporto tra il ricorrente e la minore. I primi rapporti depositati riferivano una relazione difficile tra i due.

9. Nell’aprile 2009 i servizi sociali depositarono un rapporto sulla situazione di A. Tale rapporto descriveva una bambina in preda allo sconforto e riportava una relazione difficile tra il ricorrente e la figlia. Secondo la psichiatra che aveva incontrato la bambina nel 2008, quest’ultima soffriva di uno stress post-traumatico, si sentiva abbandonata e aveva bisogno di essere aiutata. Quanto al ricorrente, i servizi sociali osservarono che egli aveva una difficoltà a relazionarsi con la minore.

10. Il 2 aprile 2009, sospettato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di clandestini, il ricorrente fu arrestato e posto in stato di custodia cautelare.

11. Nel frattempo, il 18 aprile 2009 il tribunale per i minorenni di Lecce (di seguito «il tribunale») dispose l’affidamento della figlia del ricorrente a una comunità a Ostuni.

12. Il 6 giugno 2009 i servizi sociali depositarono un altro rapporto, che indicava che la minore si svegliava la notte gridando e sottolineava che la stessa necessitava della presenza di un adulto per essere rassicurata.

13. Con un decreto emesso in data 21 gennaio 2010 il tribunale sospese la potestà genitoriale del ricorrente, nominò un tutore e dispose l’affidamento famigliare della minore.

14. Con una sentenza resa il 7 luglio 2011 il ricorrente fu assolto e rimesso in libertà.

15. Una volta scarcerato, il ricorrente chiese di poter incontrare la figlia.

A. La procedura relativa al diritto di visita

16. Il 23 febbraio 2012 fu effettuato un test del DNA per verificare il legame tra il ricorrente e la minore. I risultati del test dimostravano che vi era in apparenza un legame genetico tra i due.

17. Il 17 maggio 2012 A. fu sentita dal tribunale per i minorenni. La stessa riconobbe il ricorrente in una foto, indicandolo come «il papà che aveva prima e che parlava in inglese»; la minore non si oppose a un eventuale incontro.

18. Con un decreto emesso il 19 luglio 2012 il tribunale autorizzò gli incontri tra il ricorrente e la figlia: un primo incontro si sarebbe dovuto svolgere in presenza dei servizi sociali.

19. Il 30 luglio 2012 ebbe luogo il primo incontro tra A. e il ricorrente, in presenza dei servizi sociali.

20. Il 17 agosto 2012 i servizi sociali depositarono un rapporto sullo svolgimento dell’incontro. Tale rapporto forniva, tra le altre, le informazioni seguenti:

  • Lo psicologo aveva trovato la minore molto tesa. Vedendo il ricorrente, la stessa era all’inizio uscita dalla stanza; in seguito, aveva accettato la presenza del ricorrente. Lo psicologo aveva poi incontrato la minore e la famiglia affidataria e aveva constatato che la bambina non voleva più incontrare il padre biologico. La stessa si ricordava della traversata in mare e del fatto che il padre non si era preso cura di lei.

21. Il 16 gennaio 2013 il ricorrente chiese al tribunale di poter nuovamente incontrare la figlia.

22. In un rapporto depositato il 18 febbraio 2013 i servizi sociali indicarono che la famiglia affidataria li aveva informati che:

  • a seguito dell’incontro con il ricorrente la minore si era agitata e aveva avuto degli episodi di enuresi notturna;
  • la bambina affermava di non voler incontrare il ricorrente.

I servizi sociali informarono inoltre il tribunale:

  • che da luglio 2012 non avevano più notizie del ricorrente;
  • che solo nel gennaio 2013, per il tramite del suo avvocato, egli aveva chiesto un altro incontro con la minore.

23. Con un decreto depositato il 26 aprile 2013 il tribunale respinse la domanda del ricorrente e revocò il decreto precedente per quanto riguarda l’organizzazione degli incontri.
Nei suoi motivi, il tribunale osservò che, dalle informazioni ricevute dai servizi sociali, dopo che si era svolto l’incontro la minore era molto agitata e stressata all’idea di rivedere il padre. Per giustificare la propria decisione, il tribunale considerò:

  • che il ricorrente si trovava nell’impossibilità di occuparsi della figlia;
  • che il fatto che non avesse progetti per il futuro rendeva gli incontri pregiudizievoli per la minore;
  • che non era del resto possibile prevedere che il ricorrente recuperasse le sue competenze genitoriali.

24. Il 22 maggio 2013 il ricorrente interpose appello avverso tale decisione, chiedendo parallelamente che ne fosse sospesa l’esecuzione. Egli sosteneva:

  • che la sospensione del suo diritto di visita avrebbe delle conseguenze irreparabili, in quanto l’interruzione di ogni contatto comporterebbe la rottura del legame tra lui e la figlia;
  • che non vi era alcuna situazione di abbandono della minore da parte sua, ma soltanto una situazione di sconforto, dovuta alla povertà che gli impediva di esercitare il suo ruolo di genitore.

25. Con una decisione resa il 2 agosto 2013 la corte d’appello di Lecce rigettò anzitutto la richiesta di sospensione dell’esecuzione del decreto del tribunale.

26. Nei suoi motivi, la corte d’appello osservò che la decisione di sospendere gli incontri era motivata dal rapporto dei servizi sociali che avevano assistito all’incontro, rapporto da cui risultava secondo la stessa corte:

  • che i servizi sociali avevano constatato una situazione di tensione della minore nei confronti del padre e uno stress manifestato dalla stessa a seguito dell’incontro;
  • che la minore si era rifiutata di parlare del suo padre biologico;
  • che i responsabili dell’associazione presso la quale il ricorrente e la minore erano stati collocati prima del suo arresto avevano riferito dei presunti episodi di maltrattamento.

27. Sempre a sostegno del rigetto della domanda di sospensione del decreto, la corte d’appello rilevò e considerò, inoltre:

  • che durante la sua audizione, il 21 novembre 2011, in cui aveva affermato che sua figlia doveva vivere con lui in quanto egli era il padre e che la famiglia affidataria non era la sua vera famiglia, il ricorrente aveva sottolineato di non essere disposto a prendere in considerazione altre soluzioni con riguardo all’affidamento della figlia;
  • che tale atteggiamento dimostrava che egli si interessava piuttosto alla soddisfazione dei suoi bisogni che di quelli della figlia;
  • che A. era ben inserita nella famiglia affidataria.

28. Con un’altra decisione emessa l’11 ottobre 2013 la corte d’appello si pronunciò sul merito della causa. Nei suoi motivi, essa ribadì in parte le sue precedenti considerazioni, sottolineando anche:

  • che il ricorrente si era dimostrato non collaborativo con i servizi sociali;
  • che a seguito dell’incontro con il padre, A. aveva manifestato una regressione nel suo comportamento.

29. La corte considerò inoltre:

  • che il ricorrente non aveva la possibilità di garantire alla figlia una vita stabile, sia dal punto di vista affettivo che per mancanza di risorse economiche;
  • che egli non aveva alcun progetto per il futuro;
  • che il suo comportamento non mirava a garantire alla figlia delle condizioni di vita adeguate.

30. All’argomento del ricorrente secondo il quale non vi era stata un’inchiesta prima della decisione di sospendere gli incontri, la corte rispose:

  • che in seguito all’incontro i servizi sociali avevano depositato un rapporto;
  • che il ricorrente era stato sentito dal tribunale.

31. Quanto alla possibilità di fare rientrare la figlia in Nigeria, la corte la escluse, considerando che A. non aveva praticamente alcun ricordo della madre e della sorella.

In conclusione, secondo la corte d’appello la decisione di sospendere gli incontri era l’unica decisione da prendere nell’interesse della minore. Di conseguenza, essa confermò la decisione del tribunale per i minorenni e sospese il diritto di visita del ricorrente.

32. Nel settembre 2013 e nel gennaio 2014 il ricorrente inviò due lettere alla minore.

Nella prima lettera il ricorrente, dopo avere detto alla figlia che l’amava, le chiedeva di fare la brava a scuola, di studiare le lingue e i costumi degli altri paesi, le diceva che stava cercando lavoro, che pensava sempre a lei, di non dimenticare che aveva una famiglia altrove.

Nella seconda lettera le diceva che aveva voglia di rivederla e di baciarla, ma temeva di farle paura. Le chiedeva di comportarsi bene con la famiglia affidataria e di fare la brava a scuola, e le diceva che cercava lavoro ma che, essendo straniero, la situazione era difficile per lui.

B.  La procedura relativa all’adozione della minore

33. Con una decisione del 23 gennaio 2014 il tribunale per i minorenni di Lecce pronunciò lo stato di adottabilità della minore.

Nei suoi motivi, dopo avere verificato che era accertato che il ricorrente era il padre biologico della minore e che la madre non era conosciuta, il tribunale rammentò e considerò anzitutto:

  • che durante la detenzione il ricorrente si era opposto a che la figlia fosse dichiarata adottabile e aveva chiesto che fosse rimandata dalla nonna in Nigeria;
  • che, una volta liberato, aveva chiesto di poterla incontrare;
  • che in questo modo aveva dimostrato che la considerava come una proprietà, senza prendere in considerazione l’interesse della minore.

34. Il tribunale considerò inoltre:

  • che decidendo di portare la figlia con lui in Italia, il ricorrente aveva fatto una scelta non priva di conseguenze per lei;
  • che, secondo i servizi sociali, la relazione tra il ricorrente e la figlia era già difficile al loro arrivo in Italia nel 2009;
  • che il ricorrente non era in grado di occuparsi della figlia e di comprendere i suoi bisogni.

Il tribunale osservò anche che, nelle due lettere che il ricorrente aveva inviato alla figlia, quest’ultimo non faceva menzione del fatto che intendeva ottenerne nuovamente l’affidamento.

35. In conclusione, il tribunale considerò che il ricorrente non era in grado di occuparsi di A. e che quest’ultima si trovava in stato di abbandono, e dichiarò pertanto lo stato di adottabilità della stessa.

36. Il ricorrente interpose appello avverso la suddetta sentenza. Egli chiese al giudice di grado superiore:

  • di revocare la dichiarazione di adottabilità;
  • di confermare l’affidamento temporaneo della minore alla famiglia affidataria, per il tempo necessario a ristabilire un equilibrio tra lui e la figlia;
  • di ordinare ai servizi sociali di elaborare un programma di sostegno affinché egli potesse riallacciare dei legami con la figlia.

Il ricorrente invocava la Convenzione, affermando di avere subito una ingerenza illegittima nella sua vita famigliare e di non essere stato aiutato dalle strutture pubbliche.

Inoltre, egli contestava la situazione di abbandono della minore.

37. Infine, sosteneva di avere ricevuto dalla corte d’appello di Catania, a titolo di indennizzo per l’«ingiusta detenzione», la somma di 193.608,322 EUR, e di avere trovato un lavoro.

38. Con una sentenza resa il 14 novembre 2014, la corte d’appello rigettò il ricorso del ricorrente e confermò l’adottabilità della minore.

Nei suoi motivi, la corte giudicò che il tribunale aveva motivato la sua decisione in maniera logica e corretta su tutti i punti controversi, affermando in particolare:

  • che, ben prima dell’arresto del ricorrente, vi erano stati problemi tra lui e la figlia, come avevano sottolineato i servizi sociali;
  • che il ricorrente non dimostrava un attaccamento particolare verso la figlia, e che entrambi avevano difficoltà a relazionarsi tra loro;
  • che il ricorrente aveva mostrato un profilo autoritario (letteralmente: da «padre padrone» in quanto aveva dichiarato con insistenza varie volte che i figli appartengono ai genitori, dando prova di un atteggiamento non collaborativo da parte sua rispetto ai servizi sociali.

39. La corte rimproverò altresì al ricorrente di non avere fornito informazioni precise sulla data di nascita della minore e sull’identità della madre.

Per la corte, conveniva inoltre scartare l’argomento secondo il quale la decisione impugnata creava una interruzione del legame tra la minore e la famiglia di origine: a suo parere, il legame che li univa era fragile, nocivo e doloroso per la bambina, come avevano sottolineato i servizi sociali nei loro rapporti depositati nel 2009.

40. Facendo riferimento all’unico incontro che si era svolto tra il ricorrente ed A. e ai rapporti depositati dai servizi sociali, che riferivano una situazione psicologica difficile per la minore a seguito dello stesso incontro, la corte considerò:

  • che la dichiarazione di adottabilità non aveva rotto alcun legame famigliare, poiché la minore, interrogata dai servizi sociali, si era rifiutata di fare riferimento al padre biologico e alla sua esperienza passata;
  • che la minore si trovava dunque in stato di abbandono, in quanto il padre non poteva garantire le cure necessarie.

41. Per quanto riguarda l’articolo 14 della Convenzione, invocato dal ricorrente, la corte considerò:

  • che non era possibile per i servizi sociali attuare un progetto di riavvicinamento come da lui richiesto, sia a causa della sua indisponibilità che dell’esperienza passata della minore;
  • che, benché il ricorrente avesse un lavoro stabile e un alloggio, continuava a mancare il legame famigliare, tenuto conto del fatto che lo stato psichico della minore era peggiorato ogni volta che le si parlava del padre biologico, così come in occasione dell’unico incontro che vi era stato tra loro.

42. Questa sentenza della corte d’appello è divenuta definitiva, in quanto il ricorrente non ha presentato ricorso per cassazione.

43. In una data non precisata, la bambina è stata adottata.

C. La domanda di riparazione del danno per ingiusta detenzione

44. Il 7 aprile 2014 la corte d’appello di Catania ha accordato al ricorrente la somma di 193.608 EUR per la detenzione ingiustamente sofferta tra il 2 aprile 2009 e il 7 luglio 2011.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

45. La legge n. 184 del 4 maggio 1983 aveva già apportato ampi cambiamenti in materia di adozione. Con le modifiche supplementari introdotte dalla legge n. 149 del 2001, le sue disposizioni sono le seguenti.

Articolo 1

«Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.»

Articolo 2

«Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo famigliare, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove non sia possibile l'affidamento famigliare, è consentito l'inserimento del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.»

Articolo 5

«L'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione (...) tenendo conto delle indicazioni del tutore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autorità affidante. In ogni caso l'affidatario esercita i poteri connessi con la responsabilità genitoriale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L'affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di affidamento e di adottabilità.»

Articolo 7

«L'adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità.»

Articolo 8

«Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni (…), i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.»
La «situazione di abbandono» sussiste, precisa l’articolo 8, anche se i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati ovvero siano in affidamento famigliare.
Infine, sempre ai sensi dell’articolo 8, non sussiste causa di forza maggiore quando i genitori o altri parenti del minore tenuti a provvedervi rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali e tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice.
Chiunque ha la facoltà di segnalare all’autorità pubblica la situazione di abbandono, che può altrimenti essere rilevata d’ufficio dal giudice. Per i funzionari pubblici o i parenti che ne vengano a conoscenza, la denuncia dello stato di abbandono di un minore è addirittura un obbligo. Inoltre, gli istituti di assistenza devono informare regolarmente l’autorità giudiziaria della situazione dei minori collocati presso di loro (articolo 9).

Articolo 10

«Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della responsabilità genitoriale sul minore, la sospensione dell'esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio.»

Gli articoli da 11 a 14 prevedono una inchiesta volta a chiarire la situazione del minore allo scopo di stabilire se quest’ultimo si trovi in stato di abbandono. In particolare, l’articolo 11 dispone che, quando dalle indagini non risultano esistenti parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore, il tribunale per i minorenni provvede a dichiarare lo stato di adottabilità, salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44.

A conclusione della procedura prevista da questi ultimi articoli, se lo stato di abbandono ai sensi dell’articolo 8 persiste, il tribunale per i minorenni provvede alla dichiarazione dello stato di adottabilità nei casi seguenti: a) i genitori ed i parenti convocati non si sono presentati senza giustificato motivo; b) l'audizione degli stessi ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori.

Articolo 15

«La dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con sentenza, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto di assistenza pubblico o privato o della comunità di tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona cui egli è affidato. Devono essere, parimenti, sentiti il tutore, ove esista, ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento.»

Articolo 17

«Avverso la sentenza [con cui viene dichiarata l’adottabilità] il pubblico ministero e le altre parti possono proporre impugnazione avanti la Corte d'appello, sezione per minorenni, entro trenta giorni dalla notificazione alla parte ricorrente.

Avverso la sentenza della Corte d'appello [con cui viene dichiarata l’adottabilità] è ammesso ricorso per Cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per i motivi di cui ai numeri 3, 4 e 5 del primo comma dell'articolo 360 del codice di procedura civile.»

Articolo 19

«Durante lo stato di adottabilità è sospeso l'esercizio della responsabilità genitoriale.»

L’articolo 20 prevede infine che lo stato di adottabilità cessa per adozione o per il raggiungimento della maggiore età da parte dell’adottando. Inoltre, la dichiarazione di adottabilità può essere revocata, d’ufficio o su istanza dei genitori o del pubblico ministero, se le condizioni di cui all’articolo 8 siano nel frattempo venute meno. Tuttavia, se nei confronti del minore è stato disposto l’affidamento preadottivo ai sensi degli articoli 22 - 24, la dichiarazione di adottabilità non può essere revocata.

L’articolo 22, comma 8 prevede che il tribunale per i minorenni vigila sul buon andamento dell'affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e dei periti. In caso di difficoltà il tribunale convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all'origine delle difficoltà. Ove necessario, dispone interventi di sostegno psicologico e sociale.
L’articolo 25 prevede che il tribunale per i minorenni può pronunciarsi sull’adozione solo quando sia decorso il termine minimo di un anno dalla dichiarazione di adottabilità; la decisione sull’adozione viene presa in camera di consiglio.

Avverso la sentenza della Corte d'appello che dispone l’adozione è ammesso ricorso per Cassazione, che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica della stessa, solo per i motivi di cui al primo comma, numero 3, dell'articolo 360 d) del codice di procedura civile.

Articolo 44

Dell’adozione in alcuni casi particolari.
«1. I minori possono essere adottati anche quando non  ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 (minori non ancora dichiarati adottabili):

  1. da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
  2. dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;
  3. quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
  4. quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

2. L'adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli.
3.  Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.
4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.»

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

46. Il ricorrente lamenta il mancato rispetto della sua vita famigliare, contestando alle autorità, che hanno inizialmente vietato qualsiasi contatto con la figlia, e successivamente avviato la procedura finalizzata all’adozione della stessa, di non aver adottato le misure appropriate allo scopo di mantenere un qualsiasi legame con lei. Egli afferma che le autorità si sono limitate a prendere atto delle sue difficoltà economiche e sociali, senza aiutarlo a superarle per mezzo di un’assistenza sociale mirata. Egli invoca gli articoli 8 e 14 della Convenzione.

47. Libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa, la Corte ritiene appropriato esaminare le doglianze del ricorrente unicamente dal punto di vista dell’articolo 8, che esige che il processo decisionale che porta all’adozione di misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi tutelati da tale disposizione (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 27, 27 aprile 2010; Havelka e altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006; Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 28, 21 gennaio 2014).

L’articolo 8 della Convenzione prevede:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

48. Il Governo contesta la tesi del ricorrente.

A. Sulla ricevibilità

49. La Corte, constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre peraltro in altri motivi di irricevibilità, pertanto lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

50. Il ricorrente riferisce che, dal suo arrivo in Italia, si è trovato, suo malgrado, arrestato e implicato in un processo penale che si è successivamente concluso con la sua assoluzione; è questo processo che lo ha portato a passare un lungo periodo lontano da sua figlia.

Fa notare, tuttavia, che ha inviato alla figlia varie lettere, e vede in ciò la prova che il legame affettivo non era rotto.

51. Il ricorrente spiega:

  • che se lo svolgimento dell’unico incontro autorizzato con A. era certamente stato difficile, l’atteggiamento della minore nei suoi confronti alla fine dell’incontro era divenuto positivo;
  • che, al momento dell’incontro, non vedeva la figlia da circa quattro anni;
  • che i giudici nazionali non hanno mai agito in favore di un riavvicinamento padre-figlia per mezzo di un sostegno psicologico o di una mediazione famigliare;
  • che, al contrario, hanno preferito tagliare il loro legame, facendo inizialmente riferimento alla sua situazione economica e poi a considerazioni relative alla sua personalità.

Così facendo, conclude, le autorità lo hanno prima detenuto ingiustamente e poi gli hanno impedito di costruire un legame con la figlia.

52. Il ricorrente ritiene deplorevole che non sia stata esplicata alcuna azione volta ad aiutarlo a esercitare il suo ruolo di genitore. Del resto, sottolinea, le sue competenze genitoriali non sono mai state valutate da un perito.
Egli ritiene peraltro che i fatti costituiscano una discriminazione basata sulla sua situazione economica e il suo status di straniero.

53. Il Governo, da parte sua, spiega che dall’arrivo del ricorrente e della figlia in Italia le autorità hanno adottato ogni misura necessaria per tutelare la minore.
Perciò entrambi sono stati accolti dal comune di Trepuzzi e inseriti in un progetto per la protezione dei rifugiati. Solo nell’aprile 2009, quando il ricorrente è stato arrestato, la minore è stata posta in un istituto prima che fosse disposto, nel gennaio 2010, il suo affidamento famigliare. La bambina ha potuto vedere il ricorrente una sola volta, nel luglio 2012.

54. Durante il periodo precedente l’arresto del ricorrente, la relazione tra quest’ultimo e la minore è stata tenuta sotto controllo dai responsabili del progetto: secondo questi ultimi, non vi era un legame forte tra la minore e il ricorrente.
Per il Governo, tutti gli sforzi compiuti dai servizi sociali erano vani, in quanto il ricorrente non era collaborativo. Secondo lui, ciò che interessava il ricorrente era soprattutto ottenere un permesso di soggiorno e un aiuto materiale.

55. Il Governo spiega inoltre:

  • che una volta assolto e scarcerato, il ricorrente ha certamente chiesto di riallacciare dei legami con la figlia, ma non ha mai fornito le informazioni necessarie sul modo in cui avrebbe potuto occuparsene;
  • che il ricorrente rifiutava di tenere conto del fatto che la minore non voleva vederlo e non si ricordava di lui, e ha fornito l’immagine di un padre padrone, come hanno poi riconosciuto i giudici nazionali.

56. Il Governo sostiene altresì:

  • che il ricorrente si è trasferito in un luogo sconosciuto e che, per vari mesi, non ha dato notizie e non ha cercato di contattare i servizi sociali per avere notizie della figlia;
  • che è tenendo conto dei rapporti dei servizi sociali dal 2008, che indicavano che il ricorrente non era in grado di esercitare il suo ruolo di padre, che la corte d’appello di Lecce ha rifiutato di autorizzare nuovi contatti tra il ricorrente e la figlia;
  • che la minore viveva dal 2010 presso una famiglia affidataria nella quale si era ben integrata.

Per il Governo, il ricorrente non è vittima di una violazione dell’articolo 8, ma si trova semplicemente ad affrontare le conseguenze della propria mancanza di collaborazione con le autorità giudiziarie ai fini di un riavvicinamento tra lui e la figlia.

57. Il Governo conclude che i giudici nazionali hanno adottato le loro decisioni nell’interesse della minore.
A suo parere, il ricorrente ha erroneamente affermato che non sono state effettuate perizie tecniche sulla minore o relativamente alle capacità genitoriali del ricorrente. Da una parte, la corte d’appello ha basato la sua decisione sulle conclusioni del controllo effettuato per vari anni sulla minore e sul ricorrente. Dall’altra, i giudici nazionali hanno dovuto valutare se tutte le condizioni previste dalla legge ai fini della dichiarazione di adottabilità fossero soddisfatte.

58. Infine, il Governo obietta che è il ricorrente stesso ad avere deciso, senza scrupoli, di portare la figlia con lui in una traversata del Mediterraneo in barca, separandola in tal modo dal resto della famiglia, allo scopo di ottenere più facilmente un permesso di soggiorno in Italia. La minore, scrive, «è stata sul punto di morire in mare, a causa della decisione presa dal ricorrente» mentre «le autorità italiane si sono prese cura di lei e [le hanno dato] un futuro».

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

59. La Corte constata in via preliminare che non viene messo in discussione che la dichiarazione dello stato di adottabilità di A. costituisce una ingerenza nell’esercizio del diritto del ricorrente al rispetto della sua vita famigliare. Essa rammenta che una tale ingerenza è compatibile con l’articolo 8 solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica. La nozione di necessità implica che l’ingerenza si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito (si vedano, Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 50, CEDU 2000 IX, Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004, e Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, §74, 10 aprile 2012).

60. La Corte rammenta che, al di là della protezione contro le ingerenze arbitrarie, l’articolo 8 pone a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita famigliare. In tal modo, laddove è accertata l’esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve in linea di principio agire in modo tale da permettere a tale legame di svilupparsi (si veda Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250). Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti dall’articolo 8 non si presta a una definizione precisa, ma i principi applicabili sono comunque comparabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti, tenendo conto tuttavia che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della sua natura e gravità, può prevalere su quello del genitore (Kearns c. Francia, n. 35991/04, § 79, 10 gennaio 2008). In particolare, l’articolo 8 non può autorizzare un genitore a veder adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del figlio (si vedano Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, § 78, Recueil des arrêts et décisions 1996 III, e Gnahoré, sopra citata, § 59). In tal modo, in materia di adozione, la Corte ha già ammesso che possa essere nell’interesse del minore favorire l’instaurarsi di legami affettivi stabili con i suoi genitori affidatari (Johansen, sopra citata, § 80, e Kearns, sopra citata, § 80).

61. La Corte rammenta anche che, nel caso degli obblighi negativi come nel caso degli obblighi positivi, lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si veda W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, § 60, serie A n. 121), che varia a seconda della natura delle questioni oggetto di controversia e della gravità degli interessi in gioco. In particolare, la Corte esige che le misure che conducono alla rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia siano applicate solo in circostanze eccezionali, ossia solo nei casi in cui i genitori si siano dimostrati particolarmente indegni (Clemeno e altri c. Italia, n. 19537/03, § 60, 21 ottobre 2008), o quando siano giustificate da un’esigenza primaria che riguarda l’interesse superiore del minore (si vedano Johansen, sopra citata, § 84; P., C. e S. c. Regno Unito, n. 56547/00, § 118, CEDU 2002 VI). Tuttavia, un tale approccio può essere scartato a causa della natura della relazione genitore-figlio quando il legame è molto limitato (Söderbäck c. Svezia, 28 ottobre 1998, §§ 30-34, Recueil 1998 VII).

62. Spetta a ciascuno Stato contraente dotarsi di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per assicurare il rispetto degli obblighi positivi ad esso imposti ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, e alla Corte cercare di stabilire se, nell’applicazione e nell’interpretazione delle disposizioni di legge applicabili, le autorità nazionali abbiano rispettato le garanzie dell’articolo 8, tenendo conto in particolare dell’interesse superiore del minore (si vedano, mutatis mutandis, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 141, CEDU 2010, K.A.B. c. Spagna, n. 59819/08, § 115, 10 aprile 2012).

63. A tale riguardo, e per quanto attiene all’obbligo per lo Stato di decretare misure positive, la Corte afferma costantemente che l’articolo 8 implica il diritto per un genitore di ottenere misure idonee a riunirlo al figlio e l’obbligo per le autorità nazionali di adottarle (si vedano, ad esempio, Eriksson, sopra citata, § 71, serie A n. 156, e Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, § 91, serie A n. 226-A; P.F. c. Polonia, n. 2210/12, § 55, 16 settembre 2014). In questo tipo di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta a seconda della rapidità della sua attuazione (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 83, 6 dicembre 2007; Zhou c. Italia, sopra citata, § 48).

b) Applicazione di questi principi

64. La Corte considera che la questione decisiva nella fattispecie consista pertanto nel determinare se, prima di sopprimere il legame di filiazione, le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure necessarie e appropriate che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse affinché il minore potesse condurre una vita famigliare normale con il padre.

65. La Corte rammenta che esiste un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori il loro interesse superiore deve prevalere (Neulinger e Shuruk, sopra citata, § 135).

66. La Corte osserva che le autorità italiane hanno preso in carico il ricorrente e la figlia da quando sono arrivati in barca in Italia.
A questo proposito la Corte non può accogliere l’argomento del Governo secondo il quale il ricorrente avrebbe portato la figlia in Italia per ottenere più facilmente un permesso di soggiorno. In assenza di elementi oggettivi nel fascicolo che confermino l’idea che lo scopo del ricorrente fosse quello di usare la figlia per ottenere più facilmente un permesso di soggiorno in Italia, essa non può indagare sulle motivazioni del ricorrente e sulla sua scelta di lasciare la Libia con la figlia che aveva allora due anni.

67. Al loro arrivo in Italia, nel febbraio 2009, il ricorrente e la figlia furono inseriti in un progetto per l’accoglienza dei rifugiati. Furono accolti in un centro e i servizi sociali sorvegliarono la situazione della minore, che sembrava essere disorientata a seguito di alcune esperienze vissute in passato.

68. Il 2 aprile 2009 il ricorrente fu arrestato e la minore fu trasferita in una comunità famigliare. La stessa era traumatizzata e si svegliava di notte piangendo. Per questo motivo fu disposto il suo affidamento famigliare, per offrirle un ambiente stabile.

69. La Corte osserva che durante la sua detenzione il ricorrente ha espresso il suo interesse per la figlia e, una volta scarcerato, ha chiesto di incontrarla. Egli ha ammesso che la minore viveva in un ambiente sereno e che era necessario, da parte sua, che trovasse un lavoro.

70. L’unico incontro autorizzato con la minore, che si è tenuto il 30 luglio 2012, ha avuto uno svolgimento difficile, a causa probabilmente del fatto che il ricorrente non vedeva la figlia da tre anni e che si trattava di una bambina piccola (paragrafi 19-20 supra). In seguito il ricorrente si era trasferito e non aveva più dato notizie ai servizi sociali per tre mesi, prima di chiedere nuovamente un incontro con la figlia.
La Corte osserva che non è stata effettuata alcuna perizia psicologica volta a verificare la capacità del ricorrente di esercitare il suo ruolo di genitore e che, se è vero che vari rapporti sullo stato psicologico della minore sono stati depositati dinanzi ai giudici nazionali, la decisione di rompere il legame genitore-figlio si è basata esclusivamente sui rapporti dei servizi sociali, che avevano osservato il ricorrente al momento del suo arrivo in Italia nel 2009 e in occasione del suo unico incontro con la figlia.

71. Inoltre, se è vero che i rapporti depositati dai servizi sociali dopo l’incontro (§§ 20-23) riportavano una situazione difficile per la minore, la Corte tuttavia rileva anche detti rapporti non si basavano sempre su una osservazione diretta della situazione da parte dei periti, ma si riferivano in gran parte alle affermazioni della famiglia affidataria.

72. Il 23 gennaio 2014 il tribunale ha deciso di dichiarare la minore adottabile. Il tribunale ha deciso che il ricorrente non era in grado di occuparsi della figlia e di comprendere le sue necessità. Inoltre, esso ha notato che, nelle due lettere che aveva inviato alla figlia, il ricorrente non aveva espresso l’intenzione di ottenerne nuovamente la custodia. Il tribunale ha inoltre rimproverato al ricorrente di avere condotto la figlia in Italia con lui. Il tribunale non ha ritenuto necessario disporre una perizia per verificare se il ricorrente fosse capace di esercitare il suo ruolo genitoriale o se la sua relazione con la minore fosse contraddistinta da un deficit affettivo.

73. La corte d’appello ha confermato la sentenza del tribunale. Essa non ha preso in considerazione l’evoluzione della situazione del ricorrente, e non ha ritenuto neanch’essa necessario disporre una perizia sulle capacità genitoriali del ricorrente, ma ha comunque giudicato che quest’ultimo non fosse in grado di esercitare il suo ruolo di padre, basandosi essenzialmente sui rapporti elaborati dai servizi sociali nel 2009. La corte d’appello ha stabilito che il ricorrente aveva un atteggiamento da padre padrone osservando che, dopo essere uscito dal carcere, aveva affermato varie volte che non era pronto a prendere in considerazione altre soluzioni con riguardo all’affidamento della figlia, dichiarando che «i figli appartengono ai genitori». Secondo la corte d’appello, la dichiarazione di adottabilità di per sé non aveva rotto alcun legame famigliare, dato che la minore, in risposta alle domande dei servizi sociali, si era rifiutata di fare riferimento al padre biologico e alla sua esperienza passata. A suo parere, la minore si trovava dunque in uno stato di abbandono, in quanto il padre non poteva assicurare le cure necessarie.

74. La Corte ritiene anzitutto che le autorità nazionali non abbiano sufficientemente operato allo scopo di agevolare i contatti tra A. e il ricorrente.
Essa rammenta che, in cause così delicate e complesse, il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni sollevate e della gravità degli interessi in gioco. Se le autorità godono di un’ampia libertà per valutare la necessità di prendere in carico un minore, in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque avere acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistevano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare la minore dal padre. Spetta allo Stato convenuto accertare che le autorità abbiano valutato accuratamente l’incidenza che avrebbe avuto sui genitori e sul minore la misura di adozione, e abbiano preso in esame soluzioni diverse dalla presa in carico del minore prima di dare esecuzione a una tale misura (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 166, CEDU 2001 VII; Kutzner, sopra citata).

75. La Corte lo ribadisce fermamente: nelle cause di questo tipo, l’interesse del minore deve venire prima di qualsiasi altra considerazione. Essa rammenta anche che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto tali autorità si trovano, in linea di principio, in una posizione migliore per procedere a una tale valutazione, in particolare per il fatto di essere in contatto diretto con il contesto della causa e le parti interessate. Essa deve tuttavia controllare, dal punto di vista della Convenzione, le decisioni rese da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale.

76. La Corte osserva che, dopo la separazione dal ricorrente, la minore è stata data in affidamento a una famiglia, nella quale si è ben inserita. Tuttavia, la Corte rileva che, una volta che il ricorrente è stato scarcerato in seguito alla sua assoluzione, i giudici nazionali non hanno previsto in alcun momento misure meno radicali dell’orientamento di A. verso l’adozione allo scopo di evitare l’allontanamento definitivo ed irreversibile della minore dal padre, misura che poteva andare contro l’interesse superiore della minore.

77. Inoltre, per quanto riguarda l’assenza di legami tra il ricorrente e la figlia, motivo sul quale si è basata la corte d’appello per dichiarare lo stato di abbandono della minore, la Corte osserva che le autorità competenti erano responsabili della situazione di rottura famigliare che si è venuta a creare tra il 2 aprile 2009, data dell’arresto del ricorrente, e il 7 luglio 2011, data della sua scarcerazione.

78. La Corte rammenta anche che il fatto che un minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione non può di per sé giustificare che egli venga sottratto con la forza alle cure dei suoi genitori biologici; una tale ingerenza nel diritto dei genitori, sulla base dell’articolo 8 della Convenzione, di godere di una vita famigliare con il loro figlio deve altresì rivelarsi «necessaria» a causa di altre circostanze (K. e T. c. Finlandia [GC], sopra citata, § 173).

79. La Corte osserva che, a differenza della maggior parte delle cause che ha avuto occasione di esaminare, nella fattispecie non è stato dimostrato che la minore fosse stata esposta a una situazione di violenza o di maltrattamento (si vedano, a contrario, Dewinne c. Belgio (dec.), n. 56024/00, 10 marzo 2005; Zakharova c. Francia (dec.), n. 57306/00, 13 dicembre 2005), né ad abusi sessuali (si veda, a contrario, Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 104, 9 maggio 2003). I tribunali non hanno riscontrato in questo caso alcun deficit affettivo (si veda, a contrario, Kutzner, sopra citata, § 68), né uno stato di salute preoccupante o uno squilibrio psichico nei genitori (si vedano, a contrario, Bertrand c. Francia (dec.), n. 57376/00, 19 febbraio 2002; Couillard Maugery c. Francia, sopra citata, § 261).

80. Nella presente causa, la presa in carico della figlia del ricorrente è stata disposta in quanto quest’ultimo non era in grado di prendersi cura di lei e un ritorno presso di lui sarebbe stato nocivo per la bambina. Tuttavia, la Corte osserva che la separazione tra il padre e la minore è stata provocata dall’arresto del ricorrente; che, tre anni dopo, egli è stato assolto; e che i giudici nazionali gli hanno permesso di vedere la bambina solo una volta. È a seguito di questo unico incontro, senza aver disposto alcuna perizia relativa al ricorrente né aver tentato di mettere in atto un qualsiasi percorso di riavvicinamento tra quest’ultimo e la minore, che essi hanno dichiarato che egli non era in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale.

La Corte rileva anche che all’uscita dal carcere il ricorrente ha chiesto subito di incontrare la figlia, le ha inviato delle lettere e ha fatto quanto necessario dal punto di vista giuridico per esercitare il suo diritto di visita. Essa ritiene pertanto che non si possa considerare che il ricorrente si disinteressasse della figlia, come hanno affermato i giudici nazionali. La Corte non perde di vista il fatto che, all’uscita dal carcere, il ricorrente era senza lavoro e non aveva una fissa dimora.

81. La Corte dubita dell’adeguatezza degli elementi sui quali si sono basate le autorità per concludere che il ricorrente non era in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale ed era pericoloso per la minore. La Corte è del parere che prima di avviare una procedura di adottabilità le autorità avrebbero dovuto adottare misure concrete per permettere alla minore di riallacciare dei legami con il padre, a maggior ragione dal momento che il ricorrente aveva passato tre anni senza avere alcun contatto con la figlia, tra cui i due anni trascorsi in detenzione.

82. La Corte riafferma che il ruolo di protezione sociale svolto dalle autorità è precisamente quello di aiutare le persone in difficoltà, di guidarle nelle loro azioni e di consigliarle, tra l’altro sui diversi tipi di sussidi sociali disponibili, sulle possibilità di ottenere un alloggio sociale o altri mezzi per superare le loro difficoltà (Saviny c. Ucraina, n. 39948/06, § 57, 18 dicembre 2008; R.M.S. c. Spagna n. 28775/12, § 86, 18 giugno 2013). Nel caso di persone vulnerabili, le autorità devono dare prova di una attenzione particolare e devono assicurare loro una maggiore tutela (B. c. Romania (n. 2), n. 1285/03, §§ 86 e 114, 19 febbraio 2013; Todorova c. Italia, n. 33932/06, § 75, 13 gennaio 2009, Zhou, sopra citata, §§ 58-59).

83. Nel caso di specie, la Corte è del parere che la necessità fondamentale di preservare per quanto possibile il legame tra il ricorrente e la figlia non sia stata debitamente presa in considerazione – sapendo che l’interessato si trovava peraltro in situazione di vulnerabilità, dato che era straniero ed era appena uscito dal carcere dopo due anni di ingiusta detenzione, essendo stato assolto.
La Corte osserva che la decisione di rompere il legame famigliare non era stata preceduta da una valutazione seria e attenta della capacità del ricorrente di esercitare il suo ruolo di genitore, e in particolare da alcuna perizia psicologica, e che non è stato fatto alcun tentativo di salvaguardare il legame. Le autorità non si sono prodigate in maniera adeguata per preservare il legame famigliare tra il ricorrente e la figlia e favorirne lo sviluppo. Le autorità giudiziarie si sono limitate a prendere atto dell’esistenza di alcune difficoltà, che avrebbero invece potuto essere superate per mezzo di un’assistenza sociale mirata. Il ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di riallacciare dei legami con la figlia: in effetti, non è stato nominato alcun perito per valutare le sue competenze o il suo profilo psicologico. Inoltre, è stato autorizzato un solo incontro con la minore. Non è stato previsto alcun percorso di riavvicinamento o di terapia famigliare. Del resto, il Governo non ha fornito alcuna spiegazione convincente che potesse giustificare la soppressione del legame di filiazione paterna tra la ricorrente e il figlio.

84. Alla luce di queste considerazioni e nonostante lo Stato convenuto goda di un margine di apprezzamento in materia, la Corte conclude che le autorità italiane, prevedendo come unica soluzione la rottura del legame famigliare, non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per fare rispettare il diritto del ricorrente di vivere con la figlia, elemento del suo diritto al rispetto della sua vita famigliare, sancito dall’articolo 8. Pertanto, vi è stata violazione di tale disposizione.

85. Tenuto conto del fatto che la minore è ormai stata adottata, la Corte precisa che questa constatazione di violazione non può essere intesa nel senso che essa obbliga lo Stato a consegnare la minore all’interessato.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

86. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

87. Il ricorrente chiede la somma di 500.000 euro (EUR) in riparazione del danno che avrebbe subito a causa della violazione dell’articolo 8.

88. Il Governo considera tale somma eccessiva.

89. Tenuto conto delle circostanze della presente causa e della constatazione secondo la quale le autorità italiane non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto del ricorrente a vivere con la figlia, in violazione dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che l’interessato abbia subito un danno morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione. Essa ritiene tuttavia che la somma richiesta sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi di cui dispone e deliberando in via equitativa, come prevede l’articolo 41 della Convenzione, essa ritiene opportuno fissare la somma da accordare all’interessato in riparazione del suddetto danno morale nella misura di 32.000 EUR.

B.  Spese

90. Presentando i relativi documenti giustificativi, il ricorrente chiede anche la somma di 29.335,61 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

91. Il Governo contesta tale importo.

92. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma complessiva di 5.000 EUR per tutte le spese e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

93. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 32.000 EUR (trentaduemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Päivi Hirvelä
Presidente

Fatoş Aracı
Cancelliere aggiunto