Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 maggio 2015 - Ricorso n. 40205/02 - Mongelli e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

CAUSA MONGELLI E ALTRI C. ITALIA

(Ricorso n. 40205/02)

SENTENZA

STRASBURGO

19 maggio 2015

Questa sentenza è definitiva: Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Mongelli e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita in un comitato composto da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria, giudici,
e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 21 aprile 2015,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 40205/02) proposto contro la Repubblica italiana e con il quale 7 cittadini di tale Stato, i sigg. Giuseppe, Francesco di Paola Maria, Concetta, Gaetano Maria Innocenzo, Concetta Maria Mongelli, Giovanna Severino e Lucia Scichilone («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 28 ottobre 2002 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall'avv. A. Anfuso Alberghina, del foro di Caltagirone. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri, e dal suo co-agente P. Accardo.

3. Il 30 marzo 2009 il ricorso è stato comunicato al Governo.

4. Il 12 febbraio 2007 il sig.  Giuseppe Mongelli decedette.

5. Il 15 gennaio 2009 la sig.ra Lucia Scichilone decedette.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1916, 1951, 1942, 1959, 1958, 1920, 1925 e sono residenti a Niscemi.

A.  L'occupazione d'urgenza del terreno e le relative procedure

7. I ricorrenti erano proprietari di un terreno di circa 16.000 metri quadrati situato a Niscemi.

8. Con due decreti del 24 giugno 1973 e del 5 aprile 1977, il comune autorizzò l'occupazione d'urgenza di una parte del terreno dei ricorrenti, per un periodo massimo di cinque anni, in vista della sua espropriazione, per permettere all’Istituto autonomo case popolari («IACP») di procedere alla costruzione degli alloggi popolari.

9. I ricorrenti presentarono un ricorso al tribunale amministrativo di Catania («T.A.R.»), sostenendo che i decreti che autorizzavano l'occupazione del terreno erano nulli. Con sentenza del 19 marzo 1984, il tribunale amministrativo annullò tutti gli atti riguardanti la procedura di occupazione del terreno. L'amministrazione impugnò tale sentenza dinanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Sicilia. Con sentenza del 27 gennaio 1989, il Consiglio di giustizia rigettò il ricorso dell'amministrazione.

10. Nel frattempo, il 17 gennaio 1984 i ricorrenti avviarono dinanzi al tribunale di Caltagirone un'azione di risarcimento danni contro il Comune e lo IACP. Essi sostenevano che l'occupazione del terreno era illegittima, visto che si era protratta oltre il periodo autorizzato senza che fosse stata messa in atto una procedura di espropriazione e senza che fosse stata versata una indennità, e domandavano un risarcimento per la perdita del terreno. Inoltre, i ricorrenti sostenevano che l'occupazione del terreno in vista della sua espropriazione era illegittima in quanto, conformemente alla sentenza del TAR, gli atti della procedura di occupazione erano inefficaci.

11. Delle trenta udienze fissate tra il 5 aprile 1984 e il 6 giugno 2001, sei non si tennero per ragioni non precisate, due furono rinviate per l'assenza del perito, una perché quest'ultimo non aveva depositato il rapporto, una d'ufficio, cinque su richiesta delle parti, di cui quattro per esaminare le relazioni dei periti, due riguardarono la costituzione delle parti nella procedura, quattro il deposito di memorie e documenti, cinque la perizia, tre la presentazione delle conclusioni, una le richieste.

12. Con sentenza del 2 febbraio 2002, il tribunale dichiarò che il terreno era passato all'amministrazione per effetto dell'espropriazione indiretta e condannò l'amministrazione nonché lo IACP ad applicare ai ricorrenti una indennità calcolata secondo la legge n. 662 del 1996, entrata in vigore nel frattempo, ossia 958.450.354 ITL (494.998 EUR), più 453.514.795 ITL (234.221 EUR) per indennità di occupazione. Queste somme dovevano essere rivalutate e maggiorate di interessi calcolati a decorrere dal 1999. Inoltre, erano assoggettate all’imposta alla fonte del 20% prevista dalla legge n. 413 del 1991.

13. Il 25 febbraio 2003 l'amministrazione impugnò la sentenza del tribunale dinanzi alla corte d'appello di Catania.

14. Nel frattempo, il 25 maggio 2005 i ricorrenti presentarono un ricorso per contestare l’applicazione dell'imposta prevista dalla legge n. 413 del 1991 dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Caltanissetta. L'esito di questa procedura non è conosciuto.

15. Con sentenza depositata il 7 giugno 2010, la corte d'appello di Catania ritenne che nel caso di specie si trattasse di una espropriazione illegittima ab initio, in quanto il decreto di occupazione non era conforme alla legge. La corte d'appello sottolineò che, alla luce delle sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale che dichiaravano l'incostituzionalità dell'articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell'11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, l'espropriazione indiretta era contraria all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte, e comportavano l’obbligo per la pubblica amministrazione di versare agli interessati un risarcimento pari al valore venale del terreno espropriato sulla base della nuova perizia disposta dalla corte. Pertanto, la corte d’appello accordò ai ricorrenti un risarcimento di 459.485,81 EUR più rivalutazione e interessi.

B.  La procedura «Pinto»

16. Nel 2003, in una data non precisata, i ricorrenti adirono la corte d’appello di Messina ai sensi della legge «Pinto», chiedendo di essere risarciti per la eccessiva durata del procedimento dinanzi al tribunale di Caltagirone.

17. Con decisione del 5 giugno 2003, depositata il 25 luglio 2003, la corte d’appello concluse che vi era stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e accordò 4.000 EUR a ciascuno dei ricorrenti per danno morale e 1.818 EUR congiuntamente per le spese.

18. Dal decreto della corte d’appello risulta che questa decisione fu notificata al Ministero della Giustizia il 6 ottobre 2003. La decisione divenne così definitiva il 6 dicembre 2003.

19. Nel 2004, in una data non precisata, i ricorrenti avviarono una procedura di esecuzione dinanzi al tribunale di Caltanissetta al fine di ottenere il pagamento dell’indennizzo riconosciuto dalla corte d’appello.

20. Il 18 maggio 2004 il giudice dell’esecuzione assegnò ai ricorrenti le somme di cui avevano chiesto il pignoramento.

21. I ricorrenti ricevettero le suddette somme il 27 luglio 2004.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

22. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009 (§§ 16-48).

23. In particolare, per quanto riguarda gli ultimi sviluppi intervenuti nel diritto interno, la Corte nota che con le sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato che la legge interna deve essere compatibile con la Convenzione nell’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, così come modificato dalla legge n. 662 del 1996.

24. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 349, ha rilevato che l’insufficiente entità dell’indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contraria all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e di conseguenza all’articolo 117 della Costituzione italiana, il quale prevede il rispetto degli obblighi internazionali.

25. In seguito alle sentenze della Corte costituzionale, sono intervenute alcune modifiche legislative nel diritto interno. L’articolo 2/89 e) della legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che, nel caso di espropriazione indiretta, il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, non essendo ammessa alcuna riduzione.

26. Tale disposizione si applica a tutti i procedimenti pendenti al 1° gennaio 2008, ad eccezione di quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento sia stata accettata o sia divenuta definitiva.

27. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006-V).

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

28. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, così formulato:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

29. I ricorrenti lamentano l’inadeguatezza dell’importo accordato dal tribunale a titolo di indennità di espropriazione, in ragione dell’applicazione alla loro causa delle leggi n. 662 del 1996 e n. 431 del 1991.

30. Il Governo di oppone a tale tesi.

Sulla ricevibilità

31. Il Governo osserva che i ricorrenti hanno ottenuto dalla corte d’appello di Catania un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato. Secondo il Governo, i ricorrenti non possono ritenersi «vittime» dei fatti che denunciano.

32. La Corte rammenta di aver già esaminato questo tipo di eccezione in altre cause riguardanti le espropriazioni indirette. In tali cause aveva concluso che il semplice fatto che il ricorrente abbia ricevuto l'indennizzo corrispondente al valore venale del terreno espropriato non era di per sé sufficiente a revocargli la qualità di «vittima», nonostante ciò possa svolgere un ruolo dal punto di vista dell'articolo 41 (De Angelis e altri c. Italia, n. 68852/01, § 57, 21 dicembre 2006; Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, § 62, CEDU 2000 VI; De Sciscio c. Italia, n. 176/04, § 53, 20 aprile 2006). Una decisione o una misura favorevole al ricorrente è sufficiente in linea di principio a revocare la qualità di «vittima» soltanto se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, e poi riparato la violazione della Convenzione (si vedano Guerrera e Fusco c. Italia, n. 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Recueil 1996-III, p. 846, § 36).

33. Nel caso di specie, la Corte ritiene di dover esaminare la qualità di vittima dei ricorrenti alla luce del cambiamento legislativo intervenuto a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007. Essa rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali correggere una asserita violazione della Convenzione. A tale proposito, la questione di stabilire se il ricorrente possa ritenersi vittima della inosservanza lamentata rispetto alla Convenzione si pone in qualsiasi fase della procedura e implica essenzialmente l’esame ex post facto, da parte della Corte, della situazione della persona interessata (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, §§ 70-72, CEDU 2006 V).

34. La Corte ribadisce che ad essa spetta innanzitutto verificare se da parte delle autorità vi sia stato un riconoscimento, almeno in sostanza, della violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione (Cocchiarella c. Italia sopra citata, § 84).

35. Essa rileva che con le sentenze nn. 348 e 349, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato la non conformità costituzionale dell'articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, in quanto contrario all'articolo 1 del Protocollo n. 1, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte. In seguito, la legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che i proprietari espropriati devono ottenere un risarcimento corrispondente al valore intero del bene, non essendo più ammessa alcuna riduzione.

36. Nell'applicare questi principi, la corte d’appello di Catania ha sostanzialmente ritenuto che l'espropriazione indiretta del terreno dei ricorrenti fosse contraria all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte, e comportasse una violazione del diritto di proprietà dei ricorrenti e l’obbligo per l'amministrazione di riparare la violazione. La corte d'appello condannò pertanto l'amministrazione a versare ai ricorrenti un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno, più rivalutazione e interessi.

37. La Corte ritiene che i giudici interni abbiano sostanzialmente constatato la violazione del diritto di proprietà dei ricorrenti. Inoltre, essa considera che il risarcimento riconosciuto dalla corte d’appello di Napoli, conforme ai criteri di calcolo stabiliti dalla Corte nella sentenza Guiso Gallisay (sopra citata, § 105), costituisce una riparazione adeguata e sufficiente.

38. Alla luce di queste considerazioni, i ricorrenti non possono più ritenersi vittime della asserita violazione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si vedano Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, 12 febbraio 2013; Holzinger c. Austria (n. 1), n. 23459/94, § 21, CEDU 2001 I).

39. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in virtù dell’articolo 35 § 4.

40. Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla riduzione dell’importo dell’indennità di espropriazione in ragione dell’applicazione dell’imposta prevista dalla legge n. 413 del 1991, la Corte nota che i ricorrenti hanno omesso di informarla sull’esito della procedura dinanzi all’Amministrazione tributaria.

41. Di conseguenza, anche a voler supporre che i ricorrenti abbiano esaurito le vie di ricorso interne, la Corte ritiene che questo motivo di ricorso non sia suffragato da sufficienti elementi di prova. Pertanto, anch’esso deve essere dichiarato irricevibile in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA MANCANZA DI EQUITÁ DELLA PROCEDURA

42. I ricorrenti lamentano anche l’applicazione alla loro causa della legge n. 662 del 1996, entrata in vigore nel corso della procedura, e le sue ripercussioni sul risarcimento danni sotto il profilo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, recita:
«Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

43. La Corte ritiene che questo motivo di ricorso sia strettamente legato a quello relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, esaminato sopra, e che, di conseguenza, debba essere dichiarato irricevibile essendo incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA DURATA DELLA PROCEDURA

44. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’eccessiva durata della procedura che si è svolta dinanzi al tribunale di Caltagirone e in particolare l’insufficienza del rimedio «Pinto». L’articolo 6 § 1, nelle sue parti pertinenti, recita:
«Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

45. La Corte nota innanzitutto che i ricorrenti hanno sollevato il motivo relativo alla eccessiva durata della procedura che si è svolta dinanzi alla corte d’appello competente ai sensi della legge «Pinto». Tuttavia, essa sottolinea che i ricorrenti hanno presentato questo motivo di ricorso dinanzi alla Corte il 20 agosto 2004, mentre la decisione della corte d’appello di Messina è divenuta definitiva il 6 dicembre 2003.

46. Ne consegue che questo motivo di ricorso è tardivo e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

IV.  SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 IN RAGIONE DEL RITARDO NEL PAGAMENTO DELL’INDENNIZZO «PINTO»

47. Invocando gli articoli 6 § 1 e 1 del Protocollo n. 1, i ricorrenti lamentano il ritardo con cui le autorità nazionali si sono conformate alla decisione «Pinto» e, di conseguenza, il fatto che sono stati obbligati ad avviare una procedura esecutiva. L’articolo 6 § 1 e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 sono citati ai paragrafi 42 e 28 supra.

A.  Sulla ricevibilità

48. Il Governo considera, innanzitutto, che i ricorrenti non sono più «vittime» della violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione perché il ritardo contestato è stato compensato dal riconoscimento di interessi moratori e, all’occorrenza, delle spese sostenute nell’ambito della procedura di esecuzione forzata.

49. A sostegno, il Governo avanza argomenti che la Corte ha già rigettato, da ultimo, nella sentenza Belperio e Ciarmoli c. Italia (n. 7932/04, 21 dicembre 2010).

50. Non trovando alcun motivo per derogare a questo punto di vista, la Corte rigetta l’eccezione sollevata dal Governo e ritiene che i ricorrenti possano ancora ritenersi «vittime» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

51. Inoltre, il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto i ricorrenti non hanno intentato una seconda procedura «Pinto» per lamentare il ritardo nel pagamento della somma Pinto.

52. La Corte ha già considerato più volte (si veda, soprattutto, Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 44, 31 marzo 2009) che esigere dal ricorrente un nuovo ricorso «Pinto» per contestare la eccessiva durata dell’esecuzione della decisione «Pinto» significherebbe far rientrare il ricorrente in un circolo vizioso dove il malfunzionamento di un rimedio lo obbligherebbe ad avviarne un altro. Una conclusione simile sarebbe irragionevole e costituirebbe un ostacolo sproporzionato all’esercizio efficace da parte dei ricorrenti del loro diritto di ricorso individuale, come definito dall’articolo 34 della Convenzione (si veda la sentenza Pedicini e altri c. Italia [comitato], n. 48117/99, § 30, 25 settembre 2012). Pertanto, è opportuno rigettare l’eccezione sollevata dal Governo.

53. Infine, il Governo solleva una eccezione basata sulla mancanza di pregiudizio importante per i ricorrenti, in quanto hanno ottenuto gli interessi moratori per il ritardo sul pagamento della somma Pinto e, ad ogni modo, avrebbero potuto rivolgersi al giudice nazionale per ottenere la compensazione dovuta per la eccessiva durata della procedura esecutiva.

54. Il Governo fa riferimento al testo dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 14, secondo il quale la Corte può dichiarare un ricorso irricevibile quando «il ricorrente non ha subìto alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno».

55. Per quanto riguarda il concetto di «pregiudizio importante», la Corte tiene a sottolineare che il fatto che i giudici interni avrebbero riconosciuto, poi accordato una riparazione per violazione della Convenzione non comporta automaticamente che non vi sarebbe «pregiudizio» a carico del ricorrente, come sembra sostenere il Governo convenuto. Infatti, la valutazione riguardante l’assenza di un tale «pregiudizio» non si riduce a una stima puramente economica.

56. La Corte rammenta che, al fine di verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, vanno presi in considerazione in particolare i seguenti elementi: la natura del diritto di cui si deduce la violazione, la gravità dell’incidenza della violazione denunciata nell’esercizio di un diritto o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente. Nella valutazione di tali conseguenze, la Corte prenderà in esame, in particolare, la posta in gioco del procedimento nazionale o il suo esito (si vedano, Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011; Gagliardi c. Italia [comitato], n. 29385/03, § 45, 16 luglio 2013).

57. La Corte osserva che, nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano il ritardo nel pagamento di una somma «Pinto». Essa rileva poi che la somma Pinto è stata pagata un anno dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d’appello, il che supera di sei mesi il termine per l’esecuzione delle decisioni Pinto considerato accettabile dalla Corte (Gagliardi, sopra citata, Cocchiarella, sopra citata, § 89; Simaldone, sopra citata, § 48).
Infine, la Corte nota che il ritardo riguarda il pagamento di una somma di 28.000 EUR (4.000 EUR per ogni ricorrente) accordata dalla corte d’appello Pinto in ragione della eccessiva durata (18 anni per una grado) della procedura avente ad oggetto l’espropriazione illegittima del terreno dei ricorrenti.

58. Tenuto conto della durata del ritardo nel pagamento, dell’importo della somma Pinto e del fatto che si tratta di una somma accordata al fine di riparare una violazione della Convenzione, la Corte ritiene opportuno rigettare l’eccezione del Governo.

59. La Corte rileva che questo motivo di ricorso, come pure quello relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1, non incorrono in altri motivi di irricevibilità e, di conseguenza, li dichiara ricevibili.

B.  Sul merito

60. La Corte constata che la somma accordata è stata versata più di sei mesi dopo il deposito della decisione «Pinto» alla cancelleria della corte d’appello di Messina. Alla luce dei criteri stabiliti nelle sentenze Simaldone e Gaglione e altri (sopra citate), la Corte ritiene che questo ritardo costituisca una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

61. Considerato quanto detto sopra, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare separatamente il motivo di ricorso formulato dai ricorrenti dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Follo e altri c. Italia, n. 28433/03, 28434/03, 28442/03, 28445/03 e 28451/03, § 30, 31 gennaio 2012).

V. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE PER QUANTO RIGUARDA LA MANCANZA DI EFFICACIA DEL RIMEDIO PREVISTO DELLA «LEGGE PINTO»

62. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti lamentano il ritardo delle autorità nazionali a conformarsi alla decisione «Pinto», fatto che renderebbe inefficace questa via di ricorso.

63.  Vista la giurisprudenza Simaldone (sopra citata, § 84) e Gaglione (sopra citata, § 47), la Corte ritiene opportuno dichiarare questo motivo di ricorso irricevibile per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

VI.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

64. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno morale

65. I ricorrenti chiedono, per il danno morale che avrebbero subito, 20.000 EUR ciascuno.

66. Il Governo non ha presentato osservazioni su tale punto.

67. Tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Gaglione e altri, sopra citata, e decidendo in via equitativa, la Corte ritiene opportuno accordare una somma forfettaria di 200 EUR a ciascun ricorrente per il danno morale derivante dalla violazione constatata.

B.  Spese

68. Producendo i relativi documenti giustificativi, i ricorrenti chiedono anche 206.698,72 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.

69. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, il riconoscimento delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). Inoltre, le spese di giustizia sono recuperabili soltanto nella misura in cui si riferiscano alla violazione constatata (si vedano, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003 VIII).

70. La Corte non dubita che sia necessario affrontare delle spese, ma trova eccessivi gli onorari totali richiesti a tale titolo. Pertanto, considera che sia opportuno rimborsarli soltanto in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte giudica ragionevole accordare la somma di 5.000 EUR ai ricorrenti congiuntamente per tutte le spese.

C.  Interessi moratori

71. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÁ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione del ritardo nel pagamento dell’indennizzo «Pinto» e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. 200 EUR (duecento euro), ad ogni ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danni morali;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), congiuntamente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 19 maggio 2015, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Päivi Hirvelä
Presidente

Fatoş Aracı
Cancelliere aggiunto