Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 maggio 2015 - Ricorso n. 58437/09 - D'Alba c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 58437/09

Giovanna D’ALBA

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita il 26 maggio 2015 in una Camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Faris Vehabović, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 26 ottobre 2009,

Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. La ricorrente, sig.ra Giovanna D’Alba, è una cittadina italiana nata nel 1936 e residente a Palermo.

2. I fatti di causa, così come esposti dalla ricorrente, si possono riassumere come segue.

A.  La destinazione del terreno della ricorrente alla costruzione di alloggi popolari

3. La ricorrente è proprietaria di un terreno situato a Palermo, nel quartiere di Cardillo, registrato al catasto al foglio 16, particelle 191 e 283. Secondo un piano regolatore del 1962, il terreno in questione si trovava in una zona destinata a verde agricolo. Nel 1996 tale destinazione fu modificata in verde storico.

4. Con delibera n. 187 del 26 settembre 1997 il Consiglio comunale di Palermo destinò la zona in questione alla costruzione di alloggi popolari, in particolare di 1.270 appartamenti per ospitare circa 5.000 persone. Alcune società cooperative presentarono dei progetti di costruzione, che furono approvati da un commissario ad acta il 28 marzo 1998. Le opere da costruire furono dichiarate urgenti e di pubblica utilità; le procedure di esproprio dovevano concludersi entro un termine di cinque anni.

B.  La procedura dinanzi ai giudici amministrativi

5. Il 15 ottobre 1999 la ricorrente impugnò la delibera n. 187 del 1997 e le decisioni del commissario ad acta dinanzi al tribunale amministrativo regionale (di seguito il «TAR») della Sicilia, chiedendone l’annullamento per abuso di potere e violazione di numerose disposizioni delle leggi amministrative pertinenti.

6. Con decisione n. 156 del 14 giugno 2001 il comune di Palermo autorizzò l’occupazione d’urgenza dei terreni interessati dal progetto di costruzione degli alloggi popolari. L’8 agosto 2001 la ricorrente, basandosi su molti motivi, impugnò la decisione dinanzi al TAR e chiese il rinvio dell’occupazione del suo terreno. Con ordinanza del 12 settembre 2001 il TAR accolse la richiesta.

7. Con una sentenza parziale del 6 febbraio 2002, il cui testo fu depositato il 10 aprile 2002, il TAR della Sicilia osservò che il ricorso non era stato debitamente notificato al commissario ad acta e alle tre società cooperative che avevano presentato i progetti di costruzione. Il TAR fissò un termine di trenta giorni per effettuare le notifiche e intimò all’amministrazione di produrre, entro lo stesso termine, alcuni documenti.

8. Le società cooperative interposero appello avverso tale sentenza dinanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia.

9. All’udienza del 19 gennaio 2004 la ricorrente eccepì l’incostituzionalità delle disposizioni riguardanti la composizione del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia.

10. Con ordinanza del 1° aprile 2004 il Consiglio, ritenendo che tale eccezione fosse pertinente e non manifestamente infondata, sospese il procedimento e dispose la trasmissione del fascicolo alla Corte costituzionale.

11. Con ordinanza n. 179 del 2 maggio 2005 la Corte costituzionale dichiarò le eccezioni della ricorrente manifestamente infondate.

12. Il procedimento riprese dinanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia che, in una data non specificata, rigettò l’appello delle società cooperative.

13. Con una nota datata 19 ottobre 2005, il comune di Palermo indicò che, essendo scaduto il termine di due anni previsto dall’articolo 4 della legge regionale n. 86 del 1981, il progetto di costruzione degli alloggi popolari era stato abbandonato. Le società cooperative impugnarono tale nota dinanzi al TAR. Il loro ricorso fu riunito a quello della ricorrente.

14. Con una sentenza resa in data 7 febbraio 2008, il cui testo fu depositato il 28 febbraio 2008, il TAR della Sicilia rigettò il ricorso delle società cooperative e dichiarò che la ricorrente non aveva più interesse all’esame del suo ricorso.

15. Il TAR osservò che l’articolo 4 della legge regionale n. 86 del 1981 prevedeva che i terreni interessati da un progetto di costruzione pubblico e non utilizzati entro i due anni successivi dovevano essere restituiti ai loro proprietari. Nella fattispecie, tale termine era arrivato a scadenza nel 2000 senza che i terreni in questione fossero utilizzati o occupati dal comune. La nota di quest’ultimo del 19 ottobre 2005 era pertanto corretta e legittima. Di conseguenza la ricorrente non aveva più interesse all'esame dei suoi motivi di ricorso, e l’abbandono del progetto di costruzione implicava la decadenza di tutti gli atti adottati in esecuzione di tale progetto.

16. Nell’aprile del 2008 le società cooperative interposero appello avverso tale sentenza.

17. Con sentenza emessa il 12 dicembre 2008, depositata il 27 aprile 2009, il Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia rigettò l’appello.

C.  Il ricorso ai sensi della legge «Pinto»

18. Il 26 ottobre 2009 la ricorrente presentò dinanzi alla corte d’appello di Palermo un ricorso conformemente alla legge n. 89 del 2001 (detta «legge Pinto»), allo scopo di ottenere un risarcimento per la durata, da lei considerata eccessiva, del procedimento giudiziario amministrativo sopra descritto.

19. All’udienza del 21 ottobre 2010 l’amministrazione eccepì l’incompetenza ratione loci della corte d’appello di Palermo.

20. Con ordinanza emessa lo stesso giorno, la corte d’appello di Palermo osservò che, con un capovolgimento giurisprudenziale (sentenze nn. 6306, 6307 e 6308 del 2010), le sezioni unite della Corte di cassazione avevano affermato che il giudice competente per pronunciarsi sui ricorsi basati sulla legge Pinto presentati a causa del superamento del «termine ragionevole» dai giudici speciali era la corte d’appello del distretto più vicino a quello in cui si era tenuto il processo, nella fattispecie la corte d’appello di Caltanissetta. La corte d’appello di Palermo fissò un termine di 90 giorni per riprendere il procedimento dinanzi al giudice competente ratione loci.

21. In una lettera del 31 marzo 2015 la ricorrente ha comunicato di non aver ripreso il procedimento dinanzi alla corte d’appello di Caltanissetta in quanto le somme che avrebbe potuto ottenere erano secondo lei insufficienti per compensare il danno subito.

MOTIVI DI RICORSO

22. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la ricorrente lamenta la eccessiva durata e una mancanza di equità del procedimento amministrativo.

23. Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, la ricorrente lamenta di non aver potuto disporre del suo terreno per molti anni.

24. Invocando gli articoli 13 e 6 § 1 della Convenzione, la ricorrente lamenta di non avere avuto a disposizione, nel diritto italiano, alcun ricorso mediante il quale avrebbe potuto porre fine alla situazione di incertezza giuridica denunciata sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e ottenere una compensazione pecuniaria per l’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei suoi beni.

IN DIRITTO

A. Motivi di ricorso relativi all’articolo 6 § 1 della Convenzione

25. La ricorrente afferma che il procedimento amministrativo da lei intentato dinanzi al TAR della Sicilia è stato eccessivamente lungo e iniquo, e invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
«1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...)da un tribunale (...)il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

26. Nella misura in cui la ricorrente lamenta l’eccessiva durata del procedimento in questione, la Corte rammenta che il ricorso offerto dalla legge «Pinto» è stato considerato accessibile e, in linea di principio, efficace per denunciare, a livello nazionale, la lentezza della giustizia (si vedano, tra molte altre, Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001-IX, e Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 67, 20 novembre 2012). Nel caso di specie, la ricorrente ha presentato tale ricorso (paragrafo 18 supra). Tuttavia, dopo la dichiarazione di incompetenza della corte d’appello di Palermo, la ricorrente ha omesso di riprendere il procedimento dinanzi alla corte d’appello di Caltanissetta, giudice competente ratione loci (paragrafi 20-21 supra). La Corte non può rilevare, nella presente causa, alcuna circostanza particolare tale da esonerare la ricorrente dal suo obbligo di esaurire le vie di ricorso di cui disponeva nel diritto italiano.

27. Di conseguenza questa parte del ricorso deve essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

28. La ricorrente afferma inoltre che il procedimento amministrativo non è stato equo, in quanto non sarebbe stata informata dell’apertura della pratica relativa al suo terreno e l’amministrazione avrebbe violato le disposizioni interne in materia di identificazione di quest’ultimo.

29. Secondo la Corte i fatti lamentati dalla ricorrente non rivelano in alcun modo una violazione dei principi del processo equo. A questo riguardo, essa si limita ad osservare che la ricorrente ha avuto la possibilità di impugnare dinanzi al TAR la delibera del Consiglio comunale di Palermo con la quale il suo terreno veniva destinato alla costruzione di alloggi popolari e che l’eventuale inosservanza, da parte dell’amministrazione, delle disposizioni pertinenti in materia di identificazione dei terreni poteva essere eccepita dinanzi al TAR e dinanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia.

30. Di conseguenza, questa parte del motivo di ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

B. Motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

31. La ricorrente lamenta di non aver potuto disporre del suo terreno a causa del progetto di costruzione degli alloggi popolari.

La stessa invoca l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

32. La ricorrente afferma che l’esito della causa è stato incerto fino al 27 aprile 2009, data del deposito presso la cancelleria della sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia. Inoltre, non le è stato riconosciuto alcun indennizzo per l’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei beni, il che le avrebbe fatto sopportare un onere eccessivo e sproporzionato.

33. La Corte constata anzitutto che, con la sua delibera n. 187 del 26 settembre 1997, il Consiglio comunale di Palermo ha destinato la zona in cui si trova il terreno della ricorrente alla costruzione di alloggi popolari, il che comportava l’espropriazione del bene in questione entro un termine di cinque anni (paragrafo 4 supra). Inoltre, il 14 giugno 2001 il comune di Palermo ha autorizzato l’occupazione d’urgenza dei terreni interessati dal progetto di costruzione degli alloggi popolari (paragrafo 6 supra).

34. Sebbene non abbiano avuto luogo né l’occupazione né l’espropriazione, la Corte ritiene che i fatti sopra descritti equivalgano a una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni (si vedano, mutatis mutandis, Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl c. Italia (dec.), n. 75248/01, 13  maggio 2004; Galtieri c. Italia (dec.), n. 72864/01, 24 gennaio 2006; Campanile e altri c. Italia (dec.), n. 32635/05, § 25, 15 gennaio 2013; e Contessa e altri c. Italia (dec.), n. 11004/05, § 26, 17 settembre 2013). In effetti, la delibera del Consiglio comunale e gli atti adottati in esecuzione della stessa facevano pensare che il terreno dovesse essere espropriato, il che incideva, tra l’altro, sulla possibilità di venderlo sul mercato immobiliare. Tale ingerenza rientra nella regolamentazione dell’uso dei beni, nel senso del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A n. 52, e Hiltunen c. Finlandia (dec), n. 30337/96, 28 settembre 1999).

35. Inoltre, la Corte constata che il progetto del Consiglio comunale di Palermo era finalizzato alla costruzione di alloggi popolari, ossia opere che corrispondevano interamente all’interesse generale di cui al paragrafo 2 dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

36. Resta da determinare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (si vedano Hiltunen, decisione sopra citata; Cooperativa La Laurentina c. Italia, n. 23529/94, § 95, 2 agosto 2001; e Contessa e altri, decisione sopra citata, § 28).

37. La Corte osserva che la ricorrente non ha dimostrato di essere stata obbligata a modificare l’uso del suo terreno a causa del progetto di costruzione degli alloggi popolari (si vedano, mutatis mutandis, Galtieri, decisione sopra citata; Campanile e altri, decisione sopra citata, § 30; e Contessa e altri, decisione sopra citata, § 29). In effetti, secondo il piano regolatore del 1962, il terreno della ricorrente si trovava in una zona destinata a verde agricolo (paragrafo 3 supra) e, dinanzi alla Corte, l’interessata non ha indicato alcun uso alternativo del terreno che sarebbe stato impedito dal progetto del Consiglio comunale. La stessa non ha affermato, in particolare, che prima della delibera del 26 settembre 1997 il terreno era edificabile.

38. È vero che l’inclusione del terreno della ricorrente nella zona destinata alla costruzione degli alloggi popolari non ha determinato un diritto ad una compensazione per l’interessata. Quando è in causa una misura che regolamenta l’uso dei beni, la Corte ritiene che l’assenza di indennizzo sia uno degli elementi da prendere in considerazione per stabilire se sia stato rispettato un giusto equilibrio, ma che tale assenza non possa, da sola, essere costitutiva di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (si vedano le decisioni sopra citate Galtieri, Campanile e altri, § 32, e Contessa e altri, § 32; si vedano anche Katte Klitsche de la Grange c. Italia, 27 ottobre 1994, §§ 47-48, serie A n. 293-B; Predil Anstalt c. Italia (dec.), n. 31993/96, 14 marzo 2002; e Tiralongo e Carbe c. Italia (dec.), n. 4686/06, § 45, 27 novembre 2012, in cui la Corte ha affermato che l'assenza di indennizzo per dei divieti di costruire perdurati per cinque anni non era di natura tale da rompere l'equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli del proprietario).

39. Peraltro, nella misura in cui la proporzionalità di una ingerenza con il diritto di un proprietario al rispetto dei suoi beni può dipendere anche dall’esistenza di garanzie procedurali che permettano di vigilare affinché l’attuazione di una politica e le sue conseguenze per il proprietario non siano né arbitrarie né imprevedibili (si vedano, mutatis mutandis, Immobiliare Saffi c. Italia, n. 22774/93, § 54, CEDU 1999-V, e Contessa e altri, decisione sopra citata, § 33), la Corte osserva che, nella fattispecie, la ricorrente ha avuto la possibilità di presentare alle autorità amministrative un ricorso per annullamento della delibera del Consiglio comunale n. 187 del 1997 e delle decisioni del commissario ad acta. Il TAR della Regione Sicilia ha affermato che la ricorrente non aveva più interesse all’esame del suo ricorso in quanto il progetto di costruzione degli alloggi popolari era stato nel frattempo abbandonato (paragrafi 14 e 15 supra), e le eccezioni delle società cooperative, volte a contestare la decisione di abbandonare il progetto, sono state rigettate sia dal TAR che dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia. Questi due giudici erano competenti per esaminare la causa in fatto e in diritto, e nulla dimostra che abbiano valutato i fatti e gli elementi di diritto interno in maniera arbitraria. Peraltro, nell’ambito dei procedimenti amministrativi in questione, la ricorrente ha ottenuto il rinvio dell’occupazione d’urgenza del suo terreno (paragrafo 6 supra).

40. La Corte considera che si debba anche tenere conto del fatto che, essendo scaduti dei termini vincolanti, il Comune di Palermo ha abbandonato il proprio progetto di costruzione degli alloggi popolari il 19 ottobre 2005 (paragrafo 13 supra), ossia circa otto anni dopo l’adozione dello stesso. A partire da quel momento, la ricorrente avrebbe dovuto sapere che le possibilità che il suo terreno potesse essere oggetto di esproprio erano molto ridotte.

41. È vero che permaneva una certa insicurezza in quanto il TAR della Sicilia si è pronunciato sul ricorso della ricorrente solo il 7 febbraio 2008 (paragrafo 14 supra) e le società cooperative hanno interposto appello avverso la sentenza di primo grado (paragrafo 16 supra). Tuttavia, nella misura in cui la doglianza della ricorrente riguarda il ritardo nell’esame del suo ricorso amministrativo e dell’appello delle società cooperative, la Corte rammenta che, quando la violazione dedotta del diritto di proprietà è strettamente legata alla durata di un procedimento e ne costituisce una conseguenza indiretta, la «legge Pinto» permette di chiedere una decisione che può rientrare nella logica della giurisprudenza della Corte per quanto riguarda l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Capestrani c. Italia (dec.), n. 46617/99, 27 gennaio 2005; Recupero c. Italia (dec.), n. 77713/01, 17 marzo 2005; De Filippo c. Italia (dec.), n. 72112/01, 27 marzo 2007; e Contessa e altri, decisione sopra citata, § 34).

42. Nel caso di specie, la ricorrente ha presentato tale ricorso ma, come osservato al paragrafo 26 supra, ha poi omesso di riprendere il procedimento dinanzi alla Corte d’appello di Caltanissetta, giudice competente ratione loci (si veda, mutatis mutandis, Contessa e altri, decisione sopra citata, § 35).

43. Considerate le circostanze del caso di specie, e dopo aver proceduto ad una valutazione globale dei fatti della presente causa, la Corte conclude che l’ingerenza in questione contestata alle autorità non ha compromesso il giusto equilibrio da rispettare, in materia di regolamentazione dell’uso dei beni, tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, e che la ricorrente non è stata costretta a sopportare un onere eccessivo e sproporzionato (si vedano, mutatis mutandis, le decisioni sopra citate Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl, Galtieri, e Campanile e altri, in cui la Corte ha considerato non contrari all’articolo 1 del Protocollo n. 1 dei divieti di costruire di lunga durata imposti dai piani regolatori).

44. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

C.  Motivi di ricorso relativi all’articolo 13 della Convenzione e a un ostacolo al diritto di accesso alla giustizia

45.  La ricorrente lamenta di non aver avuto a disposizione, nel diritto italiano, alcun ricorso mediante il quale avrebbe potuto porre fine alla situazione di incertezza giuridica denunciata dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
L’interessata invoca l’articolo 13 della Convenzione, che recita:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (...) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

46.  La Corte rammenta che l'articolo 13 non può essere interpretato nel senso di esigere un ricorso interno per qualsivoglia doglianza, per quanto ingiustificata, che un individuo può presentare in base alla Convenzione: deve trattarsi di un motivo di ricorso difendibile rispetto a quest'ultima (Boyle e Rice c. Regno Unito, serie A n. 131, § 52, 24 aprile 1988). Nella presente causa la Corte ha appena concluso che il motivo di ricorso della ricorrente riguardante la clausola normativa «sostanziale» costituita dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione è irricevibile in quanto manifestamente infondato.

47.  Gli elementi di fatto sopra considerati dalla Corte per respingere quanto sostenuto dalla ricorrente sotto il profilo della clausola normativa invocata la inducono a concludere, secondo il punto di vista dell'articolo 13, che non si tratta di un motivo di ricorso difendibile (si vedano, tra molte altre e mutatis mutandis, Al-Shari e altri c. Italia (dec.), n. 57/03, 5 luglio 2005; Walter c. Italia (dec.), n. 18059/06, 11 luglio 2006; Schiavone c. Italia (dec.), n. 65039/01, 13 novembre 2007; Zeno e altri c. Italia (dec.), n. 1772/06, 27 aprile 2010; e Cariello e altri c. Italia (dec.), n. 14064/07, § 94, 30 aprile 2013). L’articolo 13 non trova pertanto applicazione nella presente causa.

48.  Di conseguenza questo motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4.

49.  La ricorrente afferma anche che vi è stata violazione del suo diritto di accesso alla giustizia, sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, in quanto non aveva a disposizione un ricorso che le permettesse di ottenere una compensazione finanziaria per l’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei beni.

50.  La Corte osserva che il motivo di ricorso della ricorrente riguarda, essenzialmente, la contestata assenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di un diritto a una compensazione per l’ingerenza che ha subito nel proprio diritto al rispetto dei beni. Non essendo quest’ultimo riconosciuto dalla legge nazionale, l’assenza di un ricorso per farlo vale non può essere costitutiva di una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Peraltro, la Corte ha esaminato le deduzioni della ricorrente relative all’assenza di una compensazione dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafo 38 supra), senza rilevare alcuna violazione di tale disposizione.

51.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 18 giugno 2015.

Päivi Hirvelä
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere