Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 maggio 2015 - Ricorso n. 38586/06 - Vittorio Della Pietra c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUARTA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 38586/06

Vittorio DELLA PIETRA
contro l’Italia

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita il 19 maggio 2015 in un comitato composto da:

  • Ledi Bianku, presidente,
  • Paul Mahoney,
  • Krzysztof Wojtyczek, giudici,
  • e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 22 settembre 2006,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

  1. Il ricorrente, sig. Vittorio Della Pietra, è un cittadino italiano nato nel 1954 e residente a Verona. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. S. Ferrara, del foro di Benevento.
  2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora e dal suo co-agente, P. Accardo.
    A.  Le circostanze del caso di specie
  3. I fatti di causa, come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.
  4. Il ricorrente era proprietario di un terreno di 3.890 m² situato a Castelpoto, iscritto al catasto al foglio 4, particella 2.
  5. Con decreto emesso il 19 aprile 1988 il comune di Castelpoto autorizzò l’occupazione d’urgenza di una parte del terreno, a decorrere dal 23 maggio 1988 e per un periodo massimo di due anni, ai fini della sua espropriazione.
  6. Il 18 gennaio 1990 l’amministrazione assegnò il terreno al sig. Izzo e lo autorizzò a costruirvi delle abitazioni private.
  7. Con atto datato 9 dicembre 1996 il ricorrente citò il sig. Izzo e il comune dinanzi al tribunale di Benevento. Egli affermava in primo luogo che l’occupazione del suo terreno era illegittima ab initio, vista l’irregolarità del decreto che disponeva l’occupazione. In subordine, affermò che il suo terreno era stato irreversibilmente trasformato in assenza di un decreto di espropriazione e di un indennizzo e chiese la restituzione del suo bene nonché un risarcimento.
  8. Il tribunale ordinò una perizia tecnica. In alcuni rapporti depositati nel giugno 2000 e nel gennaio 2004 il perito stabilì che la parte del terreno effettivamente occupata era di 2.694 m² e che il periodo di occupazione legittima era scaduto il 23 maggio 1990.
  9. Il perito affermò che il valore venale del terreno in quest’ultima data era di 56.574.000 ITL, ossia 29.218,03 EUR. Il perito calcolò poi l’importo del risarcimento secondo i criteri stabiliti dalla legge n. 359 del 1992 e lo fissò a 31.224.237 ITL, ossia 16.125,97 EUR.
  10. Infine, il perito fissò l’indennità per il periodo di occupazione legittima a 3.122.423 ITL, ossia 1.612,6 EUR, e il risarcimento per la perdita di valore della restante parte di terreno a 956,80 EUR.
  11. Con sentenza resa il 18 gennaio 2006 il tribunale di Benevento dichiarò che la proprietà del terreno in contestazione era passata all’amministrazione per effetto della costruzione dell’opera pubblica, in applicazione del principio dell’occupazione acquisitiva, e condannò il comune e il sig. Izzo a pagare al ricorrente:
    • un risarcimento per la perdita di proprietà della parte del terreno espropriata, calcolata sulla base della legge n. 359 del 1992;
    • una indennità per il periodo di occupazione legittima;
    • un risarcimento per la perdita di valore della restante parte del terreno.
  12. Il tribunale fece riferimento alle somme stabilite dal perito nei suoi rapporti precisando che esse dovevano essere rivalutate e maggiorate di interessi legali.
  13. Le parti interposero appello verso la sentenza dinanzi alla corte d’appello di Napoli.
  14. Con sentenza resa il 22 febbraio 2008 la corte d’appello di Napoli, dopo aver considerato che il terreno realmente occupato era di 310 m², constatò che, alla luce della legge finanziaria n. 244 del 2007 (introdotta a seguito delle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, con cui la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996) il risarcimento doveva essere proporzionato al valore venale del terreno espropriato.
  15. Basandosi sulla perizia depositata nel corso del procedimento dinanzi al tribunale (§§ 8-9 supra), la corte d’appello condannò il comune di Castelpoto a pagare al ricorrente la somma di 3.360,40 EUR per il danno materiale, maggiorata di interessi e rivalutazione, nonché la somma di 336,04 EUR a titolo di indennizzo per il periodo di occupazione legittima.
    B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti
  16. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Guiso Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009 (§§ 16-48).
  17. La Corte osserva che, con le sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato che la legge interna deve essere compatibile con la Convenzione nell’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, così come modificato dalla legge n. 662 del 1996.
  18. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 349, ha rilevato che l’insufficiente entità dell’indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contraria all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e, di conseguenza, all’articolo 117 della Costituzione italiana, il quale prevede il rispetto degli obblighi internazionali. Da quando è intervenuta questa sentenza, tale disposizione di legge non può più essere applicata nell’ambito dei procedimenti nazionali ancora pendenti.
  19. In seguito alle sentenze della Corte costituzionale, sono intervenute alcune modifiche legislative nel diritto interno. L’articolo 2/89 e) della legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che, in caso di espropriazione indiretta, il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, non essendo ammessa alcuna riduzione.
  20. Tale disposizione si applica a tutti i procedimenti pendenti al 1° gennaio 2008, ad eccezione di quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento sia stata accettata o sia divenuta definitiva.

    MOTIVO DI RICORSO
    Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1, il ricorrente lamenta di essere stato privato del suo terreno in maniera incompatibile con il diritto al rispetto dei suoi beni.

    IN DIRITTO
     
  21. Il ricorrente sostiene di essere stato privato del suo terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione, che recita:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

    1. Argomenti delle parti

     
  22. Nelle sue osservazioni, il Governo ha eccepito la mancanza della qualità di «vittima» del ricorrente, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, in quanto questi aveva ottenuto dalla corte d’appello di Napoli un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato.
  23. Il ricorrente contesta questa tesi.

    2. Valutazione della Corte
     
  24. La Corte rammenta di aver già esaminato questo tipo di eccezione in altre cause riguardanti le espropriazioni indirette. In tali cause, aveva concluso che il semplice fatto che il ricorrente abbia ricevuto l'indennizzo corrispondente al valore venale del terreno espropriato non era di per sé sufficiente a revocargli la qualità di «vittima», sebbene ciò possa svolgere un ruolo dal punto di vista dell'articolo 41 (De Angelis e altri c. Italia, n. 68852/01, § 57, 21 dicembre 2006; Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, § 62, CEDU 2000 VI; De Sciscio c. Italia, n. 176/04, § 53, 20 aprile 2006). Essa rammenta a tale proposito che una decisione o una misura favorevole al ricorrente sono sufficienti in linea di principio a revocare la qualità di vittima soltanto se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, e poi riparato la violazione della Convenzione (Guerrera e Fusco c. Italia, n. 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Recueil 1996-III, p. 846, § 36).
  25. La Corte ritiene di dover esaminare la qualità di vittima del ricorrente alla luce del cambiamento legislativo intervenuto a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007. Essa rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali correggere una asserita violazione della Convenzione. A tale proposito, la questione di stabilire se il ricorrente possa ritenersi vittima della violazione lamentata si pone in qualsiasi fase della procedura e implica essenzialmente per la Corte di esaminare ex post facto la situazione della persona interessata (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, §§ 70-72, CEDU 2006 V).
  26. La Corte ribadisce che essa ha il compito innanzitutto di verificare se da parte delle autorità vi sia stato un riconoscimento, almeno in sostanza, della violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione (Cocchiarella c. Italia sopra citata, § 84).
  27. Essa rileva che, con le sentenze nn. 348 e 349, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato la non conformità costituzionale dell'articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, in quanto contrario all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione come interpretato dalla giurisprudenza della Corte. In seguito, la legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che i proprietari espropriati devono ottenere un risarcimento corrispondente all’intero valore del bene, non essendo più ammessa alcuna riduzione.
  28. Nell'applicare questi principi, la corte d’appello di Napoli ha sostanzialmente ritenuto che l'espropriazione indiretta del terreno del ricorrente fosse contraria all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte, e comportasse una violazione del diritto di proprietà del ricorrente e l’obbligo, per l'amministrazione, di porre rimedio alla violazione. La corte d'appello condannò pertanto l'amministrazione a versare al ricorrente un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno, maggiorato di rivalutazione e interessi a decorrere dalla data della perdita della proprietà.
  29. La Corte ritiene che i giudici interni abbiano sostanzialmente constatato la violazione del diritto di proprietà del ricorrente. Inoltre, essa considera che il risarcimento accordato dalla corte d’appello di Napoli, conforme ai criteri di calcolo stabiliti dalla Corte nella sentenza Guiso Gallisay (sopra citata, § 105), costituisca una riparazione adeguata e sufficiente.
  30. Alla luce di queste considerazioni, il ricorrente non può più ritenersi vittima della asserita violazione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si vedano Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, 12 febbraio 2013; Holzinger c. Austria (n. 1), n. 23459/94, § 21, CEDU 2001 I).
  31. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in virtù dell’articolo 35 § 4.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto l’11 giugno 2015.

Fatoş Aracı
Cancelliere aggiunto

Ledi Bianku
Presidente