Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 gennaio 2015 - Ricorso n. 107/10 - Manuello e Nevi c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA MANUELLO E NEVI c. ITALIA

(Ricorso n. 107/10)

SENTENZA

STRASBURGO

20 gennaio 2015
 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Manuello e Nevi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Egidijus Kūris,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro,giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 9 dicembre 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 107/10) proposto contro la Repubblica italiana con il quale due cittadini di tale Stato, la sig.ra Franca Manuello e il sig. Paolo Nevi («i ricorrenti») hanno adito la Corte il 14 dicembre 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. M. Massano, del foro di Torino. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. I ricorrenti deducono in particolare una violazione del loro diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall’articolo 8 della Convenzione.

4. Il 12 marzo 2013 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1943 e 1938 e risiedono a Torino.

6. I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.

7. I ricorrenti sono i nonni paterni della minore M.C., nata il 7 agosto 1997 dal matrimonio tra il loro figlio, D.N., e M.G.T.

8. Il figlio dei ricorrenti e M.G.T. si sposarono il 6 luglio 1996. Essi abitarono assieme alla loro figlia e a C., figlio di M.G.T. nato da un precedente matrimonio, in un appartamento di proprietà dei ricorrenti e situato vicino alla loro abitazione. Nel marzo 1998 i ricorrenti acquistarono per il loro figlio un appartamento più grande, situato a pochi chilometri da Bussoleno, dove quest’ultimo si trasferì con la sua famiglia. I ricorrenti si recavano regolarmente presso l’abitazione del figlio per vedere la nipote e durante l’estate M.C. trascorreva molto tempo presso l’abitazione dei nonni dove aveva una camera per sé e i suoi giocattoli.

9. Il 20 maggio 2002 la sig.ra M.G.T. comunicò al sig. D.N. la sua volontà di avviare la procedura di separazione giudiziale.

10. Nel giugno 2002, poiché la direttrice della scuola materna frequentata da M.C. sospettava delle molestie sessuali da parte del padre nei confronti della figlia, sporse denuncia contro D.N. A carico di quest’ultimo fu avviato un procedimento penale in quanto accusato di abuso sessuale nei confronti di M.C. e C. Il 16 giugno 2006 D.N. fu assolto dal tribunale di Torino perché il fatto non sussisteva.

11. Nel frattempo, il 1° agosto 2002, M.G.T. aveva richiesto al tribunale per i minorenni di Torino (di seguito «il tribunale») di revocare la potestà genitoriale a D.N. e di impedire a quest’ultimo di vedere sua figlia. A partire da questa data, i ricorrenti non hanno più visto M.C.

A.  La procedura dinanzi al tribunale per i minorenni

12. Il 9 ottobre 2002 il tribunale incaricò i servizi sociali e gli psicologi di seguire M.C., affidò la custodia della minore ai nonni materni, autorizzò la madre a vedere liberamente M.C. e autorizzò il padre a vedere la figlia secondo le modalità stabilite dai servizi sociali.

13. Il 9 dicembre 2002 i ricorrenti chiesero di essere consultati dal tribunale, di essere autorizzati a vedere M.C. e dichiararono di essere disposti ad avere la custodia della minore.

14. Il 3 febbraio 2003 la procura della Repubblica espresse un parere favorevole in merito al fatto che i ricorrenti potessero essere sentiti al fine di esercitare il loro diritto di visita.

15. Risulta dal fascicolo che, a partire dal 4 febbraio 2003, si tennero degli incontri regolari tra i ricorrenti e i servizi sociali al fine di preparare una ripresa dei contatti con la minore. I ricorrenti incontravano regolarmente l’assistente sociale tramite la quale potevano avere notizie della nipote e potevano farle pervenire lettere e regali.

16. Il 1° marzo 2003 e il 22 aprile 2004, i ricorrenti si rivolsero al tribunale per sollecitare una decisione in merito all’autorizzazione ad incontrare M.C.

17. Nel corso dell’udienza del 21 ottobre 2004, il tribunale incaricò gli psicologi di seguire i ricorrenti e M.C. e di organizzare la ripresa dei contatti tra loro.

18. Il 1° marzo 2005 i ricorrenti si rivolsero nuovamente al tribunale e fecero presente che i servizi sociali e gli psicologi non avevano ancora avviato il percorso di sostegno psicologico per preparare gli incontri. Chiesero al tribunale di sollecitare l’avvio del percorso conformemente a quanto stabilito nel corso dell’udienza del 21 ottobre 2004.

19. Il 1° luglio 2005 e il 20 dicembre 2005 la procura della Repubblica diede parere favorevole affinché il tribunale accogliesse la domanda dei ricorrenti di incontrare M.C.

20. Il 12 dicembre 2005 la psicologa incaricata dal tribunale di seguire i ricorrenti depositò la sua relazione dalla quale risultava che i ricorrenti erano ben disposti a collaborare con i servizi sociali e a seguire un progetto di riavvicinamento con la nipote. La psicologa autorizzò uno scambio di lettere tra i ricorrenti e M.C. al fine di preparare quest’ultima agli incontri con i nonni.

21. Dal fascicolo risulta che, sotto la vigilanza dei servizi sociali, dal mese di agosto 2003 vi furono regolari scambi di lettere tra i ricorrenti e M.C., e che continuarono almeno fino a febbraio 2007.

22. Il 28 dicembre 2005 l’assistente sociale informò il tribunale che era stato avviato il progetto di riavvicinamento tra i ricorrenti e M.C.

23. Con provvedimento depositato il 16 febbraio 2006 il tribunale autorizzò i ricorrenti a incontrare M.C. ogni quindici giorni in presenza degli assistenti sociali e incaricò i servizi sociali e la psicologa di continuare a seguire M.C., chiedendo loro di depositare una relazione prima del 15 giugno 2006. Risulta dal fascicolo che gli incontri autorizzati dal tribunale non si sono mai svolti.

24. Il 1° giugno 2006 la psicologa chiese al tribunale di sospendere qualsiasi possibilità di incontro tra i ricorrenti e la minore. Secondo la psicologa, M.C. manifestava un sentimento di paura e di angoscia nei confronti di suo padre, associava i nonni a suo padre e, di conseguenza, non era pronta ad incontrarli. La psicologa sottolineò che la minore si era espressamente rifiutata di incontrare i nonni e ritenne che questi ultimi, benché disposti a collaborare con i servizi sociali, mostrassero delle difficoltà ad avere una posizione autonoma rispetto al loro figlio e a comprendere il disagio di M.C. di fronte ad un incontro con loro.

25. Il 14 giugno 2006 i servizi sociali chiesero al tribunale di sospendere gli incontri sostenendo che questi non erano conformi all’interesse di M.C. e avrebbero potuto causarle sofferenze più grandi in quanto i nonni non arrivavano ad avere una posizione autonoma e indipendente da quella del loro figlio.

26. Con lettera del 13 febbraio 2007 i ricorrenti denunciarono al tribunale le gravi omissioni dei servizi sociali che, nonostante la decisione del tribunale, non avevano mai organizzato gli incontri autorizzati. Essi chiesero nuovamente che fossero organizzati gli incontri con M.C. conformemente alla decisione del tribunale del 16 febbraio 2006.

27. Risulta dal fascicolo che gli incontri tra i ricorrenti e M.C. non si tennero mai. Con decreto depositato il 20 giugno 2007, il tribunale emise un non luogo a provvedere in ordine alla domanda di decadenza di D.N. dalla potestà genitoriale sulla figlia M.C., tenuto conto dell’assoluzione di quest’ultimo e dispose la sospensione degli incontri tra i ricorrenti e M.C., basandosi sulla relazione dei servizi sociali.

28. I ricorrenti interposero appello avverso tale decreto. Essi sostennero che la decisione del tribunale di sospendere gli incontri, fondata sul presunto disagio di M.C. di fronte ai nonni a causa del legame di costoro con suo padre, non teneva conto del fatto che D.N. era stato assolto.

29. Con decreto depositato il 19 aprile 2008, la corte d’appello di Torino giudicò che il fatto che D.N. fosse stato assolto non era elemento sufficiente per escludere che il disagio della minore fosse conseguenza delle molestie sessuali subite. Basandosi sulle relazioni dei servizi sociali e degli psicologi che denunciavano il rifiuto della minore di incontrare i nonni e la difficoltà per questi ultimi di comprendere il rifiuto della minore, la corte d’appello confermò il divieto per i ricorrenti di incontrare la minore.

30.  I ricorrenti presentarono ricorso per cassazione. Con decisione depositata il 17 giugno 2009, la Corte di cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

31. Sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della vita famigliare a causa della durata eccessiva del procedimento finalizzato all’autorizzazione degli incontri con la minore e per il fatto che i servizi sociali non hanno dato esecuzione al provvedimento del tribunale che autorizzava gli incontri.
Sotto il profilo dell’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la mancanza di equità del procedimento e in particolare della decisione del tribunale per i minorenni di sospendere gli incontri.

32. Libera di qualificare giuridicamente i fatti di causa, la Corte ritiene appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti unicamente sotto il profilo dell’articolo 8, che esige che il processo decisionale che porta all’adozione di misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi tutelati da tale disposizione (Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, § 57, CEDU 2013, Aksu c. Turchia [GC], nn. 4149/04 e 41029/04, § 43, CEDU 2012; Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 27, 27 aprile 2010).

33. L’articolo 8 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, dispone quanto segue:

«1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (…) familiare, (…).

2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

34. Il Governo si oppone a questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

35. La Corte constata che il motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione, e osserva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

a) I ricorrenti

36. I ricorrenti lamentano il fatto di non avere più visto la nipote dal 2002, ossia dall’inizio della procedura di separazione giudiziale dei genitori della stessa, a partire dal momento in cui la madre di M.C. aveva presentato al tribunale per i minorenni di Torino una richiesta di decadenza della potestà genitoriale del padre di sua figlia.

37. Essi rammentano, anzitutto, che hanno adito varie volte il tribunale per i minorenni per chiedere che i servizi sociali mettessero in atto un programma di riavvicinamento e che, tuttavia, solo il 21 dicembre 2005 il tribunale autorizzò gli incontri.
Essi sottolineano inoltre che il tribunale aveva ordinato ai servizi sociali di organizzare degli incontri e di depositare una relazione sullo svolgimento degli stessi; tuttavia, gli incontri così previsti non hanno mai avuto luogo.

38. I ricorrenti affermano che i servizi sociali hanno ignorato la decisione del tribunale, e hanno depositato il loro rapporto senza che avessero avuto luogo gli incontri. Essi affermano inoltre che il tribunale, ritornando sulla sua decisione precedente, ha in seguito ordinato la sospensione degli incontri basando la sua decisione sulla convinzione erronea che gli incontri avessero avuto luogo.

39. Gli stessi affermano che i giudici interni hanno basato la loro decisione di sospendere gli incontri sulle relazioni degli psicologi secondo le quali la bambina associava i nonni al padre e alle sofferenze subite a causa delle presunte molestie sessuali . I ricorrenti sottolineano a questo proposito che le decisioni interne non hanno tenuto conto del fatto che il padre della minore era stato assolto nel 2006. Essi ritengono che i giudici abbiano fatto pesare su di loro la presunta responsabilità penale del figlio.

40. I ricorrenti rammentano che hanno seguito, con i servizi sociali e gli psicologi, un lungo percorso di riavvicinamento con la minore e che hanno sempre accettato le prescrizioni dei servizi sociali come pure la proposta di questi ultimi di effettuare degli incontri in un luogo neutrale, in presenza di un operatore di detti servizi.

41. Essi affermano che i giudici nazionali, impedendo loro di incontrare la nipote, non hanno tenuto conto dell’interesse superiore della stessa e hanno pregiudicato in maniera sproporzionata il loro diritto alla vita famigliare. A tale proposito, rammentano che M.C. aveva 5 anni quando è iniziata la procedura riguardante il diritto di visita e oggi ne ha 17, e che non ha mai visto i nonni nel frattempo.

b) Il Governo

42. Il Governo contesta anzitutto l’esposizione dei fatti presentata dalla Corte e afferma che il procedimento interno dinanzi al tribunale per i minorenni relativo al diritto di visita dei ricorrenti è iniziato solo nel 2004, una volta conclusa la procedura di separazione giudiziale dei genitori della minore. Esso considera anche che la decisione interna riguardante il diritto di visita è intervenuta entro un termine ragionevole e che, nel caso di specie, non è ravvisabile alcuna mancanza di diligenza da parte delle autorità interne competenti.

43. Secondo il Governo, le autorità interne hanno agito nell’interesse della minore e hanno adottato tutte le misure necessarie per attuare un percorso di riavvicinamento tra la stessa e i nonni e per garantire il diritto di visita di questi ultimi. A questo proposito, facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte (Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000 I), il Governo rammenta che l’obbligo per le autorità nazionali di adottare misure volte a riunire il minore e i nonni non è assoluto, in quanto accade che il ricongiungimento non possa avere luogo immediatamente, e chiede misure preparatorie.

44. Il Governo rammenta che i servizi sociali e gli psicologi hanno debitamente preso in carico la situazione, assicurando un percorso di riavvicinamento e di assistenza per i nonni e la minore. Esso ricorda che dalle relazioni dei periti risulta che M.C. si rifiutava di incontrare i nonni in quanto li associava al padre e alle sofferenze psicologiche legate a quest’ultimo. Il mancato riconoscimento del diritto di visita sarebbe stato dunque giustificato dal desiderio di tutelare la salute psicologica della minore e di rispettare la sua volontà, manifestata ai servizi sociali e agli psicologi. Le autorità interne hanno agito allo scopo di trovare un equilibrio tra il diritto di visita dei genitori e l’interesse superiore della minore.

45. Facendo riferimento alla causa Lombardo c. Italia (n. 25704/11, § 90, 29 gennaio 2013), il Governo rammenta che non spetta alla Corte sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la situazione della minore, in quanto, in linea di principio, tali autorità si trovano in una posizione migliore per farlo. Esso rammenta anche che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non porta automaticamente alla conclusione che lo Stato si sia sottratto agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.

46. Il Governo afferma che le decisioni interne sono state prese tenendo debitamente conto dell’interesse superiore della minore e che, conformemente alle Linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, del 17 novembre 2010, tali decisioni hanno garantito la partecipazione della minore alle procedure che la riguardavano. Secondo il Governo nel caso di specie sono state prese tutte le misure disponibili e necessarie per garantire il diritto alla vita famigliare. Esso chiede pertanto alla Corte di dichiarare il ricorso irricevibile in quanto manifestamente infondato.

2.  Valutazione della Corte

a)  Principi generali

47. Come la Corte ha ricordato molte volte, se l’articolo 8 ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o famigliare. Questi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita famigliare fino nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un arsenale giuridico adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Questo arsenale deve permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, anche in caso di conflitto che oppone i due genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, § 108, Sylvester c. Austria, n. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 014044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). Lo stesso vale quando si tratta, come nel caso di specie, delle relazioni tra il minore e i nonni (Nistor c. Romania, n. 14565/05, § 71 2 novembre 2010; Bronda c. Italia, 9 giugno 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998 IV). Essa rammenta anche che gli obblighi positivi non si limitano a fare in modo che il minore possa raggiungere il genitore o avere un contatto con lui, ma comprendono anche tutte le misure preparatorie che permettono di giungere a questo risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).

48. Per essere adeguate, le misure volte a riunire il genitore e il figlio devono essere attuate rapidamente, in quanto il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili per i rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui (Lombardo, § 81, sopra citata; Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 65 17 dicembre 2013).

49. La Corte rammenta che il fatto che gli sforzi delle autorità sono stati vani non porta automaticamente alla conclusione che lo Stato si è sottratto agli obblighi positivi derivanti per lui dall’articolo 8 della Convenzione (si veda Lombardo, § 84, sopra citata; Nicolò Santilli, § 67, sopra citata). In effetti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare misure per riunire il figlio e il genitore con cui non convive non è assoluto, e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono sforzarsi di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: devono tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004). Come riconosciuto costantemente dalla giurisprudenza della Corte, la massima prudenza si impone quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito delicato (Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005) e l’articolo 8 della Convenzione non può autorizzare un genitore a far adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del minore (Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, §§ 49 50, CEDU 2000 VIII). Il punto decisivo consiste dunque nello stabilire se le autorità nazionali abbiano adottato, per facilitare le visite, tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000 VIII).

b) Applicazione di questi principi al caso di specie

50. La Corte osserva in primo luogo che, nella fattispecie, non viene contestato che il legame tra i ricorrenti e M.C. rientri nella vita famigliare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (si vedano Nistor, § 93, e Bronda, § 50 sopra citate).

51. La Corte osserva poi che dai documenti in suo possesso risulta chiaramente che il procedimento interno relativo al diritto di visita dei ricorrenti è iniziato nel 2002 dinanzi al tribunale per i minorenni di Torino (RGNR n. 1469/02). Pertanto la Corte non condivide la tesi del Governo secondo la quale il procedimento interno dinanzi al tribunale sarebbe iniziato solo nel 2004 (si veda il paragrafo 42 supra).

52. Esaminando la presente causa, la Corte ritiene che, dinanzi alle circostanze che le vengono sottoposte, il suo compito consista nel cercare di stabilire se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere da loro per mantenere i legami tra i ricorrenti e la nipote e se le stesse abbiano rispettato gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.

53. La Corte osserva che i ricorrenti non hanno più visto la nipote dal 2002 e che, a tutt’oggi, è vietato loro qualsiasi contatto con la minore. A questo proposito essa rammenta che, secondo i principi elaborati in materia, delle misure che portano a rompere i legami tra un minore e la sua famiglia possono essere applicate solo in circostanze eccezionali (si vedano Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 46, 21 gennaio 2014; Clemeno e altri c. Italia, n. 19537/03, § 60, 21 ottobre 2008). La Corte ritiene che questi principi si applichino anche nel caso di specie. A tale proposito, essa rammenta di avere già dichiarato che i legami tra nonni e nipoti rientrano nei legami famigliari ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (si vedano Kruškić c. Croazia (dec.), n. 10140/13, 25 novembre 2014; Nistor c. Romania, n. 14565/05, § 71, 2 novembre 2010; Bronda c. Italia, 9 giugno 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998 IV).

54. La Corte osserva che, nel caso di specie, l’impossibilità per i ricorrenti di vedere la nipote è stata la conseguenza, in un primo momento, della mancanza di diligenza delle autorità competenti e, in un secondo tempo, della decisione di sospendere gli incontri. I ricorrenti non hanno potuto ottenere la realizzazione, in un tempo ragionevole, di un percorso di riavvicinamento con la nipote, né far rispettare il loro diritto di visita, così come era stato riconosciuto dalla decisione del tribunale del 16 febbraio 2006.

55. La Corte osserva che solo nel dicembre 2005, ossia tre anni dopo la domanda presentata dai ricorrenti al fine di incontrare la nipote, il tribunale per i minorenni di Torino è giunto a una decisione che riguardava l’autorizzazione degli incontri. Essa sottolinea anche che, tra il 2005 e il 2007, i servizi sociali non hanno dato esecuzione alla decisione del tribunale che autorizzava gli incontri e che nella fattispecie non è stata adottata alcuna misura volta a dare attuazione al diritto di visita dei ricorrenti. La Corte rammenta la propria giurisprudenza secondo la quale gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione impongono allo Stato di adottare misure idonee a riunire i genitori e il minore, sapendo peraltro che l’adeguatezza di una misura si valuta anche in base alla rapidità con cui essa viene attuata (Nicolò Santilli, § 71, Lombardo, § 89, sopra citate; Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 78, 2 novembre 2010).

56. La Corte osserva che la decisione di sospendere gli incontri tra i ricorrenti e la minore era stata fondata esclusivamente sulle relazioni degli psicologi dalle quali risultava che la minore associava i nonni al padre e alle sofferenze subite a causa delle presunte molestie sessuali.

57. La Corte rileva che il divieto degli incontri rientra tra le misure che le autorità hanno diritto di adottare nelle cause di molestie sessuali e ricorda che lo Stato ha l’obbligo di proteggere i minori da qualsiasi ingerenza negli aspetti fondamentali della loro vita privata (Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 103, 9 maggio 2003; Stubbings e altri c. Regno Unito, 22 ottobre 1996, § 64, Recueil 1996 IV). Tuttavia, la Corte constata nel caso di specie che il procedimento penale nei confronti del padre era pendente quando i giudici interni hanno autorizzato gli incontri e che dopo l’assoluzione del padre nel 2006 (si veda paragrafo 10 supra) gli stessi giudici hanno deciso di negare qualsiasi possibilità di incontro. Il motivo principale che ha giustificato la rottura quasi totale dei rapporti tra i ricorrenti e la minore era il fatto che quest’ultima associava i nonni al padre e alle presunte molestie sessuali subite. Benché la Corte sia cosciente del fatto che è necessaria una grande prudenza in situazioni di questo tipo e che delle misure volte a proteggere il minore possono implicare una limitazione dei contatti con i famigliari, essa ritiene che le autorità competenti non abbiano fatto quanto necessario per salvaguardare il legame famigliare e non abbiano reagito con la diligenza richiesta (Clemeno e altri, sopra citata, §§ 59-61).
La Corte osserva a questo riguardo che sono trascorsi tre anni prima che il tribunale di Torino si pronunciasse sulla domanda dei ricorrenti di incontrare la nipote (si veda il paragrafo 55 supra) e che la decisione del tribunale che accordava ai ricorrenti il diritto di visita non è mai stata eseguita (si veda il paragrafo 54 supra).

58. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione con quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto tali autorità in linea di principio si trovano in una posizione migliore per procedere a una valutazione di questo tipo, in particolare in quanto sono in contatto diretto con il contesto della causa e con le parti implicate (Reigado Ramos, sopra citata, § 53). Tuttavia, nel caso di specie essa non può ignorare il fatto che i ricorrenti non vedono la nipote da circa dodici anni, che hanno chiesto varie volte che fosse realizzato un percorso di avvicinamento con la minore, che hanno seguito le prescrizioni dei servizi sociali e degli psicologi, e che, nonostante ciò, non è stata adottata alcuna misura tale da permettere di ristabilire il legame famigliare tra loro e la minore. La rottura totale di ogni rapporto ha avuto conseguenze molto gravi per le relazioni tra i ricorrenti e la minore e non è stata sufficientemente considerata nella fattispecie la possibilità di mantenere una forma di contatto tra i ricorrenti e la nipote.

59. Considerato quanto sopra esposto e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non si siano impegnate in maniera adeguata e sufficiente per mantenere il legame famigliare tra i ricorrenti e la nipote e che abbiano violato il diritto degli interessati al rispetto della loro vita famigliare sancito dall’articolo 8 della Convenzione.

60. Pertanto, la Corte conclude che vi è stata violazione di questa disposizione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

61. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

62. I ricorrenti chiedono la riparazione di un danno morale a causa dell’impossibilità per loro di allacciare una relazione con la nipote e dell’angoscia provata. Chiedono la somma di 30.000 euro (EUR).

63. Il Governo si oppone a questa richiesta.

64. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie e della constatazione secondo la quale i ricorrenti si sono trovati a fronteggiare l’impossibilità di avere rapporti con la nipote, la Corte ritiene che gli interessati abbiano subito un pregiudizio morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene tuttavia che la somma richiesta a questo titolo sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi di cui dispone e deliberando in via equitativa, come esige l’articolo 41 della Convenzione, essa accorda agli interessati la somma di 16.000 EUR.

B.  Spese

65. I ricorrenti chiedono anche la somma di 11.325,60 EUR per le spese sostenute per i procedimenti dinanzi ai giudici interni e dinanzi alla Corte.

66. Il Governo si oppone a questa richiesta.

67. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti la somma di 5.000 EUR.

C. Interessi moratori

68. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in virtù dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 16.000 EUR (sedicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di tale termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile in tale periodo maggiorato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 20 gennaio 2015 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere