Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 30 settembre 2014 - Ricorso n. 5490/03 - Giuliani c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 5490/03

Angela GIULIANI

contro l’Italia
 

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 30 settembre 2014 in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,
Robert Spano, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra indicato, presentato il 18 novembre 1998,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dalla ricorrente,
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

La ricorrente, sig.ra Angela Giuliani, è una cittadina italiana nata nel 1940 e residente a Cerreto Sannita. Dinanzi alla Corte è rappresentata dall’avv. De Nigris De Maria, del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente Ivo Maria Braguglia.

A. Le circostanze del caso di specie

I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.

1. Il procedimento principale

Il 9 ottobre 1991 la ricorrente depositò un ricorso dinanzi al pretore di Benevento (RG n. 4291/91), in funzione di giudice del lavoro, chiedendo le venisse riconosciuto il diritto ad una pensione di invalidità.

L’8 novembre 1991 il pretore fissò la prima udienza al 1° febbraio 1993. In tale data il pretore nominò un perito e mise la causa in decisione per il 20 giugno 1994. Con sentenza dello stesso giorno, depositata il 9 luglio 1994, il giudice respinse la richiesta della ricorrente.

Quest’ultima interpose appello dinanzi al tribunale di Benevento il 10 aprile 1995 (RG n. 268/95). Delle sette udienze fissate tra il 20 marzo 1995 e il 3 febbraio 1999, cinque furono rinviate d’ufficio.
Con sentenza del 3 febbraio 1999, depositata il 17 febbraio 1999, il tribunale accolse la domanda della ricorrente.

2.  La procedura «Pinto»

Il 3 ottobre 2001 la ricorrente si rivolse alla corte d’appello di Roma (RG n. 6263/01) ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» per lamentare la eccessiva durata del procedimento sopra descritto.

Con decisione del 28 febbraio 2002, depositata il 30 aprile 2002, la corte d’appello constatò il superamento del termine ragionevole e accordò in via equitativa 4.200 EUR a riparazione del danno morale e 910 EUR per le spese.

Questa decisione divenne definitiva al più tardi il 14 giugno 2003.

Con lettera del 23 gennaio 2003, la ricorrente informò la Corte del risultato della procedura nazionale e chiese di riprendere l’esame del suo ricorso.

Con la stessa lettera, la ricorrente informò la Corte che non era sua intenzione ricorrere per cassazione in quanto tale rimedio poteva essere utilizzato soltanto per le questioni di diritto.

B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» figurano nelle sentenze Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 23-31, CEDU 2006 V, e Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 11-15, 31 marzo 2009.

MOTIVO DI RICORSO

Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la ricorrente lamenta la eccessiva durata del procedimento principale di cui è stata parte e l’insufficienza dell’indennizzo «Pinto» accordato dai giudici interni per il danno morale.

IN DIRITTO

La ricorrente lamenta la eccessiva durata del procedimento civile di cui è stata parte e l’insufficienza della somma «Pinto».

L’articolo 6 § 1 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».

Prima di esaminare se, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte deve dapprima valutare se la ricorrente possa continuare a considerarsi «vittima» ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione dopo aver esperito il ricorso nazionale.

A tale proposito, essa richiama la sua giurisprudenza esposta nella causa Cocchiarella sopra citata (§ 84) secondo la quale, in questo genere di cause, spetta alla Corte verificare, da una parte, se le autorità abbiano riconosciuto che vi è stata, almeno in sostanza, la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e, dall'altra parte, se il risarcimento possa essere considerato adeguato e sufficiente.

Nel caso di specie, la prima condizione non è discussione in quanto la corte d'appello di Roma ha espressamente constatato la violazione.

Per quanto riguarda la seconda condizione, la Corte, sulla base degli elementi di cui dispone, tiene conto di ciò che avrebbe accordato nella stessa situazione per il periodo preso in considerazione dal giudice interno (ibidem, §§ 86-107).

La Corte nota che la procedura in causa è durata sette anni e quattro mesi per due gradi di giudizio e che alla ricorrente è stata riconosciuta la somma di 4.200 EUR per danno morale.

Per quanto precede, la somma concessa alla ricorrente a livello nazionale, rappresenta circa il 54% di ciò che la Corte avrebbe accordato a quest’ultima, tenuto conto dell’entità della controversia. L’indennizzo accordato può dunque essere considerato adeguato e, per questo, idoneo a riparare la violazione subita (Garino c. Italia (dec.), nn. 16605/03, 16641/03 e 16644/03, 18 maggio 2006).

Di conseguenza, la ricorrente non può più considerarsi «vittima» di una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. Il ricorso è dunque manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

András Sajó
Presidente

Abel Campos
Cancelliere aggiunto