Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 2 dicembre 2014 - Ricorso n. 43978/09 - Battista c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista dalla. dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA BATTISTA c. ITALIA

(Ricorso n. 43978/09)

SENTENZA

STRASBURGO

2 dicembre 2014


Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Battista c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller,
Egidijus Kūris,
Robert Spano, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 novembre 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 43978/09) proposto contro la Repubblica italiana e con il quale un cittadino di tale Stato, sig. Alessandro Battista («il ricorrente»), ha adito la Corte il 6 agosto 2009 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. A. Battista, del foro di Napoli. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. L’11 aprile 2011 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente, sig. Alessandro Battista, è un cittadino italiano nato nel 1967 e residente a Napoli.

5. All’epoca in cui è iniziata la causa, egli si stava separando legalmente dalla moglie (D.L.), e i due figli (G.L. e M.T.) della coppia erano stati dati provvisoriamente in affidamento congiunto ad entrambi i genitori.

6. Il 29 agosto 2007 il ricorrente chiese al giudice tutelare un nuovo passaporto con l’iscrizione del nome di suo figlio G.L. La sua ex-moglie si oppose sostenendo che il ricorrente non versava l’assegno alimentare fissato dal presidente del tribunale all’atto della separazione legale.

7. Con decreto del 18 settembre 2007, il giudice tutelare respinse la richiesta del ricorrente ritenendo non opportuno rilasciare il passaporto tenuto conto che era fondamentale proteggere il diritto dei figli a ricevere l’assegno alimentare. A tale proposito, il giudice tutelare sottolineò che il ricorrente, pur essendo tenuto a versare un assegno alimentare di 600 euro, versava soltanto un piccola quota (somme comprese tra i 45 e i 90 euro) e che vi era da temere che in caso di trasferimento all’estero egli si sottraesse completamente al suo obbligo.

8. Con decisione del 26 ottobre 2007, il giudice tutelare ordinò che l’iscrizione del nome di M.T. fosse cancellata dal passaporto del ricorrente.

9. Il 31 ottobre 2007 il questore di Napoli ordinò al ricorrente di depositare il suo passaporto al commissariato e invalidò la sua carta di identità valida per l’espatrio.

10. Il ricorrente impugnò la decisione del giudice tutelare dinanzi al tribunale di Napoli. Egli sosteneva:

  • che secondo le disposizioni del presidente del tribunale all’atto della separazione legale, i figli dovevano trascorrere le vacanze estive dal 10 al 26 agosto con lui; che, in tale ottica, egli aveva desiderato condurli in Sicilia in aereo; ma che per far questo occorreva che i nomi dei due figli fossero iscritti sul suo passaporto;
  • che a causa dell’opposizione della sua ex-moglie e del decreto del giudice tutelare, lui stesso e i suoi figli non erano potuti partire per le vacanze;
  • che i nomi dei figli erano iscritti sul passaporto della madre;
  • che il rigetto della sua richiesta costituiva una sanzione non prevista dalla legge.

11. Il 7 febbraio 2008 il ricorrente chiese al giudice tutelare di Napoli di rilasciargli un nuovo passaporto, spiegando che la ex-moglie aveva tenuto nella casa familiare la sua carta di identità e il suo passaporto.

12. Con decreto del 29 febbraio 2008, il giudice tutelare di Napoli respinse la suddetta richiesta in quanto il ricorrente non aveva versato l’assegno alimentare per i figli e vi era da temere che il ricorrente andasse all’estero per sottrarsi completamente al suo obbligo.
Il ricorrente impugnò anche questa decisione dinanzi al tribunale di Napoli, lamentando una violazione del suo diritto alla libera circolazione.

13. Con decisione del 5 febbraio 2009, il tribunale di Napoli riunì i ricorsi e li rigettò. Il tribunale notò innanzitutto che la decisione del giudice tutelare era basata sulla legge del 21 novembre 1967 (n. 1185) come modificata dalla legge n. 3 del 2003 (legge in materia di rilascio dei passaporti).

14. Il tribunale ritenne che il giudice tutelare fosse competente a pronunciarsi sulla richiesta di passaporto del ricorrente e sull’inserimento del nome di suo figlio. Per quanto riguarda la fondatezza del ricorso, il tribunale rilevò che il ricorrente non rispettava l’obbligo a lui imposto a titolo di assegno alimentare e che questa ipotesi costituiva uno dei motivi legali del diniego di rilascio del passaporto nell’interesse dei figli, secondo l’articolo 12 della legge sui passaporti.

15. Il 4 novembre 2008 D.L. fu condannata a pagare una ammenda di 100 euro (EUR) per mancata consegna dei figli al ricorrente.

16. Con decreto dell’8 aprile 2009, il giudice tutelare consegnò su sua richiesta a D.L. un passaporto con i nomi dei due figli.

17. Il 21 agosto 2012 il ricorrente chiese al giudice tutelare di Napoli di consegnare dei passaporti individuali ai suoi figli in applicazione del decreto legislativo n. 135 del 2009.

18. D.L. vi si oppose sostenendo che questi passaporti non erano necessari per i figli, che il ricorrente non rispettava il suo obbligo alimentare dal 2007 e che su questo argomento pendeva un procedimento penale.

19. Con decisione del 3 ottobre 2012, il giudice tutelare rigettò la richiesta del ricorrente considerando che la procedura di separazione tra il ricorrente e D.L. era ancora pendente e che alla luce delle considerazioni espresse da D.L., che aveva la custodia dei figli, era necessario sospendere qualsiasi rilascio di passaporti ai minori. Il ricorrente non interpose appello avverso questa decisione.

II. IL DIRITTO INTERNO E INTERNAZIONALE PERTINENTE

20. La legge del 21 novembre 1967 (n. 1185), come modificata dalla n. 3 del 2003, prevede:

Articolo 3

Non possono ottenere il passaporto:

  1. coloro che, essendo a norma di legge sottoposti alla responsabilità genitoriale, o alla potestà tutoria, siano privi dell’assenso della persona che la esercita (…) e, nel caso di affidamento a persona diversa, dell’assenso anche di questa, o, in difetto, dell’autorizzazione del giudice tutelare.
  2. i genitori che, avendo prole minore, non ottengano l’autorizzazione del giudice tutelare; l’autorizzazione non è necessaria quando il richiedente abbia l’assenso dell’altro genitore, o quando sia il titolare esclusivo della responsabilità genitoriale sul figlio (…).

Articolo 12

Il passaporto è ritirato quando il titolare si trovi all’estero e (…) non sia in grado di offrire la prova dell’adempimento degli obblighi alimentari che derivano da pronuncia della autorità giudiziaria o che riguardino i discendenti di età minore (…).

21. Nella prassi sono due le eccezioni in cui è ammesso il rilascio del passaporto: quando l'interessato ha dimostrato la necessità di curarsi all'estero e quando deve recarsi all'estero per ragioni di lavoro.

22. Il decreto legislativo n. 135 del 2009 ha introdotto l'obbligo per i figli minorenni di avere un passaporto individuale. Così, dal 25 novembre 2009, non è più possibile iscrivere i minori sui passaporti dei genitori. Le iscrizioni eseguite prima di questa data restano valide secondo le modalità previste dalla legislazione all'epoca vigente. La durata di validità del passaporto per i figli minorenni varia in funzione dell'età: 3 anni per i minori da zero a 3 anni; 5 anni per i minori da 3 a 18 anni.

23. Il Regolamento (CE) n. 4/2009 del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari propone una serie di misure volte a facilitare il pagamento dei crediti alimentari in situazioni transfrontaliere.

24. La Convenzione dell'Aja del 23 novembre 2007 sul recupero internazionale di alimenti nei confronti dei figli minori e di altri membri della famiglia stabilisce un sistema di cooperazione amministrativa tra le autorità degli Stati contraenti e un regime di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni e degli accordi in materia di alimenti.

25. La Convenzione di New York sul recupero degli alimenti all'estero fu adottata e aperta alla firma il 20 giugno 1956 dalla Conferenza delle Nazioni Unite sulle obbligazioni alimentari convocata in virtù della risoluzione 572 (XIX) del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, adottata il 17 maggio 1955.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 2 DEL PROTOCOLLO N. 4 ALLA CONVENZIONE

26. Il ricorrente lamenta una violazione della sua vita privata e della sua libertà di circolazione. In particolare, egli espone che nessuna norma vieta ad un genitore che non paga l'assegno alimentare di avere un passaporto e di farvi iscrivere il nome dei suoi figli.

Egli invoca l'articolo 2 del Protocollo n 4 alla Convenzione, così formulato:

« 1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza.

2. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio.

3. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui.

4. I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in alcune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dalla legge e giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica.»

27. Il Governo contesta la tesi del ricorrente.

A. Sulla ricevibilità

28. La Corte constata che il presente motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione, e rileva peraltro che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È opportuno pertanto dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

29. Il ricorrente afferma che non vi è alcuna base legale al rifiuto delle autorità di rilasciargli un passaporto. In particolare, sostiene di non essere mai stato condannato per violazione degli obblighi di assistenza familiare, reato punito dall'articolo 570 del codice penale e che nessun giudice l'ha mai condannato per il mancato pagamento dell'assegno alimentare. Inoltre, egli afferma che il suo casellario giudiziale è vergine.

30. Il Governo rammenta che l'articolo 16 della Costituzione prevede che la libertà del cittadino di uscire dal territorio della Repubblica è subordinata all'osservanza degli obblighi previsti dalla legge.

31. Il Governo nota inoltre che l'ingerenza nel diritto del ricorrente è espressamente prevista dalla legge, ossia dall'articolo 3 a) e b) della legge n. 1185 del 1967, e spiega che tale legge è finalizzata a proteggere i figli: si tratta di assicurare che il ricorrente paghi l’assegno alimentare e di prevenire la commissione di un delitto. Secondo il punto di vista del Governo, tale ingerenza risponde al criterio della «necessità in una società democratica», specialmente alla luce della giurisprudenza della Corte in materia di debiti non pagati.

32. A tale proposito, il Governo rammenta che il tribunale di Napoli ha deciso di trasmettere la sua decisione del 22 ottobre 2008 al procuratore della Repubblica per verificare se potesse essere aperto un fascicolo per violazione degli obblighi di assistenza familiare, reato punito dall'articolo 570 del codice penale.

33. Il Governo nota che la Corte costituzionale, nella sentenza 0464 del 1997, ha affermato che l'essenza dell'articolo in questione della legge n. 1185 del 1967 è «garantire che il genitore assolva i suoi obblighi verso i figli».
Il Governo aggiunge che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, la decisione del giudice tutelare in materia rappresenta una misura di «giurisdizione volontaria» (ossia non si prefigge di regolare in maniera definitiva un conflitto tra i diritti soggettivi dei genitori).

34. Il Governo richiama la giurisprudenza della Corte riguardante le restrizioni alla libertà di circolazione in alcune situazioni di processi penali pendenti, di fallimenti o ancora di violazione degli obblighi relativi al servizio militare.

2. Valutazione della Corte

35. La Corte osserva innanzitutto che la presente causa solleva una questione nuova visto che non ha ancora avuto l'occasione di esaminare le misure che limitano la libertà di lasciare un paese in ragione dell'esistenza di debiti nei confronti di terzi aventi una particolare importanza, quali le obbligazioni alimentari.

36.  In alcune precedenti cause esaminate dal punto di vista dell'articolo 2 del Protocollo n. 4, la Corte o la vecchia Commissione europea dei diritti dell'uomo si sono interessate a divieti di tale natura, pronunciati per esempio nel contesto:

  • di un procedimento penale pendente (Schmidt c. Austria, n. 10670/83, decisione della Commissione del 9 luglio 1985, Décisions et rapports (DR) 44, pag. 195; Baumann c. Francia, n. 33592/96, CEDU 2001 V; Földes e Földesné Hajlik c. Ungheria, n. 41463/02, CEDU 2006 XII; Sissanis c. Romania, n. 23468/02, 25 gennaio 2007; Bessenyei c. Ungheria, n. 37509/06, 21 ottobre 2008; A.E. c. Polonia, n. 14480/04, 31 marzo 2009; Iordan Iordanov e altri c. Bulgaria, n. 23530/02, 2 luglio 2009; Makedonski c. Bulgaria, n. 36036/04, 20 gennaio 2011; Pfeifer c. Bulgaria, n. 24733/04, 17 febbraio 2011; Prescher c. Bulgaria, n. 6767/04, 7 giugno 2011; e Miażdżyk c. Polonia, n. 23592/07, 24 gennaio 2012);
  • dell’esecuzione di una pena (M. c. Germania, n. 10307/83, decisione della Commissione del 6 marzo 1984, DR 37, pag. 113);
  • della condanna dell’interessato per un reato, fintanto che non fosse stato riabilitato (Nalbantski c. Bulgaria, n. 30943/04, 10 febbraio 2011);
  • di una procedura fallimentare pendente (Luordo c. Italia, n. 32190/96, CEDU 2003 IX);
  • del rifiuto di pagare un’ammenda doganale (Napijalo c. Croazia, n. 66485/01, 13 novembre 2003);
  • del mancato pagamento di un’imposta (Riener c. Bulgaria, n. 46343/99, 23 maggio 2006);
  • del mancato rimborso a un creditore privato di un debito stabilito con decisione giudiziaria (Ignatov c. Bulgaria, n. 50/02, 2 luglio 2009, e Gochev c. Bulgaria, n. 34383/03, 26 novembre 2009; Khlyustov c. Russia, n. 28975/05, 11 luglio 2013);
  • della conoscenza di «segreti di Stato » (Bartik c. Russia, n. 55565/00, CEDU 2006 XV);
  • del mancato assolvimento dell’obbligo del servizio militare (Peltonen c. Finlandia, n. 19583/92, decisione della Commissione del 20 febbraio 1995, DR 80 A, pag. 38, e Marangos c. Cipro, n. 31106/96, decisione della Commissione del 20 maggio 1997, non pubblicata);
  • della malattia mentale dell'interessato, associata all'assenza di dispositivi che permettano una presa in carico adeguata nello Stato di destinazione (Nordblad c. Svezia, n. 19076/91, decisione della Commissione del 13 ottobre 1993, non pubblicata);
  • di una decisione giudiziaria che vieta di condurre all’estero un figlio minorenne (Roldan Texeira e altri c. Italia (dec.), n. 40655/98, 26 ottobre 2000, e Diamante e Pelliccioni c. San Marino, n. 32250/08, 27 settembre 2011);
  • del divieto imposto a un Bulgaro di lasciare il territorio nazionale per due anni per aver violato le leggi degli Stati Uniti in materia di immigrazione (Stamose c. Bulgaria, n. 9713/05, CEDU 2012).

La Corte ritiene che, nonostante sussistano delle differenze tra queste cause e la presente, sia qui possibile applicare gli stessi principi.

37. L’articolo 2 § 2 del Protocollo n. 4 garantisce a ogni persona il diritto di lasciare un qualsiasi paese per recarsi in qualsiasi altro paese da lei scelto in cui è possibile che venga ammessa. Il rifiuto di rilasciare un passaporto al ricorrente e l'annullamento della sua carta d'identità per i viaggi all'estero ad opera dei giudici nazionali costituiscono una violazione di questo diritto (si vedano la decisione sopra citata Peltonen, pag. 43, e le sentenze sopra citate Baumann, §§ 62-63, Napijalo, §§ 69-73, e Nalbantski, § 61). Pertanto, è opportuno stabilire se questa violazione fosse «prevista dalla legge», perseguisse uno o più degli scopi legittimi definiti dall'articolo 2 § 3 del Protocollo n. 4, e se fosse «necessaria in una società democratica» per la realizzazione di questo o questi scopi.

38. Per quanto riguarda la legalità di questa misura, la Corte rammenta la sua consolidata giurisprudenza ai sensi della quale l'espressione «prevista dalla legge» non soltanto impone che la misura contestata abbia una base nel diritto interno, ma riguardi anche la qualità della legge in causa: quest'ultima deve essere accessibile al cittadino e prevedibile per quanto riguarda i suoi effetti (Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, CEDU 2000-V). Affinché la legge soddisfi le condizioni di prevedibilità, essa deve enunciare con sufficiente precisione le condizioni nelle quali una misura può essere applicata, permettendo così alle persone interessate di regolare la loro condotta rivolgendosi, se necessario, a consulenti illuminati.

39. Come fa notare il Governo, l'ingerenza si basava sull'articolo 12 della legge sui passaporti del 21 novembre 1967 (n. 1185), come modificata dalla legge n. 3 del 2003, in relazione al fatto che il ricorrente non ottemperava al pagamento dell'assegno alimentare che era tenuto a versare per i figli. L'ingerenza aveva dunque chiaramente una base legale nel diritto interno. A tale proposito, la Corte nota anche che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 0464 del 1997, ha affermato che l'essenza dell'articolo in questione della legge n. 1185 del 1967 è «garantire che il genitore assolva i suoi obblighi verso i figli».

40. La Corte ritiene anche che l’imposizione della misura in questione si prefigge di garantire gli interessi dei figli del ricorrente e di perseguire per principio un obiettivo legittimo di tutela dei diritti altrui - nel presente caso, quelli dei figli che devono ricevere l'assegno alimentare.

41. Per quanto riguarda la proporzionalità di una restrizione imposta per motivi di debiti non pagati, la Corte rammenta che tale misura si giustifica purché tenda all'obiettivo perseguito di garantire il recupero dei debiti in questione (Napijalo, sopra citata, §§ da 78 a 82). Peraltro, anche se giustificata all’inizio, una misura che limiti la libertà di circolazione di una persona può diventare sproporzionata e violare i diritti di tale persona nel caso in cui venga mantenuta automaticamente per molto tempo (Luordo, sopra citata, § 96, e Földes e Földesné Hajlik, sopra citata, § 35).

42. Comunque sia, le autorità interne hanno l'obbligo di controllare che ogni violazione del diritto di una persona di lasciare il suo paese sia, dall'inizio e per tutta la sua durata, giustificata e proporzionata rispetto alle circostanze. Esse non possono prorogare a lungo le misure che restringono la libertà di circolazione di una persona senza riesaminare periodicamente se sono giustificate (Riener, sopra citata, § 124, e Földes e Földesné Hajlik, sopra citata, § 35). Questo controllo deve normalmente essere assicurato, almeno in ultimo grado, dal potere giudiziario, perché offre le migliori garanzie di indipendenza, imparzialità e regolarità delle procedure (Sissanis c. Romania n. 23468/02, § 70, 25 gennaio 2007). L'estensione del controllo giurisdizionale deve permettere al tribunale di tener conto di tutti gli elementi, ivi compresi quelli legati alla proporzionalità della misura restrittiva (si veda, mutatis mutandis, Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, 23 giugno 1981, § 60, serie A n. 43).

43. Ritornando alle circostanze del caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente non ha più il passaporto, né la carta d'identità valida per l'espatrio dal 2008. Essa nota che al ricorrente è stato rifiutato il rilascio di un passaporto e di una carta d'identità valida per l'espatrio a causa del mancato pagamento dell'assegno alimentare. I giudici interni (paragrafi 11-12 supra) hanno sottolineato che il ricorrente non aveva pagato l'assegno alimentare che era tenuto a versare per i figli e che vi era il rischio che non lo pagasse più recandosi all'estero.

44. Così come risulta dal fascicolo e soprattutto dalle decisioni nazionali pertinenti, i giudici interni non hanno ritenuto necessario esaminare la situazione personale dell'interessato, né la sua capacità di pagare le somme dovute e hanno applicato la misura contestata automaticamente. Nel caso di specie, non sembra sia stata fatta alcuna valutazione dei diritti in causa. Sono stati presi in considerazione soltanto gli interessi patrimoniali dei beneficiari degli alimenti.

45. Peraltro la Corte constata che la questione del recupero dei crediti alimentari è oggetto di una cooperazione in materia civile a livello europeo e internazionale. Essa rammenta che esistono degli strumenti che permettono di recuperare il credito al di fuori delle frontiere nazionali, in particolare il Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obblighi alimentari, la Convenzione dell'Aja del 23 novembre 2007 sul recupero internazionale di alimenti nei confronti dei figli minori e di altri membri della famiglia e la Convenzione di New York sul recupero degli alimenti all'estero. Questi strumenti non sono stati presi in considerazione dalle autorità al momento dell'applicazione della misura in causa. Esse si sono limitate a sottolineare che il ricorrente avrebbe potuto recarsi all'estero con il suo passaporto, sottraendosi così al suo obbligo.

46. Inoltre, la Corte nota che nel caso di specie, la restrizione imposta al ricorrente non ha garantito il pagamento dell'assegno alimentare.

47. La Corte ritiene pertanto che l’interessato sia stato sottoposto ad una misura automaticamente, senza alcuna limitazione per quanto riguarda la portata e la durata della stessa (Riener, sopra citata, § 127). Inoltre, dal 2008, i giudici nazionali non hanno eseguito alcun riesame in merito alla giustificazione e alla proporzionalità della misura rispetto alle circostanze del caso di specie.

48. Alla luce di quanto è stato esposto sopra, la Corte ritiene che l’imposizione automatica di una misura di questo tipo, per una durata indeterminata, senza tener conto delle circostanze specifiche dell’interessato, non possa essere considerata necessaria in una società democratica.

49. Vi è stata pertanto violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

50. Il ricorrente sostiene che il mancato rilascio del passaporto costituisce una violazione del suo diritto alla vita privata così come previsto dall’articolo 8 della Convenzione, che recita:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

51. La Corte rileva che questo motivo di ricorso, così come è stato presentato dal ricorrente, è strettamente legato a quello relativo all’articolo 2 del Protocollo n. 4, sopra esaminato, e anch’esso deve dunque essere dichiarato ricevibile.

52. Tenuto conto delle conclusioni alle quali essa è giunta qui sopra (paragrafi 48 e 49 supra), la Corte non ritiene necessario esaminarlo separatamente.

III.  SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

53. Il ricorrente lamenta una inosservanza dell’articolo 5 del Protocollo n. 7 derivante dal fatto che la madre dei suoi figli beneficerebbe di un trattamento preferenziale in quanto, al contrario di lui, ha ottenuto l’inserimento del nome dei figli sul suo passaporto personale.

54. La Corte nota innanzitutto che questo motivo di ricorso non è comprovato. Per quanto esso sollevi una questione diversa da quella sopra esaminata, e nella misura in cui la Corte è competente per esaminare le doglianze formulate, quest’ultima non rileva alcuna parvenza di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione. Pertanto essa dichiara questo motivo di ricorso irricevibile.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

55. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

56. Il ricorrente chiede 30.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di aver subito in suo nome e in nome dei suoi figli a causa della impossibilità di recarsi all’estero.

57. Il Governo contesta queste richieste ritenendo che l’importo reclamato sia comunque eccessivo e non conforme ai parametri di liquidazione della Corte.

58. La Corte ritiene opportuno riconoscere al ricorrente 5.000 EUR per danno morale.

B. Spese

59. Senza produrre giustificativi a sostegno, il ricorrente chiede anche 20.000 EUR per le spese sostenute per i procedimenti nazionali e per la procedura dinanzi alla Corte.

60. Il Governo ritiene eccessiva questa somma e sostiene che il ricorrente non ha dimostrato che le spese dichiarate fossero necessarie e che il loro importo fosse ragionevole.

61. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle sue spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie la Corte rileva che il ricorrente non ha prodotto giustificativi a sostegno della sua richiesta e decide di non riconoscere nulla a questo titolo.

C. Interessi moratori

62. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

     

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi relativi agli articoli 2 del Protocollo n. 4 e 8 della Convenzione;
  2. Dichiara, a maggioranza, il ricorso irricevibile per il resto;
  3. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione;
  4. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare il motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione;
  5. Dichiara, all’unanimità
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta, con sei voti contro uno, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Işıl Karakaş
Presidente

Abel Campos
Cancelliere aggiunto

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione della dichiarazione di dissenso del giudice Kūris.

A.I.K.
A.C.

DICHIARAZIONE DI DISSENSO DEL GIUDICE KŪRIS

Ho votato contro i punti 2 e 6 del dispositivo della presente sentenza. Ritengo che la questione affrontata ai paragrafi 53 e 54 della sentenza meritasse di essere esaminata dal punto di vista dell’articolo 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione. Di conseguenza, questa parte del ricorso avrebbe dovuto essere dichiarata ricevibile.